Incarico ad avvocato conferito da altro avvocato: chi è tenuto al pagamento del primo? Il secondo oppure il cliente beneficiario della prestazione?

Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 21/02/2022) 25/03/2024, n. 7953, rel. Giannacari (testo da Onelegale:

<<Occorre, pertanto, distinguere tra rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura “ad litem” e rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l’incarico, il quale può essere anche diverso da colui che ha rilasciato la procura.    Più in generale, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, il rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. Ciò comporta che il cliente del professionista non è necessariamente colui nel cui interesse viene eseguita la prestazione d’opera intellettuale, ma colui che, stipulando il relativo contratto, ha conferito incarico al professionista ed è conseguentemente tenuto al pagamento del corrispettivo (Cass. Civ., Sez. VI, 12.3.2020, n.7037; Cass. Civ., Sez. III, 3.8.2016, n. 16261; Cass. Civ., Sez. II, 29.9.2004, n. 19596)

Il richiamato principio, ai fini dell’individuazione del soggetto obbligato a corrispondere il compenso al difensore per l’attività professionale richiesta, opera altresì quando, come nel caso in esame, sia stato conferito un incarico difensionale ad un avvocato da parte di un altro avvocato ed in favore di un terzo. Nonostante la presenza di una procura congiunta, ben può intendersi superata la presunzione di coincidenza del contratto di patrocinio con la procura alle liti, ove risulti provato, sia pur in via indiziaria, il distinto rapporto interno ed extraprocessuale di mandato esistente tra i due professionisti sicchè la procura rilasciata dal terzo in favore di entrambi costituisce solo lo strumento tecnico necessario all’espletamento della rappresentanza giudiziaria, indipendentemente dal ruolo di dominus svolto dall’uno rispetto all’altro nell’esecuzione concreta del mandato (Cassazione civile sez. VI, 12/03/2020, n. 7037; Cass. Civ., Sez. II, 20.11.2003, n. 26060; Cass. Civ., Sez. II, 27.12.2004, n. 24010)>>.

Applicato al caso di specie:

<<Nel caso di specie, la Corte d’appello ha accertato che con delibera di Giunta n. 161 del 5.7.2002 il Comune aveva conferito mandato all’Avv. B.B., con facoltà di avvalersi dell’Avv. A.A. o di altro avvocato del proprio studio, sicchè sussisteva la prova dell’assenza del contratto di patrocinio tra l’Avv. A.A. ed il Comune, indipendentemente dalla sottoscrizione della procura da parte del Sindaco.

Detta delibera è stata richiamata dallo stesso ricorrente nel ricorso per decreto ingiuntivo, con ciò confermando l’esistenza del contratto di patrocinio con l’Avv. B.B., al quale dovrà indirizzare la richiesta di compenso.

La giurisprudenza richiamata dal ricorrente, secondo cui, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., il conferimento della procura ed il concreto esercizio della rappresentanza giudiziale, costituiscono prova del contratto di patrocinio con la pubblica Amministrazione, non esclude che l’ente possa provare che il conferimento della procura sia limitato all’esercizio della sola rappresentanza processuale e che il contratto di patrocinio sia stato concluso con altro professionista>>.

Obbligo informativo del cliente da parte dell’avvocato

Cass sez. III del 11/12/2023 n. 34.412, rel., Moscarini:

<<Con questa affermazione la Corte del gravame ha determinato una erronea inversione dell’onere della prova esonerando il legale, su cui invece la legge pone il relativo onere, dai suoi precipui obblighi informativi; la ordinanza viola sia la norma sul riparto probatorio e quindi l’art. 2697 c.c. e anche gli artt. 1176 e 2236 c.c. perché omette di considerare che in base alla L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 5 è il professionista ad essere tenuto (e quindi a dover provare), nel rispetto del principio di trasparenza, ad informare il cliente del livello di complessità dell’incarico fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento della conclusione del conferimento alla conclusione dell’incarico; è altresì tenuto a comunicare in forma scritta a colui che conferisce l’incarico professionale la prevedibile misura del costo della prestazione distinguendo tra oneri, spese forfettarie e compenso professionale; questi obblighi costituiscono pertanto misura della sua diligenza professionale ai sensi dell’art. 1176 e 2236 c.c.>>

Sui 90 mln $ di compenso (comprensivo di enorme success fee) chiesto in extremis da Watchell Lipton a Twitter prima del closing dell’acquisizione, ora contestato da Musk

I 90 milioni di dollari chiesti a (e pagati da) Twitter dallo studio Watchell Lipton Rosen& Katz per completare la acquisizione dopo un precedente accordo su base oraria sono chiesti ora in restituzione  .

Su probatestars.com   il link diretto alla citaizone.

I motivi di irragionevolezza:

<<72. First, Wachtell engaged in improper overreaching in soliciting and negotiating the success
fee. Wachtell and Twitter were parties to the June 21 Engagement Letter, which did not entitle Wachtell
to a success fee. Wachtell had not procured any other written agreement entitling it to a success fee or
any other fee tied to results achieved, as required by California law and Wachtell’s ethical duties. And
Wachtell had already performed all work on an hourly fee basis under the June 21 Engagement Letter,
for which Wachtell had already procured a material concession from Twitter in the form of Twitter’s
waiver of its normal request for a 15% discount. Moreover, Wachtell engaged in overreaching because,
as discussed below, it made misleading statements and omissions surrounding its fee.
73. Second, Wachtell failed to disclose all material facts to Twitter related to the success fee.
Wachtell did not disclose its ethical duties and obligations related to fee modifications or related to the
requirement for written agreements for any success fees or similar fees. And Wachtell did not disclose
facts sufficient to enable Twitter to evaluate the reasonableness of the success fee portion of Wachtell’s
requested $90 million total fee relative to Wachtell’s fees in other matters, instead sending the incomplete
and self-serving October 20, 2022 memo. As described above, Wachtell’s October 20, 2022 memo on
fees suggested that Wachtell “often” received premium fees of 67%–100% of investment banking fees,
while failing to disclose numerous factors that would be relevant and necessary to compare those fees (in
dissimilar transactional matters) to the size of the fee Wachtell was requesting from Twitter. In the end,
Wachtell was paid more than any of the investment banks. Similarly, as described above, Wachtell’s
October 20, 2022 memo self-servingly suggested that Wachtell “frequently” received fees of 2x to 2.5x
its run rate fees in litigation, without disclosing facts relevant to assessing whether those matters were
fairly representative and comparable to the fee Wachtell was requesting from Twitter. In other words,
Wachtell transmitted a memo to Twitter making it sound like the premium it requested in the form of the
success fee was typical and ordinary, when in reality the fee represented a windfall—even by Wachtell’s
standards—for a litigation matter in which Wachtell bore zero risk and had already completed all work
under the June 21 Engagement Letter on an hourly basis.
74. Third, the fee was grossly excessive in proportion to the value of the services performed.
Wachtell would have received a windfall relative to the value of the services performed had it just been
paid in full for hourly time billed given that (1) Wachtell’s hourly rates are already high relative to market
rates, (2) Wachtell billed unreasonable amounts of time to the litigation, and (3) several Wachtell
timekeepers failed to provide any description whatsoever of the time supposedly spent, let alone adequate
detail to assess the work performed. The addition of Wachtell’s requested success fee drove its alreadyexcessive
billings higher still, resulting in a $90 million total fee that was nearly six times the already
inflated hourly fees in the invoices Wachtell submitted. And unlike in traditional contingency fee
engagements where premiums over hourly rates establishing market norms are justified because the law
firm took on substantial risk, Wachtell took on no risk whatsoever in connection with the Closing Day
Letter Agreement. All services had already been performed, deal closing was imminent, and the Closing
Day Letter Agreement provided that Wachtell would continue to be paid both its full hourly rates in the
extremely unlikely event that the merger failed to close at the last minute plus a (presumably higher)
success fee to be determined later.
75. Fourth, Wachtell was more sophisticated and knowledgeable than Twitter when it comes
to the market rate for legal services in mergers and litigation surrounding mergers. In addition, Wachtell knew that it was dealing with lame duck fiduciaries who made no attempt to honor their duties to Twitter
as a continuing corporation. So, Wachtell exploited that information asymmetry, and the ill-will of
Twitter’s disgruntled executives, to pass off its success fee request as normal or typical when the size of
its $90 million total fee was anything but typical.
76. Fifth, Wachtell was one of six large law firms that represented Twitter in connection with
the merger litigation, a relatively straightforward breach of contract dispute in which Twitter sought to
hold the Musk Parties to the Merger Agreement and to close the transaction. While there were important
factual disputes, there were not novel or difficult questions of law involved, nor did the litigation require
any special skills beyond that which Twitter could have procured by paying hourly rates to many other
reputable law firms with experience litigating in the Delaware Chancery Court, including those hired to
work alongside Wachtell.
77. Sixth, entering into the Closing Day Letter Agreement did not preclude Wachtell from
taking on other matters (i.e., there were no opportunity costs) because the litigation had concluded and
Wachtell’s work was complete.
78. Seventh, at the time the Closing Day Letter Agreement was entered into, there were no
time limitations imposed by Twitter or other circumstances that would have required some outsized fee
to retain counsel to pursue the representation. Rather, the litigation had already been resolved.
79. Eighth, even assuming Wachtell attorneys’ experience, reputation, and ability may
command a slightly higher fee than other counsel, any justifiable premium was already incorporated into
Wachtell’s standard hourly rates. Wachtell had agreed to represent Twitter for its full hourly rates (after
rejecting the standard 15% discount requested by Twitter) under the June 21 Engagement Letter.
80. Ninth, while the success fee requested by Wachtell was conditioned on the merger closing,
the fee was not a typical contingency fee in that: (a) the Closing Day Letter Agreement was not entered into until the day the merger closed and after the litigation for which Wachtell was retained had already
been resolved; and (b) the Closing Day Letter Agreement provided that Wachtell would still receive
payment on all time billed at its full hourly rates even if the transaction fell apart later that day. Thus,
Wachtell bore no risk whatsoever (unlike a typical contingency fee arrangement).
81. Tenth, no additional time and labor was likely to be required at the time Wachtell
negotiated its success fee and entered into the Closing Day Letter Agreement. The litigation had already
been resolved, after which it became a foregone conclusion that the merger would close.
82. Eleventh, Twitter did not give informed consent to the success fee. Although Twitter’s
board of directors ultimately approved the $90 million total fee, the directors were not provided with all
material facts, largely due to Wachtell’s own lack of disclosure. Wachtell did not advise Twitter to seek
independent counsel with respect to the last-minute modification of the fee. Despite ample opportunity
to do so, Wachtell did not provide the details of its hourly billings after August 31, 2022, to make it clear
how much of a bonus it was requesting Twitter pay.
83. Further, Wachtell’s October 20, 2022 memo was self-servingly misleading (for the
reasons discussed above) and was never provided to the members of Twitter’s board aside from Taylor
and Pichette. And Twitter’s board was likewise not provided with other information—such as Wachtell’s
prior invoices or the terms of the June 21 Engagement Letter—that would enable the board to ascertain
the outlandishness of authorizing the requested success fee at the conclusion of Wachtell’s engagement.
84. Finally, the Closing Day Fee Letter was an eleventh-hour, blatantly impermissible
modification of a pre-existing written contract for which Wachtell offered no new consideration
whatsoever. Indeed, the Closing Day Letter Agreement expressly acknowledged that the closing of the
merger was imminent, and that the contemplated $90 million total fee payment, including the unspecified
success fee, was “in consideration” solely for Wachtell’s past “work on Twitter’s behalf since inception
of its engagement.” And, even if the transaction did not close later the same day that the Closing Day
Letter Agreement was executed, Wachtell would still be paid its hourly fees consistent with the June 21
Engagement Letter. In other words, it took zero risk on the representation that would have entitled it to
seek such an extraordinary success fee>>.

Nei §§ seguenti le  causes of action (causae petendi delle domande, suppergiù …).

La domanda consiste in un <equitable claim for restitution or unjust enrichment>, § 92.

<<94. It would be unjust for Wachtell to keep the excess fees it received at Twitter’s expense for all of the reasons alleged herein. Wachtell bore no risk in the engagement to warrant any premium over the fees contemplated in the June 21 Engagement Letter that Wachtell agreed to. Wachtell flagrantly engaged in unreasonable staffing and billing practices, and yet Wachtell—in part due to overreaching— procured a success fee for past services by soliciting lame duck Twitter directors and officers to effectively pilfer cash from the company right before the merger closed. The total fee that Wachtell received was several multiples of what a reasonable fee would have been under the hourly engagement that Wachtell agreed to in the June 21 Engagement Letter.
95. Due to its egregious violations of its professional duties and applicable ethical rules, Wachtell should be required to forfeit its entire $90 million total fee under the Closing Day Letter Agreement and make restitution in the amount of $90 million.
96. To the extent that Wachtell is not required to forfeit its entire fee, it should be ordered to make restitution for the difference between the $90 million total fee it received and the reasonable fees it would have received had it adhered to the billing guidelines it agreed upon in the June 21 Engagement Letter>>.

Sulla responsabilità professionale dell’avvocato

Cass. sez. 3 del 14.11.2022 n° 33.442, rel. Condello P.A.P. sull’oggetto.

Si trattava di omessa notifica della opposizione a decreto oingijsntivo, dimenticata dal legale, che però eccepiva la presenza di clauslla arbitrale.

Non ci sono affermazioni nuove ma una piana applicaizone delle regole generali in tema di inadempimento.

<< 6.1. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (tra le tante, Cass., sez. 3, 14/10/2019, n. 25778), il professionista non può garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, per cui il danno derivante da eventuali sue omissioni, in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito.

Ciò comporta che il cliente non può limitarsi a dimostrare la condotta asseritamente colpevole, dovendo dare la prova che, in assenza di quella condotta, si sarebbe probabilmente verificato un esito diverso e favorevole della lite (Cass., sez. 3, 10/11/2016, n. 22882; Cass., sez. 3, 16/05/2017, n. 12038). La responsabilità del prestatore d’opera intellettuale nei confronti del proprio cliente presuppone, quindi, la prova del danno e del nesso causale tra il fatto omesso, conseguente alla negligente condotta del professionista, ed il pregiudizio del cliente.

In particolare, nel caso di attività dell’avvocato, l’affermazione di responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita. Sul punto, va, quindi, ribadito che “in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa” (Cass. sez. 3, 24/10/2017, n. 25112; Cass., sez. 3, 20/11/2020, n. 26516; Cass., sez. 2, 12/03/2021, n. 7064)>>.

Ne segue che <<La responsabilità dell’avvocato non può, quindi, affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e se, ove il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, dovendosi altrimenti ritenere che tale responsabilità difetti.>>

Applicando quanto sopra al caso concreto:

<< 6.2. La sentenza impugnata non ha affatto disatteso tali principi, avendo affermato che l’avvocato non contestava l’omissione addebitata (consistente nella mancata tempestiva notifica dell’opposizione a decreto ingiuntivo), ma che, “sulla scorta delle produzioni agli atti” e stante l’inammissibilità delle prove orali dedotte dal cliente, in quanto inidonee a provare l’assunto difensivo, “non poteva dirsi provato il buon diritto del Condominio”.

Il Tribunale ha, quindi ritenuto, all’esito dell’esame del materiale probatorio offerto dal Condominio, che non fosse “possibile fare una valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale non intrapresa”, in tal modo escludendo che il Condominio potesse ragionevolmente attendere il risultato positivo dalla controversia giudiziale che il professionista avrebbe dovuto incardinare. Così motivando, il giudice del merito ha escluso che l’avvocato avesse a sua disposizione il materiale probatorio necessario per far ascrivere all’impresa appaltatrice la responsabilità dei vizi denunciati dal Condominio, concludendo che non era stata raggiunta la prova che l’esito favorevole della controversia, nell’ipotesi di condotta adempiente dell’avvocato, risultasse “più probabile che non”.

6.3. Con le doglianze in esame il ricorrente contesta, in realtà, la valutazione delle prove operate dal Tribunale, ma in tal modo introduce inammissibili questioni di merito, considerato che mentre l’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, risulta, per converso, del tutto consolidato il principio per cui l’accertamento che senza la condotta omissiva contestata l’esito favorevole della lite auspicato dal cliente sarebbe stato conseguito costituisce indagine riservata al giudice di merito, come tale non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata e scevra da vizi logici e giuridici (Cass., sez. 2, 27/03/2006, n. 6967; Cass., sez. 3, 14/12/2010, n. 25234).>>

La Cassazione sul patto di quota lite (stipulato nel periodo tra lenzuolata Bersani e legge professionale del 2012)

Principio di diritto enunciato da Cass.  28.914 del 5 ottobre 2022, sez. 2, rel Scarpa:

<< il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione del terzo comma dell’art. 2233 c.c. operata dal d.l. n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13, comma 4, della legge n. 247 del 2012, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’art. 1261 c.c., è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell’equità alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 del codice deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all’epoca della conclusione dell’accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo lo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali>>.

Per “tariffa di mercato” leggesi -credo- “tariffa professionale”

Nel caso specifico, il credito pattuito era del 30 % sull’incassato, oltre a aspese

Nessun cenno ad anticipazione di spese vive da parte del cliente.

Responsabilità notarile verso il venditore per aver rogitato inserendo clausola di rinuncia all’ipoteca

Cass. 04.03.2022 n. 7.185, rel. Fiecconi, decide una domanda di danno verso il notario che ha fattio rinunciare il venditore all’ipoteca ex lege, pur sapendo l’acquirente li avrebbe immediatamente rivenduti (come in effetti fece tramite il medesimo notaio).

La SC conferma la decisione di appello che aveva condannato il notaio ai danni.

Alcuni passaggi interssanti:

<<6.2.2.  … Sotto questo profilo, dunque, deve premettersi che – sebbene il notaio non sia, come si legge in ricorso, “un agente immobiliare”, né “un tecnico del catasto o della Agenzia delle Entrate”, risultando pertanto privo di “alcuna competenza” in ordine “al valore che le parti di un contratto assegnano ai diritti che ne sono oggetto” e non rientrando tra i suoi compiti “quello di assistere e garantire le parti in ordine alla economicità delle loro transazioni” – e’, comunque, da tempo “pacifico”, nella giurisprudenza di questa Corte, che “il notaio non è un passivo registratore delle dichiarazioni delle parti, essendo contenuto essenziale della sua prestazione professionale anche il c.d. dovere di consiglio”, il quale “ha per oggetto questioni tecniche, cioè problematiche che una persona non dotata di competenza specifica non sarebbe in grado di percepire, collegate al possibile rischio che una vendita formalmente perfetta possa poi risultare inefficace” (così, in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. 29 marzo 2007, n. 7707, Rv. 596051-01). Ancora di recente, peraltro, sulla portata di tale dovere – non a caso recepito, dopo il teste’ menzionato arresto di questa Corte, dall’art. 42 del “codice deontologico” degli esercenti la professione notarile, approvato con Delib. Consiglio Nazionale del Notariato 5 aprile 2008, n. 2/56 – è stato ribadito che “il notaio incaricato dalla redazione e autenticazione di un contratto per la compravendita di un immobile non può limitarsi a procedere al mero accertamento della volontà delle parti e a sovraintendere alla compilazione dell’atto, occorrendo che egli si interessi dell’attività, preparatoria e successiva, necessaria ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto medesimo e del risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti stesse, rientrando tra i suoi doveri anche quello di consiglio ovvero di dissuasione” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 16 marzo 2021, n. 7283, Rv. 660913-01).

Anche la “dissuasione” di una parte contrattuale, al fine di “assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto”, e ciò persino quando la sua necessità derivi da attività “successiva” alla predisposizione dell’atto, non e’, dunque, affatto estranea ai doveri del notaio (sul punto si veda, oltre all’arresto da ultimo citato, già Cass. Sez. 3, sent. 15 giugno 1999, n. 5946, Rv. 527535-01), senza che ciò possa ritenersi in contrasto – come assume, viceversa, l’odierno ricorrente – coi doveri di imparzialità ed equidistanza rispetto ai diversi interessi delle parti, sancito dall’art. 41 del già citato codice deontologico.>>

e poi : <<6.2.6   Invero, si è già detto come il notaio, richiesto di una prestazione professionale, “assuma gli obblighi derivanti dall’incarico conferitogli dal cliente”, sicché “fanno parte dell’oggetto della prestazione d’opera professionale, anche quelle attività preparatorie e successive, necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto”, con la conseguenza ulteriore che “l’inosservanza di detti obblighi dà luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento del contratto di prestazione d’opera professionale, a nulla rilevando che la legge professionale non faccia riferimento a tale responsabilità, posto che essa si fonda sul contratto di prestazione d’opera professionale e sulle norme che disciplinano tale rapporto privatistico” (Cass. Sez. 3, sent. n. 149:34 del 2002, cit.).

Da quanto precede deriva, dunque, che – anche a prescindere dalla possibilità di invocare il disposto dell’art. 28 della Legge Professionale, che dà rilievo, in termini di illecito deontologico, alla fattispecie ivi contemplata, e che non tollererebbe, merce’ il collegamento con l’art. 147 della stessa Legge, “la creazione di un nuovo illecito, caratterizzato dall’essere gli atti, indipendentemente dalla loro nullità, coordinati e finalizzati a scopi illeciti” (Cass. Sez. 3, sent. 12 novembre 2013, n. 25408, Rv. 629531-01) – il dovere, o meglio l’obbligo, di astensione del notaio V. trovava, nella specie, titolo nel “ruolo di protezione e garanzia assunto in conseguenza del conferimento del mandato professionale”, secondo quanto, del resto, testualmente riconosciuto (pag. 7, in part. p. 7.2.4) dalla sentenza impugnata. Espungendo, dunque, dalla stessa il richiamo – come detto, errato – all’art. 28 della L. n. 89 del 1913, il solo riferimento all’art. 1375 c.c., anche in relazione, come si dirà, ma in modo del tutto aggiuntivo ai fini della sussistenza della responsabilità, all’art. 2043 c.c. (quest’ultimo, peraltro, invocato specificamente nell’atto di appello della A.; cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) era sufficiente a fondare la responsabilità del notaio V..

Il medesimo, infatti, non poteva ignorare, nel momento in cui svolgeva la sua prestazione d’opera professionale, che le modalità della programmata rivendita (giacché il M., dopo aver acquistato gli immobili dalla A. con pagamento rateale, aveva rivenduto gli stessi per importi di gran lunga inferiori – in due casi, addirittura, del 50%, negli altri due in misura pari o poco sopra tale soglia – rispetto a quelli costituenti oggetto della sua obbligazione ex art. 1498 c.c., comma 1; e, peraltro, in un caso a distanza di tre minuti lo stesso giorno, in un altro lo stesso giorno e negli altri due a breve distanza di tempo, come indicato sopra alle pagg. 5-6), in uno con la rinuncia alla garanzia reale ex art. 2817 c.c., da parte della venditrice, mettevano in serio pericolo, quanto al contratto intervenuto tra i predetti M. e A., la “attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto”, precostituendo una situazione di potenziale inadempimento.

In questa prospettiva, dunque, deve apprezzarsi – ovvero, in relazione alla violazione dell’obbligo “ex fide bona”, di cui all’art. 1375 c.c., e alle sue ripercussioni sulla libertà negoziale della A. – la responsabilità del Notaio V., “per avere stipulato gli atti oggetto di causa con inserimento della clausola di rinuncia all’ipoteca legale da parte della venditrice, pur essendo egli a conoscenza della svendita degli immobili da parte dell’acquirente M.”. Di tali operazioni di rivendita il professionista era, infatti, perfettamente a conoscenza, dato che i relativi rogiti vennero, come s’e’ detto, dallo stesso predisposti, in due casi, lo stesso giorno della stipulazione dei contratti di compravendita intervenuti tra la A. e il M. (nella prima occasione, vale a dire quella del 15 ottobre 2012, addirittura a soli tre minuti di distanza l’uno dall’altro), nonché negli altri due casi – il giorno successivo o, comunque, a breve distanza di tempo.

Del resto, proprio con riferimento al contratto d’opera intellettuale concluso da un notaio, questa Corte ha già riconosciuto il rilievo “della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex art. 1175 c.c., quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale, che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte” (Cass. Sez. 3, sent. 20 agosto 2015, n. 16990, Rv. 636622-01).

Va sottolineato che le modalità temporali degli atti di rivendita, una volta considerato che nella prassi operativa del notaio la stipula di un atto è necessariamente preceduta dalle consuete e necessarie attività preparatorie, risultano tali da render indiscutibile e percepibile in questa sede come un dato oggettivo che esclude qualsiasi necessità di accertamenti di fatto ulteriori, che il notaio dovesse ex necesse essere consapevole della oggettiva lesività della dichiarazione di rinuncia fatta dalla qui resistente.

Invero, si è già detto come il notaio, richiesto di una prestazione professionale, “assuma gli obblighi derivanti dall’incarico conferitogli dal cliente”, sicché “fanno parte dell’oggetto della prestazione d’opera professionale, anche quelle attività preparatorie e successive, necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto”, con la conseguenza ulteriore che “l’inosservanza di detti obblighi dà luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento del contratto di prestazione d’opera professionale, a nulla rilevando che la legge professionale non faccia riferimento a tale responsabilità, posto che essa si fonda sul contratto di prestazione d’opera professionale e sulle norme che disciplinano tale rapporto privatistico” (Cass. Sez. 3, sent. n. 149:34 del 2002, cit.).

Da quanto precede deriva, dunque, che – anche a prescindere dalla possibilità di invocare il disposto dell’art. 28 della Legge Professionale, che dà rilievo, in termini di illecito deontologico, alla fattispecie ivi contemplata, e che non tollererebbe, merce’ il collegamento con l’art. 147 della stessa Legge, “la creazione di un nuovo illecito, caratterizzato dall’essere gli atti, indipendentemente dalla loro nullità, coordinati e finalizzati a scopi illeciti” (Cass. Sez. 3, sent. 12 novembre 2013, n. 25408, Rv. 629531-01) – il dovere, o meglio l’obbligo, di astensione del notaio V. trovava, nella specie, titolo nel “ruolo di protezione e garanzia assunto in conseguenza del conferimento del mandato professionale”, secondo quanto, del resto, testualmente riconosciuto (pag. 7, in part. p. 7.2.4) dalla sentenza impugnata. Espungendo, dunque, dalla stessa il richiamo – come detto, errato – all’art. 28 della L. n. 89 del 1913, il solo riferimento all’art. 1375 c.c., anche in relazione, come si dirà, ma in modo del tutto aggiuntivo ai fini della sussistenza della responsabilità, all’art. 2043 c.c. (quest’ultimo, peraltro, invocato specificamente nell’atto di appello della A.; cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) era sufficiente a fondare la responsabilità del notaio V..

Il medesimo, infatti, non poteva ignorare, nel momento in cui svolgeva la sua prestazione d’opera professionale, che le modalità della programmata rivendita (giacché il M., dopo aver acquistato gli immobili dalla A. con pagamento rateale, aveva rivenduto gli stessi per importi di gran lunga inferiori – in due casi, addirittura, del 50%, negli altri due in misura pari o poco sopra tale soglia – rispetto a quelli costituenti oggetto della sua obbligazione ex art. 1498 c.c., comma 1; e, peraltro, in un caso a distanza di tre minuti lo stesso giorno, in un altro lo stesso giorno e negli altri due a breve distanza di tempo, come indicato sopra alle pagg. 5-6), in uno con la rinuncia alla garanzia reale ex art. 2817 c.c., da parte della venditrice, mettevano in serio pericolo, quanto al contratto intervenuto tra i predetti M. e A., la “attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto”, precostituendo una situazione di potenziale inadempimento.

In questa prospettiva, dunque, deve apprezzarsi – ovvero, in relazione alla violazione dell’obbligo “ex fide bona”, di cui all’art. 1375 c.c., e alle sue ripercussioni sulla libertà negoziale della A. – la responsabilità del Notaio V., “per avere stipulato gli atti oggetto di causa con inserimento della clausola di rinuncia all’ipoteca legale da parte della venditrice, pur essendo egli a conoscenza della svendita degli immobili da parte dell’acquirente M.”. Di tali operazioni di rivendita il professionista era, infatti, perfettamente a conoscenza, dato che i relativi rogiti vennero, come s’e’ detto, dallo stesso predisposti, in due casi, lo stesso giorno della stipulazione dei contratti di compravendita intervenuti tra la A. e il M. (nella prima occasione, vale a dire quella del 15 ottobre 2012, addirittura a soli tre minuti di distanza l’uno dall’altro), nonché negli altri due casi – il giorno successivo o, comunque, a breve distanza di tempo.

Del resto, proprio con riferimento al contratto d’opera intellettuale concluso da un notaio, questa Corte ha già riconosciuto il rilievo “della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex art. 1175 c.c., quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale, che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte” (Cass. Sez. 3, sent. 20 agosto 2015, n. 16990, Rv. 636622-01).

Va sottolineato che le modalità temporali degli atti di rivendita, una volta considerato che nella prassi operativa del notaio la stipula di un atto è necessariamente preceduta dalle consuete e necessarie attività preparatorie, risultano tali da render indiscutibile e percepibile in questa sede come un dato oggettivo che esclude qualsiasi necessità di accertamenti di fatto ulteriori, che il notaio dovesse ex necesse essere consapevole della oggettiva lesività della dichiarazione di rinuncia fatta dalla qui resistente..

Orbene, questa Corte ha pure ritenuto che “identica necessità di garantire la più ampia tutela possibile alla libertà negoziale si pone non solo rispetto al comportamento di ciascuno dei paciscenti, ma anche di terzi, ivi compreso il notaio incaricato della redazione dell’atto” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 30 gennaio 2019, n. 2525, Rv. 652482-01). Sicché non possono esservi dubbi sul fatto che incomba anche su tale professionista il dovere – la cui violazione è da apprezzare, come visto, a norma degli artt. 1375 e 2043 c.c. – di conformare la propria condotta al canone della correttezza, “astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti” suscettibili di influire sulla libertà negoziale di una delle parti, nel senso appena chiarito, ovvero, di determinare la conclusione di un contratto che, sebbene valido, risulti non pienamente conforme alla sua volontà (che, peraltro, il predetto professionista, ai sensi della L. n. 89 del 1913, art. 42, è tenuto ad “indagare”). Ricorrendo tale ipotesi, dunque, sarà configurabile una pretesa risarcitoria da ragguagliare al “minor vantaggio o al maggiore aggravio economico” che risulti “determinato dal contegno sleale” (cfr., con riferimento al comportamento di uno dei paciscenti, poi divenuto parte del contratto, Cass. Sez. 1, sent. n. 19024 del 2005, cit.)..>>

La decisione va condivisa,

Principio di diritto: “incorre in responsabilità per inadempimento del contratto d’opera professionale, quanto ai doveri comportamentali riconducibili a quello di adempiere il rapporto di prestazione d’opera secondo buona fede ai sensi dell’art. 1375 c.c., il notaio che roghi quattro atti di compravendita, con previsione di pagamento rateale e con dichiarazione di rinuncia della venditrice all’iscrizione di ipoteca legale, allorquando risulti che egli abbia rogato altri quattro atti di rivendita a terzi da parte dello stesso acquirente, di cui due lo stesso giorno ed altri due pochi giorni dopo”.

Legge nazionale incompabitile con direttiva UE: obbligo di disapplicazione? Ancora sui minimi tariffari

La corte di giustizia dice che non c’è tale obbligo, se la questione è esaminata nell’ottica del diritto UE: la direttiva infatti non è direttametne applicabile tra privati.

Così C.G. 18.02.2022, C-261/20, Thelen Technopark c. MN (in tema di tariffe minime obbligatoria ei ingengneri e architgetti), ai §§ 24 segg. e spt. § 32.

Ciò non toglie che possa esserci tale obbligo secondo il diritto nazionale (§ 33); difficile però capire in che modo, visto che questo ha generato una legge incompatibile col diritto europeo, non con sè stesso (forse è possibile se contiene una qualche norma vieta di legiferare in diffomità da quello europeo).

Inoltre  la parte lesa può sempre ottenere il risarcimento del danno dallo Stato per mancata atuazione della direttiva, § 41 ss.

Forma scritta a pena di nullità per il patto sul compenso tra avvocato e cliente

Così Cass. 08.09.2021 n. 24.213, rel. Tedesco, sull’argomento in oggetto,. la cui norma pertinente è l’art. 2233/3 cc, secondo cui:

(Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra
gli avvocati ed  i  praticanti  abilitati  con  i  loro  clienti  che
stabiliscono i compensi professionali)). >>)

La precisazione è praticamente importante, alla luce dei dubbi generati dall’art. 13/2 della legge professionale forense.

Ebbene, secondo la disposizione predetta, il  patto di determinazione del compenso <<deve essere redatto in forma scritta, sotto pena di nullità. Si osserva che la norma non può ritenersi implicitamente abrogata dalla L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 2: tale norma stabilisce che il compenso spettante al professionista sia pattuito di regola per iscritto. Infatti, secondo l’interpretazione preferibile, la novità legislativa ha lasciato impregiudicata la prescrizione contenuta nell’art. 2233 c.c., comma 3. In base a questa interpretazione, la norma sopravvenuta non si riferisce alla forma del patto, ma al momento in cui stipularlo: essa, cioè, stabilisce che il patto deve essere stipulato all’atto del conferimento dell’incarico (cfr. Cass. n. 11597 del 2015). Si osserva che se il legislatore avesse realmente voluto far venir meno il requisito della forma scritta per simili pattuizioni, è ragionevole ritenere che avrebbe provveduto ad abrogare esplicitamente la previsione contenuta nell’art. 2233 c.c., comma 3, il quale commina espressamente la sanzione della nullità per quei patti che siano privi del requisito formale ivi prescritto. Chiarito che il requisito formale è prescritto a pena di nullità, valgono le regole generali: a) la scrittura non può essere sostituita da mezzi probatori diversi (Cass. n. 1452 del 2019), neanche dalla confessione (Cass. n. 4431 del 2017), né è applicabile il principio di non contestazione (Cass. n. 25999 del 2018); b) ai sensi dell’art. 2725 c.c., la prova testimoniale è ammissibile nella sola ipotesi dell’art. 2724 c.c., n. 3, di perdita incolpevole del documento (Cass. n. 13459 del 2006; Cass. n. 13857 del 2016); c) l’inammissibilità della prova, diversamente da quanto avviene quando il contratto deve essere provato per iscritto (Cass., S.U., n. 16723 del 2000), è rilevabile d’ufficio e può essere eccepita per la prima volta anche in cassazione (Cass. n. 1352 del 1969; Cass. n. 281 del 1970)>>.

Il Tribunale non si è attenuto ai principi predetti, dice la SC,  visto che <<l’esistenza dell’accordo è stata ritenuta provata grazie alla prova per testimoni e sulla base di una corrispondenza intercorsa fra le parti. La considerazione congiunta di tali elementi ha indotto il giudice a ritenere verosimile che le parti avessero raggiunto un accordo di analogo contenuto a quello riguardante le cause che il professionista curava per la diversa società Bio Orto soc. coop. a r.l.

Il tribunale, in ultima analisi, ha ritenuto raggiunta la prova dell’accordo per la determinazione del compenso sulla base di una presunzione, non tenendo conto che l’esistenza del requisito di forma non può essere sostituito da mezzi probatori diversi.>>