Il riconoscimento dei diritti successori da parte dell’erede testamentario attribuisce al legittimario pretermesso la qualità di erede

Interessante opinione offerta da App MIlano 09.07.2025 sez. Prima Civile, cons. rel. Alessandra Arceri:

<<Nel momento in cui l’erede testamentario riconosce in favore del legittimario
pretermesso i suoi intangibili diritti successori, quest’ultimo diventa
automaticamente partecipe della comunione ereditaria e possessore, con
effetto dall’apertura della successione e senza necessità di materiale
apprensione, della sua quota di eredità su tutti i beni ereditari, in conformità a
quanto dispone l’art. 1146 c.c.
Pertanto, il legittimario pretermesso può conseguire la qualità di erede, non
solo attraverso l’esperimento vittorioso delle azioni di riduzione o di
annullamento del testamento, ma altresì attraverso il riconoscimento dei suoi
diritti da parte dell’erede>>

(massima di CEsare Fossati in Ondif)

Il proprietario dell’immobile danneggiato da infiltrazioni, provenienti dal lastrico solare soprastante, concorre nella responsabilità ex art. 2051 cc in quanto condomino di quest’ultimo

Cass. sez. III, 28/10/2025 n. 28.528, rel. Pellecchia. in un caso di lastrico in uso esclusivo a terzi (ma di proprietà condominiale, parrebbe: non chiarissimo):

<<Occorre premettere che la questione concernente la ripartizione delle spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare di uso esclusivo, nonché la correlata responsabilità per i danni da esso cagionati, è stata oggetto di ampio dibattito giurisprudenziale.

L’articolo 1126 del Codice Civile disciplina la ripartizione delle spese di riparazione e ricostruzione dei lastrici solari di uso esclusivo, stabilendo un criterio inderogabile in assenza di diverso accordo contrattuale. La norma pone un terzo della spesa a carico del condomino che ha l’uso esclusivo del lastrico, mentre i restanti due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve da copertura. La giurisprudenza è unanime nel ribadire che, data la fondamentale funzione di copertura del fabbricato, l’obbligo di manutenzione grava su tutti i soggetti interessati secondo le proporzioni indicate dalla legge (cfr. Cass. 6 marzo 2012, n. 3465; Cass. 15 aprile 2010, n. 9084). Tale obbligo di contribuzione sussiste sempre che il danno o la necessità di intervento non derivino da un fatto imputabile esclusivamente al condomino che ha l’uso esclusivo (cfr. Cass. n. 3465 del 2012, cit.).

Elemento dirimente ai fini della decisione è rappresentato dall’individuazione dei condomini tenuti a contribuire per la quota dei due terzi delle spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare di uso esclusivo, in applicazione del criterio dettato dall’art. 1126 c.c.

La giurisprudenza di questa Corte ha consolidato il cosiddetto criterio della “proiezione verticale”. Secondo tale orientamento l’obbligo di contribuire alle spese non grava su tutti i condomini del fabbricato, ma esclusivamente sui proprietari delle unità immobiliari comprese nella proiezione verticale del lastrico stesso, poiché solo a tali unità esso funge da copertura (cfr. Cass., ord. 28 agosto 2020, n. 18045; Cass., ord. 18 maggio 2017, n. 12578; Cass., ord. 10 maggio 2017, n. 11484; Cass. 4 giugno 2001, n. 7472). Questa Corte ha chiarito che sono tenuti a contribuire “i soli condomini che siano anche proprietari individuali delle singole unità immobiliari comprese nella proiezione verticale di detto lastrico ed alle quali esso funge da copertura, mentre restano esclusi gli altri condomini alle cui porzioni individuali il lastrico stesso non sia sovrapposto, indipendentemente dall’esistenza, nella colonna d’aria ad esso sottostante, di parti comuni” (cfr. Cass., ord. 10 maggio 2017, n. 11484). Di conseguenza, sono esclusi dalla contribuzione i proprietari dei locali (siano essi appartamenti, negozi o autorimesse) che, pur facendo parte dello stesso condominio, non si trovano fisicamente sotto la porzione di lastrico oggetto di intervento (cfr. Cass., ord. 28 agosto 2020, n. 18045; Cass. 4 giugno 2001, n. 7472).

È principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità che l’obbligo di contribuzione alle spese di manutenzione e ricostruzione delle parti comuni, ivi compresi i lastrici solari, abbia natura di obbligazione propter rem (cfr. Cass. 27 ottobre 2006, n. 23291), in quanto strettamente connesso alla titolarità del diritto reale sull’unità immobiliare e, pertanto, gravante su chi ne sia proprietario o titolare di altro diritto reale di godimento.

Le stesse Sezioni Unite della Corte di cassazione, pur intervenendo sulla qualificazione della responsabilità per danni, hanno confermato che la fonte dell’obbligo di contribuzione alle spese risiede nella “titolarità del diritto reale” (cfr. Cass., Sez. U., 10 maggio 2016, n. 9449). Ne consegue che il soggetto tenuto a partecipare alla spesa non è il mero utilizzatore o conduttore (inquilino) dell’unità immobiliare sottostante, bensì il suo proprietario.

Con la sentenza n. 9449 del 2016, le Sezioni Unite hanno risolto un contrasto giurisprudenziale, inquadrando la responsabilità per danni da infiltrazioni provenienti dal lastrico solare non più come obbligazione propter rem, ma nell’ambito della responsabilità extracontrattuale per danni da cose in custodia, ai sensi dell’art. 2051 c.c. (cfr. Cass., ord. 3 ottobre 2023, n. 27846; Cass., Sez. U., 10 maggio 2016, n. 9449; Cass. 7 febbraio 2017, n. 3239; Cass. 22 marzo 2012, n. 4596). La Corte ha stabilito una responsabilità concorrente da un lato, quella del proprietario o usuario esclusivo, quale custode della superficie del lastrico; dall’altro, quella del condominio, per l’omesso controllo sulla funzione strutturale di copertura. Per la ripartizione dell’onere risarcitorio tra i responsabili, le Sezioni Unite hanno ritenuto di applicare, quale parametro di liquidazione, proprio il criterio previsto dall’art. 1126 c.c., ponendo quindi un terzo del danno a carico del proprietario/usuario esclusivo e due terzi a carico del condominio (o, per esso, dei soli proprietari delle unità sottostanti dovendo, quindi, oggi intendersi per tali quei condòmini i cui immobili beneficino, siccome a quello sottostanti, in via esclusiva della copertura) (cfr. Cass., ord. 3 ottobre 2023, n. 27846; Cass., Sez. U., 10 maggio 2016, n. 9449; Cass. 22 luglio 2014, n. 16693). Nei confronti del terzo danneggiato, i due soggetti (proprietario esclusivo e condominio) rispondono in solido ai sensi dell’art. 2055 c.c., potendo il danneggiato agire per l’intero risarcimento nei confronti di uno solo dei responsabili, salvo il diritto di regresso interno (cfr. Cass., ord. 14 giugno 2021, n. 16741). Occorre, altresì, considerare che, a seguito del definitivo approdo nomofilattico sulla natura sostanzialmente oggettiva della responsabilità per danni da cose in custodia (per tutte, Cass., Sez. U., ord. 30 giugno 2022, n. 20943), questa incombe al custode condominio in ragione della mera situazione di signoria di fatto sulla cosa da cui si è originato il danno.

Non rileva, nella presente sede, che il criterio di riparto stabilito dall’art. 1126 c.c. non sia assoluto e incontri due principali deroghe (la riconduzione del danno a “difetti originari di progettazione o di esecuzione dell’opera”, secondo quanto precisato da Cass. 30 aprile 2013, n. 10195; Cass. 15 aprile 2010, n. 9084; Cass. 18 giugno 1998, n. 6060; la deroga convenzionale da titolo univoco, secondo Cass. 12 giugno 2017, n. 14586; Cass. 23 marzo 2016, n. 5814; Cass. 10 ottobre 2007, n. 21300), queste non essendo state prospettate nella specie.

Il criterio legale per la ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare, sopra ricostruito e identico a quello di ripartizione dei danni cagionati dalle cose comuni, pone i due terzi della spesa a carico dei soli proprietari delle unità immobiliari a cui il lastrico funge da copertura, secondo un rigoroso criterio di proiezione verticale. L’obbligazione ha natura propter rem, legata alla proprietà, e pertanto non può essere posta a carico del conduttore (la società utilizzatrice), ma deve gravare sul proprietario di detti locali. La Corte territoriale avrebbe quindi dovuto porre i due terzi della spesa a carico del proprietario (o dei proprietari, se più di uno) dei locali sottostanti (che della copertura dei lastrici o terrazzi beneficiano) e non escluderlo dalla contribuzione.

Né rileva in contrario che un tale proprietario sia il danneggiato, salvo il caso – che, però, qui non è idoneamente prospettato ricorra – in cui sia esclusiva la responsabilità, diversa od ulteriore rispetto a quella del custode e quindi per fatto doloso o colposo specifico ai sensi dell’art. 2043 c.c., del proprietario dell’immobile sovrastante (da intendersi, allora, idonea a recidere il nesso causale tra cosa custodita e danno).

Infatti, il condomino che subisca, nella propria unità immobiliare, un danno derivante dall’omessa manutenzione delle parti comuni di un edificio, ai sensi degli artt. 1123,1124,1125 e 1126 c.c., assume, quale danneggiato, la posizione di terzo avente diritto al risarcimento nei confronti del condominio, senza tuttavia essere esonerato dall’obbligo – che trova la sua fonte nella comproprietà o nella utilità di quelle e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile – di contribuire, a propria volta e pro quota, alle spese necessarie per la riparazione delle parti comuni, nonché alla rifusione dei danni cagionati (Cass., ord. 24 giugno 2021, n. 18187; Cass. 21 luglio 2025, n. 20546).

Il principio deve trovare necessariamente applicazione, con gli opportuni adattamenti, anche alle ipotesi, quale la presente, in cui a concorrere alle spese e ai danni di cose comuni siano, da un lato, il proprietario esclusivo della terrazza o lastrico e, dall’altro, il proprietario o i proprietari esclusivi delle unità immobiliari che ne ricevono copertura>>.

Principioo di diritto espresso:

<<E tanto in applicazione del seguente principio di diritto “il condomino che subisca, alla propria unità immobiliare, un danno derivante da un sovrastante lastrico solare o terrazza a livello in uso o proprietà esclusivi, assume, quale danneggiato, la posizione di terzo avente diritto al risarcimento, senza tuttavia essere esonerato dall’obbligo – che trova la sua fonte nella comproprietà o nella utilità di quelle e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile – di contribuire, a propria volta, alle spese necessarie per la riparazione di quel peculiare bene comune, nonché alla rifusione dei danni cagionati, in ragione dei due terzi per la preminente funzione di copertura del proprio immobile, svolta dal lastrico o terrazza a livello”>>.

Danno parentale per la perdita del fratello: negato dalla Corte di Appello, ammesso in via presuntiva dalla Cassazione

Cass. sez. III, 24/10/2025 n. 28.255, rel. Simone:

<<La Corte d’Appello dà atto che Mo.An. aveva allegato di essere l’unica sorella sopravvissuta, che il fratello era un riferimento costante e che tra i due vi era una frequentazione assidua. Allegazioni, queste ultime, valutate come generiche.

Tale statuizione non è in linea con il costante orientamento espresso da questa Corte in materia di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. È stato ripetutamente sostenuto da questa Corte, con orientamento stabile e ribadito ancora di recente, il principio secondo il quale la morte di una persona causata da un illecito fa presumere da sola, ex art. 2727 cod. civ., una conseguente sofferenza morale in capo, oltre che ai membri della famiglia nucleare “successiva” (coniuge e figli della vittima), anche ai membri della famiglia “originaria” (genitori e fratelli), a nulla rilevando né che la vittima e il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur); in tali casi, grava sul convenuto l’onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo (v., Cass. 15 febbraio 2018, n. 3767; Cass. 28 febbraio 2020, n. 5452; Cass. 15 luglio 2022, n. 22397; Cass. 30 agosto 2022, n. 25541; Cass. 4 marzo 2024, n. 5769; Cass. 16 febbraio 2025, n. 3904. In senso conforme, v., inoltre, Cass. 16 marzo 2012, n. 4253). Cass. 5769/2024, nel dare continuità all’indicato principio di diritto e declinandolo con riferimento alle due polarità delle possibili conseguenze non patrimoniali risarcibili per la lesione di interessi costituzionalmente protetti (v., Cass. 17 gennaio 2018, n. 901), ha osservato che “che la presunzione iuris tantum (che onera il convenuto della prova contraria dell’indifferenza affettiva o, persino, dell’odio) concerne l’aspetto interiore del danno risarcibile (c.d. sofferenza morale) derivante dalla perdita del rapporto parentale, mentre non si estende all’aspetto esteriore (c.d. danno dinamico-relazionale), sulla cui liquidazione incide la dimostrazione dell’effettività, della consistenza e dell’intensità della relazione affettiva (desumibili, oltre che dall’eventuale convivenza – o, all’opposto, dalla distanza – da qualsiasi allegazione, comunque provata, del danneggiato), delle quali il giudice del merito deve tenere conto, ai fini della quantificazione complessiva delle conseguenze risarcibili derivanti dalla lesione estrema del vincolo familiare”.

1.4. L’affermazione fatta dalla Corte d’Appello a proposito degli indici esposti dalla ricorrente – Mo.An. era l’unica sorella sopravvissuta, il fratello era un riferimento costante e che tra i due vi era una frequentazione assidua – nel senso che essi fossero generici “in assenza di altre più puntuali allegazioni”, è errata e confligge con i già indicati principi di diritto. Infatti, la riferita genericità non attiene all’individuazione del danno, ma alla sua quantificazione, ed ha portato a negare, quantomeno limitatamente alla componente interiore della sofferenza morale connessa alla perdita del congiunto, la presunzione, sia pure iuris tantum, della sua sussistenza, in base alla quale gravava sul danneggiante l’onere di fornire la prova contraria>>.

Responsabilità (contrattuale) della Scuola per danno all’alunno e onere della prova

Cass. sez. III, 20/10/2025 n. 27.923, rel. Guizzi, in relazione alla seguente domanda risarcitoria proposta nei confronti del MIUR: <<danni subiti il 9 ottobre 2007, alle ore 13.00 circa, allorché frequentava, in qualità di studente, l’Istituto Tecnico Industriale Statale “A. Pacinotti”, in Taranto. riferisce l’odierno ricorrente di essere rimasto vittima di un sinistro, nelle circostanze di tempo e luogo sopra meglio indicate, allorché – terminata la lezione di educazione fisica – venne colpito, accidentalmente, con un casco da un compagno di scuola, nel locale spogliatoio adiacente la palestra, subendo, per l’effetto, la rottura di due denti>>:

<<9.1.1. Nello scrutinarlo, deve premettersi – in ciò risultando corretto l’assunto da cui muove il ricorrente, salvo però trarne consegue erronee – che “l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni (anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso)”, ragion per cui risulta “applicabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 cod. civ.”; di conseguenza, “mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante” (così già Cass. Sez. 3, sent. 15 febbraio 2011, n. 3680, Rv. 617285-01).

Nondimeno, se l’istituto è certamente “tenuto ad osservare obblighi di vigilanza e controllo”, ciò deve avvenire con “lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto”, dato che il “normale esito della prestazione” dipende, appunto, da “una pluralità di fattori, tra cui l’organizzazione dei mezzi adeguati per il raggiungimento degli obiettivi in condizioni di normalità, secondo un giudizio relazionale di valore, in ragione delle circostanze del caso” (Cass. Sez. 3, sent. 4 ottobre 2013, n. 22752, Rv. 628691-01).

Tra le circostanze da apprezzare, al fine di stabilire se sia stata raggiunta, o meno, la prova della non imputabilità dell’evento dannoso – esonerativa, come detto, della responsabilità ex art. 1218 cod. cv. – viene in rilievo, innanzitutto, “l’età degli allievi, che impone una vigilanza crescente con la diminuzione dell’età anagrafica” (Cass. Sez. 3, sent. 29 maggio 2013, n. 13457, Rv. 626650-01), essendosi, in particolare, precisato che “il contenuto dell’obbligo di vigilanza è inversamente proporzionale al grado di maturità degli alunni, onde con l’avvicinarsi di questi all’età del pieno discernimento il dovere di vigilanza dei precettori richiede in minor misura la loro continua presenza”, e ciò perché siffatta condizione, nei casi in cui si controverta in merito al danno cagionato da uno studente ad un altro, è “tale da far presumere la non prevedibilità della condotta dannosa posta in essere” (Cass. Sez. 3, ord. 31 gennaio 2018, n. 2334, Rv. 647926-01; negli stessi termini pure Cass. Sez. 3, ord. 24 gennaio 2024, n. 2394, non massimata, peraltro relativa ad un caso di lesione cagionata ad un alunno volontariamente – e non, come nella specie, accidentalmente – da un altro)>>.

Rsponsabilità dei medici in caso di morte del feto: va equiparata a quella da perdita del rapporto parentale

I principi di diritto ex art. 364 cpc enunciati da Cass. sez. III, 06/10/2025 n. 26.826, rel. Cricenti:

1)  In tema di responsabilità sanitaria, il danno da perdita del feto imputabile ad omissioni e ritardi dei medici è morfologicamente assimilabile al danno da perdita del rapporto parentale, che rileva tanto nella sua dimensione di sofferenza interiore patita sul piano morale soggettivo, quanto nella sua attitudine a riflettersi sugli aspetti dinamico-relazionali della vita quotidiana dei genitori e degli altri eventuali soggetti aventi diritto al risarcimento del danno.

2) In tema di responsabilità sanitaria, la perdita del frutto del concepimento prima della sua venuta in vita, imputabile a omissioni e ritardi dei medici, determina la risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale, che si manifesta prevalentemente in termini di intensa sofferenza interiore tanto del padre, quanto (e soprattutto) della madre.

3) In tema da risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, il giudice di merito è tenuto ad applicare le tabelle milanesi, utilizzandone i singoli parametri alla luce dei principi in tema di morfologia del danno da perdita del frutto del concepimento, tenuto conto di tutte le circostanze di fatto portate al suo esame, procedendo altresì, tutte le volte in cui sia possibile, all’interrogatorio libero delle parti ex art. 117 c.p.c.

(Il tema era stato già esaminato da Cass. 26301/2021, rel. Travaglino, ampiamente cit. in sentenza)

Il marchio denominativo “GPT-3” per servizi software è nullo perchè descrittivo

La Cancellation Division EUIPO 17.10.2025 , Century Tal Holding (di Singapore) c. OpenAI Opco, ha deciso che il marchio in oggetto, registrato il 25.08.2021 (con priorità USA 04.08.2020), per classe 42 per servizi software, è nullo perchè descrittivo.

Il problema giuridico principale era il giudizio da rendere alla data del deposito prioritario (quello USA) : e ha deciso che all’epoca il termine era già descrittivo.

<<It is the opinion of the Cancellation Division, that Annex 8 (published in April 2020) together with the references to other articles published before the relevant date, confirms that already before the priority date of the contested EUTM, the acronym ‘GPT’ had been used denote a technology or AI system that involves ‘generative pre-trained transformers’ and had been immediately recognised, at least by the professional part of the relevant public, as an acronym identical to the full descriptive meaning ‘Generative Pretrained Transformer’. As correctly pointed out by the applicant, the addition ‘-3’ refers to the third (improved) generation/version of a GPT. As has already been confirmed, the relevant public is accustomed to such descriptive use when the numbers are used in connection with an acronym or an abbreviation (14/06/2023, R 259/2023-1 ‘HPD2’, §25). This meaning of the sign is obvious and can be understood directly from the contested mark without any elaborate interpretation or doubt. (…)

In light of the foregoing, it is concluded that the contested trade mark ‘GPT-3’ consists exclusively of an indication that may serve, in trade, to designate a characteristic of all the contested services in Class 42 and that this situation existed at the time of filing of the contested mark as well as at the priority date of the contested mark. Therefore, the mark has been registered contrary to the provision of Article 7(1)(c) EUTMR>>

Analoghi esiti nelle altre due  decisioni in pari data tra le stesse parti sui marchi “GPT-4” ( marchio n°  18 848 432) e “GPT-5” (marchio n° 18 906 770)

 

 

Breve (e banale) jingle ammesso alla registrazione come marchio sonoro dal Tribunale UE

Trib. UE 10.09.2025, T-288/24, Berliner Verkehrsbetriebe (BVG), riconosce distintività al seg. marchio sonoro per servizi di trasporto facchinaggio magazzinaggio etc., riformando il giudizio reso in sede amministrativa: 

http://euipo.europa.eu/trademark/sound/EM500000018849003

 << 23  Occorre rilevare, al riguardo, che è già stato considerato che un segno sonoro caratterizzato da un’eccessiva semplicità e che si limitava alla mera ripetizione di due note identiche – nella fattispecie un suono che sarebbe assimilabile a una suoneria telefonica – non era idoneo, in quanto tale, a trasmettere un messaggio di cui i consumatori potrebbero ricordarsi, di modo che questi ultimi non lo consideravano un marchio, a meno che non avesse acquisito carattere distintivo in seguito all’uso (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2016, Marchio sonoro, T‑408/15, EU:T:2016:468, punto 51 e giurisprudenza citata).

24      Tuttavia, come giustamente sostenuto dalla ricorrente, vari elementi consentono di ritenere che le caratteristiche del marchio richiesto in termini di durata e di pregnanza consentano di dimostrare l’esistenza piuttosto che l’assenza di un carattere distintivo ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001 e della giurisprudenza citata ai precedenti punti da 12 a 18.

25      Infatti, in primo luogo, per quanto riguarda gli usi del settore economico di cui trattasi nel caso di specie, è notorio che gli operatori presenti nel settore dei trasporti ricorrono sempre più a «jingle», vale a dire a brevi motivi sonori, al fine di modellare un’identità sonora riconoscibile dal pubblico, equivalente audio dell’identità visiva di un marchio, per i prodotti e i servizi ad esso associati. Siffatti marchi sonori consentono altresì di introdurre o accompagnare messaggi destinati al pubblico di riferimento, sia nelle sale degli aeroporti sia nelle banchine delle stazioni ferroviarie e stradali, a fini pubblicitari o in relazione a servizi correlati. Tali jingle, di cui la ricorrente ha fornito vari esempi (v. punto 5, settimo trattino, della decisione impugnata), consentono di attirare l’attenzione dei revisori in un ambiente che può talvolta essere rumoroso.

26      In secondo luogo, occorre rilevare che il marchio richiesto consiste in un suono di una melodia in cui si succedono quattro suoni percettibili diversi (v. punto 2 supra).

27      Il suono della melodia che compone il marchio richiesto non presenta un nesso diretto con i servizi designati da tale marchio e non risulta essere dettato da considerazioni tecniche o funzionali. Infatti, tale suono non consiste in un rumore che si produce abitualmente durante l’utilizzo di servizi di trasporto, come, ad esempio, un rumore di passaggio di metropolitana o di treno, o un rumore di decollo di aereo. Del pari, non è dimostrato che il suono della melodia che compone il marchio richiesto sia già noto al pubblico, il che consente di presumere che si tratti di un’opera originale.

28      In tale contesto, si può ritenere che il suono della melodia che compone il marchio richiesto abbia piuttosto lo scopo di fungere da jingle, vale a dire, come sottolinea giustamente la ricorrente, da sequenza sonora breve, incisiva e idonea come tale ad essere memorizzata. Del pari, si deve considerare che, nonostante la sua brevità, che è una caratteristica propria dei jingle e mira appunto a facilitarne la memorizzazione, il suono della melodia che compone il marchio richiesto intende attirare l’attenzione del pubblico sull’origine commerciale dei servizi oggetto di tale marchio, conformemente agli usi del settore dei trasporti.

29      Una siffatta valutazione è d’altronde confermata, come osserva la ricorrente, dalla prassi decisionale e dalle direttive relative all’esame dinanzi all’EUIPO in materia di marchi sonori.

30      Pertanto, il suono della melodia che compone il marchio richiesto ha una durata simile a quello che compone il marchio dell’Unione europea sonoro dell’impresa ferroviaria tedesca Deutsche Bahn AG, registrato con il numero 18800487 e che può essere ascoltato attraverso il seguente collegamento ipertestuale (<EUIPO – eSearch>), e tale melodia, come quella che compone il marchio dell’Unione europea sonoro della Deutsche Bahn, non ha nulla a che vedere con i servizi di trasporto considerati. Le stesse osservazioni possono essere fatte al momento del confronto del marchio richiesto con quello dell’impresa che gestisce l’aeroporto di Monaco di Baviera, Flughafen München GmbH, registrato con il numero 17396102 e che può essere ascoltato attraverso il seguente collegamento ipertestuale (<EUIPO – eSearch>).

31      Parimenti, due «[e]sempi di marchi accettati», esposti nella parte B, sezione 4, capo 3, punto 15, delle direttive relative all’esame dinanzi all’EUIPO, che, pur non avendo valore vincolante, possono tuttavia costituire una fonte di riferimento quanto alla prassi dell’EUIPO in materia di marchi [v. sentenza dell’8 giugno 2022, Muschaweck/EUIPO – Conze (UM), T‑293/21, EU:T:2022:345, punto 38 e giurisprudenza citata] sono pertinenti per valutare le caratteristiche del marchio richiesto. Infatti, tali esempi indicano che sono stati accettati due marchi sonori composti, rispettivamente, da una «[s]equenza di quattro tonalità diverse che cadono inizialmente sulla quarta tonalità prima di risalire e terminare sulla mediana» e da «due prime note più brevi “la”[,] meno potenti della nota successiva più lunga e più alta “do” (…)». Siffatte sequenze sonore possono essere avvicinate a quella che compone il marchio richiesto, che, secondo la commissione di ricorso, contiene quattro suoni percettibili.

32      Pertanto, tenuto conto delle caratteristiche del marchio richiesto in termini di durata, di melodia utilizzata e di suoni percettibili nonché delle diverse indicazioni fornite in passato dall’EUIPO quanto al ruolo svolto da tali caratteristiche nella valutazione del carattere distintivo di un marchio sonoro di cui si chiede la registrazione, la commissione di ricorso è incorsa in un errore di valutazione nel concludere per l’assenza di carattere distintivo del marchio richiesto in quanto esso era «estremamente breve [(…) due secondi] e semplice [(…) quattro suoni percettibili]».

33      Una siffatta valutazione risulta erronea alla luce sia degli usi del settore interessato, per il quale è importante poter utilizzare il suono per consentire al pubblico destinatario di identificare i prodotti e i servizi di un’impresa e per definire in tal modo un’identità sonora riconoscibile, sia degli elementi che caratterizzano il marchio richiesto, il quale intende appunto agire presso detto pubblico come jingle breve e incisivo, idoneo ad essere memorizzato e ad indicare così l’origine commerciale dei servizi di cui trattasi, che saranno esclusivamente associati alla ricorrente. Sotto questo profilo, né la durata del marchio richiesto né la sua asserita «semplicità» o «banalità», la quale di per sé non impedisce che la melodia corrispondente possa essere riconosciuta, sono ostacoli sufficienti, in quanto tali, a giustificare l’assenza di qualsiasi carattere distintivo.

34      In terzo luogo, la commissione di ricorso incorre in un altro errore quando, per suffragare la sua valutazione secondo cui il marchio richiesto non aveva carattere distintivo, ha ritenuto che quest’ultimo avesse «semplicemente un ruolo funzionale».

35      Infatti, per quanto riguarda i servizi di trasporto o i servizi di trasporto passeggeri, la commissione di ricorso ha rilevato che «[era] usuale diffondere una breve sequenza di suoni prima degli annunci tramite altoparlante [di] informazioni sui mezzi di trasporto, al fine di attirare l’attenzione dei viaggiatori sull’annuncio che seg[uiva] il jingle» e che, poiché tali annunci erano generalmente diffusi in ambienti contenenti rumori diversi, «non [era] facile per l’ascoltatore distinguere l’annuncio dagli altri rumori di fondo» e associarlo con un’impresa specifica prima di esservi abituato.

36      Nel caso di specie, tuttavia, risulta, come osserva la ricorrente, che, anche supponendo che si debba considerare uno degli usi potenziali del marchio richiesto come fa la commissione di ricorso, vale a dire evocare il suo utilizzo in una stazione per annunciare il servizio di trasporto associato, tale uso, anche se ha un ruolo funzionale, non impedirebbe affatto al marchio richiesto di esercitare la sua funzione di indicazione dell’origine commerciale di detto servizio. Questo sarebbe persino il ruolo del marchio richiesto in tale contesto, dal momento che il suono della melodia che caratterizza tale marchio ha proprio lo scopo di consentire al pubblico interessato di distinguere tale servizio e l’impresa interessata dagli altri servizi che possono essergli proposti da altri operatori che intervengono nel settore dei trasporti.

37      In quarto luogo, per quanto riguarda gli altri servizi oggetto del marchio richiesto, che non riguardavano direttamente il trasporto, ma aspetti ad esso associabili, la commissione di ricorso ha ritenuto che neppure tale marchio fosse in grado di svolgere la sua funzione essenziale di indicazione della loro origine commerciale, in quanto «il pubblico di riferimento esposto a tale successione di suoni molto breve e semplice nell’ambito di tali servizi suppo[rrebbe] tutt’al più che il suono [fosse] connesso a taluni aspetti del servizio (ad esempio, l’inizio di un annuncio) o [che fosse] utilizzato per pubblicizzare tali servizi». Orbene, le considerazioni esposte ai precedenti punti da 27 a 36 sono valide, mutatis mutandis, per quanto riguarda la valutazione effettuata dalla commissione di ricorso riguardo a tali altri servizi. In particolare, come sostiene giustamente la ricorrente, è difficile comprendere, da un lato, quali aspetti dei servizi oggetto del marchio richiesto possano essere collegati al suono della melodia che compone quest’ultimo e, dall’altro, in che modo il fatto che il segno sonoro richiesto possa essere utilizzato nell’ambito di una pubblicità per tali servizi deporrebbe a sfavore della sua registrazione come marchio.>>

La sentenza è di una certa importanza a fini pratici; mi pare tuttavia di assai dubbia esattezza, data la notevole semplicità del brano musicale, che con difficoltà verrà distinto da altri simili (con valore o meno di marchio) da parte del consumatore di riferimento

Determinabilità dell’oggetto del preliminare di vendita immobiliare

Cass. sez. II, 14/07/2025 n. 19.334, rel. Cavallino, è lasca sulla determinabilità dell’oggetto in caso di preliminare di vendita immobiliare (rispetto al definitivo), di cui era stata chiesta l’eecuzione forzata ex art. 2932 cc:

<<Come si legge in Cass. Sez. 2 24-1-2020 n. 1626 (Rv. 656846-01), pag.6, è acquisito che l’oggetto del contratto preliminare sia costituito non già dall’oggetto del futuro contratto, che con il preliminare le parti si obbligano a concludere, ma dalla conclusione stessa del contratto definitivo.

Pertanto, ai fini della validità del preliminare non è necessaria l’indicazione completa di tutti gli elementi del futuro contratto, ma è sufficiente l’accordo delle parti sugli elementi essenziali.

In particolare, nel preliminare di vendita di un bene immobile, l’indicazione del bene oggetto del futuro trasferimento della proprietà può essere anche incompleta e mancare dei dati catastali e degli altri elementi distintivi del bene, purché sia certo che le parti abbiano inteso riferirsi a un bene determinato o determinabile.

In altri termini, è sufficiente che dall’atto scritto risulti, anche attraverso il richiamo a elementi esterni ma idonei a consentire l’identificazione del bene in modo inequivoco, che le parti abbiano inteso fare riferimento a un bene determinato o comunque determinabile; la relativa individuazione attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il contratto definitivo può non solo essere incompleta, ma anche mancare del tutto, purché l’intervenuta convergenza delle volontà sia logicamente ricostruibile dal giudice di merito, sia pure aliunde o per relationem (Cass. Sez. 2 23-8-1997 n. 7935 Rv. 507047-01, Cass. Sez. 2 30-5-2003 n. 8810 Rv. 563817-01, Cass. Sez. 2 1-2-2013 n. 2473 Rv. 624872-01, Cass. Sez. 2 10-5-2018 n. 11297 Rv. 648322-02).

Non pone principi di segno diverso ai fini che qui interessano l’indirizzo secondo il quale la possibilità che l’oggetto di un contratto preliminare sia determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio e anche successivi alla sua conclusione trova un limite nel caso in cui l’identificazione del bene da trasferire non attenga all’ipotesi di conclusione consensuale del contratto definitivo su base negoziale, ma afferisca a una pronuncia giudiziale ex art. 2932 cod. civ.; l’affermazione che in tale caso l’esatta individuazione del bene debba risultare dal preliminare, in quanto la pronuncia giudiziale ex art. 2932 cod. civ. deve corrispondere esattamente al contenuto del preliminare (Cass. Sez. 2 7-8-2002 n. 11874 Rv. 556763-01, Cass. Sez. 2 16-1-2013 n. 952 Rv. 624973-01, Cass. Sez. 2 15-9-2017 n. 21449 Rv. 645553-01) individua i requisiti del preliminare necessari al fine della pronuncia ex art. 2932 cod. civ., ma non ai fini della validità del contratto quale fonte di obbligazioni che, se non eseguite dalle parti, non consentiranno l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ., ma potranno dare luogo al risarcimento del danno per l’inadempimento.

La sentenza di primo grado, nella parte trascritta al punto 15 della sentenza impugnata, aveva dichiarato, sulla base del contenuto delle scritture, che il terreno oggetto dell’accordo era il terreno acquistato da Mu.Gi. e AVVENIRE IMMOBILIARE Srl da Sc. Srl e i lottisti erano individuati per relationem; a fronte di questi dati, la Corte d’Appello non spiega perché, in tali termini, l’oggetto del contratto preliminare non fosse almeno determinabile, come sufficiente ex art. 1346 cod. civ.

Neppure l’affermazione in ordine al fatto che fosse indeterminata e indeterminabile la controprestazione relativa alla cessione delle cubature aggiuntive trova spiegazione idonea a escludere l’esistenza di accordo sugli elementi essenziali del contratto. La spiegazione non poteva essere data, perché il riferimento al procedimento amministrativo nel quale avrebbe dovuto essere riconosciuta la cubatura aggiuntiva era evidentemente sufficiente a fare riferimento a tutta la cubatura aggiuntiva che sarebbe stata riconosciuta nel procedimento medesimo.

La diversa circostanza che il procedimento amministrativo non fosse stato concluso non poteva porre questione di mancanza dell’accordo sugli elementi essenziali del contratto o di indeterminatezza dell’oggetto del contratto, ma questioni da valutare esclusivamente sul piano dell’adempimento al contratto preliminare>>.

Amministrazione di sostegno, rifiuto di collaborare del potenziale beneficiando e conflitto tra familiari

Cass. sez. I, 22/09/2025 n. 25.890, rel. Caprioli:

In generale sull’a.d.s.:

<<L’amministrazione di sostegno, introdotta dalla L. n. 6 del 2004, art. 3 innovando il sistema delle tutele previste in favore dei soggetti deboli, persegue la finalità di offrire, a chi si trovi -all’attualità – nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica” non necessariamente di ordine mentale (Cass. n. 12998/2019), uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la “capacità di agire” e che -a differenze dell’interdizione e dell’inabilitazione – sia idoneo ad adeguarsi alle esigenze del beneficiario, in ragione della sua flessibilità e della maggiore agilità della relativa procedura applicativa.

L’amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, mentre e escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all’attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido (Cass. n. 29981/2020).

Invero, come e stato già affermato da questa Corte, la valutazione della congruità e conformità del contenuto dell’amministrazione di sostegno alle specifiche esigenze del beneficiario, riservata all’apprezzamento del giudice di merito, richiede che questi tenga essenzialmente conto, secondo criteri di proporzionalità e di funzionalità, del tipo di attività che deve essere compiuta per conto dell’interessato, della gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno in cui versa l’interessato, nonché di tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie, in modo da assicurare che il concreto supporto sia adeguato alle esigenze del beneficiario senza essere eccessivamente penalizzante (v. Cass. n. 13584/2006, n. 22332/2011; Cass. n. 18171/2013; Cass. n. 6079/2020; nel senso che l’ambito dei poteri dell’amministratore debba puntualmente correlarsi alle caratteristiche del caso concreto, v. Corte Cost. n. 4 del 2007). Le caratteristiche proprie dell’amministrazione di sostegno impongono, quindi, in linea con le indicazioni rivenienti dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica, circostanziata e focalizzata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario accertare anche mediante CTU, ove necessario-, sia rispetto alla incidenza della stesse sulla capacità del beneficiario di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, anche eventualmente avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe dallo stesso approntato; inoltre, il perimetro dei poteri gestori ordinari attribuibili all’amministratore di sostegno va delineato in termini direttamente proporzionati ad entrambi gli anzidetti elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona. In questo quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione devono essere opportunamente considerate, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza. Al riguardo, va rilevato che la decisione qui impugnata muovendo dalla erronea premessa che la pronuncia rescindente avesse accertato la sussistenza dei presupposti che giustificano l’amministrazione di sostegno e che l’ambito della sua indagine fosse circoscritta alla verifica dell’esistenza o meno di una rete familiare in grado di supportare la riassumente nella gestione dei suoi interessi patrimoniali e di quelli relativi alla sua sfera personale, ha rilevato, all’esito del giudizio, l’assenza di soggetto in grado di svolgere una funzione vicariante attraverso opportune deleghe>>.

Andando al caso sub iudice e negando l’incapacità di provvedere a sè stessa della persona interessata:

<<Invero, diversamente da quanto affermato dal Giudice del rinvio, la pronuncia rescindente, non ha svolto alcun accertamento fattuale che esula dai compiti del giudice di legittimità, ma ha invece rilevato la capacità della Ne., prima dell’adozione del provvedimento ai amministrazione ai sostegno nei suoi confronti,di svolgere autonomamente attività lavorativa e di curare gli aspetti della vita ordinaria chiarendo che l’eventuale esigenza di protezione sarebbe dovuta passare attraverso una verifica dell’esistenza di una rete familiare in grado di svolgere una funzione vicariante per supportarla negli aspetti più complessi della gestione del suo patrimonio.

Ciò posto la decisione della Corte di appello è fondata su una serie di elementi di natura indiziaria circa la condizione della ricorrente, ritenuta tale da richiedere l’intervento di sostegno in questione, che però, nell’ambito di una valutazione complessiva, non può dirsi costituisca prova sufficiente dei presupposti della misura stessa. In tema di amministrazione di sostegno, l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge, in linea con le indicazioni contenute nell’art.12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità, deve essere compiuto in maniera specifica e circostanziata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario – la cui volontà contraria, ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuta in considerazione dal giudice – sia rispetto all’incidenza della stesse sulla sua capacità di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, verificando la possibilità, in concreto, che tali esigenze possano essere attuate anche con strumenti diversi come, ad esempio, avvalendosi, della nomina di un curatore speciale ex art 78 c.c per la gestione dei beni in comunione.

Nella specie, ai fini della decisione, la Corte ha valorizzato alcune forme di disagio prive, di per sé, di una sufficiente valenza in ordine ai presupposti dell’amministratore di sostegno, facendo riferimento ad un disturbo della personalità definito “evitante”.

La Corte d’Appello non ha infatti chiaramente statuito riguardo al fatto che la ricorrente era persona priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, tale che la ponesse nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi.

Il Giudice del rinvio, sulla premessa che la ricorrente si era rifiutata di presentarsi all’incontro con gli operatori del Servizio sociale incaricato così come nel passato aveva rifiutato di sottoporsi ad una c.t.u. ed aveva tenuto una condotta ingiustificatamente oppositiva, anche in ordine alle iniziative intraprese per acquisire riscontri in ordine al suo stato di salute, ne deduceva che la stessa fosse affetta da una fragilità patologica che pur non coinvolgendo per intero la sua sfera personale (la stessa era stata infatti da tutti riconosciuta in grado di svolgere attività professionale quale insegnante di grande levatura e di essere un’artista brillante) tuttavia non la rendevano in grado di gestire alcuni aspetti patrimoniali, specie con riguardo alla gestione degli immobili e dell’eredità (la stessa ha dedotto le difficoltà di gestire la villa di grandi dimensioni e di aver dovuto chiudere alcuni ambienti) al punto che tali condotte risultavano per lei stessa pregiudizievoli. Da qui il ricorso alla figura dell’amministrazione di sostegno a causa dell’indisponibilità dell’interessata e dell’assenza di soggetti in grado di supportarla, oltre che per la particolare entità del patrimonio da gestire.

Il ragionamento svolto dal giudice del rinvio non è condivisibile. Ora, se la mancata collaborazione alla visita del c.t.u. costituisce condotta valutabile, ex art. 116 c.p.c. e applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa; nel caso concreto, non è conclusione inequivocabile quella secondo cui la condotta non collaborativa della ricorrente e il suo rifiuto aprioristico di sottoporsi alle visite prescritte costituisse un indice significativo di una condizione di salute tale da rendere necessaria la nomina contestata.

Né, come detto, la condotta non collaborativa della ricorrente può lasciar presumere una menomazione o difficoltà di vita significativa tale da porla nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi. Né tale comportamento oppositivo esclude che la ricorrente sia in realtà una persona lucida, per quanto conducente una forma di vita apparentemente inconsueta, non potendosi escludere che tali anomalie siano da considerare la manifestazione di asprezze o forme caratteriali.

L’ambito dei poteri da conferire all’amministratore di sostegno deve rispondere alle specifiche finalità di tutela del soggetto amministrato e non può prescindere da risultanze espressive di un chiaro e significativo stato di menomazione o difficoltà della persona che s’ipotizza bisognevole di tutela.

Nella specie non risulta sia stata accertata una condizione di menomazione individuale tale da influire su scelte gestionali coerenti con la percezione dei bisogni individuali e le carenze sembrano prospettate esclusivamente in relazione alla gestione dei beni ereditari.

La pretesa incapacità di gestire beni facenti parti del compendio ereditario ben può essere ovviata con altre misure quali la nomina di un amministratore giudiziario.

Il ricorso all’amministrazione di sostegno che come sopra ben evidenziato risponde a precise finalità individuate dal legislatore, non può rappresentare uno strumento per dirimere conflitti

familiari afferente alla gestione di beni ereditari per i quali esistono appositi rimedi approntati dall’ordinamento>>.