L’AG Emiliou sul concetto di “pastiche” nel diritto d’autore armonizzato

Eleonora Rosati in IPKat segnala le Conclusioni 17.06.2025 dell’AG Emiliou in C-590/23, CG e YN c. Pelham+altri: serve la riconoscibilità dell’imitazione (e quindi anche del lavoro imitato, direi: passaggio non scontato, che meriterebbe approfondimento) per aversi pastiche.

Si tratta di un altra fase della lunga lite Pelham, spedita nuovamente in sede europea dal BGH,  concernente la ripresa di due secondi della canzone <Metall auf Metall> dei Kraftwerk da parte della impresa di produzione Pelham GmbH nella hip hop song <Nur mir>.

Qui riferisco solo del pastiche, previsto dalla dir. 2001/29 come eccezione facoltativa all’art. 5.3.k, e rimasta tale anche successivamente, se non per la disciplina delle piattaforme introdotta dalla dir 790 del 2019 (da noi attuata nel l’art. 102 novbies c. 2 lett. b) l. autore)

<<81. It follows from the foregoing considerations that a ‘pastiche’, within the meaning of Article 5(3)(k) of the InfoSoc Directive, is an artistic creation which (i) evokes an existing work, by adopting its distinctive ‘aesthetic language’ while (ii) being noticeably different from the source imitated, and (iii) is intended to be recognised as an imitation. The purpose pursued with that overt stylistic imitation is irrelevant. The use of protected elements from works or other subject matters, including ‘samples’ of phonograms, falls under the corresponding exception where it results in an artistic creation presenting those essential characteristics.

82. The second question of the BGH concerns, specifically, whether the existence of such a ‘pastiche’ requires determining the subjective intent of the user, or whether it is sufficient for the ‘pastiche’ character to be recognisable by a person familiar with the material reused and who has the intellectual understanding required to perceive it. It calls, in my view, for a brief answer. On the one hand, it stems from the above definition that a ‘pastiche’ is characterised, inter alia, by the fact that it is intended to be recognised as an imitation (by contrast to plagiarism). Thus, whether the user had that intent is, indeed, decisive. On the other hand, it seems to me that, to guarantee the necessary legal certainty (and to avoid, in particular, that bad-faith users retrospectively present plagiarism as ‘pastiche’ in the event of infringement proceedings), that intent should be assessed objectively. Accordingly, the ‘pastiche’ nature of the use should be evident in the end result. It should be indicated (in some way) therein or, at least, recognisable as such by the viewer or listener familiar with the source.

83. Accordingly, the ‘pastiche’ exception laid down in Article 5(3)(k) of the InfoSoc Directive provides limited leeway for creative reuse of protected material. ‘Samples’ and other borrowings of such material which do not serve such an artistic, overt stylistic imitation are not covered by that exception. For instance, it cannot apply to the reuse of a ‘sample’ taken from a phonogram, such as that embodying ‘Metall auf Metall’, to create a new musical work in a completely different style, such as ‘Nur mir’. (127) The remaining exceptions and limitations offer similarly limited room, as will be discussed in the following sections>>.

Poi:

<<107. As we saw, under the current exceptions and limitations, protected material may be freely reused only if it contributes to an overtly imitative artistic creation (‘pastiche’), as a ‘dialogic’ reference to the source work (‘quotation’) or as a humoristic or critical détournement (‘parody’). That system never permits the appropriation of such material, selected ‘merely’ for its aesthetic value, and its reuse in a new creation. That is so irrespective of (i) the extent and value (both creative and economic) of the material borrowed and (ii) the amount of input added by the user and, thus, the ‘creative intensity’ of that new creation. It seems rather obvious that the weight of the claim to intellectual property of the rightholder concerned, under Article 13 and/or Article 17(2) of the Charter, depends on the first parameter, while the weight of the claim to freedom of the arts of the new creator, under Article 13 of the Charter, depends on the second. As the examples given in point 32 above illustrate, there may be a great deal of innovation and cultural value associated with such reuse. (155) However, the current system does not leave room for such nuances>>.

Circa poi il bilanciamento col principioo costituzionale della libertà di espressione artistica (art. 13 Carta dir. fond. UE), per l’AG questa eccezione/limitazine così disciplinata viola tale libertà , se riferita ai diritti coonnessi (essenzialmene a quelli la cui ratio sia la protezione degli investimenti economici); che sia invece ragionevole (fair balance) se riferita al diritto di autore (§§ 115 ss e 126 ss)

La Cassazione sul diritto di autore per i programmi televisivi trasmessi dalle tv delle stanze di albergo: conferma dell’orientamento europeo

Fiumi di inchiostro sull’oggetto sono stati prodotti, tra dottrina e giurisprudenza europee.

Cass. sez. 1 n. 12.841 del 13.05.2025 , rel. Catallozzi, conferma l’orientamento vigente con motivazione breve :

<<– per quanto concerne il pubblico al quale la comunicazione è rivolta, esso deve includere un numero indeterminato, ma piuttosto considerevole, di destinatari potenziali – e a tal fine può assumere rilevanza sia il numero di persone che possono avere accesso contemporaneamente alla medesima opera, sia quello di coloro che possono avervi accesso in successione – e nel caso di una comunicazione al pubblico secondaria, deve trattarsi di un pubblico “nuovo”, vale a dire di un pubblico che non sia già stato preso in considerazione dal titolare dei diritti d’autore nel momento in cui egli ha autorizzato la comunicazione iniziale della sua opera al pubblico;

– la fornitura, mediante ricevitori installati nelle camere di un albergo, di un segnale televisivo costituisce un atto di comunicazione al pubblico ai sensi dell’articolo 3, § 1, direttiva 2001/29/CE, a nulla rilevando il carattere privato del luogo in cui avviene la comunicazione (così, Corte Giust. UE 7 dicembre 2006, SGAE, C–306/05; vedi, anche, con riferimento alla trasmissione da parte del proprietario di un bar–ristorante di opere radiodiffuse mediante uno schermo televisivo ed altoparlanti a clienti presenti nel proprio locale, Corte Giust. U.E. 4 ottobre 2011, Football Association Premier League e a., C–403/08 e C–429/08);

– infatti, il diritto di comunicazione al pubblico comprende la messa a disposizione del pubblico delle opere in modo che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento che sceglie individualmente, per cui verrebbe frustrato se non riguardasse anche le comunicazioni effettuate in luoghi privati;

– quanto ai destinatari della comunicazione, bisogna tener conto non solo dei clienti che si trovano nelle camere dell’albergo, ma anche dei clienti che sono presenti in qualsiasi altro spazio del detto stabilimento e che hanno a loro portata un apparecchio televisivo ivi installato e, inoltre, prendere in considerazione il fatto che, abitualmente, i clienti di un tale stabilimento si succedono rapidamente;

– ciò conduce a ritenere che si tratta in generale di un numero di persone abbastanza rilevante, di modo che queste devono essere considerate come un pubblico;

l’autore, autorizzando la radiodiffusione della sua opera, prende in considerazione solo gli utilizzatori diretti, ossia i detentori di apparecchi di ricezione i quali, individualmente o nella loro sfera privata o familiare, captano le trasmissioni, e non anche la più ampia frazione del pubblico costituita dal complesso dei clienti dell’albergo che sono ammessa a beneficiare dell’ascolto o della visione dell’opera solo mediante che l’installazione nelle camere da parte dell’albergatore di apparecchi televisivi collegati a un’antenna;

– ne consegue che la clientela di un albergo costituisce un tale pubblico nuovo ai fini dell’applicazione dell’art. 3, direttiva 29/2001/CE, non facendo parte del pubblico iniziale e accendo alle trasmissioni grazie all’atto di distribuzione indipendente dell’albergatore;

– va puntualizzato, in proposito, che la mera fornitura di attrezzature fisiche atte a rendere possibile o ad effettuare una comunicazione non costituisce un atto di comunicazione ai sensi della (detta) direttiva, ma che tale installazione può rendere tecnicamente possibile l’accesso del pubblico alle opere diffuse per cui se mediante apparecchi televisivi in tal modo installati l’albergo distribuisce il segnale ai suoi clienti alloggiati nelle camere dello stesso, si tratta di una comunicazione al pubblico, senza che occorra accertare quale sia la tecnica di trasmissione del segnale utilizzata;>>

L’orientamento, pur pacifico presso la Corte di Giustizia e molta dottrina, non persuade.

Il punto focale è il concetto di <pubblico nuovo>. Che vada inteso come sopra evidenziato in rosso, non sta scritto da nessuna parte nè è motivato: anzi gli autori e i distributori sanno benissimo che c’è anche questo tipo di uso.

Danno biologico e danno morale nelle micropermanenti

Cass. sez. III, 20/05/2025  n. 13.383, rel. Fiecconi:

<<6.5. Tuttavia, questa Corte ha avuto anche modo di chiarire che al riconoscimento di danni biologici di lieve entità deve corrispondere un maggior rigore nell’allegazione e nella prova delle conseguenze dannose concretamente rivendicate, dovendo in caso contrario ritenersi normalmente assorbite, nel riscontrato danno biologico di lieve entità (salva la rigorosa prova contraria), anche le conseguenze astrattamente considerabili sul piano del c.d. danno morale (Cass. Sez. 3, ord. n. 5547 del 1 marzo 2024).

6.1. Sul punto, occorre peraltro sottolineare l’incongruenza tra quanto correttamente enunciato dalla Corte di merito in linea di principio e quanto nei fatti operato, là dove il giudice, dopo avere personalizzato il danno nella misura massima consentita per le micro-permanenti ex artt. 138 e 139 CdA (20%), proprio sulla base delle circostanze dedotte dal ricorrente, ha comunque riconosciuto una minor parte di danno morale (pari a Euro 623,83) senza offrire alcuna ragione a supporto di tale riconoscimento, seppur riducendolo rispetto a quanto liquidato dal primo giudice a tale titolo (Euro 2.000,00).

6.2. Tale esito, tuttavia, risulta intangibile in quanto non oggetto di censura da parte dell’ente debitore e, in parte, corrispondente a quanto preteso dal ricorrente, il quale però assume di avere diritto al riconoscimento di un danno maggiore anche sotto questo profilo.

6.3. Posta questa necessaria premessa, il principio enunciato dalla Corte di merito, in linea generale, si pone nel solco dell’orientamento, ispirato dai diritti fondamentali e universalmente riconosciuti alla persona, secondo cui non costituisce duplicazione risarcitoria la differente autonoma valutazione del danno alla persona compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e s. (ove si legge che la norma di cui all’art. 139 cod. ass. “non è chiusa anche al risarcimento del danno morale”), e come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 lett. e), cod. ass., introdotta – con valenza evidentemente interpretativa – dalla legge di stabilità del 2016.

6.4. Tuttavia, come anzidetto, la fattispecie in esame dimostra che la Corte di merito è incorsa in un errore metodologico nell’applicare in concreto i suddetti principi operando una sorta di automatico riconoscimento del danno morale dopo avere operato la personalizzazione del danno biologico nella misura massima, non supportando tale applicazione con un’idonea motivazione.

6.5. Sicché la motivazione resa rappresenta l’occasione per chiarire altresì che il principio dell’autonoma riconoscibilità del danno morale, ravvisabile “anche” nelle lesioni micro-permanenti regolate dal Codice delle assicurazioni (cfr. Corte Cost 235/2014 cit.), diversamente da quanto avviene per le lesioni più rilevanti, normalmente non abbia alcuna ragion d’essere quandanche sia stata già operata, in aumento, la massima personalizzazione del danno biologico permanente, e ciò per evitare che si attui una doppia valutazione di una componente del micro-danno (la personalizzazione) che già idealmente racchiude in sé tutti i risvolti aggiuntivi di compromissione morale ed esistenziale che, in alcuni casi, si possono verificare anche con riguardo alle micro-lesioni, come nel caso di specie riconosciuto nella misura massima dai giudici di merito.

6.6. In altri termini, ciò che si vuole affermare in questa sede è che, nel campo delle lesioni micro-permanenti, il bilanciamento dei valori da considerare nel risarcire il danno complessivo è già stato operato dal legislatore nell’ammettere una personalizzazione del danno nella misura massima del 20% e, pertanto, una ulteriore automatica considerazione di un differente fattore di incremento del danno non patrimoniale da risarcire non sarebbe coerente con un sistema tutto incentrato sul concetto: – a. di unitarietà del danno rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica; – b. di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in pejus della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi li fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni (cfr. per tutte, Cass. Sezioni Unite n. 29672-5 del 2008).

6.7. Vero è dunque che la giurisprudenza, rispetto ai danni alla persona che non rientrano nelle cd micro-permanenti, ha da sempre considerato autonomamente liquidabile la componente attinente alla sofferenza interiore, ove provata, non ammettendo che esso possa presumersi assorbito anche da una un’operazione di personalizzazione in aumento del medesimo (cfr. da ultimo anche Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 7892 del 22/03/2024; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 6444 del 03/03/2023; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4878 del 19/02/2019).

6.8. Tuttavia, è anche vero che la possibilità di invocare il valore rappresentativo della lesione psico-fisica (in sé considerata come danno biologico) alla stregua di un elemento presuntivo suscettibile di (concorrere a) legittimare l’eventuale riconoscimento di un coesistente danno morale (v. Cass. 10/11/2020, n. 25164), deve ritenersi tanto più limitata quanto più ridotta, in termini quantitativi, si sia manifestata l’entità dell’invalidità riscontrata, attesa la ragionevole e intuibile idoneità di fatti lesivi di significativa ed elevata gravità a provocare forme di sconvolgimento o di debordante devastazione della vita psicologica individuale (ragionevolmente tali da legittimare il riconoscimento dalla compresenza di un danno morale accanto a un danno biologico), rispetto alla corrispettiva idoneità delle conseguenze limitate a un danno biologico di moderata entità ad assorbire, secondo un criterio di normalità (e sempre salva la prova contraria), tutte le conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, ivi comprese quelle misurabili sul terreno del c.d. danno morale (cfr., su questo specifico aspetto, Cass., Sez. 3, ord. n. 6444 del 03/03/2023).

6.9. Da quanto sopra segue la necessità di affermare il seguente principio, declinabile sul piano concettuale e non solo probatorio, secondo cui, “al riconoscimento di danni biologici di lieve entità corrisponde un maggior rigore nell’allegazione e nella prova delle conseguenze dannose concretamente rivendicate, dovendo ritenersi presumibilmente assorbito, nel riscontrato danno biologico di lieve entità, il danno morale laddove sia stata già riconosciuta una personalizzazione del danno biologico nella misura massima”  >>.

Questioni in tema di ius sepulchri: sulla duplice distintizione tra sepolcro familiare (o gentilizio) e sepolcro cd. ereditario, da una parte, e tra diritto primario e diritto secondario al sepolcro, dall’altra

Ripasso sul tema in Cass. sez. II, 10/06/2025  n. 15.432, rel. Oliva:

sul primo tema:

<<Occorre prendere le mosse dal principio, richiamato anche dalla sentenza impugnata, secondo cui “Nel sepolcro ereditario lo ius sepulchri si trasmette nei modi ordinari, per atto inter vivos o mortis causa, come qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, mentre in quello gentilizio o familiare -tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio- lo ius sepulchri è attribuito, in base alla volontà del testatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari di esso, acquistandosi dal singolo iure proprio sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, iure sanguinis e non iure successionis, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o mortis causa, imprescrittibilità e irrinunciabilità. Tale diritto di sepolcro si trasforma in ereditario con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione mortis causa” (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 17122 del 28/06/2018, Rv. 649495, che ha ritenuto che il diritto di sepolcro, contemplato nella scheda testamentaria, andasse qualificato come gentilizio poiché il testatore aveva in esso espresso la volontà che la tomba ospitasse l’intera famiglia dei cugini, se essi l’avessero voluto, sicché la ricorrente ne era divenuta titolare ancorché non erede dell’originario fondatore del sepolcro).

Nello stesso senso, questa Corte aveva affermato, già prima dell’arresto delle Sezioni Unite del 2018 appena richiamato, che “Lo ius sepulchri, cioè il diritto alla tumulazione (autonomo e distinto rispetto al diritto reale sul manufatto funerario o sui materiali che lo compongono), deve presumersi di carattere non ereditario, ma familiare, in difetto di specifica diversa volontà del fondatore, e quindi considerarsi sottratto a possibilità di divisione o trasmissione a terzi non legati iure sanguinis al fondatore medesimo, mentre resta in proposito irrilevante la eventuale cedibilità prevista nel regolamento o nell’atto di concessione comunale. A tal fine l’individuazione della natura di una cappella funeraria come sepolcro familiare o gentilizio oppure come sepolcro ereditario costituisce apprezzamento di mero fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, qualora sorretto da motivazione sufficiente e immune da vizi logico – giuridici” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1789 del 29/01/2007, Rv. 595720).

Esiste dunque una differenza fondamentale tra sepolcro familiare o gentilizio, in relazione al quale lo ius sepulchri si acquista per volontà del fondatore e prescinde dalle vicende legate alla successione di questi, e sepolcro cd. ereditario, poiché in relazione a quest’ultimo “… lo ius sepulchri si trasmette nei modi ordinari, per atto inter vivos o mortis causa, come qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, mentre nel sepolcro gentilizio o familiare -tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio- lo ius sepulchri è attribuito, in base alla volontà del testatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari del sepolcro stesso, acquistandosi dal singolo iure proprio sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, iure sanguinis e non iure successionis, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o mortis causa, imprescrittibilità e irrinunciabilità. Tale diritto di sepolcro si trasforma da familiare in ereditario con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione mortis causa” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7000 del 08/05/2012, Rv. 622129, che ha respinto il ricorso avverso la decisione di merito che, correttamente motivando, aveva dichiarato l’avvenuta trasformazione del sepolcro da familiare ad ereditario sulla scorta dei comportamenti tenuti dai discendenti nei confronti del Comune, titolare del potere concessorio sull’area cimiteriale, ritenuti compatibili esclusivamente con la successione ereditaria nei diritti relativi alla tomba di famiglia).

Una volta accertato che si configuri un sepolcro gentilizio, se del caso applicando la presunzione affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte con la già richiamata Ordinanza n. 17122 del 28/06/2018, Rv. 649495, occorre anche tener conto del principio secondo cui “In assenza di disposizioni specifiche da parte del fondatore, lo ius sepulchri d’indole gentilizia spetta, oltre che al fondatore stesso, ai componenti del nucleo familiare strettamente inteso, nel quale debbono farsi rientrare tutte le persone legate al fondatore da vincolo di sangue o legate tra loro da vincoli di matrimonio. Tale diritto, pur non essendo precisato in una disposizione di legge, trova il suo fondamento in un’antica consuetudine, conforme al sentimento comune, e nelle esigenze di culto e pietà dei defunti che, quando esercitate dai prossimi congiunti, realizzano, allo stesso tempo, la tutela indiretta di un interesse concernente la persona del defunto e l’esigenza sociale di far scegliere ai soggetti più interessati la località ed il punto ove manifestare i sentimenti di devozione verso il parente deceduto” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8020 del 22/03/2021, Rv. 660987, che ha escluso il diritto della nuora della sorella del fondatore del sepolcro gentilizio ad essere sepolta nella tomba di famiglia, non rilevandosi alcun rapporto di consanguineità della stessa con il fondatore).>>

Sul secondo tema:

<< La Corte di Appello, dopo aver ravvisato la natura gentilizia del sepolcro oggetto di causa, e ritenuto che il marito della Vi.Ma. rientrava tra gli originari beneficiari indicati dalla fondatrice, ed era perciò titolare iure proprio del cd. ius sepulchri primario, ha riconosciuto la sussistenza, in capo alla moglie, del cd. ius sepulchri secondario, consistente nel diritto di accedere alla cappella per onorare la memoria e la salma del suo congiunto, espressamente riconoscendo natura reale anche a tale seconda posizione soggettiva (cfr. punto 8.5 della motivazione della sentenza impugnata).

In argomento, tuttavia, occorre considerare che “Nel nostro ordinamento, il diritto sul sepolcro già costruito nasce da una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno (o di una porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 cod. civ.) e tale concessione, di natura traslativa, crea, a sua volta, nel privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale, e perciò, opponibile, iure privatorum, agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti della P.A. nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, impongono o consigliano alla P.A. di esercitare il potere di revoca della concessione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8197 del 07/10/1994, Rv. 488032). Ad avere dunque natura reale è il diritto, nascente dalla concessione amministrativa del terreno demaniale destinato ad area cimiteriale, di edificarvi una tomba “… (il cosiddetto diritto di sepolcro), la cui manifestazione è costituita prima dalla edificazione, poi dalla sepoltura. Tale diritto, che afferisce alla sfera strettamente personale del titolare, è, dal punto di vista privatistico, disponibile da parte di quest’ultimo, che può, pertanto, legittimamente trasferirlo a terzi, ovvero associarli nella fondazione della tomba, senza che ciò rilevi nei rapporti con l’ente concedente, il quale può revocare la concessione soltanto per interesse pubblico, ma non anche contestare le modalità di esercizio del diritto de quo, che restano libere e riservate all’autonomia privata” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1134 del 24/01/2003, Rv. 559992).

Oltre a ciò, si deve rilevare che tradizionalmente si distingue tra diritto primario al sepolcro, ossia il diritto di essere seppellito o di seppellire altri in un dato sepolcro, e che taluno ritiene di avere natura reale, tale altro personale, ed il diritto di sepolcro secondario, questo però di natura personalissima ed intrasmissibile, che spetta a chiunque sia congiunto di una persona, che riposa in un sepolcro, di accedervi e di opporsi ad ogni trasformazione che arrechi pregiudizio al rispetto dovuto a quella spoglia.

Questo diritto secondario è senz’altro, come si è detto, di natura personale, difettando il potere sulla cosa caratteristico del diritto di sepolcro primario, e consistendo esso piuttosto che nella tutela del godimento o dell’uso di un sepolcro, nella tutela del sentimento del parente verso il defunto (così le recenti pronunce (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 370 del 10/01/2023, Rv. 666957 e Cass. Sez.2, Sentenza n. 17357 del 24/06/2024, non massimata) o comunque di coloro che sono legati da rapporti personali o affettivi tali da giustificarne l’accesso alla tomba per svolgere gli uffici ed i riti in memoria dei loro cari scomparsi.

È vero che questa Corte, nel remoto precedente del 1961 richiamato dalla sentenza impugnata, ha affermato che “Il diritto primario di sepolcro rispetto ad una tomba gentilizia importa il diritto alla tumulazione in quella tomba e determina una comunione indivisibile tra tutti i titolari del predetto diritto primario, sicché resta escluso il potere di disposizione della tomba stessa da parte di uno o di alcuni solo tra i predetti titolari o aventi causa da essi. Il diritto secondario di sepolcro importa il diritto di accedere alla tomba per compiervi gli atti di culto e di pietà verso le salme dei propri congiunti o dei propri danti causa, ivi legittimamente seppellite, nonché il diritto di impedire atti che turbino l’avvenuta tumulazione delle predette salme. Il diritto secondario di sepolcro si risolve in un ius in re aliena che grava sulla tomba e ne segue gli eventuali trasferimenti” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 246 del 07/02/1961, Rv. 880956). La successiva elaborazione giurisprudenziale, tuttavia, come si è già detto, ha distinto le due fattispecie, riconoscendo al cd. ius sepulchri secondario natura di diritto personale. In tal senso, questa Corte ha chiaramente affermato che “Dal diritto “primario” al sepolcro -consistente nel diritto ad essere seppellito o a seppellire altri in un dato sepolcro- si distingue quello “secondario” dei parenti ad accedere alla sepoltura del proprio congiunto e ad opporsi a qualsiasi trasformazione idonea ad arrecare pregiudizio al rispetto dovuto alle sue spoglie; quest’ultimo costituisce esplicazione della personalità e della libertà religiosa dell’individuo (tutelata dagli artt. 2,13 e 19 Cost.) e dalla sua lesione può derivare un danno non patrimoniale risarcibile” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 370 del 10/01/2023, Rv. 666957).

Da quanto precede deriva che la Vi.Ma. non era legittimata a ricorrere alla tutela possessoria, in quanto “Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale” (art. 1140 c.c.). Il diritto di sepolcro secondario, del quale la Vi.Ma. aveva invocato tutela, si risolve infatti nella posizione soggettiva “… di natura personalissima ed intrasmissibile, che spetta a chiunque sia congiunto di una persona, che riposa in un sepolcro, di accedervi e di opporsi ad ogni trasformazione che arrechi pregiudizio al rispetto dovuto a quella spoglia” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17357 del 24/06/2024, non massimata, pag. 15).>>

Dati sanitari ceduti a Meta da centri medico-sanitari senza consenso del titolare: il caso dei tracking pixel

Interessante caso, segnalato da Eric Goldman nel suo blog,  deciso (provvisoriamente) da US D.C. East. D. of California, 9 giugno 2025, No. 1:23-cv-01106-DC-CKD, Jane Doe e altri c. TENET HEALTHCARE CORPORATION, et altri.

Queste strutture raccoglievano molti dati sanitari dei clienti prodotti dalla loro interazione sui loro server e li cedevano a Meta: -direttamente dal pc del cliente, nel caso dei citt. Pixex; – a partire dal server delle strutture sanitaria nel caso di un’altra applicazione chiamata Conversions Application Programming Interface, “CAPI”.

Delle molte azioni svolte, alcune sono state mandate avanti, mentre altre sono state bloccate.

Si tratta però di normative nazionali poco interessanti nel dettaglio per l’operatore italiano (tranne quelle sulla data protection in senso stretto).

Qui interessa solo ricordare come funziona il tracciamento tramite Pixex , come riportato in sentenza:

<< Defendants deploy “various digital marketing and automatic software tools” on their Web Properties that disclose information to Meta, Google, and other third parties for “advertising purposes.” (Id. at ¶ 8–9.) Specifically, Defendants have installed source code known as “tracking pixels” on their Web Properties to share user information with third parties. (Id. at ¶¶ 34–35, 55–56, 79, 184, 233.) Meta Pixel (“Pixel”) is among the tracking pixels Defendants have installed on their Web Properties. (Id. at ¶¶ 42–43, 71, 111, 184, 233.) Pixel was developed by Meta as “a new way to report and optimize for conversions, build audiences and get rich insights about how people use [] website[s].” (Id. at ¶ 208.) Pixel enables Defendants to “measure the effectiveness of their advertising by understanding the actions people take on their websites.” (Id.)

Pixel is a “snippet of code embedded on a third-party website that tracks users’ activities as users navigate through a website.” (Id. at ¶ 192.) When a user visits a webpage containing Pixel, the code tracks and log each page the user visits, what buttons they click, as well as specific information that users input into a website. (Id.) Pixel functions by monitoring for an “event” that triggers the code on Defendants’ Web Properties, including their websites and patient portals. (Id. at ¶¶ 98, 130.) On Defendants’ Web Properties, Pixel is triggered each time a user interacts with new webpages, enters search terms in the search bar, engages with the “Find A Doctor” function, fills out forms, completes assessments, logs into the patient portal, or uses the patient portal. (Id. at ¶¶ 110, 130, 236, 242, 245–248, 273.) When an event occurs, Pixel “send[s] the information it collects to [Meta] through scripts running in a user’s internet browser, similar to how a ‘bug’ or wiretap can capture audio information.” (Id. at ¶¶ 213, 233.) In other words, Pixel redirects the content of the users communications to Meta simultaneously in “real time” while the exchange of information between the user and Defendants’ Web Properties is still occurring. (Id. at ¶¶ 232, 239.)

Pixel transmits data to Meta as a “full-string, detailed URL” consisting of information regarding a user’s browsing history, the name of the web page visited, and the search terms that the user used to find the web page. (Id. at ¶¶ 202, 255.) The information Meta receives via Pixel may include “the kinds of treatments that patients research on the hospital’s website, . . . patients’ past and future medical conditions, their past and future medical treatment, [] when and where they are receiving treatment for those conditions,” “the patient’s home address, their name, their search location, as well as their doctor’s specialty, name, and gender.” (Id. at ¶ 83.)

Pixel also sends Meta a user’s PII, including their internet protocol (IP) address, name, email, phone number, cookies, and browsing fingerprint (i.e., information that can be used to identify the specific device). (Id. at ¶¶ 204, 211, 215.) If the user has a Facebook account, Meta also receives the user’s Facebook ID (“FID”). (Id. at ¶¶ 215–217.) “A user’s FID is linked to their Facebook profile, which generally contains a wide range of demographic and other information about the user, including pictures, personal interests, work history, relationship status, and other details.” (Id. at ¶¶ 117, 120.) A user’s PII is sent to Meta in a “data packet” alongside information on the user’s interactions with Defendants’ Web Properties, allowing Meta to “link” a user’s activity on Defendants’ Web Properties to their Facebook profile. (Id. at ¶¶ 82–84, 239, 263.)

In addition to Pixel, Defendants installed and implemented Meta’s Conversions Application Programming Interface (“CAPI”) on their Web Properties’ servers. (Id. at ¶ 58.)

Unlike Pixel, which causes a user’s browser to transmit information directly to Meta, “CAPI tracks the user’s website interaction . . . records and stores that information on the website owner’s servers and then transmits the data to [Meta] from the website owner’s servers.” (Id. at ¶ 59.) CAPI is located on “the website owner’s servers (rather than a bug placed on the website users’ browsers),” meaning website owners can “circumvent any ad blockers or similar technologies.” (Id. at ¶ 61.) CAPI captures information submitted by users to Defendants’ Web Properties, including “the type of medical treatment sought, the individual’s particular health condition and the fact that the individual attempted to or did book a medical appointment.” (Id. at ¶ 64.)

Finally, Defendant Tenet “discloses the same kind of patient data” that it provides to Meta to other third parties involved in internet marketing, including Google, via tracking software installed on its websites. (Id. at ¶ 258.) Namely, Defendants deploy Google tracking tools, such as Google Analytics, Google DoubleClick, and Google AdWords, on “nearly every page of their websites, resulting in the disclosure of communications exchanged with patients to be transmitted

to Google.” (Id. at ¶¶ 259, 262.) Transmissions of information to Google “occur simultaneously with patients’ communications” with Defendants’ Web Properties and include data on “specific medical providers, treatments, conditions, appointments, payments, and registrations and logins to Defendants’ patient portal.” (Id. at ¶ 262.) Google also receives a user’s PII, including their IP address, cookies, geolocation, and other identifiers. (Id. at ¶ 259.)>>

Ricordo solo che la violazione del California Privacy Act è stata ritenuta plausibile, per cui  l’azione relativa è stata fatta proseguire (v. sub C), C alifornia Invasion of Privacy Act (Count 1), p. 19 ss

Simulazione di prezzo e confessione stragiudiziale contrastante con la quietenza di pagamento contenuta nel rogito

Cass. Sez. II, 05/06/2025, n. 15.097, rel. Trapuzzano:

<<Ebbene, quanto alla simulazione del prezzo, cui si riferisce la sentenza impugnata, questa Corte ha costantemente sostenuto che la pattuizione con cui le parti di un negozio soggetto al vincolo della forma scritta abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall’art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3234 del 18/02/2015; Sez. 2, Sentenza n. 21442 del 19/10/2010; Sez. U, Sentenza n. 7246 del 26/03/2007; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10459 del 22/04/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 21130 del 29/07/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 37189 del 20/12/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 22978 del 22/07/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 21426 del 06/07/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 24914 del 15/09/2021; Sez. 2, Sentenza n. 2619 del 04/02/2021).

Si tratta, dunque, di simulazione relativa parziale, che coinvolge un elemento essenziale inerente all’oggetto del contratto. Pertanto, la prova per testimoni e per presunzioni della pattuizione atta a celare una parte del corrispettivo di un contratto incontra, fra le parti, i limiti dettati dall’art. 1417 c.c. e contrasta col divieto posto dall’art. 2722 c.c., in quanto una tale pattuizione deve essere equiparata all’ipotesi di dissimulazione del contratto (contra l’ormai superato orientamento di Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4901 del 02/03/2007).

Ora, in tema di simulazione di un contratto formale (tra cui ricade la vendita immobiliare di specie), la prova per testi (e per presunzioni) soggiace a limitazioni diverse a seconda che si tratti di simulazione assoluta o relativa.

Nel primo caso l’accordo simulatorio, pur essendo riconducibile tra i patti per i quali opera il divieto di cui all’art. 2722 c.c., non rientra tra gli atti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, menzionati dall’art. 2725 c.c., avendo natura ricognitiva dell’inesistenza del contratto apparentemente stipulato, sicché la prova testimoniale è ammissibile in tutte e tre le ipotesi contemplate dal precedente art. 2724 c.c.

Nel secondo caso occorre distinguere, in quanto se la domanda è proposta da creditori o da terzi – che, essendo estranei al negozio, non sono in grado di procurarsi le controdichiarazioni scritte – la prova per testi o per presunzioni non può subire alcun limite; qualora, invece, la domanda venga proposta (come nella fattispecie) dalle parti o dagli eredi, la prova per testi o per presunzioni, essendo diretta a dimostrare l’esistenza del negozio dissimulato, del quale quello apparente deve rivestire il necessario requisito di forma, è ammessa soltanto nell’ipotesi di cui al n. 3 dell’art. 2724 citato, cioè quando il contraente ha, senza colpa, perduto il documento ovvero quando la prova è diretta a fare valere l’illiceità del negozio (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11525 del 30/04/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 1122 del 11/01/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 23526 del 02/08/2023; Sez. 2, Sentenza n. 33367 del 11/11/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 31272 del 24/10/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 22978 del 22/07/2022; Sez. 3, Sentenza n. 18434 del 08/06/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 10933 del 05/04/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 36283 del 23/11/2021; Sez. 2, Sentenza n. 10240 del 04/05/2007; Sez. 2, Sentenza n. 16021 del 14/11/2002; Sez. 2, Sentenza n. 2906 del 27/02/2001; Sez. 2, Sentenza n. 4704 del 21/07/1981).

D’altronde, in tema di simulazione relativa oggettiva, ai fini della prova del contratto dissimulato che avrebbe dovuto rivestire forma scritta ad substantiam, deve escludersi che la confessione possa supplire alla mancanza del requisito formale rappresentato dalla controdichiarazione scritta, necessaria per il contratto diverso da quello apparentemente voluto (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10933 del 05/04/2022; Sez. 2, Sentenza n. 8804 del 10/04/2018; Sez. 2, Sentenza n. 6262 del 10/03/2017; Sez. 3, Sentenza n. 3869 del 26/02/2004; Sez. 2, Sentenza n. 1011 del 30/01/1992; Sez. 2, Sentenza n. 13584 del 17/12/1991; Sez. 2, Sentenza n. 2998 del 16/04/1988; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 38360 del 03/12/2021).

Senonché, nel caso di specie, il giudice di merito non avrebbe potuto desumere tale simulazione (relativa) del prezzo attraverso un ragionamento inferenziale, ricavato all’esito della complessiva disamina dei documenti prodotti, in assenza di una specifica controdichiarazione sul punto, né dalle dichiarazioni rese da uno degli acquirenti ad un terzo (con asserita valenza confessoria).

B) Con riferimento al secondo profilo, la Corte territoriale ha ritenuto che la valenza confessoria della quietanza di cui all’atto di vendita fosse “neutralizzata” dalle dichiarazioni rese da A.A. il 21 febbraio 2000 al Pubblico Ministero, in esito alle indagini penali svolte dopo il sequestro dell’immobile, da cui sarebbe emerso che gli acquirenti non avevano corrisposto (e il venditore non aveva ricevuto) alcunché per il titolo dedotto in causa (ossia a titolo di prezzo della vendita immobiliare).

Ora, in ordine al superamento della valenza probatoria della quietanza rilasciata e contenuta nel corpo del rogito, si rileva che l’indicazione del venditore, contenuta nell’atto notarile di compravendita, che il “pagamento del prezzo complessivo è avvenuto contestualmente alla firma del presente atto”, non è coperta da fede privilegiata ex art. 2700 c.c., ma ha natura confessoria, con la conseguenza che colui che ha rilasciato quietanza non è ammesso alla prova contraria per testi o per presunzioni, salvo che dimostri, in applicazione analogica dell’art. 2732 c.c., che il rilascio della quietanza è avvenuto per errore di fatto o per violenza o salvo che se ne deduca la simulazione; quest’ultima, nel rapporto tra le parti, deve essere provata mediante controdichiarazione scritta (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 10526 del 22/04/2025; Sez. 2, Sentenza n. 28418 del 05/11/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 21130 del 29/07/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 13258 del 14/05/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 33200 del 10/11/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 24841 del 17/08/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 40760 del 20/12/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 23875 del 03/09/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 20520 del 29/09/2020; Sez. U, Sentenza n. 19888 del 22/09/2014).

Inoltre, la confessione stragiudiziale del creditore può essere superata dall’opposta confessione giudiziale del debitore, che ammetta, nell’interrogatorio formale, di non aver corrisposto la somma quietanzata, dal momento che l’art. 2726 c.c. limita, quanto al fatto del pagamento, la prova per testimoni e per presunzioni, non anche la prova per confessione (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13258 del 14/05/2024; Sez. 6-3, Ordinanza n. 19283 del 15/06/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 10933 del 05/04/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 27400 del 08/10/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 598 del 14/01/2019; Sez. 2, Sentenza n. 8804 del 10/04/2018; Sez. 2, Sentenza n. 23971 del 22/10/2013)>>.

Nel caso sub iudice:

<<Occorre verificare, a questo punto, il precipitato dell’applicazione di detti precetti rispetto al caso di specie.

Non senza avere previamente chiarito che, costituendo la confessione una dichiarazione di scienza, ossia un atto giuridico in senso stretto, l’accertamento di fatto è limitato all’esistenza della dichiarazione confessoria e al contenuto della stessa. Se tale contenuto debba effettivamente essere apprezzato come confessione stragiudiziale costituisce, invece, un giudizio di diritto (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 24695 del 16/08/2023).

Ebbene, nel caso in esame, la Corte ha ritenuto che, a fronte della quietanza rilasciata per il pagamento di vecchie Lire 72.200.000 dal venditore nell’atto di compravendita, costituisse confessione stragiudiziale del mancato pagamento della somma indicata la dichiarazione, resa da uno dei due coniugi acquirenti davanti al Pubblico Ministero, avendo – in tale occasione – il ricorrente A.A. – da un lato – confermato di avere pagato l’immobile circa vecchie Lire 75.000.000, come da dichiarazione notarile, e – dall’altro – attestato che l’acquisto era avvenuto previa concessione di un mutuo da parte del Banco Ambrosiano Veneto di vecchie Lire 150.000.000, bloccato ed estinto anticipatamente, senza che il venditore avesse mai preteso il pagamento del prezzo della vendita dell’appartamento, in attesa della risoluzione delle vicende penali che lo riguardavano>>.

Nel caso di danno alla salute con eziologia multifattoriale, il fattore allegato come causalmente rilevante deve essere non solo possibile, ma probabile

Cass. sez. III, 19/05/2025 n. 13.294, rel. Saija, in un  caso di malformazioni prodotte da immissioni ambientali di sostanze nocive da parte della raffineria di Gela:

<<Del resto, come più volte già evidenziato, la valutazione sulla causa alternativa nel determinismo eziologico (uso di pesticidi), rispetto alle immissioni di SO2 nell’ambiente gelese, è stata effettuata dal giudice d’appello, che ha concluso, con valutazione fattuale incensurabile, ut supra, che in base alle risultanze della CTU può solo affermarsi che entrambi i fenomeni, rispetto alle malformazioni patite dal ricorrente, sono solo la “possibile causa”, non anche la “probabile causa”.

Il che, trattandosi nella specie di patologia ad eziologia multifattoriale, implica che “il nesso di causalità…. non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione che può essere data anche in termini di probabilità sulla base della particolarità della fattispecie, essendo impossibile nella maggior parte dei casi ottenere la certezza dell’eziologia; è, tuttavia, necessario acquisire il dato della ‘probabilità qualificata’, da verificarsi attraverso ulteriori elementi, come ad esempio i dati epidemiologici, idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale” (ex multis, Cass. n. 13814/2017), ciò che, in definitiva, la Corte nissena ha puntualmente effettuato (sia pure per escludere la sussistenza del nesso di causalità, nella specie), con valutazione – lo si ripete per chiarezza – tipicamente fattuale e ad essa riservata>>.

La convivenza con nuovo partner, che fa perdere l’assegno di mantenimento da separazione, e l’onere della prova

Cass. sez. I, 29/05/2025 n. 14.358, rel. Caiazzo:

<<Invero, in tema di separazione personale dei coniugi, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole e dei figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, occorre accertare il tenore di vita della famiglia durante la convivenza matrimoniale a prescindere dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, all’accertamento dei quali l’ordinamento prevede strumenti processuali ufficiosi, quali le indagini della polizia tributaria (Cass., n. 22616/2022).

Tuttavia, va osservato che, in tema di crisi familiare, il diritto all’assegno di mantenimento viene meno ove, durante lo stato di separazione, il coniuge avente diritto instauri un rapporto di fatto con un nuovo partner, che si traduca in una stabile e continuativa convivenza, ovvero, in difetto di coabitazione, in un comune progetto di vita connotato dalla spontanea adozione dello stesso modello solidale che connota il matrimonio, con onere della prova a carico del coniuge tenuto a corrispondere l’assegno; ne consegue che la stabilità e la continuità della convivenza può essere presunta, salvo prova contraria, se le risorse economiche sono state messe in comune, mentre, ove difetti la coabitazione, la prova relativa all’assistenza morale e materiale tra i partner dovrà essere rigorosa (Cass., n. 34728/23; n. 32871/18).>>

Assegno divorzile in funzione solo compensativo-perequativa (non assistenziale)

Cass. sez. I, 30/05/2025 n.14.459, rel. Tricomi:

<<Nel caso in esame, la controversia concerne il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione esclusivamente compensativa -perequativa, risultando acclarata la autosufficienza economica di entrambe le parti.

In tema, va rammentato che l’assegno divorzile, avendo una funzione anche compensativo-perequativa, sotto questo profilo va adeguato all’apporto fornito dal coniuge richiedente che, pur in mancanza di prova della rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali, dimostri di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell’assistenza della famiglia e dei figli, anche mettendo a disposizione, sotto qualsiasi forma, proprie risorse economiche, come il rilascio di garanzie, o proprie risorse personali e sociali, al fine di soddisfare i bisogni della famiglia e di sostenere la formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, restando di conseguenza assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale (Cass. n. 24795 del 16/09/2024).

e che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in funzione perequativa-compensativa presuppone un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, presente al momento del divorzio, sia l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, ponendo rimedio, in presenza di tali presupposti, agli effetti derivanti dalla rigorosa applicazione del principio di autoresponsabilità (Cass. n. 32354 del 13/12/2024.), mentre, in assenza di prova di tale nesso causale, l’assegno può giustificarsi solo per esigenze strettamente assistenziali, ravvisabili laddove il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non possa procurarseli per ragioni oggettive (Cass. n. 26520 del 11/10/2024).>>