Per il Tribunale di Parigi c’è diritto di autore sui font tipografici (anche se non c’è violazione nel caso specifico)

Interessante decisione (in francese) segnalata da Kevin Bercimuelle-Chamot su IpKat del 28 marzo 2023.

Si tratta di Trib. Parigi , N° RG 20/06208, del 31 Mars 2023  che deide la lite tra il font « Le Monde Journal » e « Spectral » , creato per conto di Google (che è parte in causa).

Si tratta di opera tutelabile:

<<28. Aucun de ces choix n’est inédit et chacun se rerouve dans certaines autres typographies
traditionnelles ou polices de caractères récentes . En particulier, le remplacement de la goutte
par une terminaison qui se finit vers une pointe en bas cassée par un trait court, présentée par
M. X comme un parti pris esthétique constituant l’essence même du caractère typographique
Le Monde Journal, se retrouve dans des typographies du XVIII siècle et aussi des polices
actuelles (Charter, Swiss works,ème Malabar). Toutefois, la typographie Le Monde Journal
présente un aspect particulier obtenu par différents parti-pris tels que le dégraissage des
verticales au profit des horizontales, la taille respective des hauteurs d’œil d’une part,
majuscules et ascendantes d’autre part, ainsi que les détails d’empattements trapézoïdaux et le
dessin particulier des gouttes. Cette combinaison, qui permet d’atteindre l’objectif de gains de
lisibilité et d’espace mais qui aurait pu être obtenu par d’autres moyens, est originale, révèle
des choix arbitraires et reflètent l’empreinte de la personnalité de son auteur.

29. Dès lors la combinaison des caractéristiques énumérées au point 27 ci- dessus fait de la
police Le Monde Journal une œuvre typographique originale protégeable en tant que telle par
le droit d’auteur>>.

(da google translate: < 28. Nessuna di queste scelte è nuova e ciascuna si trova in certe altre tipografie
caratteri tipografici tradizionali o recenti. In particolare, la sostituzione della gotta
da un finale che termina in un punto in basso spezzato da una breve linea, presentato da
Mr. X come pregiudizio estetico che costituisce l’essenza stessa del carattere tipografico
Le Monde Journal, si trova nelle tipografie del XVIII secolo e anche nei caratteri
corrente (Carta, opere svizzere, th Malabar). Tuttavia, la tipografia di Le Monde Journal
ha un aspetto particolare ottenuto da diversi pregiudizi come lo sgrassaggio di
verticali a favore degli orizzontali, la rispettiva dimensione delle altezze degli occhi da un lato,
capitelli e ascendenti dall’altro, così come i dettagli di serif trapezoidali e il
particolare disegno delle gocce. Questa combinazione, che permette di raggiungere l’obiettivo di guadagni di
leggibilità e spazio ma che avrebbe potuto essere ottenuto con altri mezzi, è originale, rivela
scelte arbitrarie e riflettono l’impronta della personalità del suo autore.

29. La combinazione delle caratteristiche elencate al precedente paragrafo 27 rende quindi il
font Le Monde Journal un’opera tipografica originale tutelabile come tale da
diritto d’autore>>).

Però Google/Spectal non lo viola, data la sufficiente distanza grafica.

Le azioni riscattabili (ar. 2437 sexies cc) richiedono determinazione o determinabililità dei presupposti del riscatto

Cass. sez. I n. 12498 del 10.05.2023 , rel. Nazzicone:

Sia o no, in concreto, assimilabile il riscatto azionario, negli
effetti, ad un’esclusione dalla società, certo è che, conformemente
a questa, i presupposti integrativi della fattispecie del sorgere del
potere di riscatto devono essere adeguatamente determinati o
determinabili, Ai sensi dell’art. 1346 c.c., come correttamente
ritenuto nella specie dai giudici del merito” [e come ovvio, aggiungerei].

<<Tali sanzioni [per la violazione del dovere di  prestaioni accessorie] usualmente consistono nella sospensione del diritto di voto, e simili. L’introduzione, nel nostro ordinamento, a seguito della riforma del 2003, della categoria delle azioni riscattabili ha permesso, agganciandosi alle prestazioni accessorie quale patto aggiunto, di contemplare anche l’effetto dell’uscita del socio dalla società, con conseguente obbligo di corresponsione al medesimo del dovuto>>

Determinabilità ravvisata nel caso specifico.

Seguono poi delucidazioni circa la ricorribilità in Cassazione degli errori di intereoptzione dei contratti.

Differenza tra gli assegni di mantenimento da separazione e divorzile

Cass. sez. I ord. 24.05.2023 n. 14.343, rel. Caprioli:
In materia di assegno di mantenimento in favore del coniuge separato ai sensi dell’art. 156 c.c., il giudice deve verificare la mancanza da parte del richiedente di adeguati redditi propri, ovvero di redditi sufficienti a garantire la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Infatti, l’assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; al contrario tale parametro non rileva in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa.
La valutazione relativa alle capacità di lavoro del coniuge beneficiario dell’assegno non potrà che avere ad oggetto l’effettiva e concreta possibilità di procurarsi mezzi propri mediante l’espletamento di un’attività lavorativa, essendo irrilevanti, per contro, valutazioni astratte
Niente di nuovo: ius receptum.
(massime di Valeria Cianciolo in www.osservatoriofamiglia.it)

Lite in tema di marchi per keyword advertising tra studi legali dell’Arizona

Distr. Court of Arizona 8 maggio 2023, Case 2:21-cv-01540-DG, Lerner & Rowe PC,
v. Brown Engstrand & Shely LLC, et al.:

<<The three relevant screenshots produced by Plaintiff show clear labeling of Defendants’ entry, using Defendants’ name and prominently labelled as an “Ad,” and with no use of Plaintiff’s trademark or confusingly similar language or content.

Reasonably savvy Internet users with a strong incentive to select the right lawyer would not be confused by these clearly labeled ads into believing that Defendants were Plaintiff.

Plaintiff produces no survey evidence showing a likelihood of confusion, and its evidence that, at most, 0.215% of all consumers exposed to Defendants’ ads were in fact confused by them is simply not enough to show a likelihood. Two-tenths of one percent is not an appreciable or significant portion of consumers exposed to Defendants’ keyword-generated ads. Plaintiff does have a strong mark, but no reasonable jury viewing Plaintiff’s thin evidence could find that potential clients viewing Defendants’ clearly labeled ads are likely to be confused into thinking Defendants were in fact Plaintiff.
The 25 irrelevant screenshots produced by Plaintiff – screenshots taken during a time when Defendants’ were not buying Plaintiff’s name as a keyword – reinforce the Court’s conclusion. Each of the irrelevant screenshots was produced by searching for “lerner & rowe,” “lerner rowe,” or a variation of these words. Doc. 68-3.

And even though Defendants had not purchased Plaintiff’s name as a keyword, Defendants’ ads appeared in the search results along with ads for other personal injury law firms.

Google’s algorithm apparently called up similar law firms when a specific law firm was searched for. See, e.g., Doc. 57-6 at 15 (including an ad for azinjuredworker.com), 17 (getlawyersnow.com and palumbowolfe.com), 18 (arjashahlaw.com), 20 (getlawyersnow.com), 22 (hutzler law.com), 28 (larryhparkerphoenix.com). These screenshots show what Internet users find when searching on Google for Lerner & Rowe – ads for a variety of law firms.

As with all searches on Google, the consumer then must scroll through the returns to decide which entries are worth clicking on.

Because Defendants’ entries use their name and are clearly labeled “Ad,” the consumers would know they are seeing an ad for another law firm, as would be true with the other firms seen in the screenshots. The Internet user would then, as the Ninth Circuit has recognized, “skip from site to site, ready to hit the back button whenever they’re not satisfied with a site’s contents.” Toyota Motor Sales, 610 F.3d at 1179. This is not confusion; this is typical Internet searching. And because “the owner of the mark must demonstrate likely confusion, not mere diversion,” Plaintiff has presented insufficient evidence to survive summary judgment. Network Automation, 638 F.3d at 1149>>, P. 19-20.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Riproduzione non autorizzata del David di Michelangelo sulla copertina di GQ italia

Trib. Firenze con sent. non definitiva 1207/2023 del 21 aprile 2023 , RG 8150/2020, Min. beni culturali c. Edizioni Condè Nast spa,. condanna la seconda al danno patrimoniale e non patrimoniale, ordinando la prosecuzione per le altre domande .

Il punto più interessante riguarda il danno non patrimoniale, determinato in euro 30.000,00:

<<B) Nello specifico, si devono evitare duplicazioni con riferimento al danno non patrimoniale, che pure merita di essere risarcito, poiché è innegabile che:
– alla luce degli arresti della giurisprudenza di legittimità ed anche delle Sezioni Unite (cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. Un., 11.11.2008, N. 26972), la norma di riferimento in materia di risarcimento del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) è norma di rinvio, che rimanda alle  leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale (vd. art. 185 c.p., vd. i casi previsti da leggi ordinarie) ed, al di fuori dei casi espressamente determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della riconosciuti dalla Costituzione;
– rientra tra i principi fondamentali della nostra carta costituzionale, che com’è noto costituiscono valori fondanti del nostro ordinamento repubblicano, non modificabili neppure attraverso il procedimento di revisione costituzionale, l’art. 9 Cost., a tenore del quale “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”;
– il riferimento alla “Nazione” (piuttosto che allo Stato) è assai pregnante e significativo, in quanto rimanda notoriamente a quel complesso di persone che hanno comunanza di origini, di lingua, di storia e di cultura e che hanno coscienza di tali elementi unificanti, per cui l’art. 9 Cost. attribuisce senz’altro valenza identitaria al patrimonio storico ed artistico;
– non a caso, l’art. 1 del C.B.C. richiama espressamente l’art. 9 Cost. ed, al comma secondo, sancisce che “La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura”;
– di conseguenza, visto che ai sensi dell’art. 2 Cost. è garantito il diritto alla identità individuale, inteso come diritto a non vedere alterato all’esterno e quindi travisato, offuscato o contestato il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale, sarebbe del tutto irragionevole postulare l’assenza del rimedio risarcitorio a fronte di lesioni dell’interesse non patrimoniale presidiato dall’art. 9 Cost., che si identifica con l’identità collettiva dei cittadini che si riconoscono come appartenenti alla medesima Nazione anche in virtù del patrimonio artistico e culturale che, per l’appunto, alla luce della declinazione sancita nell’art. 1 C.B.C., è parte costitutiva della memoria della comunità nazionale.
Nel caso di specie la società convenuta ha gravemente leso tali interessi, poiché, con la tecnica lenticolare, ha insidiosamente e maliziosamente accostato l’immagine del David di Michelangelo a quella di un modello, così svilendo, offuscando, mortificando, umiliando l’alto valore simbolico ed identitario dell’opera d’arte ed asservendo la stessa a finalità pubblicitarie e di promozione editoriale>>.

Resta da capire :

i) se veramente ricorra “svilimento” oppure solo lucro da illecito ma non svilimento; e

ii) se non toccasse al giudice spiegare quale fosse detto valore simbolico ed identitario, anzichè limitarsi ad evocarlo (la risposta è positiva, avrebbe dovuto: altrimenti è petizione di princpio e quindi assenza di motivazione, pur se sarebbe stata probabilmente spiegazione faticosa per un non esperto di storia dell’arte)

Si può richiamare anche l’affermazione dell’esistenza di un diritto all’immagine (art. 10 cc) riferito ad un bene culturale, violato da una riproduzione non totalmente ma solo parzialmente fedele in quanto solo evocativa (come pare sia accaduto nel caso specifico).

Sulla rivendicazione di priorità al fine di determinare la novità brevettuale

Due aspetti significativi quando si rivendica una priorità :

1) che si tratti della stessa invenzione;

2) che sia relativa a domande estere designanti l’italia e per le quali siano state pagare le realtive tasse.

Se il primo aspetto manca e quindi la priorità non opera, bisogna vedere  se -passando al punto 2)-  la mancata designazione e pagamento rendano dette domande  delle anteriorità distruttive: e la risposta è negativa, alla luce dell’art. 46,3 cpi.

Si veda Trib. Milano n. 1523 del 21.02.2022, RG 34246/2017, rel. Barbuto, Tuttoespresso srl c. Illycaffè spa:

<<B.3. Ciò posto, reputa il Collegio che occorra esaminare, anzitutto, l’eccezione di nullità della porzione italiana del brevetto di parte attrice, sollevata dalla convenuta incidenter tantum.
B.3.A L’eccezione in parola risulta svolta sotto un duplice profilo, l’uno attinente a dedotta mancanza di novità, per insussistenza di valida rivendicazione di priorità, con riguardo alle due precedenti domande di brevetto europeo del 28.3.06 e del 3.8.06, ricomprese tra le priorità rivendicate nel brevetto Tuttoespresso EP ‘343; l’altro, attinente a mancanza di novità ed altezza inventiva, rispetto allo stato della tecnica.
Ritiene il Collegio che lo scrutinio dei predetti profili, così come svolto dal CTU in relazione, sia interamente da condividere e possa, perciò, essere qui recepito.
Con riguardo al profilo della novità cd estrinseca, cioè della differenza formale tra l’invenzione e lo stato della tecnica rilevante -ex art.54 della Convenzione sul brevetto europeo, del 5.10.1973, secondo l’Atto di revisione adottato dalla Conferenza OEB il 29.11.00 -cd EPC 2000 -entrato in vigore in Italia il 13.12.07, cui corrisponde l’art.46 CPI -il CTU muove dal rilievo per cui le domande di priorità EP 06006430.0 ed EP 06016214.6 non designano l’Italia, poiché non risultano pagate le tasse di esame e designazione, e, non essendo domande di brevetto europeo a tutti gli effetti, denominate Euro-PCT, non possono dirsi regolarmente pubblicate, sicché non appartengono allo stato della tecnica, ex art.46 terzo comma CPI, ed ex art.54, terzo comma, EPC 2000 -nel testo in vigore dopo la modifica introdotta con l’art.26, secondo comma, del D.Lgs.n.131/2010.
Le due domande di brevetto, del marzo ’06 e dell’agosto ’06, descrivono un procedimento, nella fase di pre-immersione, in cui è raggiunta una pressione compresa tra intervalli specifici, mentre in nessun punto vi compare esplicitamente l’insegnamento relativo al fatto che la pressione nella capsula nell’intervallo di mantenimento dev’essere di almeno 3 bar.
Osserva a tal riguardo il CTU che al riguardo si hanno nei brevetti di priorità indicazioni relative ad intervalli che hanno come limite inferiore non sempre e solo almeno i 3 bar, ma anche i 2 bar (EP 541, col. 4, par. [0032] ove si legge: che la prima pressione a cui la pompa viene interrotta può essere compresa tra 2 e 20 bar, preferibilmente tra 3 e 17 bar: con pressioni nell’intervallo tra 3 e 8 bar i risultati sono eccellenti) (relazione, pag.31). Poiché -prosegue il CTU -l’intervallo 3-17 bar è contenuto nel più ampio intervallo di “almeno 3 bar”, ovverosia da 3 bar in su, l’intervallo 3-17 priva di novità l’intervallo di “almeno 3 bar”, sicché, qualora EP ‘343 non godesse del diritto di priorità, la rivendicazione 1 di EP ‘343, e con essa le rivendicazioni dalla 2 alla 8, sarebbero nulle per mancanza di novità.
Ma, appunto, tali due domande di priorità non fanno parte dello stato della tecnica rilevante ai fini del giudizio di novità, poiché non validamente pubblicate, rispetto alla data di deposito del brevetto EP ‘343 -cioè, il 28.3.2007 -e non sono, perciò, opponibili per novità alla rivendicazione 1 di EP ‘343>>

A chi offre al pubblico pacchetti TV via satellite basta l’autorizzazione dell’autore nel paese di immissione (non serve quella del paese di destinazione)

Questione tutto sommato facile quella decisa da Corte Giust. 25.05.2023, C-290/21, AKM c. Canal+, alla luce del tenore letterale dell’art. 1.2.b) : “La comunicazione al pubblico via satellite si configura unicamente nello Stato membro in cui, sotto il controllo e la responsabilità dell’organismo di radiodiffusione, i segnali portatori di programmi sono inseriti in una sequenza ininterrotta di comunicazione diretta al satellite e poi a terra” (da noi: art. 16 bis.1.b) l. aut.).

La collecting austriaca invece riteneva che dovesse pagare pure in Austria nonoistante l’imissione provenisse da altri Stati.

questione pregiudiziale posta:

<<Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 93/83 debba essere interpretato nel senso che, qualora un offerente di pacchetti satellitari sia obbligato ad ottenere, per l’atto di comunicazione al pubblico via satellite al quale partecipa, l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi di cui trattasi, tale autorizzazione deve essere ottenuta, al pari di quella concessa all’organismo di radiodiffusione di cui trattasi, unicamente nello Stato membro in cui i segnali portatori di programmi sono immessi nella sequenza di comunicazione diretta al satellite>>, § 20.

Risposta:

<<l’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 93/83 deve essere interpretato nel senso che, qualora un offerente di pacchetti satellitari sia obbligato ad ottenere, per l’atto di comunicazione al pubblico via satellite al quale partecipa, l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi di cui trattasi, tale autorizzazione deve essere ottenuta, al pari di quella concessa all’organismo di radiodiffusione di cui trattasi, unicamente nello Stato membro in cui i segnali portatori di programmi sono immessi nella sequenza di comunicazione diretta al satellite.>>

Il danno aquiliano va risarcito al netto del valore capitalizzato dell’assegno di invalidità (ed altri insegnamenti in tema di responsabilità aquiliana da sinistro stradale)

Cass. Civ., Sez. III, Ord., 17 maggio 2023, n. 13540; Pres. Travaglino, Rel. Rubino:

<<Come già affermato da questa Corte, in tema di danno patrimoniale patito dalla vittima di un illecito, dall’ammontare del risarcimento a tale titolo liquidato dal giudice deve essere detratto il valore capitale dell’assegno di invalidità erogato dall’INPS, attese la funzione indennitaria assolta da tale emolumento e la possibilità per l’ente previdenziale di agire in surrogazione nei confronti del terzo responsabile o del suo assicuratore.

Il principio è stato già affermato, in relazione all’assegno ordinario di invalidità corrisposto, ex art. 1 della l. n. 222 del 1984, dall’INPS alla vittima di un incidente stradale, da Cass. n. 4734 del 2019, nella cui motivazione si dà conto delle ragioni per estendere a questa ipotesi, non ricompresa originariamente tra quelle oggetto a suo tempo del giudizio, i principi in tema di compensatio dettati dalle Sezioni Unite del 2018, in particolare da Cass. S.U. n. 12566 del 2018. L’ipotesi era, come nella specie, quella della erogazione di una prestazione previdenziale da parte dell’INPS in conseguenza del sinistro. In quella sede si è precisato, con osservazione puntualmente riferibile anche al caso in esame, che non rileva se l’INPS sia o meno parte in causa nel giudizio odierno; ciò che conta è, invece, che esso abbia il diritto di agire in surroga nei confronti del danneggiante. L’ente previdenziale, infatti, se ha riconosciuto al A.A. il diritto ad un assegno di invalidità in conseguenza del medesimo fatto dannoso, ha comunque diritto ad agire in surroga nei confronti del terzo responsabile o del suo assicuratore (nella specie, la UCI). Tanto basta, dando continuità all’insegnamento delle Sezioni Unite, per riconoscere il diritto della compagnia di assicurazioni ad ottenere che dall’entità globale del danno risarcibile al A.A. venga detratta la somma capitalizzata corrispondente all’introito pensionistico a lui erogato dall’INPS. Che l’INPS, poi, abbia esercitato o meno la surroga non assume rilievo, perchè il diritto si è comunque trasferito; ed è evidente che consentire al danneggiato di cumulare l’assegno di invalidità con l’intero risarcimento significa, di fatto, esporre l’assicuratore del responsabile civile all’obbligo di un doppio pagamento per la medesima parte di danno. Il motivo è pertanto accolto; al giudice di rinvio spetterà il compito di accertare, sulla base della documentazione prodotta, se la prestazione sia stata effettivamente riconosciuta ed erogata dall’INPS e in quale misura e in caso positivo di compiere la relativa operazione di calcolo, erogando al danneggiato il solo danno differenziale>>.

(segnalazione e testo da Ondif)

Ci sono però altre interessanti considerazioni :

– sull’art. 2054 /2 cc: <<In caso di scontro tra veicoli, l’applicazione della presunzione di pari responsabilità di cui all’art. 2054, comma 2 c.c. è una regola sussidiaria, legittimamente applicabile per ripartire le responsabilità non solo nei casi in cui sia certo l’atto che ha causato il sinistro ma sia incerto il grado di colpa attribuibile ai diversi conducenti, ma anche quando non sia possibile accertare il comportamento specifico che ha causato il danno, con la conseguenza che, in tutti i casi in cui sia ignoto l’atto generatore del sinistro, causa presunta dell’evento devono ritenersi in eguale misura i comportamenti di entrambi i conducenti coinvolti nello scontro, anche se solo uno di essi abbia riportato danni (Cass. n. 15376 del 2022). La prova liberatoria per il superamento di detta presunzione può essere acquisita anche indirettamente tramite l’accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell’evento dannoso col comportamento dell’altro conducente (Cass. 13672 del 2019).

Al contrario, l’accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti e della regolare condotta di guida dell’altro, libera quest’ultimo dalla presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall’art. 2054, comma 2 c.c.

Nel caso in cui, come nella specie, sia stata accertata in capo ad uno dei due conducenti la precisa violazione di una o più regole di condotta (e’ stata accertata, in capo alla conducente dell’autovettura, la violazione dell’obbligo di dare la precedenza ai veicoli provenienti dall’opposto senso di marcia, ed anche dell’obbligo di usare la massima prudenza), e l’accertamento di responsabilità si fondi, nella decisione di primo grado, su una valutazione ricostruttiva ancorata a precisi elementi istruttori entrati a far parte del materiale probatorio da valutare, l’affermazione della corte d’appello, secondo la quale non era certo che lo svolgimento dei fatti fosse stato in effetti quello ricostruito dal primo giudice, ed era astrattamente possibile che la dinamica dell’incidente fosse stata completamente diversa, esplicita un mero convincimento interiore che ipotizza, senza alcun riferimento ai fatti di causa, una alternativa ed ipotetica ricostruzione della dinamica di carattere meramente declamatorio, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza di primo grado né con le risultanze istruttorie acquisite agli atti. In presenza di una serie di elementi obiettivi entrati a far parte del giudizio, non è consentito applicare la presunzione di pari responsabilità se non a mezzo di una motivata ricostruzione della dinamica ancorata alle risultanze istruttorie, delle quali ben può essere fornita una diversa lettura e riconosciuta una diversa rilevanza all’interno della formazione del convincimento, ma dalle quali non si può completamente prescindere per formulare una diversa ricostruzione meramente ipotetica e, sulla base di quella, applicare la presunzione di corresponsabilità a carico dei due soggetti coinvolti nello scontro>>.

– danno non patriminuale alle vittime c.d. riflesse, in generale:

<<12.1. Va tenuto in considerazione, quanto ai criteri da adottare per il riconoscimento e per la quantificazione del danno non patrimoniale alle vittime riflesse, che nel caso di specie oggetto della quantificazione non è il danno da morte del prossimo congiunto, e quindi da perdita del rapporto parentale, ma il danno che subiscono i congiunti in conseguenza delle lesioni – in questo caso gravissime- subite dalla vittima principale, tali da recare dolore e pena ai parenti, e da incidere pesantemente sullo svolgimento della vita quotidiana della intera famiglia.

E’ affermazione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità che ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito, lesioni personali, può spettare anche il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato da lesione del rapporto parentale, in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso.

In tal caso, traducendosi il danno in un patema d’animo ed anche in uno sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto, esso non è accertabile con metodi scientifici e può essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità (già Cass. n. 8546 del 2008). In tema di danni conseguenti a sinistro stradale, si è detto che il danno “iure proprio” subito dai congiunti della vittima non è limitato al solo totale sconvolgimento delle loro abitudini di vita, potendo anche consistere in un patimento d’animo o in una perdita vera e propria di salute. Tali pregiudizi possono essere dimostrati per presunzioni, fra le quali assume rilievo il rapporto di stretta parentela esistente fra la vittima ed i suoi familiari che fa ritenere, secondo un criterio di normalità sociale, che essi soffrano per le gravissime lesioni riportate dal loro prossimo congiunto (Cass. n. 11212 del 2019; Cass. n. 7748 del 2020). Si è anche puntualizzato, da ultimo, che non sussiste in effetti alcun “limite” normativo per il danno da lesione del rapporto parentale, nel senso che possa sussistere soltanto se gli effetti stabiliti dal danno biologico sul congiunto siano particolarmente elevati (Cass. n. 1752 del 2023).

La questione è meramente di prova: il parente, secondo i principi generali – e dunque anche per via presuntiva – ha l’onere di dimostrare che è stato leso dalla condizione del congiunto, per cui ha subito un danno non patrimoniale parentale.

L’esistenza stessa del rapporto di parentela può dunque far presumere la sofferenza del familiare, ferma restando la possibilità, per la controparte, di dedurre e dimostrare l’assenza di un legame affettivo, perché la sussistenza del predetto pregiudizio, in quanto solo presunto, può essere esclusa dalla prova contraria, a differenza del cd. “danno in re ipsa”, che sorge per il solo verificarsi dei suoi presupposti senza che occorra alcuna allegazione o dimostrazione – danno che non trova cittadinanza nel nostro ordinamento, giusta l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. s.u. 26492 del 2008; Cass. n. 25541 del 2022).

Vanno poi considerate distintamente le varie posizioni e valutare se sia stato individuato il criterio appropriato da seguire per quantificare il danno, se dovuto>>.

– sul danno non patrimoniale ai nonni, in particolare:

<< Alla stregua dei criteri sopra richiamati, ha errato la sentenza impugnata laddove ha negato, tout court, la risarcibilità del danno non patrimoniale in capo ai genitori del B., in quanto non conviventi, là dove da questa mera circostanza di fatto, comunissima nella vita delle persone adulte che formano propri nuclei familiari autonomi, e tuttavia non direttamente incidente sulla permanenza dei legami affettivi, ha tratto la conclusione che essi, in quanto non conviventi, non potessero ritenersi significativamente colpiti dai gravi danni alla persona e dalle sofferenze patiti dal figlio, in misura giuridicamente rilevante, invece di presumere, sulla base dello stretto legame parentale, l’esistenza di un danno non patrimoniale apprezzabile in termini di sofferenza per il dolore altrui, salvo prova contraria sulla inesistenza di un reale rapporto affettivo. La mancata convivenza, per i genitori, può al più incidere sulla componente dinamico relazionale, ma non certo, di per sé, eliminarne la sofferenza morale pura>>.

– sul danno non patrimoniale alla figlia convivente (in gravidanza all’epoca):

<<Ugualmente, e con ancor più censurabile superficialità e noncuranza, ha errato la corte d’appello laddove ha escluso che la figlia del B., diciannovenne all’epoca dei fatti e convivente con la famiglia di origine, possa aver patito alcun pregiudizio non patrimoniale solo “perché incinta all’epoca dei fatti”.

In primo luogo, la sentenza non fa corretta applicazione, anche in questo caso, dei principi sopra indicati, che indicano una presunzione di afflittività in favore dei prossimi congiunti, tanto più se, come in questo caso, conviventi.

Le considerazioni della corte d’appello secondo le quali poi la ragazza, in quanto proiettata verso la sua futura esperienza di madre, non avrebbe sofferto più di tanto per il fatto dannoso, destinato invece necessariamente a proiettare la sua ombra sia sull’evento della nascita che sulla successiva organizzazione della vita familiare, cambiando il modo di vita, la distribuzione dei compiti, le attività della sua famiglia d’origine, e da offuscare la gioia e la condivisione familiare per il bambino in arrivo, appaiono totalmente inconsapevoli delle ripercussioni della mancanza del supporto di un genitore attivo (e probabilmente, della mancanza del supporto di entrambi i genitori, atteso che la madre sarà stata in gran parte assorbita dalla necessità di prestare assistenza al marito), sul quale la ragazza sapeva di poter contare proprio in ragione della convivenza, nel difficile momento della nascita, così giovane, del primo figlio. Esse risultano quindi totalmente prive di logica. Inoltre, con ulteriore contraddizione, la sentenza recupera incomprensibilmente, per negare il risarcimento alla figlia, la rilevanza della figura dei nonni, genitori della vittima principale, benché non conviventi, affermando che la loro esistenza rilevasse al fine di lenire la sofferenza, e quindi il danno, degli altri congiunti>

– danno al nipote nascituro (negato): <<Diversa è la posizione del nipote nascituro, in relazione al quale il motivo di ricorso deve essere rigettato.

In relazione al nipote non ancora nato al momento dell’incidente non sussiste, in difetto dell’attualità del rapporto, una presunzione di afflittività conseguente alla necessaria riconfigurazione del rapporto stesso col nonno, fin dal suo sorgere, conseguente alle menomate condizioni fisiche di questi. L’esistenza di un pregiudizio subito dal nipote per i danni alla persona riportati dal nonno è un danno futuro soltanto eventuale, come tale non risarcibile (per una vicenda in parte assimilabile a quella in esame, v. Cass. n. 12987 del 2022, che ha escluso la risarcibilità dei danni invocati dalla nipote di un uomo deceduto in un sinistro stradale che, all’epoca della perdita del nonno, aveva otto mesi): quando il bambino, venuto alla luce, conoscerà il nonno, il loro rapporto si configurerà fin dall’inizio sulle possibilità fisiche che avrà questi al momento del loro incontro, e non è automatico né presumibile che da una limitata mobilità fisica del nonno il rapporto affettivo tra i due possa essere limitato o deteriorato>>.

Sempre sull’assegno divorzile

Cass. sez. I n. 13.420 del 16 maggio 2023, rel. Russo:

in astratto:

<Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cass. s.u. n. 18287 dell’11.07.2018) il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5 comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive (cass. 07.12.2021, n. 38928; 08.09.2021, n. 24250). È vero che il richiedente deve dare la prova della oggettiva impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati, ma la prova si può raggiungere anche tramite presunzioni e con valutazione resa in concreto alla attualità. Il giudizio sull’adeguatezza dei redditi, infatti, deve essere improntato ai criteri dell’effettività e concretezza non potendo esso risolversi in un ragionamento ipotetico, i cui esiti
vengano ricalcati su pregressi contesti individuali ed economici non più rispondenti, all’attualità, a quello di riferimento (cass. 19.11.2021, n. 35710)>>

In concreto:
<3.2.- Di questi principi la Corte di merito non ha fatto corretta applicazione, poiché nel valutare i requisiti per riconoscere un assegno con funzione assistenziale, ha svolto un ragionamento ipotetico, dando rilievo a vicende pregresse, esposte peraltro in termini dubitativi, osservando che il richiedente “avrebbe (non è chiaro quando) cessato l’attività lavorativa non essendo dato conoscere neppure se l’attività redditizia di commercio di materiale fotografico e altro e -parrebbe- la titolarità di quote sociali siano state cedute a terzi”; considerazioni che vengono collegate al rilievo che nel periodo tra il 1995 ed il 2007 egli ha “certamente avuto qualche risorsa” poiché nessun contributo era previsto in sede di separazione nè, in via provvisoria, nel giudizio di divorzio. Vicende appunto pregresse, delle quali -proprio perché ricostruite in termini vaghi- non si apprezza l’incidenza sulla attuale condizione economica del richiedente che, come lo stesso giudice d’appello rileva, ha documentato una invalidità del 46% e ha dedotto di essere privo di redditi e di cespiti, a fonte invece di una condizione della ex moglie più favorevole (pensionata e con proprietà della casa di abitazione). Del resto, l’assenza di contributo al mantenimento nelle condizioni di separazione non è elemento di per sé sufficiente a escludere il dritto all’assegno divorzile, posto che le valutazioni dell’assetto economico effettuate in sede di separazione rappresentano, al più, un mero indice di riferimento (cass. 22.09.2021, n. 25635).
Anche in punto di diligenza del ricorrente nel reperire una attività lavorativa, compatibile con le sue attuali condizioni di salute, la Corte rende un giudizio ipotetico, non calibrato alla attualità, perché ha molto valorizzato la circostanza che l’E., iscritto nelle liste di disponibilità immediata al lavoro sin dal 2010, ne è stato dichiarato decaduto nel febbraio 2015 -vicenda dovuta secondo il ricorrente ad un fraintendimento- senza tener conto che egli si è nuovamente iscritto in data 4 dicembre 2017 e tale risultava ancora al 18 marzo 2019, e cioè quando ha avanzato la pretesa di revisione delle condizioni di divorzio. Risultava inoltre ancora iscritto al 28 ottobre 2020, ma senza riferimento alla condizione di disabilità, il che ha portato la Corte, anziché a valorizzare la continuità nella ricerca -infruttuosa- di un lavoro, a rendere un altro giudizio ipotetico e dubitativo (“non potendosi escludere che il quadro complessivo delle condizioni dell’odierno reclamante sia in seguito migliorato”), non fondato su certificazione medica o accertamento sanitario, e ciò nonostante la deduzione del ricorrente di essere stato vittima di un altro incidente stradale nel 2016, la documentazione prodotta e la richiesta di prove testi e di consulenza medica.
Così operando la Corte non ha in concreto verificato, e nonostante le premesse sulla ammissibilità della domanda di revisione, se le attuali condizioni del ricorrente fossero effettivamente quelle dedotte in base alle prove offerte, e tali da richiedere l’applicazione del principio di solidarietà post- coniugale, che non è esclusa dalla circostanza che per lungo tempo egli abbia provveduto a sé stesso autonomamente ovvero anche -come da lui dedotto- con l’aiuto del padre, il cui intervento non varrebbe comunque ad esonerare l’ex coniuge dai suoi obblighi (cass. n. 15774 del 23.07.2020; 14.06.2016, n. 12218)>>.

<In sintesi, deve qui ribadirsi che ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile è sufficiente anche verificare, in concreto e all’attualità, l’esigenza assistenziale, che ricorre ove l’ex coniuge sia privo di risorse economiche bastanti a soddisfare le normali esigenze di vita, sì da vivere autonomamente e dignitosamente, e non possa in concreto procurarsele, pur se in ipotesi abbia già goduto in passato di risorse sufficienti ad assicurarne il sostentamento nel periodo intercorrente tra la separazione e il divorzio, posto che tanto la sussistenza di mezzi adeguati che la diligenza spesa nel tentativo di procurarseli sono da valutare alla attualità, tenendo conto delle condizioni personali, di salute e del contesto individuale ed economico in cui agisce il richiedente>>.

E’ ammissibile locare la quota ideale di una comunione? Si, come si desume dall’art. 1103 c.c.

Così Cass. sez. III n° 6338 del 02 marzo 2023, rel. Condello:

<<Con specifico riferimento al contratto del 25 febbraio 2009, e’, inoltre, incontestato in fatto che L.S.G., assumendo di essere proprietario pro indiviso dei fondi per cui è controversia, ha concesso in affitto all’odierno controricorrente soltanto la propria quota ideale, pari a 138/744 indivisi, come è consentito dall’art. 1103 c.c., che ammette la locazione della quota di bene comune.

Invero, anche se la giurisprudenza di legittimità in un suo risalente precedente ha espresso un iniziale giudizio di inammissibilità della locazione della quota (Cass., 11/03/1942 n. 652), l’orientamento prevalente è senz’altro orientato per l’ammissibilità della locazione di quota (Cass. 13/02/1951 n. 350; Cass. 29/05/1954 n. 1768; Cass. 09/05/1961, n. 1077; Cass. 22/05/1982, n. 3143; Cass., sez. 3, 20/07/1991, n. 8110; Cass., sez. 3, 28/09/2000, n. 12870). E’ stato chiarito (Cass., sez. 3, 05/01/2005, n. 165) che, quando il potere di disposizione sulla cosa appartiene a più soggetti nella forma della comunione in senso specifico ex art. 1100 c.c., tutti possono, rinunciando al godimento diretto, concederla in locazione a terzi ed anche a taluno soltanto dei contitolari; allo stesso modo, il comproprietario può concedere in locazione la cosa comune anche nei limiti della propria quota ideale. Con la precisazione che l’art. 1105 c.c., secondo il quale tutti i partecipanti alla comunione hanno diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune, non limita l’autonomo potere di disposizione di ciascun partecipante alla comunione sulla sua quota ideale della cosa comune (art. 1103 c.c.), per cui gli atti dispositivi della quota medesima e la amministrazione di essa riguardano solo il singolo titolare.

Il giudice di merito ha, quindi, fatto buon governo delle suddette disposizioni di legge, laddove ha affermato che il contratto di affitto del 25 febbraio 2009 legittima L.S.G. a detenere il fondo nei limiti della quota ideale ad esso concessa in godimento.

E’ ben vero, come si sostiene in ricorso, che il contratto di affitto ha legittimato l’odierno controricorrente alla sola detenzione della quota di proprietà del concedente, ma non anche alla detenzione della quota di proprietà delle ricorrenti, nel cui compossesso queste sono state reimmesse, secondo la ricostruzione della vicenda fattuale operata dalla Corte d’appello, dall’ufficiale giudiziario in data 20 aprile 2009.     Va, tuttavia, considerato che le parti ricorrenti, con l’atto introduttivo del giudizio, hanno chiesto il risarcimento del danno da ritardata restituzione dei fondi, sul rilievo che l’affittuario si fosse reso inadempiente all’obbligo di rilascio derivante dal contratto di affitto, cosicché, invocando l’art. 1102 c.c., che regola i rapporti tra condomini ed i limiti all’uso della cosa comune, ed adducendo che l’attività di allevamento svolta dal L. impegna l’intero fondo, precludendo alle stesse qualsiasi utilizzo del bene, introducono questioni fondate su un diverso titolo, come tali inammissibili>>.