E’ in gazzetta UE il regolamento sulla responsabilità dei provider (DSA Digital Services Act)

E’ oggi in GUCE n° L 277 del 27 ottobre 2022 il regolamento 2065 del 19 ottobre 2022 sull’oggetto.

Qui incollo solo gli artt. 4-8 riproducenti quelli aboliti della dir. c.d. e-commerce 2000 n. 31 (spicca però l’art. 7 sulle indagini volontarie):

<< Articolo 4    Semplice trasporto
1. Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio o nel fornire un accesso a una rete di comunicazione, il prestatore del servizio non è responsabile delle informazioni trasmesse o a cui si è avuto accesso a condizione che:
a) non dia origine alla trasmissione;
b) non selezioni il destinatario della trasmissione; e
c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.
2. Le attività di trasmissione e di fornitura di accesso di cui al paragrafo 1 includono la memorizzazione automatica, intermedia e transitoria delle informazioni trasmesse, a condizione che questa serva solo alla trasmissione sulla rete di comunicazione e che la sua durata non ecceda il tempo ragionevolmente necessario a tale scopo.
3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, conformemente all’ordinamento giuridico dello Stato membro, che un’autorità giudiziaria o amministrativa esiga che il prestatore del servizio impedisca o ponga fine a una violazione.

Articolo 5    Memorizzazione temporanea
1. Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile della memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficiente o più sicuro il successivo inoltro delle informazioni ad altri destinatari del servizio su loro richiesta, a condizione che detto prestatore:
a) non modifichi le informazioni;
b) si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni;
c) si conformi alle norme sull’aggiornamento delle informazioni, indicate in un modo ampiamente riconosciuto e utilizzato dalle imprese del settore;
d) non interferisca con l’uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull’impiego delle informazioni; e
e) agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l’accesso alle stesse, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni all’origine della trasmissione sono state rimosse dalla rete o che l’accesso alle informazioni è stato disabilitato, oppure che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa ha ordinato la disabilitazione dell’accesso a tali informazioni o ne ha disposto la rimozione.
2. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, conformemente all’ordinamento giuridico dello Stato membro, che un’autorità giudiziaria o amministrativa esiga che il prestatore del servizio impedisca o ponga fine a una violazione.

Articolo 6    Memorizzazione di informazioni
1. Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore del servizio non è responsabile delle informazioni memorizzate su richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:
a) non sia effettivamente a conoscenza delle attività o dei contenuti illegali e, per quanto attiene a domande risarcitorie, non sia consapevole di fatti o circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dei contenuti; oppure
b) non appena venga a conoscenza di tali attività o contenuti illegali o divenga consapevole di tali fatti o circostanze, agisca immediatamente per rimuovere i contenuti illegali o per disabilitare l’accesso agli stessi.
2. Il paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce sotto l’autorità o il controllo del prestatore.
3. Il paragrafo 1 non si applica in relazione alla responsabilità prevista dalla normativa in materia di protezione dei consumatori per le piattaforme online che consentono ai consumatori di concludere contratti a distanza con operatori commerciali, qualora tali piattaforme online presentino informazioni specifiche o rendano altrimenti possibile l’operazione specifica in questione in modo tale da indurre un consumatore medio a ritenere che le informazioni, o il prodotto o il servizio oggetto dell’operazione, siano forniti dalla piattaforma stessa o da un destinatario del servizio che agisce sotto la sua autorità o il suo controllo.
4. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, conformemente all’ordinamento giuridico dello Stato membro, che un’autorità giudiziaria o amministrativa esiga che il prestatore del servizio impedisca o ponga fine a una violazione.

Articolo 7    Indagini volontarie promosse di propria iniziativa e rispetto degli obblighi normativi
I prestatori di servizi intermediari non sono considerati inammissibili all’esenzione dalla responsabilità prevista agli articoli 4, 5 e 6 per il solo fatto di svolgere, in buona fede e in modo diligente, indagini volontarie di propria iniziativa o di adottare altre misure volte a individuare, identificare e rimuovere contenuti illegali o a disabilitare l’accesso agli stessi, o di adottare le misure necessarie per conformarsi alle prescrizioni del diritto dell’Unione e del diritto nazionale conforme al diritto dell’Unione, comprese le prescrizioni stabilite nel presente regolamento.

Articolo 8    Assenza di obblighi generali di sorveglianza o di accertamento attivo dei fatti
Ai prestatori di servizi intermediari non è imposto alcun obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che tali prestatori trasmettono o memorizzano, né di accertare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illegali>>.

Di immediata impatto poi l’art. 9 “Ordini di contrastare i contenuti illegali” e l’art. 10 “Ordini di fornire informazioni”.

C’è da lavorare per l’aggiornamento.

E’ un regolamento, quindi self executing: le eventuali disposizioni incompatibili con il d. lgs. 70 del 2003 determineranno la loro abrogazione.

Si applicherà dal 17 febraio 2024. Termine un pò troppo lungo.

Interessante caso di nullità di marchio per registrazione in mala fede

Sul sempre assai antipatico “scippo” di marchio spettante ad altri è istruttivo il caso deciso da Tribunale UE, T‑466/21, Baumberger c. EUIPPO, del 19.10.2022.

Un ristorqtore di Ibiza gestiva dal 2011 il <<Lío club >> includente  a restaurant, a cabaret and a nightclub.

Un tedesco, dopo averlo visto sul posto, nel 2015, registrava

per arredo casa e abbigliamento (tazze pentole asciugamani magliette etc.). Ha quindi la pensata di venderlo allo spagnolo: glielo offre prima per 1,5 millioni di euro  e poi per 3,5 milioni di euro!!.

Lo spagnolo però aveva delle anteriorità per classi 41 e 43, tipo

Il Trib. conferma l’ufficio circa la nullità per deposito in malafede (art. 59.1.b reg. 2017/1001.

L?interesse come sempre sta nella motivazione che porta al dispositivo e cioè, qui, nel capiure  quali sono i fattori che sostengono il giudizio di deposito in malafede.

L’ufficio si era basato su sei aspetti, § 15:

In the first place, the Board of Appeal found that the contested mark was virtually identical to the intervener’s Lío sign.

In the second place, it found that the applicant was fully aware of the intervener’s commercial activity at the time when he applied for registration of that mark.

In the third place, it considered that he had neither shown a proper and economically viable use of the contested mark nor a business activity observing an honest commercial logic and

in the fourth place, that his attempts to sell the contested mark and mark No 17225939 to the intervener appeared to be at odds with ethical and honest commercial practices due to the aspects of undue pressure which they contained.

In the fifth place, it stated that there was no comprehensible connection between the contested mark, the applicant and his activity.

Lastly, in the sixth place, it considered that his explanations were not free from contradictions, in particular as regards his allegedly famous dog and the book about that dog. It concluded that registration of the contested mark had been applied for with the intention of taking unfair advantage of the reputation of the Lío club. Thus, it took the view that the real purpose was to free-ride on the intervener’s reputation and take advantage of that reputation, in particular by selling the contested mark and mark No 17225939 for a disproportionate price.

Aspetti tutti confermati dal T.

Cos’ ragione in conclusione il T.:

<< 77    The Board of Appeal found that, taking account of the six factors which it considered relevant, the applicant intended to unduly profit from the Lío club’s repute as operated by the intervener when the applicant applied for registration of the contested mark, in particular by selling that mark and mark No 17225939 to the intervener for a disproportionate price.

78      It is apparent from paragraphs 27 to 29 above that account must be taken of the applicant’s intention at the time of filing the application for registration, namely 3 June 2015, and that that intention is a subjective factor which must be ascertained by reference to the objective circumstances of the particular case.

79      In that regard, the applicant cannot reasonably claim that his intention may not be established with certainty from an external point of view. Admittedly, this is a subjective reason, but that can be inferred from conduct that departs from principles recognised as being those related to ethical behaviour. Any other interpretation of Article 52(1)(b) of Regulation No 207/2009 would make it impossible to establish the existence of bad faith within the meaning of that provision.

80      Furthermore, as the applicant submits and as is apparent from paragraph 33 above, it was for the intervener to set out the facts enabling the finding that the applicant acted in bad faith when filing the application for registration of the contested mark. In the present case, it must be held that various factors capable of establishing that bad faith were indeed adduced by the intervener.

81      It is apparent from the overall analysis of the six factors on which the Board of Appeal relied that the applicant knew the intervener’s club and the sign used by the intervener, on the day on which the mark was filed, and that the activity of that club was publicised, which was also frequented by numerous celebrities. Furthermore, it is common ground that the sign constituting the contested mark and that used by the intervener were almost identical. In addition, the content of the various sales offers made it possible to make clear the applicant’s intention at the time of filing the application for registration of the contested mark and to identify aspects of undue pressure, in particular due to the unsolicited and repeated nature of those offers, the high prices charged, the unexplained increase in the sales price upon the involvement of a new investor in the intervener’s activities, the reference to short periods of validity of the offers and items already on sale experiencing success, specifically in Ibiza, where the intervener is established. Finally, evidence of a commercial activity consistent with honest commercial logic has not been adduced.

82      In the light of the foregoing, the use of the same stylisation for the signs at issue cannot be attributed to chance, since the applicant has, moreover, accepted that the sign constituting the contested mark was inspired by the sign used by the intervener in its business activities. Therefore, there are relevant and convergent factors enabling the conclusion that the intention of the applicant seeking registration of the contested mark at the time of filing of that application was to create a connection on the part of the public between the goods and services covered by that mark and the well-known club belonging to the intervener in order for the applicant to then monetise that mark (see, to that effect and by analogy, judgment of 28 April 2021, France Agro v EUIPO – Chafay (Choumicha Saveurs), T‑311/20, not published, EU:T:2021:219, paragraph 33).

83      Accordingly, the Board of Appeal was able to deduce from the particular circumstances of the case that, by applying for registration of the contested trade mark, the commercial logic of the applicant seeking registration was to ‘free-ride’ on the intervener’s club’s reputation and take advantage of that reputation (see, to that effect and by analogy, judgment of 14 May 2019, NEYMAR, T‑795/17, not published, EU:T:2019:329, paragraph 51), in particular by selling the contested mark to the intervener for a significant amount.

84      Therefore, the Board of Appeal did not err in finding that bad faith within the meaning of Article 52(1)(b) of Regulation No 207/2009 had been determined.>>

Marchio non distintivo nè ab origine nè in un secondo momento (Game tournaments)

Il marchio è questo, per computer games e altro:

Tribunale UE  T‑776/21 del 26.10.2022, ,Gameageventures LLP,  c. EUIPo, conferma i rigetti (parziali) dell’ufficio.

E’ nullo per mancnza di distintività , nemmeno sorpavvenuta (secondary meaning)

La parte piu interessnte è quella processuale circa le prove offerte per il secondary meaning., §§ 66-88:
<<  79   In order to prove that a significant proportion of the relevant public identified the goods and services concerned as originating from its undertaking, because of the mark applied for, the applicant submitted the following evidence to EUIPO:

–        two written statements;

–        evidence of cooperation with a major e‑sports broadcasting operator;

–        evidence of the provision of informational and promotional services;

–        Google Analytics traffic data for game-tournaments.com, namely the applicant’s website;

–        Extracts from the website game-tournaments.com.

80      First of all, as regards the two written statements, they are taken from persons established in Cyprus and in Sweden, the latter being the founder of an e‑sports team in Denmark. The witnesses stress that their statements are based on their knowledge, experience and impressions. They state that the mark applied for has indeed been put to use, since they have been confronted by its use since 2018 and 2019 respectively.

81      However, the mere fact that the sign has been used within the European Union for some time is not sufficient to demonstrate that the public targeted by the goods or services in question perceives it as an indication of commercial origin (see, to that effect, judgment of 11 April 2019, Adapta Color v EUIPO – Coatings Foreign IP (Bio proof ADAPTA), T‑224/17, not published, EU:T:2019:242, paragraph 111 and the case-law cited). Further, even though the witnesses assert that the mark has been used within the European Union, neither specifies the countries in which that use took place. Therefore, the written statements do not demonstrate use of the mark in the relevant part of the European Union by a significant portion of the relevant public.

82      Next, as regards the evidence of cooperation with a major esports broadcasting operator, that evidence consists of, first, a letter of intent between the applicant and an undertaking based in Cyprus, allowing the applicant to broadcast sporting events and, second, certificates of appreciation for two of those sporting events. That evidence therefore refers only to a single collaboration agreement of one year’s duration and in no way demonstrates that the mark applied for has acquired any distinctive character in consequence of its use.

83      Furthermore, the evidence of the provision of informational and promotional services consists of a sponsorship agreement, an information provision and licence agreement and a set-off agreement between the applicant and an undertaking established outside the European Union. That evidence shows that the applicant provides promotional and informational services, for that undertaking in particular. However, no mention is made in those documents of the countries concerned or of the relevant public. Nor did the applicant explain in the application what the connection was between those documents and the distinctive character acquired through its use.

84      Further, the Google Analytics data on the game-tournaments.com traffic show that thousands of users in Denmark, Finland, Ireland, the Netherlands, Portugal and Sweden visited the applicant’s website between 1 January 2018 and 29 February 2020. It should be noted that Cyprus and Malta are not mentioned there. In that regard, the Board of Appeal rightly pointed out, with regard to the number of residents in those countries, that the number of users represented only 0.1% of the general public in the countries mentioned.

85      Finally, the applicant also provided extracts from the game-tournaments.com website.  Although the mark applied for appears on the various pages of the website, it is not obvious, since it occupies only a small area and is positioned only in the corner of the website pages, that by its mere presence it contributes to any distinctive character of that mark among the relevant public. The applicant merely describes the content of its website but does not explain how the website in question confers distinctive character on the mark applied for.

86      It must be noted that those limited samples, which do not cover all the relevant countries, are not representative of the whole of the relevant public in the part of the European Union where the sign is considered to be devoid of distinctive character. Moreover, given its nature, the evidence provided by the applicant is insufficient to demonstrate that distinctive character has been acquired through the use of the mark applied for.

87      It follows from the foregoing that none of the evidence provided by the applicant is capable of calling into question the Board of Appeal’s finding that the evidence produced is not sufficient to prove that a significant portion of the relevant public is able, because of the mark applied for, to identify the goods and services concerned as originating from a particular undertaking.>>

Tik tok responsabile per video che spingono a prove estreme? Sul safe harbour ex § 230 CDA

La corte dell’eastern district della Pennsylvania, Civ. No. 22-1849, del 25.10.2022, Anderson c. TikTOk, decide una dolorosa lite.

la domanda era svolta contro TT dalla madre di ragazza rimasta uccisa (a 10 anni!) nel cimentarsi con una delle pericolosissime prove di  “coraggio” che tristemente circolano sui social tra gli adolescenti. Nel caso era il “Blackout Challenge” (sopportazione di strangolamento crescente).

TT eccepisce il safe harbour ex 230 CDA.

La madre si sforza di provar il fatto proprio della piattaforma e nnn meramente dellutente uploader : <<Anderson bases her allegations entirely on Defendants’ presentation of “dangerous and deadly videos” created by third parties and uploaded by TikTok users. She thus alleges that TikTok and its algorithm “recommend inappropriate, dangerous, and deadly videos to users”; are designed “to addict users and manipulate them into participating in dangerous and deadly challenges”; are “not equipped, programmed with, or developed with the necessary safeguards required to prevent circulation of dangerous and deadly videos”; and “[f]ail[] to warn users of the risks associated with dangerous and deadly videos and challenges.” (Compl. ¶¶ 107, 127 (emphasis added).) Anderson thus premises her claims on the “defective” manner in which Defendants published a third party’s dangerous content.>>

Ma la corte immancabilmente rigetta, ritenendo operante la libertà editoriale.  Sono esmanati i precedenti tra cui quello dello Speed filter sull’applicazione Snapchat

La cosa è però sorprendente, alla luce della ratio di quest’ltima (garantire la libertà di pensiero ).

Intanto la piattaforma ha pesantemente diffuso il video, dice la madre. Però qui potrebbe replicarsi che ciò corrisponde all’ analogico decidere se la notizia vada in prima o quinta pagina.

POi il contributo al libero pensiero, nello spingere i ragazzi verso prove ad elevatissima rischiosità per la salute o la vita,   è scarso se non inesistente: parrebbe invece  istigazione colposa (colpa cosciente se non solo eventuale) alle autolesioni o al suicidio .

Un’intepretazione costituzionalmente corretta dovrebbe dunue indurre a decisione opposta,

E’ da vedere se tale interpretazione possa essere data  anche in base alla lettera della Costituzione usa o se ne serva una evolutiva. Nel secondo caso, con una Corte Suprema come quella attuale -radicalmente originalista per 6 a 3-  e col vincolo del precedente, sarebbe quasi impossobile.

La Cassazione sul patto di quota lite (stipulato nel periodo tra lenzuolata Bersani e legge professionale del 2012)

Principio di diritto enunciato da Cass.  28.914 del 5 ottobre 2022, sez. 2, rel Scarpa:

<< il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione del terzo comma dell’art. 2233 c.c. operata dal d.l. n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13, comma 4, della legge n. 247 del 2012, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’art. 1261 c.c., è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell’equità alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 del codice deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all’epoca della conclusione dell’accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo lo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali>>.

Per “tariffa di mercato” leggesi -credo- “tariffa professionale”

Nel caso specifico, il credito pattuito era del 30 % sull’incassato, oltre a aspese

Nessun cenno ad anticipazione di spese vive da parte del cliente.

Sulla costituzione in mora interruttiva della prescrizione (art. 1219 c. 1 cc): deve esserci chiara manifestazione della volontà di affermare il diritto

Così Cass,. sez. 1 del 19.10.2022 .n. 30.783, rel. Falabella, nella lite per risarcimento danni da abuso di posizione dominante, commesso da V. contro BT Italia.

La domanda di BT era stata accolta in primo grado ma rigettata in appello per prescrizione del diritto.

Questo il passaggio pertinente di Cass. 30.783/2022:

<< La sentenza, sul punto, sfugge a censura, facendo corretta
applicazione del principio, in essa richiamato ─ e a cui il Collegio intende
dar seguito ─, per cui, per produrre l’effetto interruttivo della
prescrizione, un atto deve contenere, oltre alla chiara indicazione del
soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la
richiesta scritta di adempimento, che ― sebbene non richieda l’uso di
formule solenni né l’osservanza di particolari adempimenti ― sia idonea
a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far
valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto
sostanziale di costituirlo in mora (Cass. 31 maggio 2021, n. 15140;
Cass. 7 settembre 2020, n. 18546; Cass. 14 giugno 2018, n. 15714;
Cass. 12 febbraio 2010, n. 3371; Cass. 30 novembre 2006, n. 25500;
Cass. 2 agosto 2001, n. 10608). Quest’ultimo requisito non è poi
ravvisabile in semplici sollecitazioni prive di carattere di intimazione e
di espressa richiesta di adempimento al debitore (Cass. 14 giugno
2018, n. 15714 cit.; Cass. 12 febbraio 2010, n. 3371 cit.; cfr. pure
Cass. 16 maggio 2014, n. 10789, secondo cui in tema di espropriazione
per pubblica utilità, ove l’Amministrazione espropriante pervenga
all’acquisizione dell’immobile privato mediante cessione volontaria, la
semplice affermazione del diritto alla riliquidazione dell’indennità di
occupazione, indirizzata al debitore unitamente alla richiesta di
informazioni sullo stato della procedura di liquidazione, costituisce una
mera sollecitazione e non integra gli estremi della richiesta o
intimazione di pagamento idonea ad interrompere la prescrizione).
L’istante fa questione della ricorrenza, in concreto, della inequivocabile
manifestazione della volontà ad ottenere il pagamento, per come
desumibile dalla detta comunicazione epistolare; e tuttavia, in linea di
principio, l’inesistenza di tale volontà ben poteva desumersi dalla
portata interlocutoria della comunicazione, che si era limitata ad
auspicare un incontro tra le parti: circostanza, questa, valorizzata dalla
Corte di merito sulla scorta di un accertamento di fatto che sfugge al
sindacato di legittimità; la successiva corrispondenza dell’asserita
creditrice non poteva, poi, di certo sovvertire il portato della
dichiarazione contenuta nella prima comunicazione, giudicata priva
della esplicitazione di una richiesta di pagamento
>>

La decisione pare esatta.

Da un lato la chiarezza di intento affermativo del diritto (individuarlo + manifestare volontà di agire per difenderlo) è l’essenza del concetto di costituzione in mora.

Dall’altro, la missiva disputata parrebbe un pò fiacca, quanto al secondo elemento.

Studio del Parlamento UE su proprietà intellettuale e NFTs-Distributed Ledger Technology

Interessante studio (di provenienza tedesca) per il Parlamento UE <<Intellectual Property Rights and Distributed Ledger Technology with a focus on art NFTs and tokenized art>> del 18.10.2022 n° PE 737.709 .

Sono indicati i precisi signiicati dei termini comunemente usati in tema .

Si tenta poi di inquadrare giuridicamente l’uso di NFTs nei diritti IP.-

Quanto al diritto di autore, laddove vi sia ripoduizione, serve il consenso del titolare dei diritti. Banalità , ma che occorre ripetere vista la poca chiarezza circolante.

Simile ma non identico per i marchi: se si usano nel token marchi altrui e si tratta di uso nel commmercio, c’è violazione.

In breve, non ci sono grosse differenze rispetto a prima : nel senso che il tipo di problemi pare essere sostanzialmente uguale, a parte qualche nuova tecnicalità.

Più intressante forse è il § 3.3 Rischi e opportunità per gli NFTs e DLT nel caso della materia IP

Lotta tra marchi figurativi (complessi): il caso Polo Club

Questi i due marchi in competizione:

Marchio anteriore
marchio successivo

Sovrapponibilità merceologica totale.

Decide Tribunale UE sentenz a19.10.2022 , T-437/21, Greenwich Polo Club, Inc. c. EUIPO + Lifestyle Equities CV interv.

Sentenza interessante che riassume il modo di condurre il giudizio nel caso di marchio figurativi rectius complessi.

Il Tribunale cofnerma l’ufficio mnel sensp cjhe c’è  il rischio di confondibilitò

<< 89   In the present case, it must be borne in mind, first, as is clear from paragraphs 45 to 51 above, that the Board of Appeal did not make any error of assessment in finding that the goods at issue were, in part, identical and, in part, similar to a normal to high degree.

90      Secondly, as has been stated in paragraph 60 above, since the goods at issue are not directly connected with polo playing, the signs at issue have a normal to enhanced degree of distinctiveness with regard to those goods.

91      Thirdly, as is clear from paragraphs 36, 68 and 81 above, the signs at issue are characterised by an average degree of visual similarity, a low degree of phonetic similarity and a high degree of conceptual similarity. The Board of Appeal was therefore right in finding that the signs at issue were similar overall to an average degree.

92      Accordingly, given that the factors relevant to the assessment of whether there is a likelihood of confusion are interdependent, as has been stated in paragraph 82 above, the identity of the goods, coupled with the high degree of conceptual similarity between the signs at issue, is sufficient to conclude, in the present case, that there is a likelihood of confusion with regard to the goods at issue which have been held to be identical (see, to that effect, judgment of 18 February 2004, Koubi v OHIM – Flabesa (CONFORFLEX), T‑10/03, EU:T:2004:46, paragraph 58).

93      As regards the goods which have been held to be similar to an average to high degree, that factor, combined with the signs’ similarity – above all their conceptual similarity – and with the average degree of distinctiveness of the signs with regard to those goods, is sufficient to conclude, as the Board of Appeal found, that a likelihood of confusion cannot be excluded (see, to that effect, judgment of 10 November 2016, POLO CLUB SAINT-TROPEZ HARAS DE GASSIN, T‑67/15, not published, EU:T:2016:657, paragraph 88).>>

Piattaforma streaming che permette diffusione di opere protette tramite oscuramento indirizzi IP (VPN) praticato dagli utenti: è responsabile?

Interessante questione discussa dall’avvocato generale Szpunar in causa C-423/21 nelle sue Conclusioni 20.10.2022 ,  Grand Production d.o.o. contro GO4YU GmbH  – DH, –  GO4YU d.o.o  -MTEL Austria GmbH .

Questione pregiudiziale 1:

<<«Se la nozione di «comunicazione al pubblico» di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva [2001/29], debba essere interpretata nel senso che la realizza un gestore diretto (nel caso di specie non stabilito nell’Unione) di una piattaforma di streaming, il quale:

–        decide autonomamente in ordine al contenuto e all’oscuramento delle trasmissioni televisive dallo stesso diffuse, eseguendolo dal punto di vista tecnico;

–        dispone in esclusiva dei diritti di amministratore per la piattaforma di streaming;

–        è in grado di incidere sulla determinazione dei programmi televisivi che possono essere ricevuti dall’utente finale tramite il servizio, ma non sul contenuto dei programmi;

–        e rappresenta l’unico punto di controllo per stabilire quali programmi e contenuti possano essere visti in quale momento e in quali territori,

qualora al riguardo, nello specifico,

–        all’utente venga fornito l’accesso non solo ai contenuti della trasmissione alla cui fruizione online i rispettivi titolari dei diritti abbiano acconsentito, ma anche a contenuti protetti rispetto ai quali non sussista un’analoga dichiarazione, e

–        il gestore diretto della piattaforma di streaming sia a conoscenza del fatto che il proprio servizio consente anche la ricezione di contenuti protetti della trasmissione senza il consenso dei titolari dei diritti, dato che i clienti finali utilizzano servizi VPN, i quali simulano la presenza dell’indirizzo IP e del dispositivo del cliente finale in territori per i quali sussiste un consenso del titolare dei diritti, o (5)

–        la ricezione di contenuti protetti della trasmissione era effettivamente possibile per diverse settimane tramite la piattaforma di streaming senza il consenso dei titolari dei diritti anche non avvalendosi di tunnel VPN.>>

Questione pregiudiziale 2:

<< In caso di risposta affermativa alla prima questione:

Se la nozione di «comunicazione al pubblico» di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29/CE debba essere interpretata nel senso che essa si realizza anche ad opera di terzi (nel caso di specie, con sede nell’Unione) collegati con il gestore di una piattaforma descritto nella prima questione sul piano contrattuale e/o del diritto delle società, i quali, pur non esercitando alcuna influenza sugli oscuramenti o sui programmi e contenuti delle trasmissioni diffuse tramite la piattaforma di streaming,

–        promuovono la piattaforma di streaming del gestore e i suoi servizi e/o

–        sottoscrivono con i clienti abbonamenti di prova a cessazione automatica decorsi 15 giorni, e/o

–        forniscono supporto ai clienti della piattaforma di streaming a titolo di assistenza clienti, e/o

–        offrono sulla loro pagina Internet abbonamenti a titolo oneroso per la piattaforma di streaming del gestore diretto e quindi operano quali controparti contrattuali dei clienti e destinatari dei pagamenti, per cui detti abbonamenti a pagamento vengono predisposti in maniera tale che venga fatto un esplicito riferimento all’indisponibilità di certi programmi solo nel caso in cui un cliente, all’atto della conclusione del contratto, dichiari espressamente la sua intenzione di vedere tali programmi, mentre, in assenza di pertinenti indicazioni o di specifica richiesta da parte del cliente, quest’ultimo non ne viene informato in anticipo.>>

In breve il riassunto dell’AG:  19  Nella presente causa il giudice del rinvio ha sottoposto alla Corte tre questioni pregiudiziali. La prima di esse riguarda la portata della responsabilità del gestore di una piattaforma di streaming (6) per la comunicazione al pubblico, su tale piattaforma, di contenuti protetti dal diritto d’autore, senza l’autorizzazione dei titolari dei diritti. La seconda questione verte su un’eventuale responsabilità dei soggetti che collegati a tale gestore. Infine, la terza questione concerne la portata della competenza dei giudici degli Stati membri in materia di violazioni del diritto d’autore. Passo ad analizzare le suddette questioni nell’ordine in cui sono state poste.

La risposta alla questione 1 è negativa, sempre che la piattaforma rimanga passiva e cioè non faciliti in qualche modo l’elusine via VPN da parte degli utenti:

<42  L’elemento specifico della causa in esame è l’assenza di terzi che mettano a disposizione degli utenti i programmi prodotti dalla società Grand Production in violazione del blocco geografico dell’accesso applicato dalla società GO4YU Beograd. Ad eludere tale blocco sono gli stessi utenti, che ottengono l’accesso ai programmi in parola senza l’intermediazione di nessun soggetto (20).

42.      Non mi sembra, tuttavia, che questo sia un motivo sufficiente per ritenere la società GO4YU Beograd responsabile di tale situazione. La società Grand Production ha probabilmente ragione nell’affermare che la società GO4YU Beograd sia a conoscenza del fatto che il suo blocco geografico dell’accesso viene aggirato tramite il servizio VPN. Tuttavia anche la società Grand Production è a conoscenza di tale fatto. L’elusione di diversi tipi di misure di protezione da parte degli utenti costituisce un rischio inerente alla distribuzione in forma digitale, soprattutto in Internet, di opere protette dal diritto d’autore. La società Grand Production, consentendo alla società GO4YU Beograd di comunicare al pubblico i suoi programmi su una piattaforma di streaming in un determinato territorio, ha dovuto tener conto del fatto che un certo numero di utenti poteva ottenere l’accesso ad esse al di fuori di tale territorio.

43.      Ciò non implica, tuttavia, che la società GO4YU Beograd sia responsabile per la comunicazione al pubblico di tali programmi ai suddetti utenti. Conformemente alla logica della succitata giurisprudenza della Corte, la prevista cerchia di persone a cui è rivolta una comunicazione al pubblico viene determinata dall’intenzione del soggetto che effettua tale comunicazione, la quale è desunta dalle misure tecnologiche di protezione applicate.

44.      La situazione sarebbe diversa solo qualora la società GO4YU Beograd applicasse intenzionalmente un blocco geografico dell’accesso inefficace al fine di consentire effettivamente alle persone che si trovano al di fuori del territorio nel quale essa è autorizzata a comunicare al pubblico i programmi prodotti dalla società Grand Production di accedere ai programmi in questione, in modo facilitato rispetto alle possibilità oggettivamente esistenti su Internet, in particolare rispetto ai servizi VPN generalmente disponibili. In quel caso, si dovrebbe ritenere che la società GO4YU Beograd, con piena cognizione delle loro conseguenze, adotti misure finalizzate a garantire ai suoi clienti l’accesso all’opera protetta, in una situazione in cui, in assenza delle suddette misure, i suoi clienti non potrebbero, in linea di principio, accedere all’opera in questione (21). Spetta al giudice del rinvio accertare tale circostanza. Orbene, le parti del contratto di licenza possono prevedere in tale contratto obblighi più gravosi per il licenziatario per quanto riguarda le misure limitative dell’accesso ai contenuti oggetto del contratto>>.

Allora il titolare dei diritti, se vuole protezione anche contro la piattaforma, deve imporle contrattualmente dei doveri di attivazione a livello tecnololigico: così l’eventual inadempimnento sotto questo profilo è violazione oltre che contrattuale anche della privativa.

Circa la questione 2, a cascata, nemeno chi collabora per la promizione commerciale con la piattaforma è responsabuile.; <<53.      Alla luce di quanto precede, propongo di rispondere alla seconda questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 deve essere interpretato nel senso che un soggetto collegato al gestore di una piattaforma di streaming, sulla quale sono messe a disposizione opere protette dal diritto d’autore, il quale promuove tale piattaforma, sottoscrive con i clienti i contratti relativi ai servizi forniti dal gestore della stessa nonché fornisce supporto a detti clienti, ma non esercita alcuna influenza sui contenuti messi disposizione sulla piattaforma né sull’applicazione in essa di misure limitative dell’accesso intese a tutelare i diritti d’autore di terzi, non realizza una comunicazione al pubblico ai sensi della citata disposizione.>>

Attendiamo ora la decisione della Corte.

Ancora respinta la domanda di marchio del tessuto scozzese di Vuitton: manca la prova del secondary meaning

Il Tribunale UE con sentenza 19.10.2022 , T-275/21, Luis Vuitton c. EUIPO, ha riconfermato la nullità del marchio  del noto tessuto (si v. il mio post 24 luglio 20 sulla prima sentenza).

Era stato già dichiarato privo di distintività ab origine ma rimandato all’Ufficio per esaminare la eventuale distintività sopravvenuta.

Ma l’ufficio l’ha negata e così pure il Tribunale.

Sentenza importante non tanto per il gidizio finale nel caso specifico quanto per l’iter motivatorio: sarà il leading case per la determinazione del secondary meaning (ma anche per quella ab origine) nei marchi europei.

Fattori da considerare: <<23   In order to determine whether a mark has acquired distinctive character, account must be taken, inter alia, of the market share held by the mark, how intensive, geographically widespread and long-standing the use of the mark has been, the amount invested by the undertaking in promoting the mark, the proportion of the relevant class of persons who, because of the mark, identify the product as originating from a particular undertaking, statements from chambers of commerce and industry or other trade and professional associations as well as opinion polls (see judgment of 21 April 2015, Louis Vuitton Malletier v OHIM – Nanu-Nana (Representation of a grey chequerboard pattern), T‑360/12, not published, EU:T:2015:214, paragraph 90 and the case-law cited).>>

da provare in tutti gli stati ue , § 28 (si badi: in tutti)

la parte più interessante è quando poi esmina i singoli mezzi di prova in casau.

Tra i molti ricordo per la suasemrep poco cjhiartr rilevanza quella della presenza in rete

<<84  By contrast, the mere fact that a website on which the mark at issue was promoted is accessible in certain Member States is not sufficient to demonstrate that a significant part of the relevant public in those Member States has been exposed to that mark. The mere existence of a website is not capable of establishing the intensity of use of a trade mark or of the relevant public’s exposure to that mark (see, to that effect and by analogy, judgment of 19 November 2014, Out of the blue v OHIM – Dubois and Another (FUNNY BANDS), T‑344/13, not published, EU:T:2014:974, paragraph 29).

(…) 90  In that regard, it is important to note that whilst, in principle, the fact that a search engine or social network algorithm associates the name of the contested mark and the goods made by the proprietor of that mark may be a relevant indicator for the purposes of assessing distinctive character acquired through use of the contested mark (see paragraph 83 above), it remains the case that the Board of Appeal rightly found that, given the small percentages of data concerning the relevant Bulgarian and Slovakian public, and given the low number of repetitions of the keywords in question, that evidence did not demonstrate an exposure of a significant part of that public to the contested mark.

(…)

967  Lastly, as regards the sites where the top-level domain is general, namely ‘www.upscalehype.com’, ‘www.coolspotters.com’, ‘www.bloguez.com’, ‘www.bagbliss.com’ and ‘www.styleestate.com’, suffice it to state that the applicant has not submitted any substantiated evidence demonstrating that a part of the relevant public in the Member States concerned consulted them. Therefore, the Board of Appeal cannot be criticised for having found that they did not primarily target the Member States concerned (see paragraph 82 above)>>.