Responsabilità contrattuale sanitaria in caso di degente sfuggito al controllo della RSA nonchè concorso di cause umane e naturali

Cass. sez. III del 12.05.2023 n. 13.037, rel. Vincenti, riferito al caso di un’anziana che uscì dalla RSA e dopo un vagare di giorni fu trovata morta

In genrale:

<<2.1.2. – Devono, quindi, essere sin d’ora precisate le coordinate giuridiche del riparto degli oneri di allegazione e di prova dell’azione risarcitoria per il danno alla salute in ambito sanitario.

Giova, infatti, rammentare che, in sede di accertamento della responsabilità contrattuale della struttura ospedaliera o del sanitario (per quest’ultimo, in riferimento ai fatti antecedenti alla L. 8 marzo 2017, n. 24: cfr. Cass. n. 28994/2019), in caso di inadempimento o inesatto adempimento delle obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, spetta al danneggiato fornire la prova del contratto e del nesso di causalità materiale tra il predetto inadempimento o inesatto adempimento e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente o che quegli esiti siano stati determinati da una causa imprevedibile o inevitabile che abbia reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione (tra le altre: Cass. n. 18392/2017 e, successivamente, Cass. n. 28891/2019 e Cass. n. 28892/2019).

Difatti, anche nell’ambito della responsabilità contrattuale sanitaria (al pari della responsabilità di tipo aquiliano), il danno (alla salute) e la sua eziologia sono oggetto del “fatto costitutivo” del diritto al risarcimento del danno ex art. 2697 c.c., per cui il danneggiato è tenuto ad allegare, anzitutto, una condotta di inadempimento (o di inesatto adempimento) che abbia astratta efficienza causale rispetto alla lesione della salute e, quindi, a provare che tale condotta abbia poi avuto concreta efficienza causale rispetto a detto evento lesivo (prova, questa, che l’orientamento giurisprudenziale precedente non postulava a carico dell’attore-danneggiato) e ciò in base ai principi della causalità materiale ricavabili dagli artt. 40 e 41 c.p..

In base a tali principi, un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, dovendosi, altresì, avere riguardo al criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione ex ante – del tutto inverosimili (tra le molte, Cass., S.U., n. 576/2008).

Per il caso in cui un siffatto accertamento abbia, poi, ad oggetto una condotta omissiva, la verifica del nesso causale tra tale condotta e il fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto.

Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana) (tra le altre: Cass. n. 23197/2018; Cass. n. 19372/2021).

Ne deriva, quindi, che le conseguenze sfavorevoli in caso di mancato assolvimento dei predetti oneri di allegazione e prova gravano interamente a carico dell’attore>>.

Nel particolare:

<<2.1.6. – Quanto al profilo dell’onere probatorio, il giudice di secondo grado ha evidenziato che non erano stati forniti elementi per dimostrare che la morte della G. non si sarebbe altrimenti cagionata se la stessa non si fosse allontanata, essendo, altresì, presente agli atti una relazione peritale (eseguita dalla Dott.ssa F.) che dava atto dell’ipotesi alternativa di infarto miocardico acuto come sindrome secondaria dovuta ad arteriosclerosi coronarica, né essendo risultati utili all’attore gli esiti della c.t.u. espletata nel giudizio di primo grado, “che si limita ad accertare la consecuzione causale tra le carenze strutturali della RSA e l’allontanamento, che si ritiene… causa del decesso senza alcuna motivazione sul punto” (p. 15 e 16 della sentenza di appello).

2.1.7. – La Corte territoriale ha, però, omesso di considerare che nella stessa relazione peritale alla quale ha fatto riferimento (indicata puntualmente in ricorso a p. 14, unitamente alla c.t.u. espletata in primo grado e alla relazione del consulente tecnico di parte acquisita agli atti e richiamata dallo stesso ricorso ex art. 702-bis c.p.c., presente come doc. 5 nel fascicolo depositato in questa sede) si dava atto delle condizioni precarie di salute della G., delle condizioni di tempo e di luogo nella quale la stessa venne ritrovata priva di vita (contesto evidenziato anche dalla c.t.u. espletata in primo grado e dalla sentenza di questa Corte, Sezione IV penale, n. 48269/2015, richiamata a p. 3 del ricorso e presente come doc. n. 2 nel fascicolo depositato in questa sede), della possibilità di individuare come fattore scatenante l’infarto acuto del miocardio “un intenso sforzo fisico” o “uno stress psicologico intenso e prolungato” o ancora “forti ed improvvise emozioni” (p. 16 della relazione peritale) e del fatto che l’ipotesi alternativa quale causa del decesso della stessa paziente – da riconoscersi non già, come in modo affatto contraddittorio inteso dal giudice di appello, nella aterosclerosi coronarica, alla base dell’infarto, bensì nell'”ematoma subdurale rilevato in sede di autopsia” e in possibile “relazione con il sinistro stradale del (Omissis)” -, pur non essendo possibile escluderla “con certezza”, era da ritenersi superata, alla luce degli esiti dell’esame autoptico, dalla causa dovuta ad “(a)rresto cardiocircolatorio secondario a infarto acuto del miocardio” (pp. 116/17 della relazione peritale della Dott.ssa F.).

Ne’, del resto, la Corte territoriale, alla luce della medesima anzidetta relazione peritale acquisita agli atti, avrebbe potuto confondere la causa remota dell’infarto (l’aterosclerosi) con la sua causa prossima (lo stress psico-fisico), assumendo la prima come causa alternativa e assorbente, trattandosi invece di cause concorrenti, essendo l’aterosclerosi la situazione patologica pregressa da cui è insorto l’infarto acuto del miocardio in ragione dello stress psico-fisico dovuto alla condizione di abbandono.

Con la conseguenza che in una siffatta situazione di concorrenza di cause – l’una ascrivibile ad un fattore naturale (pregressa situazione patologica del danneggiato) e l’altra ascrivibile alla condotta umana (lo stress psico-fisico determinato dalla condizione di abbandono cagionata dalla omessa sorveglianza della paziente cui era tenuta la struttura sociosanitaria nella quale la stessa era ricoverata) – l’autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri della causalità materiale, di tutti i danni che ne sono derivati, a nulla rilevando che gli stessi siano stati concausati anche da un evento naturale, il quale può invece rilevare ai fini della stima del danno, ossia sul piano della causalità giuridica (tra le altre: Cass. n. 15991/2011; Cass. n. 24204/2014; Cass. n. 27524/2017; Cass. n. 5632/2023; Cass. n. 6122/2023).

Era, dunque, in base anche ai menzionati e decisivi elementi acquisiti agli atti che la Corte territoriale avrebbe dovuto impostare, correttamente, il proprio giudizio sull’accertamento della causalità materiale omissiva, alla luce della regola sulla concorrenza delle cause (naturale ed umana), della teoria della regolarità causale e della regola di funzione del “più probabile che non”. Là dove, poi, avesse reputato necessario, ai fini della valutazione ad essa rimessa, l’impiego di particolari competenze tecniche, ben avrebbe potuto disporre una consulenza tecnica d’ufficio, senza incorrere nel divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti nel giudizio di appello, previsto dall’art. 345 c.p.c., comma 3, facendo la c.t.u. eccezione al principio (art. 115 c.p.c.) per cui le sole prove disponibili per la decisione sono quelle proposte dalle parti o dal pubblico ministero (Cass. n. 13343/2000; Cass. n. 15945/2017)>>.

Sul concorso cause umane/cause naturali:

<<Ne’, del resto, la Corte territoriale, alla luce della medesima anzidetta relazione peritale acquisita agli atti, avrebbe potuto confondere la causa remota dell’infarto (l’aterosclerosi) con la sua causa prossima (lo stress psico-fisico), assumendo la prima come causa alternativa e assorbente, trattandosi invece di cause concorrenti, essendo l’aterosclerosi la situazione patologica pregressa da cui è insorto l’infarto acuto del miocardio in ragione dello stress psico-fisico dovuto alla condizione di abbandono.

Con la conseguenza che in una siffatta situazione di concorrenza di cause – l’una ascrivibile ad un fattore naturale (pregressa situazione patologica del danneggiato) e l’altra ascrivibile alla condotta umana (lo stress psico-fisico determinato dalla condizione di abbandono cagionata dalla omessa sorveglianza della paziente cui era tenuta la struttura sociosanitaria nella quale la stessa era ricoverata) – l’autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri della causalità materiale, di tutti i danni che ne sono derivati, a nulla rilevando che gli stessi siano stati concausati anche da un evento naturale, il quale può invece rilevare ai fini della stima del danno, ossia sul piano della causalità giuridica (tra le altre: Cass. n. 15991/2011; Cass. n. 24204/2014; Cass. n. 27524/2017; Cass. n. 5632/2023; Cass. n. 6122/2023)>>.

Illegittima segnalazione alla centrale rischi e danno all’immagine e alla reputazione

Cass. sez. 1 del 6 marzo 2023 n. 6589, rel. Falabella, sull’oggetto:

<<Rammentato che pure in tema di illegittima segnalazione alla
Centrale rischi il danno all’immagine ed alla reputazione, in quanto
costituente «danno conseguenza», non può ritenersi sussistente in re
ípsa, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il
risarcimento (Cass. 28 marzo 2018, n. 7594), non si ravvede,
nell’esposizione del mezzo di censura, alcuna rappresentazione delle
ragioni per cui le norme di cui agli artt. 2059 e 2697 c.c. sarebbero
state violate o falsamente applicate. Sul punto non possono non valere,
dunque, le considerazioni svolte nel trattare il precedente motivo.>>

(notizia e link da   ilcaso.it)

La Banca negligentemente ritarda l’esecuzione dell’ordine di vendita dato del cliente di vendita di azioni della Banca stessa

Trib. Bari con sentenz 15.11.20022, sent. nb° 4372/2022 – RG 11937/2018, decide la lite in oggetto, iniziata da clienti a cui era stata postposta l’esecuzione della vendita, per non riuscire più ad eseguirla ad alcun prezzo.

La negligenza è spiegata dal Triobnale ed è ovvia (per non dire del conflitto di interessi, per cui si sarà probabilmente trattato di dolo, non di colpa): l’ordine va eseguito il prima possibile.   IL Trib cita l’art. 21.1d) TUF , l’art. 1176.2 cc e la comuncaizone Consob DI/30396 del 2000.

Ex art. 23/6 TUF , l’onere di provare la propria diligenza spetta alla banca.

Interessante è la determinazione del danno, non semplicissima.

<Infatti, se è acclarato che l’ordine di vendita di Sportelli abbia subìto uno scavalco, dalla
documentazione in atti non è possibile sapere quanti altri risparmiatori abbiano subìto il medesimo
trattamento, considerato anche il lungo lasso temporale che è intercorso tra l’ordine dell’attore
(08.10.2015 – 05.11.2015) e il consistente ordine del quale il consulente ha verificato l’esecuzione
(18.03.2016).
Va peraltro ribadito che l’onere di provare la corretta esecuzione degli ordini secondo la priorità
cronologica acquisita era della Banca, ai sensi dell’art. 23 TUF.
Alla luce di quanto sopra evidenziato, si può concludere che vi è una elevata probabilità che una
negoziazione vi sarebbe stata, ma non è probabile che, se tutti gli ordini fossero stati eseguiti, tutte le
azioni di Sportelli sarebbero state vendute, considerata la mole di ordini pervenuti alla banca e la
concreta possibilità che altri ordini siano rimasti ineseguiti.
Perciò, ipotizzando che le azioni avrebbero potuto essere negoziate al prezzo unitario di almeno €.
7,50, per un valore complessivo di €. 87.502,50 (come calcolato dal C.T.U.), il danno potrà essere
calcolato in una misura pari al 50% di tale importo, dovendosi assumere che tale percentuale, con
riguardo al particolare periodo ed al numero di richieste, misuri il grado di probabilità (la chance) per
l’attore di cedere le azioni.
Da tale somma, pari ad €. 43.751,25, non possono essere detratti i dividendi riscossi dal risparmiatore,
come richiesto dalla convenuta. Tale danno, infatti, non è un danno da perdita economica per
l’esecuzione di operazioni inadeguate e in mancanza dell’informativa richiesta dalla legge, ma è un
danno da perdita di un risultato utile, di un guadagno, che, con ogni probabilità, se la Banca fosse stata
adempiente, il cliente avrebbe conseguito.>

Una perdita di chance, pare (così dire lo stesso Trib.)

Il mancato guadagno nel caso di recesso con preavviso insufficiente: precisazione bolognese

In una complessa lite tra una società della grande distribuzione organizzata e un suo fornitore di frutta, Trib. Bologna sent. n,. 1532/2022 del 10.06.2022, , RG 645/2017, offre un interessante passaggio sull’oggetto

<< 1. Il danno conseguente all’illecito azzeramento degli ordini di pere estere nell’inverno del 2014 può
essere commisurato all’utile netto, che Celox avrebbe ricavato dalla ricezione di un quantitativo di
ordini prossimo a quello degli ordini ricevuti in passato.
A tale fine deve considerarsi che, nel 2013, il fatturato relativo alle pere estere era stato di €
943.046,00.
Assumendo, secondo nozioni di comune esperienza, che l’utile netto possa determinarsi in misura
prossima al 10% del fatturato, il danno può essere calcolato in € 90.000,00 considerato che non vi
erano obblighi minimi di acquisto e che non ogni riduzione degli ordini è da considerarsi illecita, ma
solo il loro azzeramento.
2. Il danno conseguente all’inadeguatezza del preavviso può essere commisurato all’utile netto, che
C. avrebbe ricavato dalla regolare esecuzione del rapporto per il periodo di un anno (termine di
recesso adeguato).
La regolare esecuzione del rapporto avrebbe comportato la ricezione, appunto per un anno, di ordini di
pere, estere e italiane, in linea con quelli dell’anno precedente.
La prestazione offerta dalle convenute consisteva nella prosecuzione dell’attività di acquisto per le sole
pere nazionali e per soli mesi nove.
Il danno imputabile alle convenute può quindi essere determinato nell’utile netto ricavabile dalle pere
estere nel corso di un anno (ancora € 90.000,00) e in un quarto dell’utile annuale ricavabile dalle pere
nazionali.
Per le pere nazionali la mancata percezione dell’utile corrispondente all’intero periodo è infatti dipesa
dalla decisione di Celox di recedere con effetto immediato dal contratto e non da un rifiuto della
prestazione da parte di … [la GDO]
Il fatturato relativo alle pere nazionali è stato, nel 2013, pari a € 1.914.673; un quarto del fatturato è
pari a € 478.668.25; il 10% di un quarto è pari a € 47.866 circa, arrotondabili per difetto a € 40.000,00
in mancanza, come si è detto, dell’obbligo di un minimo di acquisto
>>

Soprende la stima nel 10 per cento dell’utile , qualificata come <nozione di comune esperienza> (fatto notorio, art. 115/2 cpc).

Ci pare errata perchè priva di fondamento. Serviva quindi istruttoria sul punto e, se l’attore non l’avesse dedotta, il giudice avrebbe dovuto rigettare o al massimo condannare solo nell’AN (condanna genrica art. 282 cpc).

Non si pone poi il problema della tassazione di tale credito da sentenza per utili non percepiti e quindi del se e del come il comando giudiziale debba tenerne  conto