Nessuna responsabilità della scuola per il danno cagionato tra alunni durante esercizi prepatori alla pratica del rugby

Cass. sez. III, ord. 25/07/2024, (ud. 13/05/2024, dep. 25/07/2024), n.20790, rel. Tassone-

<<La decisione impugnata è conforme ai principi della materia enunciati da questa Suprema Corte, che ha già avuto modo di affermare che: “In tema di danni conseguenti ad un infortunio sportivo subito da uno studente durante una gara svoltasi all’interno della struttura scolastica nell’ora di educazione fisica, ai fini della configurabilità della responsabilità della scuola ai sensi dell’art. 2048 c.c., è necessario: a) che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente partecipante alla gara, il quale sussiste se l’atto dannoso sia posto in essere con un grado di violenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato o con il contesto ambientale nel quale l’attività sportiva si svolge o con la qualità delle persone che vi partecipano, ovvero allo specifico scopo di ledere, anche se non in violazione delle regole dell’attività svolta, e non anche quando l’atto sia compiuto senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole della disciplina sportiva, né se, pur in presenza di una violazione delle regole dell’attività sportiva specificamente svolta, l’atto lesivo sia a questa funzionalmente connesso; b) che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee ad evitare il fatto. Ne consegue che grava sullo studente l’onere di provare l’illecito commesso da un altro studente, mentre spetta alla scuola dimostrare l’inevitabilità del danno, nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee ad evitare il fatto” (così Cass., 10/04/2019, n. 9983; Cass., 08/04/2016, n. 6844; Cass., 14/10/2003, n. 15321).

Le condizioni di applicabilità della norma si traducono dunque in un fatto costitutivo, l’illecito, che va provato dal danneggiato, e in un fatto impeditivo, il non averlo potuto evitare nonostante la predisposizione di tutte le idonee cautele, che va provato dalla scuola (così Cass., 14/10/2003, n. 15321)>>

I fatti storici accertati in appello:

<<È rimasto nella specie dai giudici di merito accertato: a) che non si trattava di una partita di rugby, bensì di un esercizio di educazione fisica consistente nel simulare una fase di gioco all’interno della palestra, precisando che “si bloccava la persona, ma non c’era placcaggio” (cfr. testimonianza di Po.Gi., teste introdotto dalla stessa Mo.Gi.); b) che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nei suoi programmi di educazione fisica relativi alle scuole superiori include la pratica sportiva e lo svolgimento di esercizi ginnici e/o di gare tra contrapposte squadre di studenti; peraltro nel caso di specie non si trattava di pratica sportiva in senso proprio, ma di un esercizio propedeutico alla pratica sportiva del rugby, come si è detto caratterizzato da limitato contatto fisico; c) che un istruttore di rugby aveva adeguatamente illustrato l’esercizio agli alunni, ed era rimasto presente durante lo svolgimento dello stesso, unitamente a tre insegnanti; d) che il pavimento della palestra era in linoleum, materiale normalmente usato nelle palestre proprio perché attutisce i colpi.

La corte territoriale, nel rigettare il gravame, ha inoltre espressamente rilevato che “Il giudice di primo grado, dopo aver attentamente esaminato le risultanze istruttorie, ha correttamente escluso la pericolosità dell’esercizio, anche tenuto conto dell’età delle ragazze (14 anni)”, ed è pervenuta a concludere che “la condotta delle alunne che componevano la squadra avversaria a quella dell’attrice è stata repentina ed imprevedibile” (p. 9 dell’impugnata sentenza), pertanto ravvisando avere la scuola fatto quanto doveva per assolvere all’obbligo di vigilanza cui era tenuta ai sensi dell’art. 2048 cod. civ. e ritenendo essersi il sinistro nella specie verificato con modalità tali da non potere essere impedito, e rientrare l’evento nell’alea normale dell’attività sportiva cui la studentessa, odierna ricorrente, ha preso parte durante l’ora di educazione fisica>>.

Confermato quindi il rigetto della domanda risarcitoria pure in appello.

Meno convinvente il rigetto (processuale) ex art. 2050 cc (attività pericolosa):

<<4.3. Sotto la formale invocazione della violazione di legge, anche lamentando la mancata riconduzione della fattispecie in esame al disposto dell’art. 2050 cod. civ. in tema di attività pericolosa, l’odierna ricorrente sollecita invero un riesame del fatto e della prova, precluso al giudice della legittimità.

Va infatti ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte “ai fini dell’accertamento della sussistenza della responsabilità ex art. 2050 cod. civ., il giudizio sulla pericolosità dell’attività svolta – ossia l’apprezzamento della stessa come attività che, per sua natura, o per i mezzi impiegati, rende probabile, e non semplicemente possibile, il verificarsi dell’evento dannoso da essa causato, distinguendosi, così, dall’attività normalmente innocua, che diventa pericolosa per la condotta di chi la eserciti od organizzi, comportando la responsabilità secondo la regola generale di cui all’art. 2043 cod. civ. – quando non è espresso dal legislatore, è rimesso alla valutazione del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, ove correttamente e logicamente motivata” (cfr. Cass., 15/02/2019, n. 4545; Cass. 1195/2007; Cass. 10268/2015), ed in forza di questo principio l’attività sportiva non è – in linea generale – una attività pericolosa, potendo essere considerata tale solo là dove abbia caratteristiche intrinseche di pericolosità ovvero presenti passaggi di particolare difficoltà (così, nel caso del rafting, Cass., 26860/2023; Cass., 18903/2017). [proprio questo si doveva verificare, ma non è stato fatto]

Nel caso di specie si verte in tema di esercizi di approccio all’attività del rugby durante l’ora di educazione fisica a scuola, dei quali va valorizzato l’aspetto intrinsecamente educativo, oltre che ludico, finalizzato alla valorizzazione del gioco di squadra ed alla fiducia nei compagni, all’attenzione alle regole ed al rispetto dell’avversario, alla formazione dei giovani per una maggiore sicurezza di sé nel raggiungimento degli obiettivi, conformemente alla ratio del nuovo ultimo comma dell’art. 33 Cost. (inserito dall’art. 1, comma 1, della legge costituzionale 26 settembre 2023, n. 1), che recita “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme” ed evidenzia come lo sport debba essere praticato e coltivato come un prezioso alleato nell’educazione, nell’inclusione sociale e nel miglioramento del benessere complessivo di tutti i cittadini>> [giudizio irrlevante ai fini dell’accetamento della periciolosità ex ar.t 2050 c.c.]

Disegni e modelli: prova della anteriore divulgazione tramite screenshot di pagina internet

Anna Maria Stein in IPKat segnala interessante decisione sull’oggetto: 3rd Board of Appeal 11.09.2024 , case R 5/2024-3, Ekomill OÜ v. Ecosauna Project OÜ.

<<20 The invalidity applicant invoked as prior design D1, an oval-shaped wooden sauna as manufactured and sold by a Lithuanian company. It provided as evidence of disclosure two screenshots of two posts allegedly from Facebook, dated 22 August 2013 and July 2014 (Annex 3), and indicated two hyperlinks in its observations. It did not file any additional evidence at the appeal stage.
21 The Invalidity Division considered that this evidence constitutes sufficient proof of disclosure. The Board does not concur.
22 Although the appearance of a picture of a design on the internet constitutes a publication within the meaning of Article 7(1) CDR (20/10/2021, T‑823/19, Bobby pins, EU:T:2021:718, § 32), the invalidity applicant must provide solid evidence of this event of disclosure.
23 To establish disclosure, a printout or a screenshot should show the full URL address of a website, demonstrating the source of design disclosure on the internet (20/10/2021, T‑823/19, Bobby pins, EU:T:2021:718, § 33-34).
24 As correctly pointed out by the design holder, the indication of a hyperlink in the invalidity applicant’s observations cannot suffice in this respect. Hyperlinks or URL addresses per se cannot be considered sufficient evidence for proving the disclosure of a prior design. Even if these are active, they should be supplemented with additional evidence, such as a printout or a screenshot of the relevant information contained therein (07/02/2007, T 317/05, Guitar, EU:T:2007:39, § 43) including the full URL address. This is because information accessible through a hyperlink or URL address may later be altered, removed or difficult to identify. Even assuming that the URL link would display the screenshot, as shown in Annex 3, it is impossible for the Board to ascertain whether the content to be found under the hyperlink has been changed or removed over time.
25 In this regard, the Board notes that this assessment aligns with the ‘CP 10 Common Practice – Criteria for assessing disclosure of designs on the internet’ (Section 2.4.4, p. 29) established by the IP offices of the European Union in the framework of the European Union Trade Mark and Design Network, with the purpose of offering guidance on the sources, reliability, presentation, and assessment of online evidence. Accordingly, when the screenshot does not contain all relevant information, namely source, date, and depiction of the invoked prior design, additional evidence should be submitted. Although these texts are not binding for the Board, it may take it into account in its decision-making process.
26 Considering that the screenshots provided do not show the source of disclosure, and that the event of disclosure cannot be proved by means of probabilities or suppositions but must be demonstrated by solid and objective evidence (09/03/2012, T-450/08, Phials, EU:T:2012:117, § 24-25), the Board finds that the invalidity applicant failed to submit sufficient proof of disclosure of the prior design D1 within the meaning of Article 7(1) CDR>>.

La decisione va condivisa; solo che un difensore, minimamente prudente e pratico della rete, lo sa e lo fa d’istinto

Sussidiarietà dell’obbligazione di mantenimento a carico dei nonni ex art. 316 bis c.c.

Cass. sez. I, 18/09/2024, ord. n. 25.067, rel. Tricomi:

<<2.5. – Invero, questa Corte nell’impugnata ordinanza n. 13345-2023, ha – sulla base di una valutazione delle risultanze processuali del giudizio di merito – ritenuto corretta la sentenza della Corte d’appello che aveva applicato la responsabilità sussidiaria dei nonni, ex art. 316-bis c.c., in considerazione del fatto che il padre della minore si era reso irreperibile, cambiando di continuo abitazione e lavoro, in modo da non consentire di agire nei suoi confronti, e che il medesimo era stato perfino condannato ai sensi dell’art. 570 c.p. L’impugnata sentenza è, peraltro, conforme alla giurisprudenza di questa Corte circa l’obbligo sussidiario dei nonni (Cass. n.10419-2018), che ha ritenuto sussistente, con valutazione in diritto insindacabile in questa sede>>.

La mancanza di esigenza assistenziale non osta al riconoscimento dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 09/09/2024 n. 24.110, rel. Russo:

<<Secondo la giurisprudenza più recente di questa Corte, infatti, l’assegno divorzile deve essere – oltre alla eventuale componente assistenziale – anche adeguato, sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale. La prova presuntiva – idonea a fondare il criterio compensativo-perequativo – è fondata, in tale prospettiva, proprio sul divario economico tra i due coniugi che, se non può legittimare il criterio assistenziale, quando la moglie è autosufficiente, è un fatto idoneo a fondare la prova presuntiva del contributo dato dalla medesima alla crescita del patrimonio comune e dell’altro coniuge, il che – in un’ottica di giustizia distributiva all’interno della famiglia – giustifica l’assegno divorzile, pure in assenza di un sacrificio professionale da parte della moglie (Cass. sent. 35434/2023)>>.

La non ostatività all’assegno, qualora non ricorra necessità assistenziale, è affermata da varia giurisprudenza.

Solo che il dettato dell’art. 5.6 legge div. è in senso opposto: tale necessità è richiesta (nell’AN) e gli altri elementi servono solo a quantificare.

Il “clickwrap agreement” si è formato correttamente se la videata è sufficientemente chiara e bloccante nel procedere se non si leggono le Terms

Ecco la videata dell’app Uber per l’accettazione delle condizioni genrali, trea c ui la clausola arbitrale (queste liti son quasi sempre generate dal decidere l’accettazione o m,eo di querst’u,ti,a)

Eric Goldman ci notizia di MA Supreme Court 7 giugno 2024, Good v. Uber, SJC-13490.

La sintesi iniziale:

<<Relevant to this narrow inquiry, Uber presented its terms
of use to Good through its app in a manner that prevented Good
from continuing to use Uber’s services on his cellular telephone
unless Good both clicked a checkbox indicating that he had
“reviewed and agree[d]” to the terms and activated a button
labeled “Confirm,” further indicating his assent. This blocking
interface included a large graphic image of a clipboard holding
a document; near the bottom of the document was an “X” alongside
a graphic of a pencil poised as if to sign a legal instrument.
The interface was focused and uncluttered; it clearly alerted
Good multiple times, in prominent boldface text, that the
purpose of the blocking screen was to notify Good of Uber’s
terms of use. It encouraged Good to review those terms and
provided an identifiable hyperlink directly to the full text of
the terms of use document.
We conclude that these and other features of Uber’s
“clickwrap”2 contract formation process put Good on reasonable
notice of Uber’s terms of use, one of which was the agreement to
arbitrate disputes, like the present one, concerning the
personal injuries he suffered. Further concluding that Good’s
selection of the checkbox adjacent to the boldfaced text stating
that he “agree[d]” to the terms and his activation of the
“Confirm” button reasonably manifested his assent to the terms,
we reverse the order of the Superior Court judge denying Uber’s
motion to compel arbitration, and we remand for entry of an
order to submit the claims to arbitration>>.

 

Permuta di terreno con immobili ivi da costruire

Cass. sez. II, ord. 15 Maggio 2024 n. 13.398, rel. Cavallino, affermando regola  assodata:

<<Il contratto con il quale le parti prevedono il trasferimento della proprietà di un’area fabbricabile in cambio di immobili da costruire nella stessa area integra gli estremi della permuta di cosa presente con cosa futura; ne consegue che l’effetto traslativo della proprietà degli immobili da costruire si verifica, ex art. 1472 c.c., non appena la cosa viene ad esistenza, momento che si identifica nella conclusione del processo edificatorio nelle sue componenti essenziali, ossia nella realizzazione delle strutture fondamentali.(In applicazione di detto principio, la S.C. ha cassato la sentenza della corte di appello, la quale aveva erroneamente ritenuto che l’effetto traslativo ex art. 1472 c.c. si fosse verificato, ancorché le costruzioni, costituite da muretti e pilastri, fossero inidonee a determinare l’esistenza dei beni futuri oggetto del contratto, ed aveva conseguentemente ridotto il danno subito dai proprietari dell’area permutata in misura pari al valore dei manufatti realizzati)>> (massima ufficiale)

Il safe harbour ex § 230 CDA opera anche verso la responsabilità contrattuale (ma non tutti sono d’accordo)

L’appello californiano del 6° distretto 3 giugbno 2024, Lasdy Freethinker c. Google,    chiarisce che non conta la qualificazione della domanda ma la sostanza.

Nel caso, la domanda allegava un inadempimento di Google/Youtube per aver ospitato video di maltrattamenti di animali, contrariamente alla sua policy dichiarata.

<<As these cases demonstrate, merely because a cause of action is framed and
labeled as a breach of contract or related claim does not remove it from the scope of section 230 immunity. Instead, a court must evaluate a cause of action to determine whether it seeks to treat an interactive computer service as a publisher or speaker of third-party information. That may include assessing what a plaintiff’s claim “amounts to” or identifying the gravamen of a complaint and the nature of the alleged injurious conduct, notwithstanding the plaintiff’s labels and characterization of its own causes of action.
(See, e.g., Murphy, supra, 60 Cal.App.5th at p. 30 [“gravamen” of plaintiff’s complaint “seeks to hold Twitter liable, not for specific factual representations it made, but for enforcing its Hateful Conduct Policy against her and exercising its editorial discretion to remove content she had posted”]; see also, Roommates, supra, 521 F.3d at pp. 1170–1171 [“any activity that can be boiled down to deciding whether to exclude material that third parties seek to post online is perforce immune under section 230”].) It may also include assessing the sufficiency of a cause of action as pleaded from a contract standpoint,
including whether it is based on general policies or a personal, well-defined, enforceable promise. (See, e.g. Prager, supra, 85 Cal.App.5th at pp. 1035–1036; Murphy, supra, 60 Cal.App.5th at p. 29; Barnes, supra, 570 F.3d at p. 1108.).

Consistent with this precedent, we conclude that Lady Freethinker’s causes of
action, despite being framed as contract-related claims, seek to treat Google as a
publisher or speaker of third-party information, and are therefore barred by section 230>>

In effetti il tenore della norma non permette restrizioni interpretative. Da vedere se l’insegnamento valga pure per noi (art. 6 DSA reg. UE 2022/2065).

Ma l’appello del 9 circuito in data 4 giugno 2024, Calise v. Meta, No. 22-15910, la pensa all’opposto.

<<Plaintiffs assert two contract claims: breach of contract
and a breach of the covenant of good faith and fair dealing
(the contract claims).4 These both rely on the same
“enforceable promises” allegedly made by Meta to
Plaintiffs—the same duty. Barnes controls here. As we
explained, the difference between contract claims and a tort
such as defamation is that the latter “derive[s] liability from
behavior that is identical to publishing or speaking:
publishing defamatory material.” Barnes, 570 F.3d at 1107.
“Promising,” on the other hand, “is different because it is not
synonymous with the performance of the action promised.”
Id.
Thus, Meta’s “[c]ontract liability” would “come not
from [its] publishing conduct, but from [its] manifest
intention to be legally obligated to do something.” Id. This
is because “[c]ontract law treats the outwardly manifested
intention to create an expectation on the part of another as a
legally significant event.” Id. “That event generates a legal
duty distinct from the conduct at hand.” Id.5 To the extent
that Meta manifested its intent to be legally obligated to
“take appropriate action” to combat scam advertisements, it became bound by a contractual duty separate from its status as a publisher. We thus hold that Meta’s duty arising from its promise to moderate third-party advertisements is
unrelated to Meta’s publisher status, and § 230(c)(1) does not apply to Plaintiffs’ contract claim>> , pp. 18-19.

(notizia e link dal blog di Eric Goldman)

Determinazione dell’assegno di mantenimento da separazione

Cass. ord. sez. I, 23/05/2024  n. 14.371, rel. Pazzi:

<<5.1 L’art. 156, comma 2, cod. civ. stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell’assegno tenendo conto non solo dei redditi delle parti ma anche di altre circostanze non indicate specificatamente, né determinabili a priori, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti, la cui valutazione, peraltro, non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass. 605/2017).

Nell’effettuare questa ricostruzione la Corte d’appello ha ritenuto che il cospicuo patrimonio immobiliare di pertinenza dell’odierno ricorrente, dell’importo di oltre quattro milioni di Euro, potesse essere oggetto di sfruttamento diretto, “anche in misura maggiore a quale” (rectius quella) “sino ad oggi attuata come da osservazioni dell’ausiliario” (pag. 10 della decisione impugnata), o di alienazione. In questa prospettiva valutativa non assume alcuna decisività la mancata considerazione degli oneri che l’odierno ricorrente dovrebbe sostenere per rendere commerciabile il suo patrimonio commerciale ubicato in F, dato che la Corte di merito ne ha valorizzato – con valutazione in fatto incensurabile in questa sede – non le rendite percepite, ma le potenzialità reddituali in termini anche maggiori rispetto all’attualità.

Giova, poi, ricordare che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. qualsiasi censura volta a criticare il convincimento che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass. 20553/2021).

5.2 La Corte di merito non ha affatto tralasciato di considerare l’intervenuta morte del padre dell’odierno ricorrente nel corso del giudizio, posto che, dopo aver ricordato che nella ricostruzione del tenore di vita assume rilievo l’apporto costante del nucleo di origine di uno dei coniugi, ha sottolineato che tale disponibilità non era venuta meno nel corso degli anni, poiché il Po.Ro. aveva ereditato (dunque a seguito del decesso del congiunto) un cospicuo patrimonio immobiliare.

In altri termini, l’apporto esterno si era trasformato in apporto ereditario, continuando a contribuire alla determinazione del reddito e del patrimonio dell’odierno ricorrente.

5.3 Né è possibile sostenere che la Corte di merito non abbia tenuto conto dell’indennità di Euro 1.500 corrisposta dal Po.Ro. al fratello per l’occupazione della casa familiare da parte del coniuge separato e dei figli. Tale somma, infatti, costituisce proprio la differenza fra l’ammontare del contributo dovuto fino al rilascio dell’abitazione e dell’assegno da corrispondere in seguito, a testimonianza del fatto che i giudici distrettuali hanno tenuto conto dell’esborso, detraendolo, fino a quando lo stesso fosse stato versato, dall’importo dell’assegno giudicato congruo>>.

Risarcimento del danno non patrimoniale da violazione di privacy

In un caso di erronea divulgazione online da parte della PA di dati sanitari di una pazienda, però immediatamente eliminata, regola la domanda risarcitoria Cass. sez. III, 16/04/2024 ord. n. 10.155, rel. Ambrosi:

<<1.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte, in materia di responsabilità civile, è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale, da identificare con qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione.

All’esito della pronunzia Corte Cost. n. 235 del 2014 e dell’entrata in vigore della L. n. 124 del 2017 (che all’art. 1, comma 17, ha modificato l’art. 138 Cod. ass. richiamato dai ricorrenti), questa Corte ha posto in rilievo come il giudice del merito sia tenuto “a valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico – relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sé”)” (così Cass., 31/1/2019, n. 2788; Cass., 21/9/2017, n. 21939).

Il danno preteso, dovendo necessariamente consistere in un profilo consequenziale rispetto al fatto dannoso denunciato (non potendo esaurirsi nella figura del c.d. danno-evento, ossia in re ipsa), dev’essere essere oggetto di specifica allegazione e di prova, anche tramite il ricorso al valore rappresentativo di presunzioni semplici (v. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 19551 del 10/07/2023, Rv. 668139 – 01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20643 del 13/10/2016, Rv. 642923 – 02), ossia anche attraverso l’indicazione degli elementi costitutivi e delle specifiche circostanze di fatto da cui desumerne, sebbene in via presuntiva, l’esistenza (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 34026 del 18/11/2022, Rv. 666153 – 01).

Inoltre, questa Corte ha posto in evidenza che in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, la liquidazione compiuta dal giudice di merito sfugge ad una precisa valutazione analitica e resta affidata al criterio equitativo, non sindacabile in sede di legittimità allorquando lo stesso giudice dia conto del criterio medesimo e la valutazione risulti congruente al caso e la concreta determinazione dell’ammontare del danno non sia, per eccesso o per difetto, palesemente sproporzionata (Cass. Sez. 3 14/07/2004, n. 13066) o non congrua (Cass. Sez. 3, 7/03/2003 n. 3414) o, addirittura, simbolica o irrisoria (Cass. Sez. 3, 16/05/2003 n. 7632).

3.1.2. Sul punto, giova sottolineare come nella specie il Tribunale ha avuto cura di evidenziare che la divulgazione di informazioni in violazione degli obblighi di riservatezza e di privacy avvenuta in modo illegittimo (in particolare, circa gli aspetti inerenti allo stato di salute e alla vita sessuale della odierna parte ricorrente, nonché alle prestazioni sanitarie cui era stata sottoposta, e alle coordinate bancarie del coniuge su cui accreditare il rimborso ottenuto) determinò l’odierna azienda controricorrente a provvedere in un tempo brevissimo (nelle ore immediatamente successive alla pubblicazione) ad oscurare i dati sensibili presenti nel testo diffuso.

Di conseguenza, il Tribunale ha correttamente considerato il complesso degli elementi istruttori documentali e testimoniali acquisiti ed è pervenuto alla quantificazione e liquidazione del danno in via equitativa, in modo unitario e omnicomprensivo e proporzionato al danno di natura non patrimoniale subìto in concreto dalla parte ricorrente>>.

Obbligo di manutenzione del guardrail da parte della PA ex art. 2051 cc

Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 24/04/2024) 03/05/2024, n. 11.950, rel. Gianniti:

Principio di diritto:

La P.A. che, pur avendo collocato una barriera laterale di contenimento per diminuire la pericolosità di un tratto stradale, non curi di verificare che la stessa non abbia assunto nel tempo una conformazione tale da costituire un pericolo per gli utenti ed ometta di intervenire con adeguati interventi manutentivi al fine di ripristinarne le condizioni di sicurezza, viola sia le norme specifiche che le impongono di collocare barriere stradali nel rispetto di determinati standard di sicurezza, sia i principi generali in tema di responsabilità civile“.

E poi:

<< Questa Corte, con ordinanza 01/02/2018, n. 2482 (e, nello stesso senso, con ordinanze nn. 2479 e 2480 del 2018) ha avuto modo di precisare che:

“In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.

Tale principio di diritto – successivamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 27724/2018; n. 20312/2019; n. 38089/2021; n. 35429/2022; nn. 14228 e 21675/2023), anche a Sezioni Unite (Cass. n. 20943/2022) – è stato poi ancor più di recente riaffermato, statuendosi (Cass. n. 11152/23) che la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva – in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode – e può essere esclusa:

a) dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure

b) dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del leso: Cass. n. 21675/2023) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e imprevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole.

In particolare, questi ultimi concetti vanno intesi, come già chiarito, non nel senso della assoluta impossibilità di prevedere l’eventualità di una condotta imprudente, negligente o imperita della vittima (che è, ovviamente, sempre possibile), ma nel senso del rilievo delle sole condotte “oggettivamente” non prevedibili secondo la normale regolarità causale, nelle condizioni date, in quanto costituenti violazione dei doveri minimi di cautela la cui osservanza è normalmente prevedibile (oltre che esigibile) da parte della generalità dei consociati e la cui violazione, di conseguenza, è da considerarsi, sul piano puramente oggettivo della regolarità causale (non quindi, con riferimento al piano soggettivo del custode), non prevedibile né prevenibile.

I principi di diritto sin qui esposti risultano, nella loro sostanza, espressamente richiamati, condivisi e fatti propri dalla corte d’appello, nella decisione impugnata.

Invero, la corte – dopo aver rilevato che non può essere condotta abnorme quella del conducente che impatta violentemente contro il guardrail, il quale è funzionalmente posto ad attutire le conseguenze degli impatti violenti; e che, come accertato dal ctu, “è più probabile che non” che l’autovettura non potesse sfondare un guardrail in buono stato di manutenzione e continuo, per cui “diverse sarebbero state le conseguenze derivanti dall’urto contro una barriera integra e in buono stato di manutenzione” – facendo buon governo dei principi affermati da questa Corte in tema di concorso di cause, da un lato, ha affermato che: “la mancanza di continuità della barriera guardrail nel tratto di strada interessato ha consentito il verificarsi del sinistro, aggravando in concreto le conseguenze dannose, ponendosi, dunque, come condizione necessaria dell’evento” e, dall’altro, ha escluso che “la causa remota, costituita dalla condotta di guida tenuta dal E.E. (velocità ed impatto contro il guardrail), fosse connotata da peculiarità tali da porsi come antecedente imprevedibile né da sola era idonea a determinare l’evento, che, non si sarebbe verificato, ove la barriera di protezione fosse stata continua e in buono stato di manutenzione”.

La piena conformità della conclusione della corte territoriale ai principi sopra ricordati, applicati in esito a ricostruzioni fattuali non sindacabili in quanto tali nella presente sede di legittimità (siccome scevre da evidenti vizi logici o giuridici), conduce alla conclusione di infondatezza delle doglianze dell’ente ricorrente  >>.