Marchio di posizione confermato insufficientemente distintivo e quindi nullo dal Board of Appeal EUIPO

Anna Maria Stein su IPKat ci notizia della decisione 2nd board of Appeal EUIPO Cnitts KX ltd 19.02.2024, caso R 514/2023-2 .

Si trattava di marchio di posizione costituito da poligono a sei lati collocato in quattro punti di un occhiale:

(dal post di Anna Maria Stein)

il segno contestato:

40 The contested mark is not a mere figurative mark, but a position mark and has to be assessed as such. A trade mark may be devoid of distinctive character as a figurative mark but when applied for on a specific position or positions it may obtain a distinctive character. Thus, the position of the trade mark is relevant for the overall assessment.
However, it is to be stressed that the mark as such is also relevant for the overall
comparison.

41 The representation of the contested mark shows the position of four six-sided irregular black polygons (hereinafter ‘polygons’) each with a straight upper and lower edge and with the vertical sides formed by two parallel lines of equal length that converge inwards in a slightly concave fashion, each at the same angle. Two of these polygons are placed in a vertical direction on the front of the frames one on the left and one on the right, and two are placed horizontally on the outside part of the left and right temples. It is to be stressed that the shape of the glasses that are shown by means of dotted lines do not form part of the subject matter of the registration in accordance with Article 3(3)(d) EUTMIR

Giudizio:

49   As to the position mark showing four polygons instead of one, there is nothing about these polygons and as affixed on the goods that is unusual or memorable that might enable the relevant public to perceive the sign immediately as distinctive.
50 As correctly pointed out by the applicant, it is irrelevant whether the sign serves other functions in addition to that of an indication of origin, e.g. an aesthetic (decorative) function. However, the Board considers that the contested mark at hand does not serve (inherently) as an indication of origin. The position sign for which protection is sought on that, it is stressed, particular place of the frame and temples will be perceived by the relevant public (even to the extent it has a high level of attention) and in relation to all contested goods solely as a decoratively finished mechanism or rivet (a rivet as such has a dual purpose by having a functional and decorative purpose) that connects to or covers
the hinge that attaches the end piece or the front of the glasses to the arms (temples). (….)

54 Furthermore, as to the size of the elements of the four polygons and as affixed on the eyewear, the applicant itself admits that these elements are small but argues that this not relevant. It is true, that the size does not automatically disqualify any trade mark that is to be placed on eyewear frames from protection. Furthermore, the Board does not consider the small size of the four polygons at issue as a decisive factor. However, as an accessory remark, bearing in mind that it is unlikely that most of the consumers will analyse the mark in detail, the smaller the polygons at issue, the more difficult it may be for the
public to distinguish them from other plane figures. This finding of the public’s
perception is not changed by the applicant’s argument that the size is small due to the limited space for featuring a trade mark on eyewear frames.

Segue poi un ineressante aqnalisi del sondaggio demoscopico (mirante a provare che  il segno sarebbe diustintivo presso i consumatiori tedeschi), § 59 ss

Ripasso sulla donazione modale e sulla natura liberale dell’erogaszione al terzo beneficiario del modus

Cass. sez. trib., ord. 04/04/2024 n. 8.875, rel. Crivelli:

<<Il modus costituisce un elemento accidentale del contratto di donazione (come anche del testamento), disciplinato per quanto riguarda tale contratto dall’art. 793 cod. civ., caratterizzato dal fatto di non condizionarne (a differenza della condizione) l’efficacia e, pur essendo costituito da un obbligo avente ad oggetto una prestazione di carattere economico-patrimoniale, il relativo valore non può sopravanzare quello dell’oggetto della donazione stessa. Dunque, il modus può consistere sia nell’erogazione di una parte del bene donato (e persino di tutto) per un determinato scopo, sia nel compimento di un’azione od omissione in favore del donante stesso o di un terzo, sempre col limite surriferito.

Dunque è indiscutibile che con esso il donatario diventi soggetto passivo di un’obbligazione, sempre nel limite cui si è detto, rientrando l’onere tra le fonti tipiche delle obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 cod. civ., ed essendo quindi suscettibile di adempimento forzato, ma ciò non ha alcun rapporto con la posizione del beneficiario.

Con tale strumento infatti può ben essere realizzato un contratto a favore del terzo, con applicazione della relativa disciplina, e lo stesso può avere benissimo la consistenza di donazione indiretta, ove l’istituzione dell’onere sia determinato da spirito di liberalità da parte del disponente, cioè nella specie della donante.

Così come ove la causa dell’attribuzione sia di diversa natura (ad esempio l’adempimento di un’obbligazione gravante sul disponente e di cui sia creditore il beneficiario del modus) potrà ritenersi la natura non liberale della disposizione medesima.

In particolare, nello schema della donazione modale a favore di un terzo determinato caratterizzato da spirito liberale, il donante realizza l’arricchimento patrimoniale del beneficiario (arg. ex art. 769 cod. civ.) attraverso l’intermediazione materiale del donatario, che agisce come sua longa manus (alla stregua di un mero ausiliario) per eseguire l’attribuzione o la prestazione costituente l’oggetto dell’onere.

Che poi il beneficiario del modus, nell’ipotesi più sopra indicata, possa essere considerato indiretto donatario, lo chiarisce la stessa legislazione tributaria, laddove l’art. 58, comma 1, del D.Lgs. 31 ottobre 1990 n. 346 prevede che “Gli oneri di cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari”.

Non è dunque vero che la donazione presuppone sia solo il donante a “erogare” il bene al donatario, perché appunto è proprio della donazione indiretta che invece il beneficio sia ricevuto attraverso il terzo (o perché questi versa una somma al beneficiario, o perché questi riceve denaro dovuto dal beneficiario allo stesso, come nell’esempio classico della donazione indiretta immobiliare).

Si può anzi dire che la donazione modale avente un destinatario determinato costituisca una doppia donazione, una eseguita a favore del donatario e l’altra eseguita a favore del beneficiario dell’onere (Cass. 24 dicembre 2020, n. 29506; Cass.17 giugno 2022, n. 19561).

Che nella specie si sia inteso proprio disporre una donazione indiretta della moglie a vantaggio del marito discende dalle stesse parole usate dalla CTR, laddove la stessa chiarisce come l’intento della Pi.Lu. era quello di “riequilibrare i rapporti economici familiari, in modo da beneficiare non solo il figlio, ma anche altri membri della famiglia”.

Ora l’intento “riequilibratore” è costituito proprio dall’animo liberale, visto che la farmacia, come incontestato, non era della famiglia, ma della donante>>.

Motiviazione insufficiente sulla non raggiunta indipendenza economica del figlio maggiorenne

Cass. sez. I, Ord. 10/04/2024, n. 9.609, rel. Tricomi, in una situaizone fattuale alquanto peculiare:

<<2.1. – La Corte d’appello ha dato atto che il giovane, dopo un percorso scolastico irregolare aveva abbandonato la precedente occupazione e aveva rifiutato – o meglio non tenuto in considerazione – due offerte lavorative adeguate, di cui la seconda non distante da casa e ben remunerata. Al tempo stesso però, la Corte ha osservato che per un giovane ancora vicino alla minore età e privo di qualifiche professionali non è facile reperire un lavoro, pur essendosi egli iscritto ad una apposita agenzia. Così operando il giudice d’appello ha contrapposto all’accertamento concreto di circostanze specifiche (rifiuto di lavorare) una considerazione di carattere generale ed astratto – peraltro in aperto contrasto con le risultanze processuali perché di fatto il giovane aveva trovato concrete occasioni lavorative – di per sé non idonea a contrastare la presunzione di colpevole inerzia da parte del giovane. Di regola, invece, una volta ritenuta provata la negligenza negli studi e nel reperimento di un lavoro, dovrebbe trarsi la conclusione che il mancato conseguimento di autonomia economica non può giustificarsi e comporta la perdita del diritto al mantenimento da parte dei genitori (Cass. n. 19589 del 26/09/2011; Cass. n. 12952 del 22/06/2016; Cass. n. 26875 del 20/09/2023). La Corte d’appello ha poi fatto ricorso ad un altro argomento per giustificare “in parte” l’inerzia, rilevando che il giovane ha vissuto una drammatica situazione familiare a causa della malattia e morte della sorella (febbraio 2022) che “non può non avere influito sul suo stato d’animo e sul suo umore e che potrebbe davvero – come sostiene la B.B. – avere in parte influito sulla sua scelta di non accettare un lavoro come trasfertista che lo avrebbe tenuto lontano da casa, dove vivevano madre e sorella”.

Questo giudizio di fatto, pur se non privo di plausibilità, non è però temporalmente circoscritto, nonostante sia legato ad una vicenda già vissuta e non è adeguatamente spiegata quale sia la sua conseguenza in punto di diritto, vale a dire se la disposta riduzione dell’assegno di mantenimento sia destinata ad assicurare al giovane – e alla madre con la quale il figlio convive – un supporto per superare uno stato di difficoltà legato a circostanze contingenti, al tempo stesso implicitamente richiamandolo al dovere di attivarsi nel momento in cui queste difficoltà contingenti sono venute meno, oppure costituisca una giustificazione sine die del comportamento inerte>>.

Negata la contraffazione di “Top Gun Maverick” rispetto all’originario articolo giornalistico “Top Gun”

Interessante sentenza segnalata da Hayleigh Bosher richiamando il sito Variety.com  del US Central District California , Shosh Yonay, et al. v. Paramount Pictures Corporation, et al., Case 2:22-cv-03846-PA-GJS del 5 aprile 2024 sulla domanda di contraffazione svolta dagli eredi di Ehud Yonay autore dell’articolo TOP Gun che ispirò la prima versione del film (regolarmente accosentita dal giornalista) e oggi pure il sequel (non acconsentita, , nemmeno come credits, non valendo l’originario consenso per gli eredi)

Per la corte non c’è la substanzial similarity dell’exstrinsic test , dopo aver esaminato i segg. profili: a) Plot, Sequence of Events, and Pacing; b. Theme and Mood; c. Dialogue and Characters; d. Setting; e. Selection and Arrangement.

Qui conta l’analisi del giudice circa le somiglianze delel aprti espressive, non delle m,ere idee  o siotuiazioni., tenuto conto del camvbio dio gemnre artistico (articolo giornlastici –> film)

Spetta l’indennizzo da ingiustificato arricchimento al ricercatore medico, che abbia creato un software per la PA, seppur con contratto nullo perchè privo dei requisiti di forma

Cass. sez. IV, sentenza 18 marzo 2024 n. 7.178 rel. Cavallari:

‹L’ideatore di un software che abbia eseguito la sua prestazione sulla base di
un contratto concluso con una P.A. nullo per mancanza della forma scritta o per
violazione delle norme che regolano la procedura finalizzata alla sua conclusione,  ove chieda alla stessa P.A. di essere remunerato per l’attività svolta in suo favore, può proporre l’azione di ingiustificato arricchimento. Il giudice ha il potere di determinare in via equitativa il relativo indennizzo, il quale non può
coincidere con il compenso che comunemente sarebbe stato corrisposto per la
detta prestazione, ma deve ristorare la diminuzione patrimoniale subita
dall’autore dell’opera e, quindi, i costi ed esborsi sopportati e il sacrificio di
tempo, di energie mentali e fisiche del detto autore, al netto della percentuale
di guadagno›

Il ricercatore ottiene ragione dopo che l’appello gliela aveva negata per la proponibilità dell’azione contrattuale e/o di quella da equo premio inventivo ex art. 64 cond propr. ind.

Ipotesi negate invece dalla SC (la seconda giustamente; sulla prima non mi pronuncio). La SC nega rilevanza pure all’azione di danno ex art. 156 ss l. autore (che protegge il software), dato che deriva da clausola generale, la quale -secondo l’rientamento ora sancito da Cass. SU n. 33954 del 5 dicembre 2023- non impedisce il funziomento del requisito della sussidiadietà ( p. 10).

Clausola bancaria di massimo scoperto e determinatezza del periodo di riferimento

Cass.  civile sez. I, ord. 15/01/2024  n. 1.373, rel. Vella:

<<In secondo luogo che, in tema di conto corrente bancario, può ritenersi nulla per indeterminatezza la clausola negoziale che prevede la commissione di massimo scoperto qualora detta indeterminatezza sia effettiva e radicale, come nel caso in cui essa ne indichi semplicemente la misura percentuale, senza contenere alcun riferimento al valore sul quale tale percentuale deve essere calcolata (Cass. 19825/2022).

6. – Nel caso in esame, i canoni ermeneutici evocati da parte ricorrente risultano effettivamente violati.

6.1. – Occorre innanzitutto dare atto che nell’art. 9 delle condizioni generali di contratto, specificamente approvato per iscritto e rubricato “chiusura periodica del conto e regolamento degli interessi, commissioni e spese”, si legge (tra l’altro) che “I rapporti di dare e avere relativi al conto, sia con saldo debitore o creditore, vengono regolati con identica periodicità, portando in conto con valuta ‘data regolamento’ dell’operazione gli interessi, le commissioni e le spese ed applicando le trattenute fiscali di legge.

Il saldo risultante dalla chiusura periodica produce interessi secondo le medesime modalità”.

6.2. – Anche dalle condizioni economiche di conto corrente emerge in modo chiaro la periodicità trimestrale della chiusura, da riferire evidentemente non solo alla capitalizzazione, ma anche alla chiusura periodica del conto, poiché, in mancanza, nemmeno potrebbe sussistere la capitalizzazione, sicché i due parametri non possono che essere congruenti.

6.3. – Dall’insieme delle menzionate disposizioni emerge allora, in modo inequivocabile, che la chiusura periodica del conto avveniva ogni trimestre e che, in occasione di ciascuna di esse, dovevano regolarsi tutti i rapporti di dare e avere tra cliente e banca, ivi compresi, perciò, quelli relativi alle “commissioni”, richiamate sia nella rubrica che nell’articolato.

6.4. – Ebbene, trattandosi pacificamente di una “commissione”, una corretta applicazione del disposto di cui all’art. 1363 c.c. avrebbe necessariamente comportato l’accertamento della determinatezza o quantomeno determinabilità della clausola relativa alle c.m.s., applicabili appunto trimestralmente.

6.5. – Anche il criterio interpretativo prescritto dall’art. 1362 c.c., relativo alla comune volontà delle parti – da scrutinare alla luce del loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto – avrebbe dovuto deporre in tal senso, attraverso la verifica che, in concreto, le commissioni di massimo scoperto sono state applicate trimestralmente (come da estratti conto prodotti), senza che tale periodicità sia mai stata messa in discussione dalle parti nel corso del rapporto (mentre, è appena il caso di aggiungere, ciò non si sarebbe verificato ove le stesse avessero inteso applicare le commissioni di massimo scoperto con una diversa periodicità).

6.6. – Del pari avrebbe dovuto indurre il tribunale a ravvisare la determinatezza della clausola in questione un’interpretazione secondo buona fede del contratto, ai sensi dell’art. 1366 c.c., tale da non privare la stessa di senso effettivo, tenuto coerentemente conto della natura e dell’oggetto del contratto medesimo.

6.7. – Ad analoghe conclusioni conduce il canone interpretativo di cui all’art. 1367 c.c., in base al quale “nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”, poiché, a fronte di una chiusura periodica del conto corrente pacificamente trimestrale, il principio di conservazione del contratto avrebbe dovuto indurre a ritenere determinata la commissione di massimo scoperto nella sua periodicità trimestrale, piuttosto che ravvisarne la nullità.

6.8. – A ciò si aggiunga, in relazione al canone ermeneutico ex art. 1368 c.c., che la pratica generalmente in uso al momento della stipulazione del contratto de quo era notoriamente quella di contabilizzare trimestralmente le commissioni di massimo scoperto, come emerge dalle allegate pronunce di merito dell’epoca.

6.9. – Alla luce di quanto precede appare insomma evidente che la clausola in questione, relativa alle commissioni di massimo scoperto, non aveva ragione di essere ritenuta nulla per indeterminatezza>>.

Diritto di critica e diffamazione: la verità putativa nel giornalismo d’inchiesta

Cass. civ., Sez. I, Ord. 03/11/2023, n. 30.522, rel. Ioffrida:

<<In tema di diffamazione a mezzo stampa, nel cd. giornalismo d’inchiesta – che ricorre allorquando il giornalista non si limiti alla divulgazione della notizia ma provveda egli stesso alla raccolta della stessa dalle fonti, attraverso un’opera personale di elaborazione, collegamento e valutazione critica, al fine di informare i cittadini su tematiche di interesse pubblico – il requisito della verità (anche putativa) va inteso in un’accezione meno rigorosa, implicando una valutazione non tanto dell’attendibilità e della veridicità della notizia, quanto piuttosto il rispetto dei doveri deontologici di lealtà e buona fede gravanti sul giornalista. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, in relazione a un articolo contenente un’inchiesta giornalistica sulla gestione dei voli di Stato, aveva ritenuto diffamatorie le notizie divulgate in merito all’alto ufficiale posto a capo della relativa organizzazione – definito, tra l’altro “dominus” e “boiardo dei cieli” -, omettendo di considerare che le suddette notizie erano state autonomamente acquisite dall’autore, attraverso fonti riservate ed ufficiali e riesaminando documenti pubblici o già noti, e che i relativi elementi di indagine erano stati, poi, posti a base di provvedimenti giurisdizionali successivi)>>

Questa la massima di Onelegale.

Il principio di diritto enuniciato in sentenza: “In tema di diffamazione a mezzo stampa, il c.d. giornalismo d’inchiesta ricorre anche quando il giornalista non si limiti alla divulgazione della notizia, come nel giornalismo ordinario di informazione, ma provveda egli stesso alla raccolta autonoma e diretta della notizia, tratta da fonti riservate e non, anche documentali e ufficiali, con un lavoro personale di organizzazione, collegamento e valutazione critica, al fine di informare i cittadini su tematiche di interesse pubblico. Esso, proprio per il suo ruolo civile e utile alla vita democratica di una collettività, implica la necessità di valutarne gli esiti, non tanto alla luce dell’attendibilità e della veridicità della notizia, quanto piuttosto dell’avvenuto rispetto da parte del suo autore dei doveri deontologici di lealtà e buona fede“.

Sulla priorità dei disegni/modelliu UE costituita previo modello utilità

Teoricamente itnressante questione decisa da Corte di giustizia 27.02.2024, C-382/21 P, EUIPO v. Kaikai , segnalata da Marcel Pemsel su IPKat.

La lite è centrata sulla decorrenza del dies a quo per una valida priorità di una domanda di disegno/modello ex reg. 6/2006, il cui art. 41 dice: <<1. Chiunque abbia regolarmente depositato una domanda di registrazione di un disegno o modello o di un modello d’utilità in uno o per uno degli Stati che aderiscono alla convenzione di Parigi o all’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio, ovvero il suo avente causa, fruisce, per un periodo di sei mesi dalla data di deposito della prima domanda, di un diritto di priorità per effettuare il deposito di una domanda di registrazione di disegno o modello comunitario per il medesimo disegno o modello o per il medesimo modello di utilità.

2. È riconosciuto come fatto costitutivo del diritto di priorità qualsiasi deposito avente valore di deposito nazionale regolare a norma della legislazione dello Stato nel quale è stato effettuato o in forza di accordi bilaterali o multilaterali>>.

Il dubbio giuridico nasce dal fatto che : i) Kai kai aveva rivendicato priorità per un  previo deposito come modello di utilità (almeno così pare: arg. da § 28) e nel termine di 12 mesi, non di 6 mesi; ii) il cit. art. 41 parla di termine semestrale e solo per modelli di utilità, non per invenzioni. iii) la Conv. Unione di Parigi pone invece un termine dui 12 mesi per invenzioni e modelli di utilità,

Ebbene, la CG riformando il Trib., afferma l’applicabilità del solo art. 41 reg. UE 6/2002:  per cui la priorità richiesta era stata giustamente negata dall’EUIPO

Del resto, prosegue la CG,  la norma di Conv. Unione (art. 4) non si applica direttamente nell’ordinamento europeo, che non ne è parte: ciò nemmeno considerando che di fatto l’ha recepita con i TRIPs, i quali non hanno efficacia diretta, § 63.

Per la precisione:

<<68   Ne consegue che le norme enunciate all’articolo 4 della Convenzione di Parigi sono prive di effetto diretto e, pertanto, non sono idonee a creare in capo ai singoli diritti che questi possano far valere direttamente in forza del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2007, Develey/UAMI, C‑238/06 P, EU:C:2007:635, punti 39 e 43).

69 Pertanto, il diritto di priorità ai fini del deposito di una domanda di disegno o modello comunitario è disciplinato dall’articolo 41 del regolamento n. 6/2002 e gli operatori economici non possono avvalersi direttamente dell’articolo 4 della Convenzione di Parigi.

70 Tuttavia, poiché l’accordo ADPIC vincola l’Unione e dunque prevale sugli atti di diritto derivato dell’Unione, questi ultimi devono essere interpretati, per quanto possibile, in conformità alle disposizioni di tale accordo (v., per analogia, sentenze del 10 settembre 1996, Commissione/Germania, C‑61/94, EU:C:1996:313, punto 52, e del 1º agosto 2022, Sea Watch, C‑14/21 e C‑15/21, EU:C:2022:604, punti 92 e 94 nonché giurisprudenza ivi citata). Il regolamento n. 6/2002 deve quindi essere interpretato, per quanto possibile, conformemente all’accordo ADPIC e, di conseguenza, alle norme enunciate dagli articoli della Convenzione di Parigi, segnatamente l’articolo 4, incorporate in tale accordo (v., per analogia, sentenze del 15 novembre 2012, Bericap Záródástechnikai, C‑180/11, EU:C:2012:717, punti 70 e 82, nonché dell’11 novembre 2020, EUIPO/John Mills, C‑809/18 P, EU:C:2020:902, punti 64 e 65).

71 Nell’interpretare l’articolo 41 del regolamento n. 6/2002 conformemente all’articolo 4 della Convenzione di Parigi, occorre altresì tener conto delle disposizioni del TCB, a norma del quale è stata depositata la domanda anteriore su cui si basa la KaiKai per rivendicare un diritto di priorità. Infatti, dal momento che tutti gli Stati membri dell’Unione sono parti del TCB, si può tener conto delle disposizioni di tale trattato ai fini dell’interpretazione di disposizioni di diritto derivato dell’Unione che rientrano nel suo ambito di applicazione (v., in tal senso, sentenza del 1º agosto 2022, Sea Watch, C‑14/21 e C‑15/21, EU:C:2022:604, punto 90 e giurisprudenza ivi citata). In tale contesto, occorre altresì rilevare che, conformemente al suo articolo 1, paragrafo 2, il TCB non pregiudica i diritti previsti dalla Convenzione di Parigi>>.

e poi:

<<Pertanto, dal chiaro tenore letterale di tale articolo 41, paragrafo 1, risulta inequivocabilmente che, ai sensi di tale disposizione, solo due categorie di domande anteriori – vale a dire, una domanda di registrazione di un disegno o modello e una domanda di registrazione di un modello di utilità – possono fondare un diritto di priorità a beneficio di una domanda di registrazione di un disegno o modello comunitario posteriore, e ciò unicamente entro un termine di sei mesi a decorrere dalla data di deposito della domanda anteriore considerata.

77 Ne risulta altresì che detto articolo 41, paragrafo 1, ha carattere esaustivo e che la circostanza che tale disposizione non fissi il termine entro il quale può essere rivendicato il diritto di priorità fondato su una domanda di registrazione di un brevetto non costituisce una lacuna di detta disposizione, bensì la conseguenza del fatto che quest’ultima non consente di fondare tale diritto su questa categoria di domande anteriori.

78 Pertanto, da un lato, una domanda internazionale depositata a norma del TCB può fondare un diritto di priorità, in applicazione dell’articolo 41, paragrafo 1, del regolamento n. 6/2002, solo nella misura in cui la domanda internazionale in questione abbia ad oggetto un modello di utilità e, dall’altro, il termine per rivendicare tale diritto sulla base di una siffatta domanda è quello di sei mesi, espressamente fissato a detto articolo 41, paragrafo 1.>>

Decisione esatta,

Importanti precisazioni sull’obbligazione dei comproprietari per i lavori condominiali eseguiti

Utile messa a punto da parte di Cass. sez. III, ord. 06/12/2023  n. 34.220, rel. Tatangelo, che la condensa nel seg. principio di diritto:

<<l’onere di preventiva escussione dei condomini “morosi” gravante, ai sensi dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., sul creditore solo parzialmente soddisfatto e munito di titolo esecutivo, non ha ad oggetto la sola somma corrispondente alla quota millesimale del condomino moroso sull’importo residuo dell’obbligazione di cui al titolo esecutivo, ma l’intero importo della suddetta “morosità”, cioè l’intera originaria quota dell’obbligazione condominiale imputabile al singolo condomino, detratto quanto eventualmente già pagato al creditore dall’amministratore, in nome e per conto di detto condomino, in virtù dei versamenti dallo stesso effettuati nelle casse condominiali, secondo l’imputazione comunicata ai sensi dell’art. 63, comma 1, disp. att. c.c., e/o quanto versato direttamente dal singolo condomino al terzo”;

“la quota del debito condominiale gravante sul singolo condomino contro il quale il creditore abbia agito in via esecutiva in base all’art. 63 disp. att. c.p.c., in caso di contestazioni espresse in sede di opposizione all’esecuzione – e fermo restando che spetta al condomino intimato l’onere di allegare e provare che detta quota sia diversa da quella indicata dal creditore – va determinata: a) in base alla delibera condominiale di riparto della spesa; b) se una delibera manchi o sia venuta meno, all’esito di una valutazione sommaria del giudice dell’opposizione all’esecuzione, ai soli fini dell’azione esecutiva in corso, tenendo conto delle indicazioni dell’amministratore, degli elementi certi disponibili ed eventualmente, in mancanza, facendo ricorso alla tabella millesimale generale; in tali casi restano tuttavia salve le eventuali successive appropriate azioni di rivalsa interna tra condomini”. >>

La sostituzione testamentaria deve essere esplicita , non essendo ravvisabile nella disposizione per cui l’erede istituito a sua volta avrà “l’obbligo morale” di devolvere i beni ai pretesi eredi in subordine (con un ripassino sulla interpretazione testamentaria)

Cass. sez. II sent. 01/03/2024 n. 5.487, rel. Giannaccari:
Premessa sull’interpretazione del testamento:

<<Secondo l’insegnamento di questa Corte, nell’interpretazione del testamento il giudice deve accertare, secondo il principio generale di ermeneutica enunciato dall’art.1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l’effettiva volontà del testatore comunque espressa, considerando congiuntamente, e in modo coordinato, l’elemento letterale e quello logico dell’atto unilaterale mortis causa, salvaguardando il rispetto del principio di conservazione del testamento (Cass. 14.10.2013, n.23278). Soltanto qualora dal testo dell’atto non emerga con certezza l’effettiva intenzione del de cuius e la portata della disposizione, l’interprete può, in via sussidiaria, ricorrere alla valutazione di elementi estrinseci al testamento, seppure sempre riferibili al testatore, quali ad esempio la sua cultura, la mentalità, il suo ambiente di vita, le sue condizioni fisiche (Cass. Civ., Sez. II, 24.4.2018, n.10075).

Si è quindi precisato che (così Cass. 20204/2005) qualora dall’indagine di fatto riservata al giudice di merito risulti già chiara, in base al contenuto dell’atto, la volontà del testatore, non è consentito – alla stregua del primario criterio ermeneutico della letteralità – il ricorso ad elementi tratti “aliunde” ed estranei alla scheda testamentaria>>.

La disposizione istitutiva:

Io sottoscritta, Br.Gi. – nata il (Omissis) a L (P) e residente a V, Corso (Omissis) – nelle mie piene facoltà mentali, nomino mio erede universale mio marito Ma.Ma.. Impongo al mio erede l’obbligo morale di riscrivere testamento con il quale, come da reciproci accordi, tutto il patrimonio venga assegnato, dopo la sua morte, nel modo seguente…[addirittura con determinazione delle risopettive quote, dice la SC!].

Ebbene, la SC non ravvisa in questa disposizione contenente un obbligo morale di “riscrivere il testamento” (perchè poi RIscrivere?) una sostituzione ex art. 688 cc:

<< La Corte d’appello ha ritenuto che l’istituzione di erede riguardasse solo il coniuge, con interpretazione plausibile, che ha tenuto conto, in primo luogo del dato letterale, mancando nell’atto una previsione espressa di devoluzione dell’eredità ai cognati.

La de cuius non aveva espressamente istituito eredi i cognati, in forza del meccanismo della sostituzione ex art.688 c.c., ma aveva fatto riferimento all’obbligo morale del marito di “riscrivere il testamento”, nel rispetto dei “reciproci accordi”.

Nell’interpretare la volontà della testatrice, la Corte di merito si è soffermata sull’appropriatezza del lessico nella parte in cui distingue l’istituzione di erede del coniuge dal suo obbligo morale di beneficiare i cognati nell’esercizio delle sue ultime volontà, ovvero nel “riscrivere il testamento”.

Del resto, la volontà del testatore, che deve guidare l’interprete nell’interpretazione del testamento, non può confliggere con le disposizioni di legge in materia di sostituzione ordinaria, che richiede una doppia istituzione di eredità in modo espresso, mentre, nel caso in esame, la testatrice non ha sostituito i cognati all’erede ma ha disposto che l’erede doveva riscrivere il testamento secondo accordi pregressi accordi intercorsi tra di loro.

La sostituzione deve essere oggetto di un‘esplicita disposizione del testatore, il quale provvede ad una designazione in subordine per il caso in cui l’istituito non possa acquistare l’eredità o il legato; in tale ipotesi, è lo stesso testatore ad indicare il criterio di soluzione per il caso in cui il designato alla successione non possa o non voglia succedere, prevalendo sia sulla rappresentazione che sull’accrescimento.

Il caso di specie non è riconducibile all’ipotesi in cui il testatore nomini un erede in via primaria ed un altro erede in via subordinata, realizzando la chiamata in sostituzione una chiamata originaria ed autonoma, che dipende dalla prima designazione solo in termini alternativi, nel senso che essa ha effetto se la prima designazione non si realizza>>.

Soluzione corretta ma non la motivazione. Che la sostituizione debba essere esplicita non risulta dalla legge e nemmeno dalla sua ratio: deve piuttosto essere inequivoca, anche se magari implicita.     E nel caso una disposizione in subordine non esisteva per nulla.