Il danno per essere caduto nella trappola del phishing è a carico della banca

Un caso classico di phishing esaminato da Cass. sez. III sent. 12/02/2024 n. 3.780, rel. Moscarini:

fatto:

<Di.An., in qualità di procuratrice di Po.Ma., convenne in giudizio, davanti al Giudice di Pace di Paola, Poste Italiane Spa chiedendo accertarsi la responsabilità contrattuale o extracontrattuale della società convenuta per la perdita patrimoniale subita dal Polizza ammontante ad Euro 2900 a seguito di un’operazione posta in essere da ignoti sulla propria carta Postepay Evolution.

A sostegno della domanda rappresentò che il Polizza aveva ricevuto una mail in apparenza proveniente da Poste Italiane Spa, con la quale era stato invitato ad accedere al proprio conto mediante un link contenuto nella mail inserendo le proprie credenziali per effettuare il cambio della password; che l’utente aveva effettuato la richiesta operazione ed aveva successivamente riscontrato un addebito di Euro 2.900 per un’operazione a favore di Anytime Paris Fra, da lui mai compiuta.>>

Ecco l’insegnamento in diritto:

<<La giurisprudenza di questa Corte, qualificata in termini contrattuali la responsabilità della banca, ha affermato che la diligenza posta a carico del professionista, per quanto concerne i servizi posti in essere in favore del cliente, ha natura tecnica e deve valutarsi tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento assumendo come parametro quello dell’accorto banchiere (Cass. n. 806 del 2016); dunque la diligenza della banca va a coprire operazioni che devono essere ricondotte nella sua sfera di controllo tecnico, sulla base anche di una valutazione di prevedibilità ed evitabilità tale che la condotta, per esonerare il debitore, la cui responsabilità contrattuale è presunta, deve porsi al di là delle possibilità esigibili della sua sfera di controllo.

La giurisprudenza di questa Corte è infatti consolidata nel senso di ritenere che la responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente configurabile, ad esempio, nel caso di protratta attesa prima di comunicare l’uso non autorizzato dello strumento di pagamento ma il riparto degli oneri probatori posto a carico delle parti segue il regime della responsabilità contrattuale. Mentre, pertanto, il cliente è tenuto soltanto a provare la fonte del proprio diritto ed il termine di scadenza, il debitore, cioè la banca, deve provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, sicché non può omettere la verifica dell’adozione delle misure atte a garantire la sicurezza del servizio. Ne consegue che, essendo la possibilità della sottrazione dei codici al correntista attraverso tecniche fraudolente una eventualità rientrante nel rischio d’impresa, la banca per liberarsi dalla propria responsabilità, deve dimostrare la sopravvenienza di eventi che si collochino al di là dello sforzo diligente richiesto al debitore (Cass., 1, n. 2950 del 3/2/2017; Cass., 3, n. 18045 del 5/7/2019; Cass., 6-3, n. 26916 del 26/11/2020).

Era pertanto onere di Poste Italiane, come correttamente ritenuto dalla impugnata sentenza, a dover provare di aver adottato soluzioni idonee a prevenire o ridurre l’uso fraudolento dei sistemi elettronici di pagamento, quali ad esempio l’invio al titolare della carta di appositi sms alert di conferma di ogni singola operazione, sulla base di un principio di buona fede nell’esecuzione del contratto. In assenza di tale prova è corretta la decisione di imputare alla banca il rischio professionale della possibilità che terzi accedano ai profili dei clienti con condotte fraudolente>>.

Invio di sms alert che, a questo punto, diverrà un onere imprescindibile per la banca.

Illegittima segnalazione alla centrale rischi e danno all’immagine e alla reputazione

Cass. sez. 1 del 6 marzo 2023 n. 6589, rel. Falabella, sull’oggetto:

<<Rammentato che pure in tema di illegittima segnalazione alla
Centrale rischi il danno all’immagine ed alla reputazione, in quanto
costituente «danno conseguenza», non può ritenersi sussistente in re
ípsa, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il
risarcimento (Cass. 28 marzo 2018, n. 7594), non si ravvede,
nell’esposizione del mezzo di censura, alcuna rappresentazione delle
ragioni per cui le norme di cui agli artt. 2059 e 2697 c.c. sarebbero
state violate o falsamente applicate. Sul punto non possono non valere,
dunque, le considerazioni svolte nel trattare il precedente motivo.>>

(notizia e link da   ilcaso.it)

Onere della prova nella lite sulla responsabilità medica

Cass. sez. III, 29/03/2022 dep. 29/03/2022, n.10.050, rel. Spaziani, sull’oggetto.

Permesso che la nuova disciplina ex legge 24/2017 si applica solo ai fatti ad essa successivi, la Sc così opina.

<<In particolare, con precipuo riferimento alle fattispecie di inadempimento delle obbligazioni professionali – tra le quali si collocano quelle di responsabilità medica – questa Corte ha da tempo chiarito che è onere del creditore-attore dimostrare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del professionista è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno lamentato (Cass. 7 dicembre 2017, 29315; Cass. 15 febbraio 2018, n. 3704; Cass. 20 agosto 2018, n. 20812), mentre è onere del debitore dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inadempimento (o l’inesatto adempimento) è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza (Cass. 26 luglio 2017, n. 18392; Cass. 23 ottobre 2018, n. 26700; Cass. 24 maggio 2019, n. 14335; Cass. 29 ottobre 2019, n. 27606).

Il concetto di “imprevedibilità”, pur lessicalmente esplicativo di una soggettività comportamentale che rientra nell’area della colpa, riferito alla causa impeditiva dell’esatto adempimento, va inteso, precisamente, nel senso oggettivo della “non imputabilità” (art. 1218 c.c.), atteso che la non prevedibilità dell’evento (che si traduce nell’assenza di negligenza, imprudenza e imperizia nella condotta dell’agente) è giudizio che attiene alla sfera dell’elemento soggettivo dell’illecito, in funzione della sua esclusione, e che prescinde dalla configurabilità, sul piano oggettivo, di una relazione causale tra condotta ed evento dannoso. [giusto: la causalità attiene alal condotta, commissiva o omissiva, non a detto evento imprevedibile]

Nelle fattispecie di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni professionali – si è ulteriormente precisato – è configurabile un evento di danno, consistente nella lesione dell’interesse finale perseguito dal creditore (la vittoria della causa nel contratto concluso con l’avvocato; la guarigione dalla malattia nel contratto concluso con il medico), distinto dalla lesione dell’interesse strumentale di cui all’art. 1174 c.c. (interesse all’esecuzione della prestazione professionale secondo le leges artis) e viene dunque in chiara evidenza il nesso di causalità materiale che rientra nel tema di prova di spettanza del creditore, mentre il debitore, ove il primo abbia assolto il proprio onere, resta gravato da quello “di dimostrare la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione” (Cass. 11 novembre 2019, n. 28991; Cass. 31 agosto 2020, n. 18102).

Il nesso di causalità materiale si atteggia invece diversamente nelle altre obbligazioni contrattuali, ove l’evento lesivo coincide astrattamente con la lesione dell’interesse creditorio. Questa coincidenza non ne esclude, tuttavia, la rilevanza quale elemento costitutivo proprio di tutte le fattispecie di responsabilità contrattuale, la quale, al contrario, trova una esplicita conferma positiva nella portata generale della disposizione (art. 1227 c.c., comma 1) che stabilisce una riduzione del risarcimento nell’ipotesi in cui il fatto colposo del creditore abbia concorso a “cagionare” il danno, ritenendosi tradizionalmente (v. già Cass. 9 gennaio 2001, n. 240) che tale disposizione, a differenza di quella contenuta nel comma 2 del medesimo articolo, si riferisca al “danno-evento” e non al “danno-conseguenza”. [si noti il noto tema del se ricorra l’elemento della causalità materiale nella fattispecie di responsabilità contrattuale e la duplicemente articolata risposta della 3° sezione SC, distinguente tra facere professionale e non]

Non sembra esatto, pertanto, al di fuori delle obbligazioni professionali, parlare di “assorbimento” del danno-evento nella lesione dell’interesse creditorio, secondo un lessico sovente adottato in dottrina, mentre concettualmente più corretta appare la diversa ricostruzione, pur suggerita in dottrina, in termini di prova prima facie.

Avuto riguardo agli illustrati principi, nell’ipotesi – come quella in esame – in cui il paziente faccia valere la responsabilità del medico e della struttura sanitaria per i danni derivatigli da un intervento che si assume svolto in spregio alle leges artis, l’attore è tenuto a provare, anche attraverso presunzioni, il nesso di causalità materiale intercorrente tra la condotta del medico e l’evento dannoso, consistente nella lesione della salute e nelle altre lesioni ad essa connesse (nella specie, la perdita del concepito); e’, invece, onere dei convenuti, ove il predetto nesso di causalità materiale sia stato dimostrato, provare o di avere eseguito la prestazione con la diligenza, la prudenza e la perizia richieste nel caso concreto, o che l’inadempimento (ovvero l’adempimento inesatto) è dipeso dall’impossibilità di eseguirla esattamente per causa ad essi non imputabile (Cass. 26 novembre 2020, n. 26907)>>.

La Banca negligentemente ritarda l’esecuzione dell’ordine di vendita dato del cliente di vendita di azioni della Banca stessa

Trib. Bari con sentenz 15.11.20022, sent. nb° 4372/2022 – RG 11937/2018, decide la lite in oggetto, iniziata da clienti a cui era stata postposta l’esecuzione della vendita, per non riuscire più ad eseguirla ad alcun prezzo.

La negligenza è spiegata dal Triobnale ed è ovvia (per non dire del conflitto di interessi, per cui si sarà probabilmente trattato di dolo, non di colpa): l’ordine va eseguito il prima possibile.   IL Trib cita l’art. 21.1d) TUF , l’art. 1176.2 cc e la comuncaizone Consob DI/30396 del 2000.

Ex art. 23/6 TUF , l’onere di provare la propria diligenza spetta alla banca.

Interessante è la determinazione del danno, non semplicissima.

<Infatti, se è acclarato che l’ordine di vendita di Sportelli abbia subìto uno scavalco, dalla
documentazione in atti non è possibile sapere quanti altri risparmiatori abbiano subìto il medesimo
trattamento, considerato anche il lungo lasso temporale che è intercorso tra l’ordine dell’attore
(08.10.2015 – 05.11.2015) e il consistente ordine del quale il consulente ha verificato l’esecuzione
(18.03.2016).
Va peraltro ribadito che l’onere di provare la corretta esecuzione degli ordini secondo la priorità
cronologica acquisita era della Banca, ai sensi dell’art. 23 TUF.
Alla luce di quanto sopra evidenziato, si può concludere che vi è una elevata probabilità che una
negoziazione vi sarebbe stata, ma non è probabile che, se tutti gli ordini fossero stati eseguiti, tutte le
azioni di Sportelli sarebbero state vendute, considerata la mole di ordini pervenuti alla banca e la
concreta possibilità che altri ordini siano rimasti ineseguiti.
Perciò, ipotizzando che le azioni avrebbero potuto essere negoziate al prezzo unitario di almeno €.
7,50, per un valore complessivo di €. 87.502,50 (come calcolato dal C.T.U.), il danno potrà essere
calcolato in una misura pari al 50% di tale importo, dovendosi assumere che tale percentuale, con
riguardo al particolare periodo ed al numero di richieste, misuri il grado di probabilità (la chance) per
l’attore di cedere le azioni.
Da tale somma, pari ad €. 43.751,25, non possono essere detratti i dividendi riscossi dal risparmiatore,
come richiesto dalla convenuta. Tale danno, infatti, non è un danno da perdita economica per
l’esecuzione di operazioni inadeguate e in mancanza dell’informativa richiesta dalla legge, ma è un
danno da perdita di un risultato utile, di un guadagno, che, con ogni probabilità, se la Banca fosse stata
adempiente, il cliente avrebbe conseguito.>

Una perdita di chance, pare (così dire lo stesso Trib.)

Chiusura immotivata dell’account ma nessuna responsabilità in capo a Facebook

Secondo il diritto californiano la chiusura immotivata dell’account, con distruzione di tutto il materiale ivi caricato, non viola alcun diritto contrattuale dell’utente di Facebook: così la corte del distretto nord della California, 20.04.2022, King v. Facebook, Case 3:21-cv-04573-EMC .

Negata la violazione del contratto (breach of contract) e respinsta l’istanza di rimessione in pristino (specific perfornance), restano in piedi le istanze connesse alla violazione della buona fede  per carenza di motivazione e/o di indicazione di quali sarebbero state le condizioni generali (Terms of service) violate.

Anche queste , però , sono rigettate perchè, come che sia, non è dalla violazione della b.f. che discende il danno della perdita dei materiali.

INoltre Facebook non poteva sapere il danno che avrebbe potuto generare in capo al’utente:

<< Here, Ms. King has failed to show that either the subjective or objective test has been satisfied. Ms. King did not actually communicate to Facebook that she was using her account as a photo repository and that she did not otherwise retain her photos elsewhere as one normally would. Nor is there any indication that Facebook actually knew that Ms. King was using her account as a photo repository. Finally, Ms. King’s suggestion that Facebook should have known
that she was using her account as a photo repository – because it “was more convenient and permanent and did not involve storing photo albums and preserving physical photographs,” SAC ¶
24 – strains credulity. Arguably, Facebook should have known that Ms. King would post photos on her account. However, nothing suggests Facebook should have known that she would not
maintain her photos elsewhere (whether as hard copies or digital copies saved onto a hard drive, on a phone, flash drive, or in the cloud), especially given that the photos were of great personal value to her (so much so that she planned on compiling them into a memoir of her life).
See SAC ¶ 24. Certainly, there is no suggestion that Facebook markets itself as a photo repository. And the fact that Facebook has a “memorialization” feature for people who have died can hardly be considered the same thing as a photo storage.
Accordingly, Ms. King’s special damages are not recoverable as a matter of law. The Court also notes that, even if the damages were theoretically recoverable, Ms. King would run into another obstacle – namely, the limitation of liability provision in the TOS. That provision states as follows:

We work hard to provide the best Products we can and to specify
clear guidelines for everyone who uses them. Our Products,
however, are provided “as is,” and we make no guarantees that they
always will be safe, secure, or error-free, or that they will function
without disruptions, delays, or imperfections. To the extent
permitted by law, we also DISCLAIM ALL WARRANTIES, WHETHER EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING THE IMPLIED WARRANTIES OF MERCHANTABILITY, FITNESS FOR A PARTICULAR PURPOSE, TITLE, AND NONINFRINGEMENT. We do not control or direct what people and others do or say, and we are not responsible for their actions or conduct (whether online or offline) or any content they share
(including offensive, inappropriate, obscene, unlawful, and other
objectionable content). [¶] We cannot predict when issues might
arise with our Products. Accordingly, our liability shall be limited to
the fullest extent permitted by applicable law, and
under no
circumstance will we be liable to you for any
lost profits,
revenues, information, or data, or
consequential, special, indirect,
exemplary, punitive, or incidental damages arising out of or
related to these Terms or the Facebook Products, even if we
have been advised of the possibility of such damages
. Our
aggregate liability arising out of or relating to these Terms or the
Facebook Products will not exceed the greater of $100 or the
amount you have paid us in the past twelve months.

TOS ¶ 3 (emphasis added). The limitation of liability provision expressly bars Ms. King’s claim for special damages, and Ms. King has not challenged the validity of that provision. See, e.g., Food Safety Net Servs. v. Eco Safe Sys. USA, Inc., 209 Cal. App. 4th 1118, 1126 (2012) (“With respect to claims for breach of contract, limitation of liability clauses are enforceable unless they are unconscionable . . . .”)>>.

Decisione criticabile, almeno se fosse così stata decisa secondo il nostro diritto:

1° un dovere di buona fede impone almeno di dare un preavviso;

2° la b.f. fa parte dei doveri contrattuali;

3° la chiusura immotivata è illegittima;

4° la mancanza di preavviso è illegittimo;

4° i dannni conseguenti ad essa sono illegittimi.

5° la comunicazione preventiva del motivo avrebbe  permesso all’utente di cautelarsi facendo copia dei file. Ovvio che la comunicazione successiva, a distruzione avvenuta, non possa essere causa dei relativi danni.

6° FB sa benissimo che files ospita e quindi quale danno può generare: i suoi filtri automatizzati   non hanno alcuna difficoltà in tale senso . Basti pensare al newsfeed e alla pubblicitòà tarata sull’utente che costantemente lo assilla (microtargeting): è il cuore del business di FB sapere il più possibile tramite i materiali caricati , gli amici presenti, i link inseriti  etc..

La limitazione di responsabilità , in caso di consumatore, come pare nel caso, sarebbe nulla ex art. 33.2.b) cod. cons.

(notizia della sentenza dal blog di Eric Goldman ove anche link alla precedente decisione 12.12.2021 nel medesimo caso).

Omissione e nesso di causalità: probabilità statistica vs. probabilità logica

Cass- 07.03.2022 n. 7355 , rel. Pellecchia, avanza questo insegnamento sul nesso causale in caso di fattispecie omissiva:

<<Sul piano funzionale, la verifica del nesso causale tra condotta omissiva e fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità, positiva o negativa, del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio si conforma ad uno standard di certezza probabilistica che, in materia civile (come in quella penale), non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza del factum probandum nell’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili e alternativi) disponibili nel caso concreto, sulla base della combinazione logica degli elementi fattuali disponibili in seno al processo (cd. probabilità logica o baconiana: Cass. s.u. 576 e 577/2008; Cass. n. 23197/2018).

Il primo criterio funzionale (che può essere correttamente definito come quello della prevalenza relativa) implica che, rispetto ad ogni enunciato, venga considerata l’eventualità che esso possa essere vero o falso, e che l’ipotesi positiva venga scelta come alternativa razionale quando è logicamente più probabile di altre ipotesi, in particolare di quella/e contraria/e, senza che la relativa valutazione risulti in alcun modo legata ad una concezione meramente statistico/quantitativa della probabilità, per essere viceversa scartata quando le prove disponibili le attribuiscono un grado di conferma “debole” (tale, cioè, da farla ritenere scarsamente credibile rispetto alle altre).

In altri termini, il giudice deve scegliere l’ipotesi fattuale ritenendo “vero” l’enunciato che ha ricevuto il grado di maggior conferma relativa, sulla base della valutazione dapprima atomistica (in applicazione del metodo analitico), poi combinata (in attuazione della metodica olistica) degli elementi di prova disponibili e attendibili rispetto ad ogni altro enunciato, senza che rilevi il numero degli elementi di conferma dell’ipotesi prescelta, attesa l’impredicabilità di una aritmetica del valori probatori.

Il secondo criterio (più probabile che non) comporta che il giudice, in assenza di altri fatti positivi, scelga l’ipotesi fattuale che riceve un grado di conferma maggiormente probabile rispetto all’ipotesi negativa: in altri termini, il giudice deve scegliere l’ipotesi fattuale che abbia ricevuto una conferma probatoria positiva, ritenendo “vero” l’enunciato che ha ricevuto un grado di maggior conferma relativa dell’esistenza del nesso, sulla base delle prove disponibili, rispetto all’ipotesi negativa che tale nesso non sussista.

In entrambi i casi, il termine “probabilità” non viene riferito, per quanto si è andati sinora esponendo, al concetto di frequenza statistica, bensì al grado di conferma logica che la relazione tra facta probata ha ricevuto in seno al processo; la probabilità logica consente, pertanto, di accertare ragionevoli verità relative sulla base degli indizi allegati: permanendo l’incertezza, ed in assenza di una conferma positiva dell’esistenza del fatto da provare, il giudice dovrà necessariamente far ricorso alla disciplina legale dell’onere probatorio, rigettando la domanda (Cass. 18392/2017).>>

La distinzione tra probabilitòà statistica o quantitativa, da un parte, e probabilità  logica, dall’altra, è fatta propria da un trend assai seguito, ad es. pure da Cass. 14.03.2022 n. 8114, sempre 3° sez., ove membro del collegio -ma non relatore- è il relatore di quella qui ricordata. Probabilmente si appoggiano già all’autorità di Cass. sez. unite n. 584 del 11.01.2008, al § 19.10.

La nettezza della distinzione non convince, poichè i due criteri sono in realtà due aspetti (due fasi logiche) dell’unico criterio da seguire. La (necessaria) frequenza statistica, estrapolata dai casi passati, va poi esaminata alla luce delle circostanze concrete emerse in processo, per vedere se possa realmente applicarsi o se invece diventi non pertinente e quindi se vada sostituita da regola stastistica diversa (se reperita).

Nel caso de quo si trattava di responsabilità contrattuale per violazione di obbligazione ex lege: si trattava infatti di rapporto pubblicistico di soggezione del  lavoratore (marinaio) ai controlli da parte dei medici della pubblica sanità.