Lo slogan è registrabile come marchio solo se è realmente distintivo nella percezione dei pubblico (la relativa prova spetta all’istante)

Questo insegna Trib. UE 01.02.2023 , T-253/2023, Groschopp AG Drives & More v. EUIPO  (solo francese e tedesco, purtroppo).

Si trattava del marchio denominativo <<Sustainability through Quality>> per motori , dispositivi elettronici, carta e simili, servizi di analisi e di ricerca.

Il registrante combatte strenuamente con l’EUIPO e con il Trib. UE  ma non ottiene ragione: per i due uffici il segno è percepito come messaggio solo promozionale, anzichè indicativo della fonte aziendale.

Viene quindi confermata la nullità ex art. 7.1.b), reg. 1001 del 2017

Non viene  valorizzato il precedente in senso opposto « Vorsprung durch Technik» del 21 gennaio 2010, Audi/UAMI , C‑398/08, dato che era stato usato da molti anni nella attività promozionale di AUDI.   In effetti i fatti sono assi simili nelle due liti: bisognere studiare con attenzione le sentenze per vedere se realmente vi sia significativa differenza

Nel caso di segni normalmente non distintivi, la prova della loro distintività nel mercato spetta all’istante , § 46

Il diritto di visita dei nonni è subordinato al benessere del minore: la Cassazione sull’art. 317 bis c.c.

Chiarimenti sulla retta interpretazione dell’art. 317 bis cc “Rapporti con gli ascendenti” forniti da Cass, sez. 1 n° 2881 del 31.01.2023, rel. Pazzi.

<<L’interesse superiore del minore, perciò, deve costituire la considerazione determinante e, a seconda della propria natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori o degli altri familiari (cfr. Corte EDU, 9/2/2017, Solarino c. Italia).

6.3 E’ fuor di dubbio che ciascun minore ha un rilevante interesse a fruire di un legame, relazionale ed affettivo, con la linea articolata delle generazioni che, per il tramite dei propri genitori, costituiscono la sua scaturigine.

Queste relazioni, d’ordinario, funzionano secondo linee armoniche e spontanee, perciò fruttuose per tutti gli attori in campo.

Ciò però non può far escludere che, in casi particolari, esse generino situazioni limite che esigono l’intervento giudiziale, quando non sia sufficiente il buon senso a far superare le frizioni fra gli adulti, allo scopo di assicurare il beneficio di una frequentazione fra ascendenti e nipoti di carattere biunivoco e capace di reciproco arricchimento spirituale ed affettivo.

6.4. L’intervento del giudice in questo ambito deve tenere conto del fatto che l’art. 317-bis c.c., nel riconoscere agli ascendenti un vero e proprio diritto a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, non attribuisce allo stesso un carattere incondizionato, ma ne subordina l’esercizio e la tutela, a fronte di contestazioni o comportamenti ostativi di uno o entrambi i genitori, a una valutazione del giudice avente di mira l'”esclusivo interesse del minore”, ovverosia la realizzazione di un progetto educativo e formativo, volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore, nell’ambito del quale possa trovare spazio anche un’attiva partecipazione degli ascendenti, quale espressione del loro coinvolgimento nella sfera relazionale ed affettiva del nipote (Cass. 15238/2018).

La Corte di merito, quindi, doveva preoccuparsi di verificare, in termini positivi, la possibilità di procedere a un simile coinvolgimento, costituente il presupposto indispensabile per un’utile cooperazione degli ascendenti all’adempimento degli obblighi educativi e formativi dei genitori.

Questo coinvolgimento, all’evidenza, ha una consistenza ben diversa dalla mera constatazione, compiuta nel caso di specie dalla Corte di merito, dell’insussistenza di “un reale pregiudizio nel passare del tempo con i nonni e lo zio paterni”, perché implica un accertamento non – in termini negativi – della mera mancanza di conseguenze pregiudizievoli in esito alla frequentazione, bensì – in termini positivi – della possibilità per gli ascendenti di prendere fruttuosamente parte attiva alla vita dei nipoti attraverso la costruzione di un rapporto relazionale ed affettivo e in maniera tale da favorire il sano ed equilibrato sviluppo della loro personalità>>.

In altri termini, <<non è il minore a dovere offrirsi per soddisfare il tornaconto dei suoi ascendenti a frequentarlo, ove non ne derivi un “reale pregiudizio”, ma è l’ascendente – il diritto del quale ex art. 317-bis c.c. vale nei confronti dei terzi, ma non dei nipoti, il cui interesse è destinato a prevalere – a dovere prestarsi a cooperare nella realizzazione del progetto educativo e formativo del minore, se e nella misura in cui questo suo coinvolgimento possa non solo arricchire il suo patrimonio morale e spirituale, ma anche contribuire all’interesse del discendente>>.

Se si considera che tanto l’assunzione di responsabilità da parte dei genitori, prevista dall’art. 316 c.c., quanto il diritto degli ascendenti di mantenere rapporti significati con i discendenti, riconosciuto dall’art. 317-bis c.c., <<costituiscono situazioni giuridiche “serventi” focalizzate sul primario interesse del minore, sulla sua protezione e sull’esigenza che egli cresca con il sostegno di un adeguato ambiente familiare, capace anche di assicurare il vantaggio derivante da una relazione positiva con le relazioni precedenti, ben si comprende, allora, come in caso di conflittualità fra genitori e ascendenti non si tratti di assicurare tutela a potestà contrapposte individuando quale delle due debba prevalere sull’altra, ma di bilanciare, se e fin dove è possibile, le divergenti posizioni nella maniera più consona al primario interesse del minore, il cui sviluppo è normalmente assicurato dal sostegno e dalla cooperazione dell’intera comunità parentale.

Il compito del giudice, dunque, non è quello di individuare quale dei parenti debba imporsi sull’altro nella situazione di conflitto, ma di stabilire, rivolgendo la propria attenzione al superiore interesse del minore, se i rapporti non armonici (o addirittura conflittuali) fra gli adulti facenti parte della comunità parentale si possano comporre e come ciò debba avvenire.

In una prospettiva avente di mira, costantemente, il superiore interesse del minore occorrerà, allora, verificare – in caso di non armonici rapporti fra genitori e ascendenti – se si possa in qualche modo attuare una cooperazione fra gli adulti partecipanti alla comunità parentale nella realizzazione del progetto educativo e formativo del bambino, determinare le concrete modalità di questa necessaria collaborazione, tenendo conto dei differenti ruoli educativi, e stabilire, di conseguenza, – per ciascuno dei minori coinvolti, anche procedendo al loro ascolto nei termini previsti dall’art. 315-bis c.c., comma 3, e rispetto a ognuno degli ascendenti aventi interesse a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni – i sistemi più proficui di frequentazione e le più opportune modalità di organizzazione degli incontri>>.

Le Sezioni Unite sul “prodotto finanziario implicito” in relazione alla facoltà di pagamento in euro di un leasing pattuito in franchi svizzeri, variabili in base al “Libor 3 mesi CHF”

Pregevole insegnamento in Cass. sez. un. n° 5657 del 23.02.2023, rel. Rossetti, sull’oggetto.

La chiarezza del dr. Rossetti è sempre apprezzabile, soprattutto su temi specialistici e quindi complessi, come quello sub iudice.

Allora subito evidenzio la bacchettata alla dottrina che complica troppo: <<Prima di stabilire se una clausola come quella oggetto del presente giudizio patto costituisca o meno uno “strumento finanziario derivato” reputa questa Corte doveroso premettere di non potere seguire le nimiae subtilitates con cui parte della dottrina ha proposto infinite distinzioni e sottodistinzioni in tema di strumenti finanziari derivati.

Compito del giudice di legittimità è infatti assicurare “l’esatta interpretazione della legge”, e l’esatta interpretazione consiste nel sussumere le nuove fattispecie concrete, fino a quando sia possibile, in categorie giuridiche note, piuttosto che partorirne continuamente di nuove>>. Difficile dissentire, anche se si trattasse di giudice del merito.

Il contratto:

<< 2. Il contratto di leasing prevedeva che:

a) la valuta nominale di riferimento del contratto fosse il franco svizzero;

b) la società utilizzatrice rimborsasse il finanziamento in Euro;

c) il rimborso dovesse avvenire in 15 anni, mediante pagamento di un anticipo, di 179 rate mensili di Euro 4.487,60 ciascuna (termine poi prorogato in corso di esecuzione del contratto), e di un prezzo finale di riscatto;

d) la rata dovuta dall’utilizzatrice alla concedente potesse aumentare o diminuire in funzione di due variabili:

d’) sia in funzione della variazione del tasso “LIBOR 3 mesi – CHF”; d’) sia in funzione delle variazioni del tasso di cambio tra l’Euro e il franco svizzero.

3. Il modo e la misura in cui il canone di leasing dovesse variare erano stabiliti dal contratto come segue:

a) la rata poteva variare sia in aumento che in diminuzione;

b) la variabilità del canone dipendente dalle fluttuazioni del tasso LIBOR era illimitata in aumento, e limitata in diminuzione (non oltre due punti in meno dell’indice di base), e si sarebbe applicata a partire dal canone in scadenza nel mese in cui si era verificata la variazione del tasso LIBOR;

c) la variabilità del canone dipendente dalle fluttuazioni del cambio franco/Euro era illimitata sia in aumento che in diminuzione;

d) la misura della variazione del canone dipendente dalle fluttuazioni del cambio franco/Euro doveva determinarsi con una formula matematica, pari al canone, diviso per il cambio al momento del pagamento della rata, e moltiplicato per la differenza tra cambio storico (cioè il cambio fissato convenzionalmente dalle parti alla stipula del contratto) e cambio alla scadenza del canone.

Unica differenza tra l’ipotesi di apprezzamento del franco e quella di apprezzamento dell’Euro in corso di contratto era che nel primo caso (apprezzamento del franco, e quindi variazione a favore del debitore) a base del calcolo si sarebbe dovuto porre l’importo della rata al netto dell’IVA, e nel secondo caso (deprezzamento del franco, e quindi variazione a favore del creditore) a base del calcolo si sarebbe dovuto porre l’importo della rata al lordo dell’IVA;

e) infine, il contratto prevedeva che eventuali variazioni del canone non avrebbero comportato l’aumento o la diminuzione della rata mensilmente dovuta, ma sarebbero state regolate a parte, con periodiche rimesse reciproche tra le parti.>>

– Motivo della rimessione per le SU:

<< La suddetta ordinanza, dopo aver ravvisato l’esistenza di contrastanti decisioni di questa Corte circa la validità di clausole come quella oggetto del presente giudizio, ha ritenuto non persuasivo l’orientamento che nega alle clausole suddette la qualificazione di “derivati impliciti”, e sollecita queste Sezioni Unite a stabilire, siccome questioni di massima di particolare importanza:

a) se la clausola di cui si discorre sia un mero meccanismo di indicizzazione, oppure costituisca una “scommessa”, o comunque abbia una finalità speculativa;

b) se la suddetta clausola muti la causa del contratto di leasing, “inquinandola”, ed in questo caso con quali effetti;

c) se la relativa pattuizione, a causa della sua oscurità, violi i doveri di correttezza e buona fede da parte del predisponente.>>

Alcuni passaggi significativi:

– << Questa Corte ha già stabilito che il giudizio di “meritevolezza” di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., non coincide col giudizio di liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa.

Secondo la Relazione al Codice civile la meritevolezza è un giudizio che deve investire non il contratto in sé, ma il risultato con esso avuto di mira dalle parti, cioè lo scopo pratico o causa concreta che dir si voglia (ex aliis, Sez. U -, Sentenza n. 4222 del 17/02/2017; Sez. U, Sentenza n. 4223 del 17/02/2017; Sez. U, Sentenza n. 4224 del 17/02/2017; Sez. 3, Sentenza n. 10506 del 28/04/2017).

Ed il risultato del contratto dovrà dirsi immeritevole solo quando sia contrario alla coscienza civile, all’economia, al buon costume od all’ordine pubblico (così la Relazione al Codice, p. 603, II capoverso)>>.

Profilo importante però , in sostanza, immotivato.

– §§ 2.3 segg.: sul perchè la calusola de qua non è immeritevole. Ragionamento condivisibile.

§ 2.5: <<Tali considerazioni, svolte solo a mò d’esempio, corroborano la conclusione che il giudizio di “immeritevolezza” d’un contratto, ex art. 1322, comma 2, c.c., non può essere formulato in astratto ed ex ante, limitandosi a considerare il solo contenuto oggettivo dei patti contrattuali, ma va compiuto in concreto ed ex post, ricercando – beninteso, iuxta alligata et probata partium – lo scopo perseguito dalle parti>>.

Non è così: la valtuaizone non è mai ex post, è sempre ex ante, essendo un vizio genertico e non funzinale: vero è che deve considerare la  futura ipotetica esecuzione del contratto (il che è ovvio). Probabilmente una svista .

Questo sulla teoria del contratto. Poi passa allo specifico stipulato

– il § 5 distingue tra <derivato implicito> e <clausola di indicizzazione>. E’ la parte più interessante e per lo più condivisibile.

– secco al § 5.1: <<5.1. Una clausola inserita in un contratto di leasing, la quale faccia dipendere gli interessi dovuti dall’utilizzatore dalla variazione di un indice finanziario insieme ad un indice monetario, in un caso come quello di specie, non è uno strumento finanziario derivato, e tanto meno un “derivato implicito”>>. Ciò sia in base al testo del TUF ratione temporis applicabile sia in abase all’attuale, §§ 5.2 segg.

– il § 5.7  spiega il funzionamento economico del finanziamento in valuta estera:

<< 5.7. La corretta qualificazione giuridica di clausole come quella oggetto del presente giudizio deve muovere del rilievo che il contratto oggetto del contendere aveva ad oggetto una operazione reale (leasing); prevedeva che il valore del debito complessivo dell’utilizzatore fosse determinato in franchi svizzeri, e accordava all’utilizzatore la facoltà di pagare in Euro.

Il contratto di leasing ha ovviamente sempre una funzione (anche) di finanziamento, ed un finanziamento può legittimamente essere concesso in valuta nazionale od in valuta estera.

Un finanziamento in valuta estera ha lo scopo di evitare i rischi connessi alla svalutazione della moneta nazionale (e cioè il rischio della svalutazione per il creditore, e il rischio della rivalutazione per il debitore).

Un finanziamento in moneta estera può avvenire con due modalità:

a) la prima modalità è prevedere che l’indebitamento venga direttamente denominato ed erogato nella valuta estera (ad es., il concedente acquista l’immobile in franchi, e lo dà in locazione finanziaria all’utilizzatore, che avrà facoltà di pagare in franchi o in Euro, secondo la previsione dell’art. 1278 c.c.);

b) la seconda modalità è esprimere sia la provvista erogata dal concedente, sia le rate dovute dall’utilizzatore in valuta domestica, ma agganciarne il valore al rapporto di cambio con una valuta estera.

In questo modo si realizza indirettamente lo stesso risultato della pattuizione sub (a).

In conclusione, un finanziamento (non importa se in forma di mutuo o di leasing) il cui importo è parametrato ad un rapporto di cambio è un debito di valore e non di valuta.

La clausola di cui si discorre dunque non è che una normale clausola-valore, attraverso la quale le parti individuano il criterio al quale commisurare la prestazione del debitore.

Pertanto:

-) l’aleatorietà del contratto, lungi dal costituire un indice della presenza d’un “derivato implicito”, non è che un effetto naturale d’una altrettanto normale clausola-valore;

-) la previsione che eventuali conguagli a favore dell’una o dell’altra parte fossero regolati a parte, e non incidessero sul valore della rata (che restava costante) non è che una modalità esecutiva delle reciproche obbligazioni, insuscettibile di riverberare effetti di sorta sulla qualificazione del contratto. Il titolo dell’obbligazione infatti non muta solo perché cambi il termine di adempimento. Del resto, il creditore ha facoltà di accettare un adempimento parziale (art. 1181 c.c.) o di rinunciare al termine stabilito a suo favore (art. 1185 c.c.), e ciò dimostra che la possibilità di regolare a parte alcune delle obbligazioni e non altre, oppure una aliquota dell’unica obbligazione, è un effetto normale dello statuto delle obbligazioni civili.>>

– § 6 : la clausola <rischio di cambio> non snatura il tipo astrattamente pattuito (leasing)

  • principi di diritto: << 8. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Trieste, in differente composizione, la quale tornerà ad esaminare l’appello proposto dalla RPS applicando il seguente principio di diritto:”il giudizio di “immeritevolezza” di cui all’art. 1322, comma 2, c.c. va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, e non alla sua convenienza, né alla sua chiarezza, né alla sua aleatorietà“.

9. Va, infine, formulato nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c. il seguente principio di diritto:

La clausola inserita in un contratto di leasing, la quale preveda che: a) la misura del canone varii in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera; b) l’importo mensile del canone resti nominalmente invariato, e i rapporti di dare/avere tra le parti dipendenti dalle suddette fluttuazioni siano regolati a parte; non è un patto immeritevole ex art. 1322 c.c., né costituisce uno “strumento finanziario derivato” implicito, e la relativa pattuizione non è soggetta alle previsioni del d. lgs. 58/98″ >>.

Sentenza importante, che tocca  temi di vertice nel diritto dei contratti,  già oggetto di pregevoli commenti (ad es. D’Amico in I contratti, 2023/3, 260 ss.)

Uso non autorizzato a scopo di lucro di bene culturale : sul gioco-puzzle riproducente l’ “Uomo vitruviano” di Leonardo da Vinci

Grazie a Marco Scialdone che dà notizia (e link) dell’ordinanza cautelare (di reclamo)  del Trib. Venezia 24 ottobre – 23 novembre 2022, RG 5317/2022, Min. cujltura e Galleria del’Accademia di Venezia c. Avensburgfers.

L’assai interssante provvedimento si basa sull’esclusiva statale intorno all’uso dei beni culturali posta dagli art. 104ss codice beni culturali n. 42 del 2004.

Le convenute sono tre società del gruppo Ravensburer, due di diritto tedesco e una italiano.

In sintesi:

1° Afferma la giurisdizione italiana

2° Afferma  la competenze veneziana ex art. 20 cpc: <<Ne consegue che a fronte, per un verso, di una diffusione “a raggiera” e contestuale dei
prodotti riproduttivi –senza autorizzazione- dell’immagine e del nome del bene culturale (tanto
su numerose piattaforme di vendita online quanto presso i negozi al dettaglio) e, perciò, come10
detto, veicoli dell’illecito (non collocabile con precisione sul piano spaziale) e, soprattutto, della
lesione del bene giuridico protetto dall’art. 108 Cod. Beni Culturali e, per altro verso,
dell’esigenza di individuare un luogo certo di verificazione concreta del pregiudizio risarcibile
(dove possa quindi indicarsi sorta l’obbligazione), questo Collegio ritiene di affermare la propria
competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. quale giudice del luogo del domicilio del soggetto
danneggiato (i.e. l’Amministrazione che ha in consegna il bene), dunque Venezia, quale luogo
“in cui certamente e principalmente si è verificato il danno risarcibile” e in cui “si realizzano le
ricadute negative della lesione”.
Ciò, essenzialmente, in quanto a Venezia è collocato il bene culturale “Uomo Vitruviano”
(“testimonianza materiale avente valore di civiltà” ed “entità immateriale di fruizione pubblica”
ma localizzata, fisicamente, a Venezia) e perché a Venezia ha sede l’ente consegnatario dello
stesso, le Gallerie dell’Accademia, al quale dev’essere chiesta l’autorizzazione per la
riproduzione e l’uso dell’opera e che, in ragione dell’illecito attribuibile alle società resistenti, è
stata totalmente privato del controllo, ad esso solo spettante, in ordine alla compatibilità
dell’uso e della riproduzione dell’immagine e del nome dell’opera con il suo profilo culturale e
valoriale oltre che dei corrispettivi dovuti.
Ne consegue che è Venezia il luogo in cui il danno, tanto non patrimoniale che patrimoniale,
riconducibile alla condotta illecita delle parti reclamate si è certamente e principalmente e
verificato; di conseguenza, in accoglimento del motivo di reclamo, dev’essere affermata la
competenza territoriale di questo Tribunale ex art. 20 c.p.c.>>.

3° afferma l’apllicabilità della legge italiana, pp. 10-11.

4° ravvisa il fatto illecito ex art. 2043-2059 cc: <<Alla luce dell’affermata applicabilità al rapporto sostanziale tra -tutte- le parti in causa della
disciplina italiana costituita dal codice dei Beni Culturali (che, peraltro, non prevede alcuna
specifica limitazione della sua efficacia entro i confini nazionali) e dal codice civile ne consegue
che tale condotta appare costituire illecito determinante un danno risarcibile ex artt. 2043 e
2059 c.c., laddove il danno è costituito, in primo luogo, dallo svilimento dell’immagine e della
denominazione del bene culturale (perché riprodotti e usati senza autorizzazione e controllo
rispetto alla destinazione) e, in secondo luogo, dalla perdita economica patita dall’Istituto
museale (per il mancato pagamento del canone di concessione e dei corrispettivi di
riproduzione).
Sotto quest’ultimo profilo occorre evidenziare che ancorché il bene culturale, di per sé
considerato -secondo la più autorevole dottrina- come entità immateriale distinta dal supporto
materiale cui inerisce e costituente un valore identitario collettivo destinato alla fruizione
pubblica, costituisca un bene giuridico meritevole di tutela rafforzata (anche a livello
costituzionale) secondo l’ordinamento, tuttavia lo stesso non possiede evidentemente
un’autonoma soggettività cosicché si verifica una scissione tra l’oggetto di tutela rispetto alla
lesione dell’immagine (i.e. il bene culturale) e il soggetto deputato, quale titolare del potere
concessorio/autorizzatorio rispetto alla sua destinazione, ad agire per la sua tutela e a ricevere
l’eventuale risarcimento del conseguente danno non patrimoniale (i.e. l’Amministrazione
consegnataria del bene). Ciò che giustifica la legittimazione attiva delle odierne reclamanti
rispetto alla domanda cautelare rispetto al pregiudizio non patrimoniale (pacifica invece
risultando la legittimazione con riguardo alla cautela rispetto al pregiudizio di natura
prettamente patrimoniale).>>

5° ravvisa  periculum in mora quanto al danno non patrimoniale:  <<sussiste, invece, un irreparabile e imminente danno non patrimoniale costituito dallo svilimento dell’immagine e del nome dell’opera “Uomo Vitruviano” determinato dal perpetuarsi dell’utilizzo incontrollato a fini commerciali della riproduzione dell’opera da parte delle società reclamate del gruppo Ravensburger>>

(non curandosi del se  la persona giuridica , pubblica o privata, possa subire un danno non patriminale: la risporta data è spesso positiva, ma a livello teorico è tutta da studiare)

6° è fondata la domanda di inibitoria ex ar 6, 7, 10 cc (non curandosi del se il concetto si <persona> ivi presente comprenda anche la persona giuridica , pubblica o privata).

Notare che non applica le tutele del codice di proprietà industriale.

7° nega -al momento- l’ordine di ritiro dei puzzle dal commercio

8° compensa per un terzo le spese di lite, nonostante la soccombenza totale di RAvensburger

L’immagine fumettistica creata tramite intelligenza artificiale non è protetta come opera dell’ingegno : decisione interessante dello US Copyright Office

dal sito https://processmechanics.com/author/vanl/ si apprende della decisione February 21, 2023 dello US Copiright Office (poi: c.o.)  nel caso  <Zarya of the Dawn (Registration # VAu001480196)> .

Viene ivi offerto anche il link diretto al testo di quest’ultima.

In breve il c.o. nega la registrazione (là necessaria a quasi ogni fine) perchè il fumetto (o meglio: le immagini) sono state geenrate da intelligenza ariticiale (Midjourney: generatore di immagini) anche se su input (prompts) della artista (Kristina Kashtanova, poi: KK).

Noin può infatti ravvisarsi “work of authorship”.

Mon è servita l’allegazione per cui KK avesse provato moltssimi prompts per generare l’immagimne migliore, poi scelta per il fumetto

Il c.o. invece ammette il copyright sui testi e sull’arrangement di immagini+testo.

Nella decisione è desritto bene il funzionament di Midjourney (lato utente : non ovviamnte la logica algoritmica alla base)

<< Based on the record before it, the Office concludes that the images generated by
Midjourney contained within the Work are not original works of authorship protected by
copyright.
See COMPENDIUM (THIRD) § 313.2 (explaining that “the Office will not register works
produced by a machine or mere mechanical process that operates randomly or automatically
without any creative input or intervention from a human author”). Though she claims to have
“guided” the structure and content of each image, the process described in the Kashtanova Letter
makes clear that it was Midjourney—not Kashtanova—that originated the “traditional elements
of authorship” in the images.
Ms. Kashtanova claims that each image was created using “a similar creative process.”
Kashtanova Letter at 5. Summarized here, this process consisted of a series of steps employing
Midjourney. First, she entered a text prompt to Midjourney, which she describes as “the core
creative input” for the image.
Id. at 7–8 (providing example of first generated image in response
to prompt “dark skin hands holding an old photograph –ar 16:9”).
14 Next, “Kashtanova then
picked one or more of these output images to further develop.”
Id. at 8. She then “tweaked or
changed the prompt as well as the other inputs provided to Midjourney” to generate new
intermediate images, and ultimately the final image.
Id. Ms. Kashtanova does not claim she
created any visual material herself—she uses passive voice in describing the final image as
“created, developed, refined, and relocated” and as containing elements from intermediate
images “brought together into a cohesive whole.”
Id. at 7. To obtain the final image, she
describes a process of trial-and-error, in which she provided “hundreds or thousands of
descriptive prompts” to Midjourney until the “hundreds of iterations [created] as perfect a
rendition of her vision as possible.”
Id. at 9–10.
Rather than a tool that Ms. Kashtanova controlled and guided to reach her desired image,
Midjourney generates images in an unpredictable way. Accordingly, Midjourney users are not
the “authors” for copyright purposes of the images the technology generates. As the Supreme
Court has explained, the “author” of a copyrighted work is the one “who has actually formed the
picture,” the one who acts as “the inventive or master mind.”
Burrow-Giles, 111 U.S. at 61. A
person who provides text prompts to Midjourney does not “actually form” the generated images
and is not the “master mind” behind them. Instead, as explained above, Midjourney begins the
image generation process with a field of visual “noise,” which is refined based on tokens created
from user prompts that relate to Midjourney’s training database. The information in the prompt
may “influence” generated image, but prompt text does not dictate a specific result.
See
Prompts
, MIDJOURNEY, https://docs.midjourney.com/docs/prompts (explaining that short text
prompts cause “each word [to have] a more powerful influence” and that images including in a
prompt may “influence the style and content of the finished result”). Because of the significant
distance between what a user may direct Midjourney to create and the visual material
Midjourney actually produces, Midjourney users lack sufficient control over generated images to
be treated as the “master mind” behind them.
>>

Pertanto secondo il c.o.:

<<The fact that Midjourney’s specific output cannot be predicted by users makes
Midjourney different for copyright purposes than other tools used by artists. See Kashtanova
Letter at 11 (arguing that the process of using Midjourney is similar to using other “computerbased tools” such as Adobe Photoshop). Like the photographer in Burrow-Giles, when artists
use editing or other assistive tools, they select what visual material to modify, choose which
tools to use and what changes to make, and take specific steps to control the final image such
that it amounts to the artist’s “own original mental conception, to which [they] gave visible
form.”15 Burrow-Giles, 111 U.S. at 60 (explaining that the photographer’s creative choices made
the photograph “the product of [his] intellectual invention”). Users of Midjourney do not have
comparable control over the initial image generated, or any final image. It is therefore
understandable that users like Ms. Kashtanova may take “over a year from conception to
creation” of images matching what the user had in mind because they may need to generate
“hundreds of intermediate images.” Kashtanova Letter at 3, 9>>.

 

Contratto di fornitura/sponsorizzazione con diritto di prelazione sul rinnovo: BasicItalia (Robe di Kappa-KWay) ottiene ragione verso FISI (e Armani)

Trib. Milano n° 1411/2023 del 22.02.2023, RG 43609/2021, rel. Salmeri decide la lite in oggetto, già passata sui media nazionali per i precedenti provvedimenti cautelari.

Nonostante un diritto di prelazione di Basicitalia (B.), esercitato, FISI stipulò per le stesse prestazioni contratto analogo con Armani.. In breve, fece ciò negando che la prelazione costituisse un contratto stipulato e affermando che costituisse solo un impegno a trattare per una successiva stipula, come emergerebbe a suo dire da un successivo documento inviato da FISI a B.

Solo che quest’ultimo è appunto successivo e unilaterale. Il consenso di entrambe le parti si era invece formato sulla clausola di prelazione in base alal quale FISI doveva inviare denuntiatio completa “di tutti gli elementi contrattuali rielvanti”.

Quindi l’esericzio della prelazione da parte di B. aveva concluso il contratto.

La difesa di FISI apapre quindi non poco temeraria e non si spiega l’omessa condanna ex art 96 c. 1 o meglio c. 3 Cpc.   Ancbe alla luce del fatto che FISI aveva falsamente negato di aver stipulato un contratto con Armani (la cui immagine viene qui un pò appannata, come quella della FISI, naturalmente). Così sul punto:  <<Da ultimo, sebbene vada stigmatizzata la condotta processuale di FISI per avere espressamente negato di avere concluso il contratto di fornitura e sponsorizzazione con ARMANI nel corso del procedimento di reclamo quando in realtà detto contratto era già stato sottoscritto (cfr. nota n. 2), tuttavia la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. formulata da BASIC non può trovare accoglimento, in quanto il ricorso cautelare ex art. 700 cpc proposto dalla stessa BASIC è stato rigettato (sebbene poi accolto dal Collegio), circostanza che induce a ritenere che la difesa (in diritto) di FISI è comunque rimasta confinata nell’ambito della normale dialettica processuale.>>.

Punto teoricamente importante. Per il Tribunale, dire il falso fa parte della normale dialettica processuale: cioè non esiste un dovere di dire la verità (la pensa diversamente CARRATTA A., Dovere di verità e di completezza nel processo civile, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 2014/2)

Viene  però negato a B. il risarcimento del danno, essendo ancora in corso (anzi apppena iniziato) il periodo di efficacia contrattuale (stagioni agonistiche 2022-2026).

E’ accolta la domanda di condanna ad un facere e di inibitoria astensiva. Questi i comandi:

<< 1) accoglie le domande di BASICITALIA SPA nei limiti di cui in motivazione;

2) accerta e dichiara che in data 3 giugno 2021, a seguito della denuntiatio di FISI del 27 maggio 2021 e dell’accettazione di BASICITALIA SPA del 3 giugno 2021, è sorto un contratto di fornitura e sponsorizzazione alle condizioni contrattuali ed economiche indicate dalla stessa FISI nella predetta denuntiatio;

3) condanna FISI ad adempiere alle obbligazioni oggetto del contratto di fornitura e sponsorizzazione del 3 giugno 2021 concluso con BASICITALIA SPA;

4) inibisce a FISI la conclusione di contratti di fornitura e sponsorizzazione con terzi diversi da BASICITALIA SPA (ed in concorrenza con BASICITALIA SPA in riferimento ai marchi ed ai beni prodotti e/o commercializzati da BASICITALIA SPA) per le stagioni agonistiche 2022/2023, 2023/2024, 2024/2025 e 2025/2026 con diritto di prelazione per un eventuale rinnovo per ulteriori 4 stagioni agonistiche e quindi fino alla data di scadenza del termine della stagione agonistica 2029/2030;

5) inibisce a FISI l’utilizzo, nella propria attività agonistica (sia in gara che in allenamento) e mediatica, di articoli di abbigliamento che rechino marchi diversi da quelli indicati nel contratto del 3 giugno 2021 ed in concorrenza con BASICITALIA SPA;>>

Circa la falsa dichiarazione del non aver concluso un contratto con Armani, così osserva il giudice:

<<Da ultimo, sebbene vada stigmatizzata la condotta processuale di FISI per avere espressamente negato di avere concluso il contratto di fornitura e sponsorizzazione con ARMANI nel corso del procedimento di reclamo quando in realtà detto contratto era già stato sottoscritto (cfr. nota n. 2), tuttavia la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. formulata da BASIC non può trovare accoglimento, in quanto il ricorso cautelare ex art. 700 cpc proposto dalla stessa BASIC è stato rigettato (sebbene poi accolto dal Collegio), circostanza che induce a ritenere che la difesa (in diritto) di FISI è comunque rimasta confinata nell’ambito della normale dialettica processuale.>>

La residualità/sussidiarietà dell’azione di arricchimento ex art. 2042 cc

Cass. ordin. interloc. n° 5.222 del 20.02.2023, rel., Cricenti, affronta l’oggetto e, ritenendolo di notevole importanza, sugerisce la rimessione alle sezioni unite.

Si trattava della frequente fattispecie per cui un’impresa esegue lavori ad una PA, contando su promessa verbale di successivo miglioramento del regime urbanistico del proprio terreno (in claris: di successiva trasformazione da agrigolo ad edificabile).

La promessa non viene mantenuta e allora l’impresa agisce per vioalazione dell’affidamento (trattativa in malafede) e in subordine per ingiusto arricchimento .

Non si tratta solo della nota alternativa tra residualità in astatto/in concreto, ma pure di quella relativa al se l’azione primaria sia fondata su legge/contratto oppure su clausola generale (di buona fede, come nel caso specifico : art. 1337 cc)

La seconda alternativa è ritenuta poco sensata dalla ordinanza: in tutti i casi (o meglio: anche quando si fa valere la violazione della buona fede) non è vero che, per decidere se sia data l’azione primaria, si entri nel merito,  potendosi (dovendosi) eseguire una valutazione in astratto.

La Cassazione su qualificazione e impugnazione del trust inter vivos da parte del legititmario leso

Interessanti e importanti precisazoni sull’oggetto in Cass. sez. 2 n° 5073 del 17.02.2023, rel. Criscuolo.

Era un trust estero (non di diritto interno), tra vivi e discrezionale nella individuazione dei beneficiari (entro una cerchia di parenti) e degli ammontari a ciascun   (entro però i seguenti 80 anni)

1) si tratta di liberalità indiretta ex art. 809 cc

2) il reale trasferimento di ricchezza avviene solo verso i beneficari, non il trustee

3) L’azione a tutela dieventuali lesioni rimane costituita non dalla nullità dell’atto ma dall’azione di riduzione verso il medesimo: <<La tesi dottrinale cui fa richiamo la ricorrente parte dalla considerazione secondo cui il ricorso all’azione di riduzione sarebbe molto problematico, soprattutto nel caso di trust discrezionale, nelle ipotesi in cui la successione del disponente si apra quando il trust è ancora “in esecuzione”, e dunque i beni, che ne formano oggetto, si trovino nella sfera giuridica del trustee.
A fronte della difficoltà di individuazione del destinatario dell’azione di riduzione, secondo tale dottrina, occorrerebbe fare applicazione della norma di chiusura dell’art. 13 della Convenzione, negando il riconoscimento al trust contrastante con l’ordine pubblico interno. Infatti, se è vero che l’art. 15 della Convenzione dispone che il riconoscimento del trust non preclude l’applicazione delle norme inderogabili, tra le quali quelle a protezione dei legittimari, è pur vero che tali norme, una volta applicate, non raggiungerebbero il risultato voluto. Si sostiene quindi che il rimedio offerto al legittimario sia quello del mancato riconoscimento del trust, cui consegue il difetto di una giustificazione causale dell’attribuzione dal disponente al trustee e, dunque, la declaratoria di nullità>>
4)  <<Non risulta, invero, accoglibile la tesi, pur prospettata indottrina che, sia pure per evidenti ragioni di semplificazione, individua sempre nel trustee il destinatario dell’azione diriduzione, trattandosi peraltro, soprattutto laddove ibeneficiari abbiano già ricevuto assegnazioni dal trustee, diconclusione che contrasta con il fatto che, come sopraricordato anche alla luce della giurisprudenza tributaria diquesta Corte, sono i beneficiari a fruire dell’arricchimentoscaturente dal complessivo ricorso al meccanismo del trust, edebbono quindi essere le disposizioni dai medesimi ricevute adover essere rese inefficaci.Come sostenuto da autorevole dottrina, è viceversa unprincipio di ragionevolezza a dover ispirare l’interprete adeguando la risposta alla mutevolezza delle vicendesuscettibili di verificazione.

In particolare, se il trustee abbia già provveduto ad eseguire il programma del disponente, e ad esercitare, in caso di trust discrezionale, il proprio potere, allora l’azione di riduzione andrà rivolta nei confronti dei beneficiari.     Ove invece il trust sia ancora “in fase di esecuzione”, non essendosi esaurito il programma destinatorio, di talché il trustee è ancora titolare del trust fund, al fine di ovviare alle difficoltà sopra evidenziate, appare ragionevole ammettere l’esercizio dell’azione di riduzione nei confronti dello stesso trustee (per alcuni in analogia con la soluzione suggerita per il caso in cui ad essere oggetto dell’azione di riduzione sia una disposizione fiduciaria, prima dell’adempimento del pactum fiduciae)>>

<<Deve quindi ritenersi che, ove alla morte del disponente il trust abbia avuto completa esecuzione, il legittimato passivo dell’eventuale azione di riduzione sarà il beneficiario finale, mentre in ipotesi di trust ancora “in esecuzione” l’azione andràrivolta nei confronti del trustee.

Occorre però altresì reputarsi che sia del pari legittimato il beneficiario, anche in caso di trust non ancora completamente eseguito, nel caso in cui sia certa l’individuazione del beneficiario, perché in ipotesi già operata dal disponente, essendo solo differito il momento della concreta attribuzione del vantaggio al beneficiario, atteso che in tal caso il legittimario leso potrà agire in riduzione aggredendo immediatamente le attribuzioni liberali delle quali èavvantaggiato il beneficiario, senza quindi dover attendere l’attivazione del trustee, la cui partecipazione al giudizio di riduzione sarebbe giustificata al fine di renderne al medesimo opponibile l’esito.

Resta invece ferma la legittimazione del trustee, oltre che nei cd. trust di scopo, nei quali manca una specifica individuazione dei beneficiari (si pensi ad un trustgenericamente destinato a favore dei poveri di una città), nel caso di trust discrezionale, che non abbia ancora ricevuto attuazione, dovendosi contemperare la certezza dell’esistenza di una liberalità lesiva, con l’incertezza del beneficiario finale, senza però che ciò possa andare a discapito del legittimarioche intende perseguire il proprio diritto alla quota di riserva>>

E’ il passaggio sub 4) naturallmente il più importante

 

Danno ambientale e responsabilità soggettiva/oggettiva del proprietario

Importante analisi del tema da parte di Cass. sez. un. 1 febbraio 2023 n. 3.077, rel. Ferro.

Alcuni passaggi di seguito,

Primi due motivi del ricorso , poi accolti:

<<1. con i primi due motivi s’invoca una pluralità di violazioni del D.Lgs. n. 152 del 2006 (artt. 240, 242, 245, 252), oltre al D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 17,15 DM 471-1999, contestando per un verso l’applicazione alla vicenda del principio ‘chi inquina pagà e dunque ogni responsabilità in capo al proprietario/gestore di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza (m.i.s.e.) e, dall’altro, l’erronea mancata individuazione del responsabile della potenziale contaminazione;>>

<<12. imporre al soggetto inquinatore l’obbligo di riparare il danno o, in alternativa, quello di tenere indenne la comunità territoriale che l’abbia evitato o rimosso, significa pertanto addossare – non in chiave etica ma di efficacia, come rilevato nell’analisi economica di tale sistema – le esternalità negative (conseguenti alla produzione o al commercio di beni e servizi) a carico del soggetto cui sia riferibile l’attività, evitando alterazioni di mercato (per qualità dei prodotti e livelli di concorrenza), senza oneri per la collettività ovvero costi assunti in via definitiva dall’ente pubblico; viene così scongiurato ogni scenario di alternativa monetizzazione dell’inquinamento, disincentivato dallo scaricarsi sui soli prezzi, senza altri interventi ed invece declinandosi il principio riassuntivo ‘chi inquina pagà nella riparazione più diretta del danno ambientale (nei contesti di acque, terreno e biodiversità, i soli dell’art. 2 Direttiva), ad opera dell’autore (operatore in attività classificata pericolosa o terzo imputabile ad altro titolo) o, in sua vece e con recupero dei costi, a cura dell’ente pubblico;>>

Poi:

<<14. il testo del D.Lgs. n. 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente), anche a seguito di due procedure d’infrazione comunitaria (comunicazione del 31.1.2008 e parere del 26.1.2012) volte a superare il rilievo interno ancora proprio del rimedio della riparazione pecuniaria e le ambiguità sulla responsabilità colposa, ha dunque previsto, in pressoché adesivo allineamento alla citata direttiva, le reazioni ordinamentali al danno ambientale come effettivo ripristino (riparazione primaria) o, a seguire, riparazione complementare e compensativa conformemente ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio “chi inquina paga” (art. 3ter); la stessa Corte di cassazione se ne è occupata (nelle pronunce 9012 e 16806 del 2015) innanzitutto chiarendo detti criteri risarcitori; così, la riparazione primaria, ha lo scopo di riportare le risorse e/o i servizi naturali danneggiati alle condizioni originarie; quella complementare, ove essi non tornino alle condizioni originarie, tende a compensare il mancato ripristino completo delle risorse e/o dei servizi naturali danneggiati; la riparazione compensativa pareggia la perdita temporanea di risorse dalla data di verificazione del danno a quella in cui la riparazione primaria non abbia prodotto un effetto completo; ma la definitiva armonizzazione della disciplina italiana rispetto a quella UE ha reso esplicito il conseguente principio per cui “non residua alcun danno ambientale economicamente quantificabile e quindi risarcibile – né in forma specifica, né a maggior ragione per equivalente – ogniqualvolta, avutasi la riduzione al pristino stato, non persista la necessità di ulteriori misure sul territorio reso oggetto dell’intervento inquinante o danneggiante, soltanto il costo (ovvero il rimborso) delle quali potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti: misure che vanno ora tutte verificate alla stregua della nuova normativa”, con l’importante applicazione officiosa e retroattiva ai giudizi pendenti per fatti anteriori proprio della onnicomprensività del nuovo criterio riparatore a superamento di quello per equivalente (conf. Cass. 14935/2016; così anche Cass. 8662-2017 e Cass. 5705-2013 sui criteri di liquidazione del danno);

15. per l’art. 311 cod. amb. viene dunque fissata la responsabilità oggettiva di chi gerisce specifiche attività professionali elencate e quella imputabile e soggettiva (per colpa o dolo) in capo a chiunque altro cagioni un danno ambientale (comma 2); l’azione di risarcimento del danno ambientale, inteso come bene pubblico di carattere unitario, costituente autonomo diritto fondamentale, diverso dalla salute, di rilievo costituzionale, oggetto di tutela da parte del giudice ordinario (Corte costituzionale 210 del 1987; 233 del 2009; 85 del 2013) diviene così un’azione di reintegrazione in forma specifica, di competenza esclusiva del Ministero dell’ambiente; a sua volta, l’art. 298bis distingue, nell’applicazione del codice, danno ambientale o minaccia imminente risalenti ad una delle attività professionali (dell’all. n. 5 della Parte Sesta, che include la gestione dei rifiuti) ovvero ad un’attività diversa, per la seconda richiedendo il caso di comportamento doloso o colposo (comma 1 lett.b); per “operatore”, poi, l’art. 302 comma 4, intende qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività; in adesione testuale al dettato della Direttiva, l’art. 308 esclude a carico dell’operatore i costi delle azioni di precauzione, prevenzione e ripristino adottate conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno: a) è stato causato da un terzo e si è verificato nonostante l’esistenza di misure di sicurezza astrattamente idonee; b) è conseguenza dell’osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica, diversi da quelli impartiti a seguito di un’emissione o di un incidente imputabili all’operatore (comma 4); inoltre, l’operatore non è tenuto a sostenere i costi delle azioni di cui al comma 5 intraprese conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta… qualora dimostri che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e che l’intervento preventivo a tutela dell’ambiente è stato causato da: a) un’emissione o un evento espressamente consentiti da un’autorizzazione conferita ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari recanti attuazione delle misure legislative adottate dalla Comunità Europea di cui all’allegato 5 della parte sesta… applicabili alla data dell’emissione o dell’evento e in piena conformità alle condizioni ivi previste; b) un’emissione o un’attività o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un’attività che l’operatore dimostri non essere stati considerati probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell’emissione o dell’esecuzione dell’attività. (comma 5); resta impregiudicata la responsabilità e l’obbligo risarcitorio del trasgressore interessato (comma 6);>>

V. anche § 16 sul c.d. inquinamento diffuso , che elide il nesso di causalità escludendo l’applicazione del principio <chi inquina paga>.

<<18. per quanto detto, e richiamando nella sua interezza l’art. 191 comma 2 TFUE, una lettura coordinata del principio ‘chi inquina pagà ne esige la declinazione integrata con quelli di precauzione e dell’azione preventiva, nonché della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, potendo così fungere il primo non solo da criterio selettivo della responsabilità, ma anche – come invocato in dottrina – quale limite alla discrezionalità dei pubblici poteri, tutte le volte in cui si intenda limitare attività potenzialmente inquinanti e al fine di tutelare l’ambiente; la conseguente affermazione di un equilibrio che giustifichi in modo proporzionale la stessa limitazione della libertà economica, in ragione degli obiettivi non altrimenti perseguibili, oltre a giustificare procedimenti a base partecipativa dei soggetti incisi dai provvedimenti dell’autorità pubblica e a porne le ragioni di una necessaria motivazione, interferisce pertanto sul perimetro di discrezionalità applicativa che, nella materia, la stessa Direttiva altresì consente agli Stati membri;>>

Il marchio denominativo < V10 > per telefoni mobili è descrittivo e quindi non registrabile

Così il Tribunale UE 15.02.2023, T-741/21, LG Electronics inc. v. EUIPO-ZTE Deutschland GmbH .

<< 37   It is apparent from the documents submitted by the intervener and on which the Board of Appeal relied that alphanumeric combinations are frequently used in the field of mobile phones and smart phones. The Court also notes that those combinations are generally in the form of the letter ‘v’ followed by a number in ascending order, according to the year or month in which the mobile telephone or smart phone is launched on the market.

38 Since the goods covered by the contested mark are ‘Smart phones; Mobile phones; [and] Wearable smart phones’, it is clear that, when faced with those devices identified by the sign V10, the relevant public will give it the meaning which it has in a technological context. That public will understand that it refers to the abbreviation of the word ‘version’, followed by the version number of the goods in question. The alphanumeric combination ‘v10’ of the contested mark will therefore easily be understood by the relevant public as being intended to identify the tenth version of those goods.

39 Thus, the alphanumeric combination composed of the letter ‘v’ followed by a number indicates to the relevant public a characteristic of the goods at issue relating to their technological evolution and seeks to identify the different versions of those goods, as a variant of the earlier or later forms, which most likely incorporates certain modifications. (…)

It follows from the foregoing that the intervener put forward compelling evidence that the contested mark V10 had, for the relevant public, a sufficiently direct and specific relationship with the goods at issue by referring, inter alia, to several printouts from websites, from which it is apparent that the letter ‘v’ is clearly an abbreviation of the word ‘version’ and that the number which follows it refers to the number of the version in question >>.