Nuova questione interessante sulla comunicazione al pubblico in diritto d’autore: le conclusioni dell’avvocato generale

Il bravo avvocato generale Szpunar (di seguito: AG) ha depositato il 10.09.2020 le conclusioni nella causa C39 2/19, VG BildKunst contro Stiftung Preußischer Kulturbesitz.

Una collecting society chiedeva , per l’inserimento di opere del proprio catalogo in un database artistico gestito da una Fondazione, che questa si impegnasse ad adottare misure tecnologiche contro il framing da parte di terzi delle immagini in miniatura delle opere così rese accessibili, p. 25.

Il titolare del database non lo ritenne accettabile e chiese in via di accertamento giudiziale che la collecting fosse obbligata a dare licenza anche senza tale clausola.

La questione di rinvio proposta dalla Cassazione tedesca è la seguente: <Se l’incorporazione, mediante framing, di un’opera disponibile su un sito Internet liberamente accessibile con il consenso del titolare del diritto sul sito Internet di un terzo costituisca una comunicazione al pubblico dell’opera, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, qualora ciò avvenga aggirando le misure di protezione contro il framing che il titolare del diritto ha adottato o ha fatto adottare>, p. 29.

I temi toccati dall’AG sono tra i più importanti del diritto d’autore contemporaneo, anche perchè intercettanti profili teorici.

L’AG ricorda tutta la giurisprudenza sul controverso tema della comunicazione al pubblico in internet , comprese le questioni relative alla liceità del linking.

Dà anche qualche notazione tecnica sui concetti di deep Linking, embedding, inline Linking, framing etc., pp. 8 ss

Ricorda ai paragrafi 35 seguenti la giurisprudenza sui link cioè sui collegamenti ipertestuali : se l’opera è stata messa on-line lecitamente, il link non costituisce violazione del diritto. Costituisce sì atto di comunicazione e comunicazione ad un pubblico, ma ad un pubblico “non nuovo”, dal momento che l’iniziale pubblicazione su internet è da intendersi rivolta non solo al pubblico, che frequenta quel sito, ma a tutti gli internauti, paragrafi 35-39

Analisi confermata anche per il framing dalla ordinanza Bestwater nel 2014.

L’AG conferma a sua volta che il collegamento ipertestuale costituisce comunicazione al pubblico, in quanto dà accesso diretto all’opera, paragrafo 49/51.

L’affermazione, pur consolidata in giurisprudenza UE, è però discutibile, perché il link semplicemente indica la localizzazione della pagina web di destinazione: si limita ad indicare l’indirizzo (come succede se il link non è attivo e bisogna ridigitare la stringa nel campo URL del browser). Il fatto che sia attivo non cambia qualificazione giuridica dell’attività di chi pone il link.

Facilmente l’intento delle istituzioni giudiziarie europee è quello di attrarre tale casistica entro l’orbita del diritto armonizzato UE: dal quale invece probabilmente fuoriuscirebbe se si trattasse (come parrebbe semmai più esatto)  di concorso nell’illecito altrui. Ma il tema è complesso (tocca nientemmeno che i rapporti tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali: si v. ad es. la potenzialmente distruttiva -dell’Unione-  sentenza 05 maggio 2020 della Corte Costituzionale tedeca sul Public Sector Purchase Programme (PSPP) della BCE di cui hanno parlato i media di tutta Europa e non solo) : si potrebbe infatti replicare (dando ragione alla Corte UE e all’AG) che in tale modo l’armonizzazione europea del copyright rischierebbe una forte compromissione.

L’AG conferma pure l’elemento soggettivo nella comunicazione al pubblico, ma riconosce che contrasta con la tradizione dei diritti su beni immateriali , p. 52-54: questi infatti normalmente hanno protezione, a prescindere dallo stato soggettivo (dolo, colpa)  di coloro che vi interferiscono.

L’AG contesta pure il concetto del pubblico nuovo e in particolare quello per cui il pubblico, avuto di mira da da chi pubblica, è costituito da tutti i possibili internauti, pp. 55 / 57.

Propone infatti un’interpretazione evolutiva , p. 59 con un § significativo, perché indica qual è l’ambito armonizzato di competenza dell’Unione Europea: <La Corte, pur operando nell’ambito dell’apparato terminologico classico del diritto d’autore, definendo gli atti soggetti al diritto esclusivo dell’autore e distinguendoli da quelli non soggetti ad esso, non fa un’opera di teoria del diritto d’autore. Chiamata a interpretare il diritto dell’Unione, nella fattispecie la direttiva 2001/29, certamente in modo astratto, quindi applicabile erga omnes, ma, comunque, sulla base di una controversia concreta sottopostale da un giudice nazionale, la Corte deve fornire una risposta che consenta a tale giudice di accertare la responsabilità di una parte per violazione del diritto d’autore. Essa deve quindi accertare le condizioni di tale responsabilità, il che va ben oltre la semplice definizione dei contorni dell’atto rientrante nel monopolio dell’autore. Un approccio più restrittivo rischierebbe di compromettere l’effetto utile dell’armonizzazione realizzata dalla direttiva 2001/29, lasciando gli elementi decisivi di tale responsabilità alla valutazione necessariamente eterogenea dei giudici nazionali>.

Data la sua importanza per i passaggi che seguono, avrebbe dovuto essere sviluppato in modo più chiaro.

Su questa base giustifica la teoria dell’inclusione nella comunuicazione al pubblico del peer to peer (sentenza Stichting Brein contro Ziggo BV e XS4All Internet BV, c.d. The Pirate bay) e della vendita di lettori multimediali con link preinstallati (sentenza Stichting Brein contro Jack Frederik Wullems),  § 60, e dell’elemento soggettivo, paragrafo 62

Il punto di maggior evidenza della nuova teoria proposta dall’AG è che, in adesione alla sentenza Renkhoff, <<si deve pertanto ritenere, come ha fatto la Corte nella sentenza Renckhoff , che il pubblico che è stato preso in considerazione dal titolare dei diritti d’autore al momento della messa a disposizione di un’opera su un sito Internet sia costituito dal pubblico che consulta detto sito. Siffatta definizione del pubblico preso in considerazione dal titolare dei diritti d’autore ben riflette, a mio avviso, la realtà di Internet. Infatti, sebbene un sito Internet liberamente accessibile possa essere, in teoria, visitato da qualsiasi utente di Internet, in concreto, il numero di utenti potenziali che possono accedervi è certamente più o meno elevato, ma è approssimativamente determinato. Il titolare dei diritti d’autore, autorizzando la messa a disposizione della sua opera, prende in considerazione l’ampiezza di tale cerchia di utenti potenziali. Ciò è importante, in particolare, quando tale messa a disposizione viene effettuata in base a una licenza, in quanto il numero potenziale di presunti visitatori può costituire un fattore rilevante nella determinazione del prezzo della licenza.>, paragrafo 73.

L’AG potrebbe avere qualche ragione: realisticamente colui, che carica opere protette in un determinato sito, ne liberalizza l’accesso a tutti gli internauti del mondo?

In sintesi <la giurisprudenza della Corte relativa ai collegamenti ipertestuali, o più in generale alla comunicazione di opere al pubblico su Internet, deve, a mio avviso, essere intesa nel senso che, nell’autorizzare la messa a disposizione del pubblico della sua opera su una pagina Internet, in modo liberamente accessibile, il titolare dei diritti d’autore prende in considerazione tutto il pubblico che può accedere a tale pagina Internet, anche mediante collegamenti ipertestuali. Pertanto, tali link, pur costituendo atti di comunicazione, in quanto danno accesso diretto all’opera, sono in linea di principio coperti dall’autorizzazione del titolare dei diritti d’autore rilasciata al momento della messa a disposizione iniziale e non richiedono un’ulteriore autorizzazione> p. 75

Queste le premesse generali.

Va poi al nocciolo della questione e cioè a quella del se sia lecito o no linkare tramite framing al sito di riferimento, paragrafi 76 seguenti

Qui fa una distinzione molto importante a livello pratico, tra collegamenti cliccabili e collegamenti automatici.

Per i collegamenti cliccabili -p. 81 ss.-  sostiene che non ci sia un ampliamento di pubblico, ma sia sempre quello del sito originario, cioè di quello puntato dai link,  paragrafi 87/88 e 91: per cui non serve ulteriore consenso.

Diversa la risposta per i collegamenti automatici , p. 93 ss. Qui non può dirsi che il pubblico, che acceda al sito originario tramite questo collegamento automatico, sia stato preso in considerazione da chi ha pubblicato sul sito originario, paragrafo 95-98.. Ne segue che serve specifico e nuovo consenso del titolare.

Ai paragrafi 99/105 con tre argomenti replica a chi rigettasse l’invocabiità del precedente Renckhoff per l’esistenza di una differenza tra i due casi : differenza consistente nel fatto che in Renckhoff si trattava di riproduzione, sulla quale il titolare del diritto nulla poteva (perdeva il controllo) , mentre invece nel caso del framing -essendo una riproduzione, che dipende da quella originaria, il titolare del diritto mantiene il controllo.

Ai paragrafi 114 seguenti titolati <<L’equilibrio tre diversi interessi in gioco>>, replica ad altra possibile obezione, secondo cui la distinzione tra collegamenti cliccabili e collegamenti automatici non ha giustificazione sufficiente.

Ed in effetti è proprio questa un’altra obiezione: ai fini dell’individuazione del pubblico nuovo nel caso di collegamento instaurato da terzi, è assai difficile sostenere che il relativo pubblico sia stato preso in considerazione se il link è clicccabile e che invece non lo sia stato se è automatico.

infine (paragrafi 121 seguenti) esamina l’ultima questione qui ricordata  relativa alle misure di protezione. Si chiede cioè se eludere il congegno tecnico, che impedidce il framing, costituisca violazione delle misure di protezione. La risposta è negativa, visto che si tratta solo di una diversa modalità di arrivo al sito originario e non di un allargamento o restrizione del pubblico che vi ha accesso (avrebbe infatti avuto accesso in ogni caso) (spt. §§ 128-129)

Bansky perde il marchio (decisione sul deposito in malafede)

Molti giornali anche non specialistici hanno riportato la notizia per cui l’Ufficio Europeo dei marchi ha dichiarato nullo il marchio di Bansky riproducente il suo celebre disegno <Flower thrower>:

Flower thrower (dal database EUIPO)

Si tratta della decisione 14.09.2020 sul marchio n° 012575155 , depositato il 07/02/2014.

La decisione può essere letta nel database dell’ufficio. Purtroppo non è divisa in §§ brevi per cui il resoconto può essere meno agevole del solito (mi riferirò dunque solo al numero di pagina)

Era stato chiesto per molte classi merceologiche.

La domanda di annullamento era fondata sia sull’art. 59.1.b (deposito in malafede) sia sull’art. 59.1.a riferito all’art. 7.1.b-c del reg. 2017/1001 c.d EUTMR. Viene accolta solo sul primo punto (malafade al momento del deposito), assorbita sul secondo.

In generale sulla buona fede l’Ufficio dice che ricorre <<where it is apparent from relevant and consistent indicia that the proprietor of an EU trade mark filed its application for registration without any intention of using the contested EUTM, or withoutthe aim of engaging fairly in competition, but with the intention of undermining the interests of third parties, in a manner inconsistent with honest practices, or with the intention of obtaining, without even targeting a specific third party, an exclusive right for purposes otherthan those falling within the functions of a trade mark, in particular the essential function of indicating origin>>, p. 9.

L’onere della prova <of the existence of bad faith lieswith the invalidity applicant; good faith is presumed until the opposite is proven>, p. 8.

Bansky (nome d’arte, l’artista è ancora anonimo) non commercializzava alcun bene al momento del deposito: anzi dichiarava che la cosa non lo interessava.

Iniziò ad operare commercialmente solo dopo aver ricevuto notifica della domanda di annullamento, aprendo un negozio (una mera vetrina, senza possibilità di acquisto) per indurre ad acquisti on line.

Ma anche questa attività, il punto è interessante a livello teorico, la pose in essere, dichiarando che non vi era interessato e che lo faceva solo per non decadere dal diritto di marchio : <From the evidence submitted Banksy had not manufactured, sold or provided any goods or services under the contested sign or sought to create a commercial market for his goods until after the filing of the present application for a declaration of invalidity. Only then, in October of 2019, he opened an online store (and had a physical shop but which was not opened to the public) but by his own words,reported in a number of different publications in the UK, he was not trying to carve out a portion of the commercial market by selling his goods, he was merely trying to fulfil the trade mark class categories to show use for these goods to circumvent the non-use of the sign requirement under EU law. Both Banksy and Mr. M.S, who is a Director of the proprietor, made statements that the goods were created and being sold solely for this cause>>, p. 11

Va notato che il registrante non era Bansky (allo scopo di restare anonimo) ma un suo rappresentante (the proprietor)

Il succo della decisione è qui: <<The EUTM was filed on 07/02/2014. The evidence shows that the proprietor did not sell any goods or provide any services under the sign until after the initiation of the present proceedings. In fact the evidence shows that Banksy repeatedly made statements that he was not making or selling any of these goods and that the third parties were doing this without his permission. The evidence also shows that from the time of filing of the EUTM until after the filing of the present application this position did not change. It was only during the course of the present proceedings (after the grace period had ended and after the present invalidity proceedings had been initiated) that Banksy started to sell goods but specifically stated that they were only being sold to overcome non-use for trade mark proceedings and not to commercialise the goods. Banksy by his own admission is clearly against intellectual property laws, but this does not mean that he is not afforded the same protection under these laws as everybody else. However, there are restrictions to the right to register a trade mark and that would be in the case where the mark is filed in bad faith>>

L’ufficio dice che la mala fede può ricorrere <if it transpires that the EUTM proprietor never had any intention to use the contested EUTM, for example, a trade mark application made without any intention to use the trade mark in relation to the goods and services covered by the registration constitutes bad faith if the applicant for registration of that mark had the intention either of undermining, in a manner inconsistent with honest practices, the interests of third parties, or of obtaining, without even targeting a specific third party, an exclusive right for purposes other than those falling within the functions of a trade mark>, p. 12.

Il dilemma di Bansky è chiaro, dice l’ufficio: <To protect the right under copyright law would require him to lose his anonymity which would undermine his persona. Moreover, there are a number of legal issues which might even result in it being very difficult for him to actually claim copyright over the work although this can be left open for the present purposes. It is clear that when the proprietor filed the EUTM he did not have any intention of using the sign to commercialise goods or provide services. The use, which was only made after the initiation of the present proceedings, was identified as use to circumvent the requirements of trade mark law and thus there was no intention to genuinely use the sign as a trade mark. Banksy was trying to use the sign only to show that he had an intention of using the sign, but his own words and those of his legal representative, unfortunately undermined this effort. Thus it must be concluded that there was no intention to genuinely use the sign as a trade mark and the only eventual use made of the sign was made with the intention of obtaining an exclusive right to the sign for purposes other than those falling within the functions of a trade mark>, p. 12

Bisognerebbe però distinguere bene il caso della mancanza di uso da quello di uso presente ma finalizzato solo alla conservazione del diritto e nulla più: sul secondo si può discutere , costituendo il vero interesse teorico di questa vicenda. Va ricordato infatti che il registrante ha cinque anni a disposizione per iniziare l’uso, prima di decadere per non uso.

E’ noto che oggi in Italia non è necessario che il depositante sia già un imprenditore (art. 19 c.1 cpi) o che abbia da subito progetti di cessione a terzi che lo usino imprenditorialmente. C’è dottrina divergente sul punto (in Italia).

Potrebbe infatti parlarsi di uso <simulato>, che non vale l’uso <effettivo> chiesto dalla norma per evitare la decadenza.

Altro profilo interessante è quello dell’applicazione della malafede al caso in esame e cioè di chi lo chiede senza intenzione di usarlo ma al tempo stesso senza intenzione di ledere uno specifo concorrente. Il concetto di malafede infatti è di solito usato con riferimento a casi di intento lesivo verso soggetti determinati: il che non pare ricorresse nel caso Bansky o comunque bisognerebbe ragionarci.

Potrebbe in sintesi considerarsi una altra soluzione: attendere il quinquennio, ravvisandosi un uso solo simulato, invece che applicare subito la nullità per deposito in malafede (oppure -nel diritto italiano- dichiarare la nullità per violazione dell’art. 19 c.1: solo che nell’elenco di cause di nullità di cui all’art. 25 cpi, probabilmente tassativo, non è prevista, essendo prevista solo quella riferita al c.2 dell’art. 19  -malafade appunto- , per cui questa via pare preclusa)

la notorietà del titolare incide sul giudizio di confondibilità

La Corte europea si pronuncia nella lite tra Lione Messi e un produttore di prodotti simili  circa i rispettivi marchi, regolata dall’art. 8/1 reg. 207/2009.

Il calciatore depositò il marchio seguente:

marchio di Lionel Messi

L’opponente era titolare del marchio denominativo “MASSI”

la fase amministrativa fu sfavorevole al calciatore, che invece ottenne ragione davanti al Tribunale di 1 grado: il quale ritenne che la sua notorietà compensasse le somiglianze visive e fonetiche.

La C.G. concorda col Tribunale.

La Corte osserva che, al pari della notorietà del marchio anteriore, << l’eventuale notorietà della persona che chiede che il proprio nome sia registrato come marchio è uno degli elementi rilevanti per valutare il rischio di confusione, dal momento che tale notorietà può avere un’influenza sulla percezione del marchio da parte del pubblico di riferimento. Il Tribunale non è pertanto incorso in errore nel considerare che la notorietà del sig. Messi Cuccittini costituiva un elemento rilevante al fine di stabilire una differenza sul piano concettuale tra i termini «messi» e «massi»  >>(così il comunicato stampa 108/20 del 17.09.2020)

Conferma poi che la notorietà del calciatore costituisce <fatto notorio>, autonomamente accertabile dal giudice.

Si tratta della sentenxza Corte Giustizia 17.09.2020, C‑449/18 P et C‑474/18 P, EUIPO c. Messi ed altri, (solo in francese e spagnolo)

Dichiarazioni urbanistiche nell’azione di adempimento ex art. 2932 cc

Interessanti precisazioni di Cass. 25.06.2020 n. 12654 sull’azione di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre

DICHIARAZIONE SUGLI ESTREMI DI DELLA CONCESSIONE EDILIZIA:

<<34.1 Dal principio enunciato nel paragrafo precedente discende che, …, la presenza della dichiarazione sugli estremi della concessione edilizia integra una condizione dell’azione ex art. 2932 c.c. e non un presupposto della domanda, cosicchè la produzione di tale dichiarazione può intervenire anche in corso di causa e altresì nel corso del giudizio d’appello, purchè prima della relativa decisione, giacchè essa è sottratta alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti (in termini, con specifico riferimento alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, Cass. 6684/19)>>

Può provvedervi pure il promissario acquirente:

<< (34.3) ….  ed ha, conseguentemente, fatto corretta applicazione del principio, fissato dalla Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 23825/09, che, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, nel caso in cui il promittente alienante, resosi inadempiente, si rifiuti di produrre i documenti attestanti la regolarità edilizia ed urbanistica dell’immobile ovvero di rendere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, deve essere consentito al promissario acquirente di provvedere a tale produzione o di rendere detta dichiarazione al fine di ottenere la sentenza ex art. 2932 c.c., dovendo prevalere la tutela di quest’ultimo a fronte di un inesistente concreto interesse pubblico di lotta all’abusivismo, sussistendo di fatto la regolarità edilizia ed urbanistica dell’immobile oggetto del preliminare di compravendita>>

DICHIARAZIONE DI COERENZA CATASTALE EX L. 52 DEL 1985 ART .29 C-1 BIS

il giudizio è analogo:

<§ 35.5.1 : Il Collegio ritiene quindi di dover dare attuazione, nell’interpretazione della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, al principio che la pronuncia giudiziale, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto maggiore e diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti, nè, comunque, un effetto che eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’autonomia negoziale delle parti; in altri termini, non può accogliersi una lettura del sistema che consenta alle parti di eludere la disposizione dettata L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, mediante la stipula di un contratto preliminare di immobile catastalmente non regolare seguita dalla introduzione di un giudizio che si concluda con sentenza di trasferimento dell’immobile medesimo.>

Ne segue  che: <35.5.3: Deve quindi conclusivamente affermarsi che la presenza delle menzioni catastali (l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, quest’ultima sostituibile da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale) deve considerarsi, al pari della presenza delle menzioni edilizie ed urbanistiche, condizione dell’azione di adempimento in forma specifica dell’obbligo di contrarre, cosicchè essa deve sussistere al momento della decisione e, per converso, la produzione di tali menzioni può intervenire anche in corso di causa ed è sottratta alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti.>

CIRCA LA MODALITà DOCUMENTATIVA IN SENTENZA DELLE MENZIONI/DICHIARAIZONI:

<§ 35.6 :Sulla scorta delle conclusioni enunciate nel paragrafo precedente, va ora esaminata l’ulteriore questione se dette menzioni catastali debbano semplicemente essere introdotte nel compendio delle risultanze processuali sottoposte all’esame del giudice o debbano essere riportate nella sentenza di trasferimento; detto altrimenti, se le menzioni richieste dalla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, costituiscano un requisito di contenuto-forma della sentenza di trasferimento, oppure se la loro presenza rappresenti un fatto che debba formare oggetto dell’accertamento del giudice.

E la conclusione è nel secondo senso:

<§ 35.6.4 : Deve quindi, conclusivamente, affermarsi, che il mancato riscontro, da parte del giudice investito di una domanda di adempimento del contratto in forma specifica ex art. 2932 c.c., della sussistenza della condizione dell’azione costituita dalla presenza in atti delle menzioni catastali di cui della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, costituisce un error in judicando censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e non un vizio di contenuto-forma produttivo di nullità della sentenza; con la conseguenza che gli effetti di tale errore si esauriscono all’interno del processo e non producono alcuna conseguenza sul piano della idoneità della sentenza ad essere trascritta nei registri immobiliari>>.

Ai § 36 ss poi la SC  affronta la questione posta dalla sentenza impugnata: quella relativa alla disciplina di diritto transitorio relativament alla dichiarazione di coerenza ex L. 52/1985 art. 29 bis