Libertà di espressione politica vs diritto di marcjhio (notorio): interessanti considerazoipno dell’AG SZpunar

Acuto come sempre il raginamento condotto dalle Conclusioni 13.11.2025 dell’AG Szpunar  in C-298/23 , Inter IKEA Systems BV c. Algemeen Vlaams Belang VZW, ed altri.

Ikea agisce coinbtto un assiciazione che usa il sujo marchio per fimnalità politichje in particolare per raccogliere voti al partito di cui è emanazikone e il cui prgramma ha un acronimo uguale alla azienda svedese di mobili.«IKEA‑PLAN – Immigratie Kan Echt Anders» («Piano‑IKEA – l’immigrazione può veramente cambiare).

Le norme pertitenti sull’estensione della privativa nella drettiva 2015/2436, art. 10, e nel reg. 2017/1001, art. 9; circa la prima, ricorso la disposizione  di salvezza di eventuale norme nazinali (da noi assenti) sul conflitto tra marchio e uso del medesimo per fini diversi da quelli distintivi di prodotti o servizi (art. 10 § 6 della cit. Dir.).

Lo spazio che l’AG lascia come giusto motivo per usare un marchio rinomato altrui a fini politici è limitato: solo se l’opinione espressa riguarda l’azienda titolare del marchio, non se questo serve solo a catturare l’attenzione degli elettori.

L’opinione è assai articolata e, se del caso, da studiare attentamente, anche per l’esame dei concetti di “uso nel commercio” e “uso per prodotti o servizi”. Nel frattempo attendiamo la sentenza della Corte.

Il conflitto tra i marchi Lamborghini auto vs. Elettra Lamborghini: rapporto tra marchio rinomato e diritto al marchio per notorietà “civile” ex art. 8.3 cpi

Sull’oggetto pone qualche interessante insegnamento Cass. sez. I, 08/07/2025 n. 18.675, rel. Catallozzi, in un ricorso contro la decisione della Commissione ricorsi UIBM, su opposizione della Casa automobilitica alla registrazione del marchio denominativo “Elettra Lamborghini” .

Quest’ultima aveva deciso che in pratica il diritto al marchio in capo al titolare di segno di notorietà extracommerciale costituisce di per sè il “giusto motivo” di cui alla norma sulla rinomanza nel giudizio di novità (art. 12.1.e) cpi)

Sul parametro soggettivo del giudizio di abusività ex art. 12.e) cpi:

<<- la valutazione in ordine alla sussistenza di un serio rischio che l’uso del marchio posteriore tragga indebitamente dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio anteriore deve essere effettuata facendo riferimento al consumatore medio dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio posteriore è stato registrato, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, mentre quella in ordine alla sussistenza di un pregiudizio al carattere distintivo o alla rinomanza del marchio anteriore deve, invece, essere effettuata facendo riferimento al consumatore medio dei prodotti o dei servizi per i quali tale marchio anteriore è stato registrato, anch’esso normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (cfr., oltre a Corte Giust. CE 27 novembre 2008, C-252/07, Intel Corporation, Trib. UE 19 maggio 2021, Trib. UE 19 maggio 2021, T-510/19, Puma/ EUIPO – Gemma Group);>>;

Sul “giusto motivo” della stessa disposizione:

<<è stato puntualizzato che nel valutare l’esistenza di un giusto motivo occorre effettuare un bilanciamento tra gli interessi del titolare di un marchio a salvaguardare le funzioni proprie di quest’ultimo e gli interessi di altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei a identificare i loro prodotti e servizi;

– a tal fine, l’accertamento dell’esistenza di un “giusto motivo” richiede che il segno oggetto della richiesta di registrazione sia stato utilizzato anteriormente al deposito del marchio anteriore e che l’uso così fatto del segno avesse avuto luogo in buona fede;

– pertanto, l’uso del marchio richiesto deve soddisfare varie condizioni che permettono di confermare l’effettività di tale uso e la buona fede del titolare del marchio richiesto e, in particolare, occorre accertare che: il segno che corrisponde al marchio richiesto sia stato oggetto di un uso serio ed effettivo; l’uso di tale segno, in via di principio, sia iniziato prima del deposito del marchio anteriore notorio o, almeno, dell’acquisizione da parte di tale marchio della sua notorietà; il segno corrispondente al marchio richiesto sia stato utilizzato in tutto il territorio per il quale il marchio anteriore notorio era registrato; l’uso non sia stato, in via generale, oggetto di contestazione da parte del titolare del marchio anteriore notorio (cfr. Trib. UE 1 marzo 2018, T-296/16, Shoe Branding Europe/ EUIPO – adidas; Trib. UE 5 luglio 2016, T-518/13, Future Enterprises / EUIPO – McDonald’s International Property);>>.

Sul rapporto tra diritto in capo all’utilizzatore civile successivo e diritto sul marchio anteriore:

<<- la sentenza impugnata ha omesso di verificare la sussistenza di tali condizioni, limitandosi a ritenere che la notorietà in campo artistico e musicale del nome costituente il segno di cui si chiedeva la registrazione assumesse rilevanza ex art. 8, terzo comma, c.p.i. e, conseguentemente, costituisse un giusto motivo idoneo a superare l’impedimento alla registrazione dedotto dalla ricorrente;

– tale argomentazione non appare concludente, in quanto, in primo luogo, muove da una individuazione del significato della nozione di giusto motivo rilevante ai fini in esame non corretta, poiché non coerente con quanto indicato dalla riferita giurisprudenza;

– in secondo luogo, omette di considerazione che l’art. 8, terzo comma, c.p.i., nel consentire la registrazione all’avente diritto o con il consenso di questi del nome di persona e dei segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo, ha la finalità, oltre che di ammettere la registrabilità come marchi di impresa di tali segni (e alle condizioni ivi previste), di individuare i soggetti che possono chiedere la registrazione degli stessi, onde riservare a questi lo sfruttamento commerciale della notorietà acquisita;

tale norma non si preoccupa, invece, di regolare i conflitti con i marchi già registrati, i quali rimangono disciplinati dalle regole ordinarie;>>

Quest’ultimo è il punto più importante: chi scende nell’arena competitiva ex art. 8.3 cpi, ne accetta le regole , tra cui quelle sulla novità.

Nullità del contratto di assicurazione del rischio di sanzioni amministrative (art. 12 T.U. assicurazioni private)

Un applicazione della nullità da violazione del divieto in oggetto in Cass. Cass. civ., Sez. III, Sent., (data ud. 05/06/2025) 03/11/2025, n. 28967, Rel. Rossi Raff.

Si trattava di assicuirazione stipulata dalla società a favore di persone da essa indicate come amministratori presso di sè o altre società esterne.

La polizza escludeva il rischio da sanzione pecuniaria penale ma nulla diceva circa la sanzione amministrativa (nel caso specifico irrogata da Consob per violazione dei doveri di amministratote). Per cui la corte di appello ritenne il rischio coperto e da indennizzabile.

Stante l’art 12.1  TU 209/2025  (“Sono vietate le associazioni tontinarie o di ripartizione, le assicurazioni che hanno per oggetto il trasferimento del rischio di pagamento delle sanzioni amministrative e quelle che riguardano il prezzo del riscatto in caso di sequestro di persona. In caso di violazione del divieto il contratto è nullo e si applica l’articolo 167, comma 2.), invece, la SC ne ha ravvisato la violazione, con conseguente nullità del contratto assicurativo:  ma per causa illecita, si badi, non per violazione di norma imperativa .

A suo dire, infatti, “la ratio della norma risiede nell’esigenza di preservare la funzione sanzionatoria-deterrente del provvedimento amministrativo, altrimenti vanificata da un contratto con il quale l’onere economico della sanzione venga trasferito su un soggetto diverso dall’autore dell’illecito.

La comminatoria di nullità dei contratti stipulati in violazione del divieto espressamente prevista dall’art. 12 in questione rappresenta, invero, specifica applicazione, nella settoriale materia disciplinata, della generale nullità per causa illecita contemplata dall’art. 1418 cod. civ.: sicché essa colpisce ogni negozio che realizzi il risultato proibito, ivi incluso un accordo di manleva che sollevi il manlevato dall’applicazione a suo carico di sanzioni amministrative“.

Principio di diritto:  “in tema di contratti assicurativi, è nullo ogni accordo (ancorché concluso dopo la commissione dell’illecito) che determini il trasferimento dell’onere economico del pagamento di una sanzione amministrativa su un soggetto diverso dall’autore dell’illecito”.

Il riconoscimento dei diritti successori da parte dell’erede testamentario attribuisce al legittimario pretermesso la qualità di erede

Interessante opinione offerta da App MIlano 09.07.2025 sez. Prima Civile, cons. rel. Alessandra Arceri:

<<Nel momento in cui l’erede testamentario riconosce in favore del legittimario
pretermesso i suoi intangibili diritti successori, quest’ultimo diventa
automaticamente partecipe della comunione ereditaria e possessore, con
effetto dall’apertura della successione e senza necessità di materiale
apprensione, della sua quota di eredità su tutti i beni ereditari, in conformità a
quanto dispone l’art. 1146 c.c.
Pertanto, il legittimario pretermesso può conseguire la qualità di erede, non
solo attraverso l’esperimento vittorioso delle azioni di riduzione o di
annullamento del testamento, ma altresì attraverso il riconoscimento dei suoi
diritti da parte dell’erede>>

(massima di CEsare Fossati in Ondif)

Il proprietario dell’immobile danneggiato da infiltrazioni, provenienti dal lastrico solare soprastante, concorre nella responsabilità ex art. 2051 cc in quanto condomino di quest’ultimo

Cass. sez. III, 28/10/2025 n. 28.528, rel. Pellecchia. in un caso di lastrico in uso esclusivo a terzi (ma di proprietà condominiale, parrebbe: non chiarissimo):

<<Occorre premettere che la questione concernente la ripartizione delle spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare di uso esclusivo, nonché la correlata responsabilità per i danni da esso cagionati, è stata oggetto di ampio dibattito giurisprudenziale.

L’articolo 1126 del Codice Civile disciplina la ripartizione delle spese di riparazione e ricostruzione dei lastrici solari di uso esclusivo, stabilendo un criterio inderogabile in assenza di diverso accordo contrattuale. La norma pone un terzo della spesa a carico del condomino che ha l’uso esclusivo del lastrico, mentre i restanti due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve da copertura. La giurisprudenza è unanime nel ribadire che, data la fondamentale funzione di copertura del fabbricato, l’obbligo di manutenzione grava su tutti i soggetti interessati secondo le proporzioni indicate dalla legge (cfr. Cass. 6 marzo 2012, n. 3465; Cass. 15 aprile 2010, n. 9084). Tale obbligo di contribuzione sussiste sempre che il danno o la necessità di intervento non derivino da un fatto imputabile esclusivamente al condomino che ha l’uso esclusivo (cfr. Cass. n. 3465 del 2012, cit.).

Elemento dirimente ai fini della decisione è rappresentato dall’individuazione dei condomini tenuti a contribuire per la quota dei due terzi delle spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare di uso esclusivo, in applicazione del criterio dettato dall’art. 1126 c.c.

La giurisprudenza di questa Corte ha consolidato il cosiddetto criterio della “proiezione verticale”. Secondo tale orientamento l’obbligo di contribuire alle spese non grava su tutti i condomini del fabbricato, ma esclusivamente sui proprietari delle unità immobiliari comprese nella proiezione verticale del lastrico stesso, poiché solo a tali unità esso funge da copertura (cfr. Cass., ord. 28 agosto 2020, n. 18045; Cass., ord. 18 maggio 2017, n. 12578; Cass., ord. 10 maggio 2017, n. 11484; Cass. 4 giugno 2001, n. 7472). Questa Corte ha chiarito che sono tenuti a contribuire “i soli condomini che siano anche proprietari individuali delle singole unità immobiliari comprese nella proiezione verticale di detto lastrico ed alle quali esso funge da copertura, mentre restano esclusi gli altri condomini alle cui porzioni individuali il lastrico stesso non sia sovrapposto, indipendentemente dall’esistenza, nella colonna d’aria ad esso sottostante, di parti comuni” (cfr. Cass., ord. 10 maggio 2017, n. 11484). Di conseguenza, sono esclusi dalla contribuzione i proprietari dei locali (siano essi appartamenti, negozi o autorimesse) che, pur facendo parte dello stesso condominio, non si trovano fisicamente sotto la porzione di lastrico oggetto di intervento (cfr. Cass., ord. 28 agosto 2020, n. 18045; Cass. 4 giugno 2001, n. 7472).

È principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità che l’obbligo di contribuzione alle spese di manutenzione e ricostruzione delle parti comuni, ivi compresi i lastrici solari, abbia natura di obbligazione propter rem (cfr. Cass. 27 ottobre 2006, n. 23291), in quanto strettamente connesso alla titolarità del diritto reale sull’unità immobiliare e, pertanto, gravante su chi ne sia proprietario o titolare di altro diritto reale di godimento.

Le stesse Sezioni Unite della Corte di cassazione, pur intervenendo sulla qualificazione della responsabilità per danni, hanno confermato che la fonte dell’obbligo di contribuzione alle spese risiede nella “titolarità del diritto reale” (cfr. Cass., Sez. U., 10 maggio 2016, n. 9449). Ne consegue che il soggetto tenuto a partecipare alla spesa non è il mero utilizzatore o conduttore (inquilino) dell’unità immobiliare sottostante, bensì il suo proprietario.

Con la sentenza n. 9449 del 2016, le Sezioni Unite hanno risolto un contrasto giurisprudenziale, inquadrando la responsabilità per danni da infiltrazioni provenienti dal lastrico solare non più come obbligazione propter rem, ma nell’ambito della responsabilità extracontrattuale per danni da cose in custodia, ai sensi dell’art. 2051 c.c. (cfr. Cass., ord. 3 ottobre 2023, n. 27846; Cass., Sez. U., 10 maggio 2016, n. 9449; Cass. 7 febbraio 2017, n. 3239; Cass. 22 marzo 2012, n. 4596). La Corte ha stabilito una responsabilità concorrente da un lato, quella del proprietario o usuario esclusivo, quale custode della superficie del lastrico; dall’altro, quella del condominio, per l’omesso controllo sulla funzione strutturale di copertura. Per la ripartizione dell’onere risarcitorio tra i responsabili, le Sezioni Unite hanno ritenuto di applicare, quale parametro di liquidazione, proprio il criterio previsto dall’art. 1126 c.c., ponendo quindi un terzo del danno a carico del proprietario/usuario esclusivo e due terzi a carico del condominio (o, per esso, dei soli proprietari delle unità sottostanti dovendo, quindi, oggi intendersi per tali quei condòmini i cui immobili beneficino, siccome a quello sottostanti, in via esclusiva della copertura) (cfr. Cass., ord. 3 ottobre 2023, n. 27846; Cass., Sez. U., 10 maggio 2016, n. 9449; Cass. 22 luglio 2014, n. 16693). Nei confronti del terzo danneggiato, i due soggetti (proprietario esclusivo e condominio) rispondono in solido ai sensi dell’art. 2055 c.c., potendo il danneggiato agire per l’intero risarcimento nei confronti di uno solo dei responsabili, salvo il diritto di regresso interno (cfr. Cass., ord. 14 giugno 2021, n. 16741). Occorre, altresì, considerare che, a seguito del definitivo approdo nomofilattico sulla natura sostanzialmente oggettiva della responsabilità per danni da cose in custodia (per tutte, Cass., Sez. U., ord. 30 giugno 2022, n. 20943), questa incombe al custode condominio in ragione della mera situazione di signoria di fatto sulla cosa da cui si è originato il danno.

Non rileva, nella presente sede, che il criterio di riparto stabilito dall’art. 1126 c.c. non sia assoluto e incontri due principali deroghe (la riconduzione del danno a “difetti originari di progettazione o di esecuzione dell’opera”, secondo quanto precisato da Cass. 30 aprile 2013, n. 10195; Cass. 15 aprile 2010, n. 9084; Cass. 18 giugno 1998, n. 6060; la deroga convenzionale da titolo univoco, secondo Cass. 12 giugno 2017, n. 14586; Cass. 23 marzo 2016, n. 5814; Cass. 10 ottobre 2007, n. 21300), queste non essendo state prospettate nella specie.

Il criterio legale per la ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare, sopra ricostruito e identico a quello di ripartizione dei danni cagionati dalle cose comuni, pone i due terzi della spesa a carico dei soli proprietari delle unità immobiliari a cui il lastrico funge da copertura, secondo un rigoroso criterio di proiezione verticale. L’obbligazione ha natura propter rem, legata alla proprietà, e pertanto non può essere posta a carico del conduttore (la società utilizzatrice), ma deve gravare sul proprietario di detti locali. La Corte territoriale avrebbe quindi dovuto porre i due terzi della spesa a carico del proprietario (o dei proprietari, se più di uno) dei locali sottostanti (che della copertura dei lastrici o terrazzi beneficiano) e non escluderlo dalla contribuzione.

Né rileva in contrario che un tale proprietario sia il danneggiato, salvo il caso – che, però, qui non è idoneamente prospettato ricorra – in cui sia esclusiva la responsabilità, diversa od ulteriore rispetto a quella del custode e quindi per fatto doloso o colposo specifico ai sensi dell’art. 2043 c.c., del proprietario dell’immobile sovrastante (da intendersi, allora, idonea a recidere il nesso causale tra cosa custodita e danno).

Infatti, il condomino che subisca, nella propria unità immobiliare, un danno derivante dall’omessa manutenzione delle parti comuni di un edificio, ai sensi degli artt. 1123,1124,1125 e 1126 c.c., assume, quale danneggiato, la posizione di terzo avente diritto al risarcimento nei confronti del condominio, senza tuttavia essere esonerato dall’obbligo – che trova la sua fonte nella comproprietà o nella utilità di quelle e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile – di contribuire, a propria volta e pro quota, alle spese necessarie per la riparazione delle parti comuni, nonché alla rifusione dei danni cagionati (Cass., ord. 24 giugno 2021, n. 18187; Cass. 21 luglio 2025, n. 20546).

Il principio deve trovare necessariamente applicazione, con gli opportuni adattamenti, anche alle ipotesi, quale la presente, in cui a concorrere alle spese e ai danni di cose comuni siano, da un lato, il proprietario esclusivo della terrazza o lastrico e, dall’altro, il proprietario o i proprietari esclusivi delle unità immobiliari che ne ricevono copertura>>.

Principioo di diritto espresso:

<<E tanto in applicazione del seguente principio di diritto “il condomino che subisca, alla propria unità immobiliare, un danno derivante da un sovrastante lastrico solare o terrazza a livello in uso o proprietà esclusivi, assume, quale danneggiato, la posizione di terzo avente diritto al risarcimento, senza tuttavia essere esonerato dall’obbligo – che trova la sua fonte nella comproprietà o nella utilità di quelle e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile – di contribuire, a propria volta, alle spese necessarie per la riparazione di quel peculiare bene comune, nonché alla rifusione dei danni cagionati, in ragione dei due terzi per la preminente funzione di copertura del proprio immobile, svolta dal lastrico o terrazza a livello”>>.

Danno parentale per la perdita del fratello: negato dalla Corte di Appello, ammesso in via presuntiva dalla Cassazione

Cass. sez. III, 24/10/2025 n. 28.255, rel. Simone:

<<La Corte d’Appello dà atto che Mo.An. aveva allegato di essere l’unica sorella sopravvissuta, che il fratello era un riferimento costante e che tra i due vi era una frequentazione assidua. Allegazioni, queste ultime, valutate come generiche.

Tale statuizione non è in linea con il costante orientamento espresso da questa Corte in materia di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. È stato ripetutamente sostenuto da questa Corte, con orientamento stabile e ribadito ancora di recente, il principio secondo il quale la morte di una persona causata da un illecito fa presumere da sola, ex art. 2727 cod. civ., una conseguente sofferenza morale in capo, oltre che ai membri della famiglia nucleare “successiva” (coniuge e figli della vittima), anche ai membri della famiglia “originaria” (genitori e fratelli), a nulla rilevando né che la vittima e il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur); in tali casi, grava sul convenuto l’onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo (v., Cass. 15 febbraio 2018, n. 3767; Cass. 28 febbraio 2020, n. 5452; Cass. 15 luglio 2022, n. 22397; Cass. 30 agosto 2022, n. 25541; Cass. 4 marzo 2024, n. 5769; Cass. 16 febbraio 2025, n. 3904. In senso conforme, v., inoltre, Cass. 16 marzo 2012, n. 4253). Cass. 5769/2024, nel dare continuità all’indicato principio di diritto e declinandolo con riferimento alle due polarità delle possibili conseguenze non patrimoniali risarcibili per la lesione di interessi costituzionalmente protetti (v., Cass. 17 gennaio 2018, n. 901), ha osservato che “che la presunzione iuris tantum (che onera il convenuto della prova contraria dell’indifferenza affettiva o, persino, dell’odio) concerne l’aspetto interiore del danno risarcibile (c.d. sofferenza morale) derivante dalla perdita del rapporto parentale, mentre non si estende all’aspetto esteriore (c.d. danno dinamico-relazionale), sulla cui liquidazione incide la dimostrazione dell’effettività, della consistenza e dell’intensità della relazione affettiva (desumibili, oltre che dall’eventuale convivenza – o, all’opposto, dalla distanza – da qualsiasi allegazione, comunque provata, del danneggiato), delle quali il giudice del merito deve tenere conto, ai fini della quantificazione complessiva delle conseguenze risarcibili derivanti dalla lesione estrema del vincolo familiare”.

1.4. L’affermazione fatta dalla Corte d’Appello a proposito degli indici esposti dalla ricorrente – Mo.An. era l’unica sorella sopravvissuta, il fratello era un riferimento costante e che tra i due vi era una frequentazione assidua – nel senso che essi fossero generici “in assenza di altre più puntuali allegazioni”, è errata e confligge con i già indicati principi di diritto. Infatti, la riferita genericità non attiene all’individuazione del danno, ma alla sua quantificazione, ed ha portato a negare, quantomeno limitatamente alla componente interiore della sofferenza morale connessa alla perdita del congiunto, la presunzione, sia pure iuris tantum, della sua sussistenza, in base alla quale gravava sul danneggiante l’onere di fornire la prova contraria>>.

Responsabilità (contrattuale) della Scuola per danno all’alunno e onere della prova

Cass. sez. III, 20/10/2025 n. 27.923, rel. Guizzi, in relazione alla seguente domanda risarcitoria proposta nei confronti del MIUR: <<danni subiti il 9 ottobre 2007, alle ore 13.00 circa, allorché frequentava, in qualità di studente, l’Istituto Tecnico Industriale Statale “A. Pacinotti”, in Taranto. riferisce l’odierno ricorrente di essere rimasto vittima di un sinistro, nelle circostanze di tempo e luogo sopra meglio indicate, allorché – terminata la lezione di educazione fisica – venne colpito, accidentalmente, con un casco da un compagno di scuola, nel locale spogliatoio adiacente la palestra, subendo, per l’effetto, la rottura di due denti>>:

<<9.1.1. Nello scrutinarlo, deve premettersi – in ciò risultando corretto l’assunto da cui muove il ricorrente, salvo però trarne consegue erronee – che “l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni (anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso)”, ragion per cui risulta “applicabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 cod. civ.”; di conseguenza, “mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante” (così già Cass. Sez. 3, sent. 15 febbraio 2011, n. 3680, Rv. 617285-01).

Nondimeno, se l’istituto è certamente “tenuto ad osservare obblighi di vigilanza e controllo”, ciò deve avvenire con “lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto”, dato che il “normale esito della prestazione” dipende, appunto, da “una pluralità di fattori, tra cui l’organizzazione dei mezzi adeguati per il raggiungimento degli obiettivi in condizioni di normalità, secondo un giudizio relazionale di valore, in ragione delle circostanze del caso” (Cass. Sez. 3, sent. 4 ottobre 2013, n. 22752, Rv. 628691-01).

Tra le circostanze da apprezzare, al fine di stabilire se sia stata raggiunta, o meno, la prova della non imputabilità dell’evento dannoso – esonerativa, come detto, della responsabilità ex art. 1218 cod. cv. – viene in rilievo, innanzitutto, “l’età degli allievi, che impone una vigilanza crescente con la diminuzione dell’età anagrafica” (Cass. Sez. 3, sent. 29 maggio 2013, n. 13457, Rv. 626650-01), essendosi, in particolare, precisato che “il contenuto dell’obbligo di vigilanza è inversamente proporzionale al grado di maturità degli alunni, onde con l’avvicinarsi di questi all’età del pieno discernimento il dovere di vigilanza dei precettori richiede in minor misura la loro continua presenza”, e ciò perché siffatta condizione, nei casi in cui si controverta in merito al danno cagionato da uno studente ad un altro, è “tale da far presumere la non prevedibilità della condotta dannosa posta in essere” (Cass. Sez. 3, ord. 31 gennaio 2018, n. 2334, Rv. 647926-01; negli stessi termini pure Cass. Sez. 3, ord. 24 gennaio 2024, n. 2394, non massimata, peraltro relativa ad un caso di lesione cagionata ad un alunno volontariamente – e non, come nella specie, accidentalmente – da un altro)>>.

Rsponsabilità dei medici in caso di morte del feto: va equiparata a quella da perdita del rapporto parentale

I principi di diritto ex art. 364 cpc enunciati da Cass. sez. III, 06/10/2025 n. 26.826, rel. Cricenti:

1)  In tema di responsabilità sanitaria, il danno da perdita del feto imputabile ad omissioni e ritardi dei medici è morfologicamente assimilabile al danno da perdita del rapporto parentale, che rileva tanto nella sua dimensione di sofferenza interiore patita sul piano morale soggettivo, quanto nella sua attitudine a riflettersi sugli aspetti dinamico-relazionali della vita quotidiana dei genitori e degli altri eventuali soggetti aventi diritto al risarcimento del danno.

2) In tema di responsabilità sanitaria, la perdita del frutto del concepimento prima della sua venuta in vita, imputabile a omissioni e ritardi dei medici, determina la risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale, che si manifesta prevalentemente in termini di intensa sofferenza interiore tanto del padre, quanto (e soprattutto) della madre.

3) In tema da risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, il giudice di merito è tenuto ad applicare le tabelle milanesi, utilizzandone i singoli parametri alla luce dei principi in tema di morfologia del danno da perdita del frutto del concepimento, tenuto conto di tutte le circostanze di fatto portate al suo esame, procedendo altresì, tutte le volte in cui sia possibile, all’interrogatorio libero delle parti ex art. 117 c.p.c.

(Il tema era stato già esaminato da Cass. 26301/2021, rel. Travaglino, ampiamente cit. in sentenza)

Il marchio denominativo “GPT-3” per servizi software è nullo perchè descrittivo

La Cancellation Division EUIPO 17.10.2025 , Century Tal Holding (di Singapore) c. OpenAI Opco, ha deciso che il marchio in oggetto, registrato il 25.08.2021 (con priorità USA 04.08.2020), per classe 42 per servizi software, è nullo perchè descrittivo.

Il problema giuridico principale era il giudizio da rendere alla data del deposito prioritario (quello USA) : e ha deciso che all’epoca il termine era già descrittivo.

<<It is the opinion of the Cancellation Division, that Annex 8 (published in April 2020) together with the references to other articles published before the relevant date, confirms that already before the priority date of the contested EUTM, the acronym ‘GPT’ had been used denote a technology or AI system that involves ‘generative pre-trained transformers’ and had been immediately recognised, at least by the professional part of the relevant public, as an acronym identical to the full descriptive meaning ‘Generative Pretrained Transformer’. As correctly pointed out by the applicant, the addition ‘-3’ refers to the third (improved) generation/version of a GPT. As has already been confirmed, the relevant public is accustomed to such descriptive use when the numbers are used in connection with an acronym or an abbreviation (14/06/2023, R 259/2023-1 ‘HPD2’, §25). This meaning of the sign is obvious and can be understood directly from the contested mark without any elaborate interpretation or doubt. (…)

In light of the foregoing, it is concluded that the contested trade mark ‘GPT-3’ consists exclusively of an indication that may serve, in trade, to designate a characteristic of all the contested services in Class 42 and that this situation existed at the time of filing of the contested mark as well as at the priority date of the contested mark. Therefore, the mark has been registered contrary to the provision of Article 7(1)(c) EUTMR>>

Analoghi esiti nelle altre due  decisioni in pari data tra le stesse parti sui marchi “GPT-4” ( marchio n°  18 848 432) e “GPT-5” (marchio n° 18 906 770)