A chi offre al pubblico pacchetti TV via satellite basta l’autorizzazione dell’autore nel paese di immissione (non serve quella del paese di destinazione)

Questione tutto sommato facile quella decisa da Corte Giust. 25.05.2023, C-290/21, AKM c. Canal+, alla luce del tenore letterale dell’art. 1.2.b) : “La comunicazione al pubblico via satellite si configura unicamente nello Stato membro in cui, sotto il controllo e la responsabilità dell’organismo di radiodiffusione, i segnali portatori di programmi sono inseriti in una sequenza ininterrotta di comunicazione diretta al satellite e poi a terra” (da noi: art. 16 bis.1.b) l. aut.).

La collecting austriaca invece riteneva che dovesse pagare pure in Austria nonoistante l’imissione provenisse da altri Stati.

questione pregiudiziale posta:

<<Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 93/83 debba essere interpretato nel senso che, qualora un offerente di pacchetti satellitari sia obbligato ad ottenere, per l’atto di comunicazione al pubblico via satellite al quale partecipa, l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi di cui trattasi, tale autorizzazione deve essere ottenuta, al pari di quella concessa all’organismo di radiodiffusione di cui trattasi, unicamente nello Stato membro in cui i segnali portatori di programmi sono immessi nella sequenza di comunicazione diretta al satellite>>, § 20.

Risposta:

<<l’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 93/83 deve essere interpretato nel senso che, qualora un offerente di pacchetti satellitari sia obbligato ad ottenere, per l’atto di comunicazione al pubblico via satellite al quale partecipa, l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi di cui trattasi, tale autorizzazione deve essere ottenuta, al pari di quella concessa all’organismo di radiodiffusione di cui trattasi, unicamente nello Stato membro in cui i segnali portatori di programmi sono immessi nella sequenza di comunicazione diretta al satellite.>>

L’embedding non costituisce comunicazione al pubblico però non permette la difesa del safe harbour ex § 512DMCA

Il giudice Barlow della Utah District Court, 2 maggio 2023, caso 2:21-cv-00567-DBB-JCB, decide un’interessante lite sull’embedding.

Attore è il gestore dei diritti su alcune foto eseguite da Annie Leibovitz. Convenuti sono i gestori di un sito che le aveva “riprodotte” con la tecnica dell’embedding (cioè non con riproduzine stabile sul proprio server).

Il giudice applica il c.d server test del noto caso Perfect 10 Inc. v. Google  del 2006 così sintetizzato: <<Perfect 10, the Ninth Circuit addressed whether Google’s unauthorized display of thumbnail and full-sized images violated the copyright holder’s rights. The court first defined an image as a work “that is fixed in a tangible medium of expression . . . when embodied (i.e., stored) in a computer’s server (or hard disk, or other storage device).” The court defined “display” as an individual’s action “to show a copy . . ., either directly or by means of a film, slide, television image, or any other device or process ….”>>.

Quindi rigetta la domanda nel caso dell’embedding sottopostogli :

<<The court finds Trunk Archive’s policy arguments insufficient to put aside the “server” test. Contrary to Trunk Archive’s claims, “practically every court outside the Ninth Circuit” has not “expressed doubt that the use of embedding is a defense to infringement.” Perfect 10 supplies a broad test. The court did not limit its holding to search engines or the specific way that Google utilized inline links. Indeed, Trunk Archive does not elucidate an appreciable difference between embedding technology and inline linking. “While appearances can slightly vary, the technology is still an HTML code directing content outside of a webpage to appear seamlessly on the webpage itself.” The court in Perfect 10 did not find infringement even though Google had integrated full-size images on its search results. Here, CBM Defendants also integrated (embedded) the images onto their website.(…) Besides, embedding redirects a user to the source of the content-in this case, an image hosted by a third-party server. The copyright holder could still seek relief from that server. In no way has the holder “surrender[ed] control over how, when, and by whom their work is subsequently shown.” To guard against infringement, the holder could take down the image or employ restrictions such as paywalls. Similarly, the holder could utilize “metadata tagging or visible digital watermarks to provide better protection.” (…)( In sum, Trunk Archive has not persuaded the court to ignore the “server” test. Without more, the court cannot find that CBM Defendants are barred from asserting the “embedding” defense. The court denies in part Trunk Archive’s motion for partial judgment on the pleadings.>>

Inoltre, viene negato il safe harbour in oggetto, perchè non ricorre il caso del mero storage su server proprio di materiali altrui, previsto ex lege. Infatti l’embedding era stato creato dai convenuti , prendendo i materiali da server altrui: quindi non ricorreva la passività ma l’attività , detto in breve

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman)

Comunuicazione al pubblico di musiche su aerei e treni: pronuncia (scontata) della Corte di TGiustizia

Le questioni pregiudiziali decise da C.G. 20.04.2023, cause riunite C-775/21 e C-826/21, Blue Air Aviation SA c. UCMR-ADA etc.  :

nella prima causa (su aerei):

«1)      Se le disposizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29/CE (…) debbano essere interpretate nel senso che la diffusione, all’interno di un aereo commerciale occupato da passeggeri, di un’opera musicale o di un frammento di opera musicale all’atto del decollo, dell’atterraggio o in un qualsiasi momento del volo, mediante il sistema generale di sonorizzazione dell’aereo, costituisce una comunicazione al pubblico ai sensi di detto articolo, in particolare (seppur non esclusivamente) sotto il profilo del criterio dello scopo di lucro della comunicazione.

In caso di risposta affermativa alla prima questione:

2)      Se l’esistenza a bordo dell’aereo di un sistema di sonorizzazione imposto dalla normativa in materia di sicurezza del traffico aereo costituisca una base sufficiente per trarre una presunzione relativa di comunicazione al pubblico di opere musicali a bordo di tale aereo.

In caso di risposta negativa a tale questione:

3)      Se l’esistenza a bordo dell’aereo di un sistema di sonorizzazione imposto dalla normativa in materia di sicurezza del traffico aereo e di un software che consente la comunicazione di fonogrammi (contenenti opere musicali protette) mediante detto impianto costituisca una base sufficiente per trarre una presunzione relativa di comunicazione al pubblico di opere musicali a bordo di tale aereo».

Nella seconda causa (su treni):

«1)      Se un vettore ferroviario che utilizza vagoni ferroviari in cui sono installati sistemi di sonorizzazione destinati alla comunicazione di informazioni ai passeggeri realizzi in tal modo una comunicazione al pubblico ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2001/29/CE (…).

2)      Se l’articolo 3 della direttiva 2001/29/CE (…) osti a una normativa nazionale che stabilisce una presunzione semplice di comunicazione al pubblico basata sull’esistenza di sistemi di sonorizzazione, qualora questi ultimi siano imposti da altre disposizioni di legge che disciplinano l’attività del vettore».

La risposta non è difficile:

<< 1)   L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, deve essere interpretato nel senso che costituisce una comunicazione al pubblico, ai sensi di tale disposizione, la diffusione in un mezzo di trasporto passeggeri di un’opera musicale come sottofondo.

2)      L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 e l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2006/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale, devono essere interpretati nel senso che non costituisce una comunicazione al pubblico, ai sensi di tali disposizioni, l’installazione, a bordo di un mezzo di trasporto, di un impianto di sonorizzazione e, se del caso, di un software che consente la diffusione di musica di sottofondo.

3)      L’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2006/115 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come interpretata dai giudici nazionali, che stabilisce una presunzione semplice di comunicazione al pubblico di opere musicali fondata sulla presenza di sistemi di sonorizzazione nei mezzi di trasporto>>.

L’unica questione un pò interessante è quella decisa sub 3, relativa alla presunzione di comnicazione al pubblico: la risposta della CG è esatta.

Piattaforma streaming che permette diffusione di opere protette tramite oscuramento indirizzi IP (VPN) praticato dagli utenti: è responsabile?

Interessante questione discussa dall’avvocato generale Szpunar in causa C-423/21 nelle sue Conclusioni 20.10.2022 ,  Grand Production d.o.o. contro GO4YU GmbH  – DH, –  GO4YU d.o.o  -MTEL Austria GmbH .

Questione pregiudiziale 1:

<<«Se la nozione di «comunicazione al pubblico» di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva [2001/29], debba essere interpretata nel senso che la realizza un gestore diretto (nel caso di specie non stabilito nell’Unione) di una piattaforma di streaming, il quale:

–        decide autonomamente in ordine al contenuto e all’oscuramento delle trasmissioni televisive dallo stesso diffuse, eseguendolo dal punto di vista tecnico;

–        dispone in esclusiva dei diritti di amministratore per la piattaforma di streaming;

–        è in grado di incidere sulla determinazione dei programmi televisivi che possono essere ricevuti dall’utente finale tramite il servizio, ma non sul contenuto dei programmi;

–        e rappresenta l’unico punto di controllo per stabilire quali programmi e contenuti possano essere visti in quale momento e in quali territori,

qualora al riguardo, nello specifico,

–        all’utente venga fornito l’accesso non solo ai contenuti della trasmissione alla cui fruizione online i rispettivi titolari dei diritti abbiano acconsentito, ma anche a contenuti protetti rispetto ai quali non sussista un’analoga dichiarazione, e

–        il gestore diretto della piattaforma di streaming sia a conoscenza del fatto che il proprio servizio consente anche la ricezione di contenuti protetti della trasmissione senza il consenso dei titolari dei diritti, dato che i clienti finali utilizzano servizi VPN, i quali simulano la presenza dell’indirizzo IP e del dispositivo del cliente finale in territori per i quali sussiste un consenso del titolare dei diritti, o (5)

–        la ricezione di contenuti protetti della trasmissione era effettivamente possibile per diverse settimane tramite la piattaforma di streaming senza il consenso dei titolari dei diritti anche non avvalendosi di tunnel VPN.>>

Questione pregiudiziale 2:

<< In caso di risposta affermativa alla prima questione:

Se la nozione di «comunicazione al pubblico» di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29/CE debba essere interpretata nel senso che essa si realizza anche ad opera di terzi (nel caso di specie, con sede nell’Unione) collegati con il gestore di una piattaforma descritto nella prima questione sul piano contrattuale e/o del diritto delle società, i quali, pur non esercitando alcuna influenza sugli oscuramenti o sui programmi e contenuti delle trasmissioni diffuse tramite la piattaforma di streaming,

–        promuovono la piattaforma di streaming del gestore e i suoi servizi e/o

–        sottoscrivono con i clienti abbonamenti di prova a cessazione automatica decorsi 15 giorni, e/o

–        forniscono supporto ai clienti della piattaforma di streaming a titolo di assistenza clienti, e/o

–        offrono sulla loro pagina Internet abbonamenti a titolo oneroso per la piattaforma di streaming del gestore diretto e quindi operano quali controparti contrattuali dei clienti e destinatari dei pagamenti, per cui detti abbonamenti a pagamento vengono predisposti in maniera tale che venga fatto un esplicito riferimento all’indisponibilità di certi programmi solo nel caso in cui un cliente, all’atto della conclusione del contratto, dichiari espressamente la sua intenzione di vedere tali programmi, mentre, in assenza di pertinenti indicazioni o di specifica richiesta da parte del cliente, quest’ultimo non ne viene informato in anticipo.>>

In breve il riassunto dell’AG:  19  Nella presente causa il giudice del rinvio ha sottoposto alla Corte tre questioni pregiudiziali. La prima di esse riguarda la portata della responsabilità del gestore di una piattaforma di streaming (6) per la comunicazione al pubblico, su tale piattaforma, di contenuti protetti dal diritto d’autore, senza l’autorizzazione dei titolari dei diritti. La seconda questione verte su un’eventuale responsabilità dei soggetti che collegati a tale gestore. Infine, la terza questione concerne la portata della competenza dei giudici degli Stati membri in materia di violazioni del diritto d’autore. Passo ad analizzare le suddette questioni nell’ordine in cui sono state poste.

La risposta alla questione 1 è negativa, sempre che la piattaforma rimanga passiva e cioè non faciliti in qualche modo l’elusine via VPN da parte degli utenti:

<42  L’elemento specifico della causa in esame è l’assenza di terzi che mettano a disposizione degli utenti i programmi prodotti dalla società Grand Production in violazione del blocco geografico dell’accesso applicato dalla società GO4YU Beograd. Ad eludere tale blocco sono gli stessi utenti, che ottengono l’accesso ai programmi in parola senza l’intermediazione di nessun soggetto (20).

42.      Non mi sembra, tuttavia, che questo sia un motivo sufficiente per ritenere la società GO4YU Beograd responsabile di tale situazione. La società Grand Production ha probabilmente ragione nell’affermare che la società GO4YU Beograd sia a conoscenza del fatto che il suo blocco geografico dell’accesso viene aggirato tramite il servizio VPN. Tuttavia anche la società Grand Production è a conoscenza di tale fatto. L’elusione di diversi tipi di misure di protezione da parte degli utenti costituisce un rischio inerente alla distribuzione in forma digitale, soprattutto in Internet, di opere protette dal diritto d’autore. La società Grand Production, consentendo alla società GO4YU Beograd di comunicare al pubblico i suoi programmi su una piattaforma di streaming in un determinato territorio, ha dovuto tener conto del fatto che un certo numero di utenti poteva ottenere l’accesso ad esse al di fuori di tale territorio.

43.      Ciò non implica, tuttavia, che la società GO4YU Beograd sia responsabile per la comunicazione al pubblico di tali programmi ai suddetti utenti. Conformemente alla logica della succitata giurisprudenza della Corte, la prevista cerchia di persone a cui è rivolta una comunicazione al pubblico viene determinata dall’intenzione del soggetto che effettua tale comunicazione, la quale è desunta dalle misure tecnologiche di protezione applicate.

44.      La situazione sarebbe diversa solo qualora la società GO4YU Beograd applicasse intenzionalmente un blocco geografico dell’accesso inefficace al fine di consentire effettivamente alle persone che si trovano al di fuori del territorio nel quale essa è autorizzata a comunicare al pubblico i programmi prodotti dalla società Grand Production di accedere ai programmi in questione, in modo facilitato rispetto alle possibilità oggettivamente esistenti su Internet, in particolare rispetto ai servizi VPN generalmente disponibili. In quel caso, si dovrebbe ritenere che la società GO4YU Beograd, con piena cognizione delle loro conseguenze, adotti misure finalizzate a garantire ai suoi clienti l’accesso all’opera protetta, in una situazione in cui, in assenza delle suddette misure, i suoi clienti non potrebbero, in linea di principio, accedere all’opera in questione (21). Spetta al giudice del rinvio accertare tale circostanza. Orbene, le parti del contratto di licenza possono prevedere in tale contratto obblighi più gravosi per il licenziatario per quanto riguarda le misure limitative dell’accesso ai contenuti oggetto del contratto>>.

Allora il titolare dei diritti, se vuole protezione anche contro la piattaforma, deve imporle contrattualmente dei doveri di attivazione a livello tecnololigico: così l’eventual inadempimnento sotto questo profilo è violazione oltre che contrattuale anche della privativa.

Circa la questione 2, a cascata, nemeno chi collabora per la promizione commerciale con la piattaforma è responsabuile.; <<53.      Alla luce di quanto precede, propongo di rispondere alla seconda questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 deve essere interpretato nel senso che un soggetto collegato al gestore di una piattaforma di streaming, sulla quale sono messe a disposizione opere protette dal diritto d’autore, il quale promuove tale piattaforma, sottoscrive con i clienti i contratti relativi ai servizi forniti dal gestore della stessa nonché fornisce supporto a detti clienti, ma non esercita alcuna influenza sui contenuti messi disposizione sulla piattaforma né sull’applicazione in essa di misure limitative dell’accesso intese a tutelare i diritti d’autore di terzi, non realizza una comunicazione al pubblico ai sensi della citata disposizione.>>

Attendiamo ora la decisione della Corte.

L’esclusiva d’autore sulla ritrasmssione via cavo opera solo verso cablodistributori e non verso gli alberghi che diffondono il segnale nelle proprie stanze

Corte di Giustizia 08.09.2022, C.-716/20, RTL Television c. gruppo OPestana+1 interpreta l’art. 1.3 della dir. _UE 93/83 per il coordinamento di alcune norme in materia di diritto d’autore e diritti connessi applicabili alla radiodiffusione via satellite e alla ritrasmissione via cavo .

Secondo l’art. 3 della stessa:  <3. Ai fini della presente direttiva, « ritrasmissione via cavo » è la ritrasmissione simultanea, invariata ed integrale, tramite un sistema di ridistribuzione via cavo o a frequenze molto elevate, destinata al pubblico, di un’emissione primaria senza filo o su filo proveniente da un altro Stato membro, su onde hertziane o via satellite, di programmi radiofonici o televisivi destinati ad essere captati dal pubblico. >

Davanti al  giudice a quo portoghese pende lite tra RTL, gruppo televisivo tedesco, e il gruppo Pestana, che diffondeva il segnale senza autorizzazione nelle stanze dei propri alberghi.

La risposta è nel senso che è errato invocare il diritto di ritrasmissione via cavo nel caso specifico, pena confondere il diritto azionato con quello di comuinicaizone al pubbico:

<< 76    Orbene, anche nell’ipotesi in cui il diritto nazionale preveda un diritto esclusivo, in capo agli organismi di radiodiffusione, di autorizzare o vietare trasmissioni via cavo, la direttiva 93/83 disciplina soltanto l’esercizio del diritto di ritrasmissione via cavo nel rapporto tra, da un lato, i titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi, e, dall’altro. i «distributeurs par câble» (distributori via cavo) o i «câblodistributeurs» (cablodistributori).

77      Inoltre, alla luce delle circostanze particolari che caratterizzano la genesi della direttiva 93/83, occorre constatare che le nozioni di «distributeur par câble» (distributore via cavo) o di «câblodistributeur» (cablodistributore), che figurano in quest’ultima, designano, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 73 delle sue conclusioni, gli operatori delle reti cablate tradizionali.

78      Infatti, un’interpretazione che includa nella nozione di «distributeur par câble» (distributore via cavo), ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 93/83, qualsiasi soggetto che effettui una ritrasmissione via cavo rispondente alle caratteristiche tecniche descritte all’articolo 1, paragrafo 3, di tale direttiva, anche qualora l’attività professionale di tale soggetto non consista nella gestione di una rete cablata di distribuzione televisiva classica, avrebbe in realtà l’effetto di ampliare la portata del diritto connesso previsto all’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2006/115, assimilandolo al diritto esclusivo di comunicazione al pubblico, quale previsto all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 a favore degli autori.

79      A tale proposito, occorre ricordare che dall’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2006/115 risulta che il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la comunicazione al pubblico delle emissioni degli organismi di radiodiffusione è opponibile ai terzi solo se tale comunicazione avviene in luoghi accessibili al pubblico mediante pagamento di un diritto d’ingresso. Tuttavia, la Corte ha dichiarato che la condizione relativa al pagamento di un diritto d’ingresso non è soddisfatta qualora tale comunicazione costituisca un servizio supplementare indistintamente compreso nel prezzo di un servizio principale distinto, come un servizio di alloggio alberghiero (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2017, Verwertungsgesellschaft Rundfunk, C‑641/15, EU:C:2017:131, punti da 23 a 26).>>

In realtà il diritto di ritrasmissione è concettualmente parte del diritto di comuniazione al pubblico. C’è ora qualche appiglio normativo: si v. la dir 789 del 2019, il cui art. 4 con fomulaizons sibilljna recita : <1. Gli atti di ritrasmissione dei programmi sono autorizzati dai titolari del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico>.

La nuova formulazione dell’art. 1.3 dela dir. 93/83, portata dalal cit. dir., 789/2019, non offre però spunti specifici circa la questione sub iudice e cioè circa il se si riferisca solo a cablodistributori oppure a chiunque ristrametta (il tenore della disposizione rimane ampio e permeterebbe anche la seconda soluizione)

Sul concetto di “ritrasmissione via cavo” nel copyright europeo

L’avvocato generale nella causa C-716/20, RTL c. Pestana, ha presentato il 10.03.2022 le proprie conclusioni sul se costituisca ritramissione via cavo ex art. 1.3 dir. 93/83 la diffusione del segnale televisivo (libero, cioè  non a pagamento) nelle camere di un albergo .

La disposizione cit. recita: < Ai fini della presente direttiva, «ritrasmissione via cavo» è la ritrasmissione simultanea, invariata ed integrale, tramite un sistema di ridistribuzione via cavo o a frequenze molto elevate, destinata al pubblico, di un’emissione primaria senza filo o su filo proveniente da un altro Stato membro, su onde hertziane o via satellite, di programmi radiofonici o televisivi destinati ad essere captati dal pubblico, indipendentemente dal modo in cui l’operatore di un servizio di ritrasmissione via cavo ottiene dall’organismo di diffusione radiotelevisiva i segnali portatori di programmi a fini di ritrasmissione.>

La sua risposta è negativa: il concetto de quo richiede infatti la professionalità nell’uso dei cavi (come impresa di radiotrasmissioni o anche solo di distribuzione del segnale) , il che non avviene per un albergo , il cui business è la fornitura del servizio di alloggio:

<<58.      Non si tratta, pertanto, alla luce del contesto tecnologico e storico e delle finalità delle direttive, di fissare il significato di una nozione del diritto dell’Unione rendendola insensibile ai cambiamenti tecnologici ma soltanto di interpretare il sistema in cui nelle diverse direttive pertinenti le nozioni di «cavo» e di «ritrasmissione via cavo» sono utilizzate, al solo fine di concludere che il «distributore via cavo» non può che essere un soggetto che utilizza per scopi professionali la rete tradizionale via cavo, alternativa a quella satellitare nella summa divisio della direttiva 93/83.

59.      Dunque, da un lato, con riferimento alla prima questione pregiudiziale, ritengo che essa potrebbe essere il frutto di una confusione terminologica della nozione di «ritrasmissione» tra i contenuti delle diverse fonti citate dal giudice del rinvio.

60.      Non mi sembra, infatti, dubitabile che la «ritrasmissione via cavo» possa essere effettuata anche da soggetti che non sono organismi di radiodiffusione: è sufficiente che si tratti di «distributori (professionali) via cavo».

61.      Ciò non sposta però i termini della questione per la soluzione del caso che ci occupa, e mette inevitabilmente il focus sulla seconda questione pregiudiziale: come sopra argomentato, il termine «distributore via cavo» deve avere il suo significato tradizionale, tenendo conto della tecnologia prevalente al momento dell’adozione della direttiva 93/83 e, in particolare, delle reti via cavo tradizionali e dei loro distributori professionali.>>

Soluzione corretta e con pochi argomenti contrari, per cui è probabile verrà seguita dalla Corte.

Non chiarissima l’incidenza del diritto di comunicazione al pubblico nel caso sub iudice (art. 8.3 dir. 2006/115), che ad ogni modo viene affermata nel caso di diffusione nelle stanze dialbego  (§ 66: vecchia questione …).  Era stato inizialmente azionata assieme all’esclusiva sulla ritrasmissione via cavo.

L’embedding di altrui post Instagram non costituisce comunicazione al pubblico

Secondo il Tribunale del northern district della california, 17.09.2021, Hunley e altri c. Instagram, caso 21-cv-03778-CRB, inserire nel proprio sito una fotografia latrui reperita su Instagram con lo strumento “embedding tool” non costituisce <display> e dunque non viola il diritto <<to display the copyrighted work publicly; >> (§ 106.5 del 17 US code).

Ciò sulla base di una interpretazione dei concetto di copy , di fixed e di display posta dalla decisione del 2007 Perfect 10 v. Amazon, secondo cui <<an “image is a work that is ‘fixed’ in a tangible medium of expression, for purposes of the Copyright Act, when embodied (i.e., stored) in a computer’s server (or hard disk, or other storage device).” Id. (internal quotation marks omitted). If a website publisher does not “store” an image or video in the relevant sense, the website publisher does not “communicate a copy” of the image or video and thus does not violate the copyright owner’s exclusive display right. Id.  This rule is known as the “server test.”>>.

Deicsione assai opinabile per un doppio passaggio logico di dubbia fondatezza:

i) che la legge sia interpretabile come dice Perfect 10 (ma qui -probabilmente- opera in prima battuta il vincolo del precedente, proprio della common law);

ii) che Perfect 10 sia interpetabile come dice il giudice californiano de quo

Infatti nessuna delle due fonti dice che lo storage del convenuto debba avvenire sui propri PC . Allora si può desumerne che per entrambi è ammssibile che la violazione avvenga con fissazione su PC di terzi , di cui il convenuto abbia per qualche motivo (lecito o illecito) il controllo . Come nel caso de quo, ove l’embedding fa rimanere il post fisicamente sui server di Instagram.

Comunicazione al pubblico in diritto di autore e ruolo delle piattaforme di condivisione dei file caricati dagli utenti

In giugno, giorno 22,  è finalmente stata emessa la sentenza della Corte di Giustizia CG nei due procedimenti C‑682/18 e C‑683/18, promossi da titolari ti diritti (Peterson e Elsevier) contro Google-Youtube e rispettivamente Cyando.

La due cause si assomigliano molto (sono state riunite), anche se c’è qualche differenza fattuale, soprattutto tecnica nel funzionamento delle due piattaforme.

Il quesito è duplice (ce ne è un terzo specifico al diritto tedesco sulle condizioni dell’inibitoria, di cui non mi occupo) :

i) la presenza e proposizione di file illeciti rende la piattaforma autrice di violazione della comunicazione al pubblico in diritto di autore (art. 3 dir. 29/2001)?

ii) la piattaforma può fruire del safe harbour ex art. 14/1 dir. commercio elettronico 2000/31?

Ebbene, sub i) : <<l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto d’autore deve essere interpretato nel senso che il gestore di una piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file, sulla quale utenti possono mettere illecitamente a disposizione del pubblico contenuti protetti, non effettua una «comunicazione al pubblico» di detti contenuti, ai sensi di tale disposizione, salvo che esso contribuisca, al di là della semplice messa a disposizione della piattaforma, a dare al pubblico accesso a siffatti contenuti in violazione del diritto d’autore. Ciò si verifica, in particolare, qualora tale gestore sia concretamente al corrente della messa a disposizione illecita di un contenuto protetto sulla sua piattaforma e si astenga dal rimuoverlo o dal bloccare immediatamente l’accesso ad esso, o nel caso in cui detto gestore, anche se sa o dovrebbe sapere che, in generale, contenuti protetti sono illecitamente messi a disposizione del pubblico tramite la sua piattaforma da utenti di quest’ultima, si astenga dal mettere in atto le opportune misure tecniche che ci si può attendere da un operatore normalmente diligente nella sua situazione per contrastare in modo credibile ed efficace violazioni del diritto d’autore su tale piattaforma, o ancora nel caso in cui esso partecipi alla selezione di contenuti protetti comunicati illecitamente al pubblico, fornisca sulla propria piattaforma strumenti specificamente destinati alla condivisione illecita di siffatti contenuti o promuova scientemente condivisioni del genere, il che può essere attestato dalla circostanza che il gestore abbia adottato un modello economico che incoraggia gli utenti della sua piattaforma a procedere illecitamente alla comunicazione al pubblico di contenuti protetti sulla medesima>>, § 102.

Sub ii): <<Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni seconda e terza sollevate in ciascuna delle due cause dichiarando che l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico deve essere interpretato nel senso che l’attività del gestore di una piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione, purché detto gestore non svolga un ruolo attivo idoneo a conferirgli una conoscenza o un controllo dei contenuti caricati sulla sua piattaforma .

L’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva sul commercio elettronico deve essere interpretato nel senso che per essere escluso, in forza di tale disposizione, dal beneficio dell’esonero dalla responsabilità previsto da detto articolo 14, paragrafo 1, un siffatto gestore deve essere al corrente degli atti illeciti concreti dei suoi utenti relativi a contenuti protetti che sono stati caricati sulla sua piattaforma>>, §§ 117-118.

I risultati interpretativi sono grosso modo condivisibili , anche se il percorso logico non è sempre rigoroso (ad es. l’affermazione per cui il carattere lucrativo non è <priva di rilevanza> circa la questione sub i): invero o fa parte della fattispecie costitutiva o non ne fa parte, tertium non datur. Non può essere <non privo di rilevanza> ma poi messo da parte nel caso specifico, a meno che la legge così preveda. . Per non dire che questa <eventuale rilevanza> non viene chiarita, ma lasciata nel vago: tanto vale tacerla. La lucratività ha rilevanza <del tutto relativa> per l’AG, § 87).

Più lineare il percorso svolto dall’avvocato generale SAUGMANDSGAARD ØE (qui: AG) nella sue Conclusioni 16.07.2020.

I passaggi importanti sono molti e non possono essere qui tutti riferiti.

Ne ricordo due:

– l’elemento soggettivo va riferito agli <atti illeciti concreti> e cioè, a mio parere, ad ogni singola violazione, una alla volta;

– la distinzione tra materie di competenza europea (violazione primaria) e di competenza nazionale (violazione secondaria), evidenziata soprattutto dall’AG.

Riprodurre un video altrui tramite embedding costituisce comunicazione al pubblico

La South. Dist. Court di NY 30.07.21, Case 1:20-cv-10300-JSR, Nicklen c. SINCLAIR BROADCAST GROUP Inc., afferma che la riproduzione tramite il c.d. embedding di un video altrui costuisce comunicazione al pubblico : o meglio, public display secondo il 17 US code § 106 (secondo le definitions del § 101 <<To “display” a work means to show a copy of it, either directly or by means of a film, slide, television image, or any other device or process or, in the case of a motion picture or other audiovis­ual work, to show individual images nonsequentially>>).

Si trattava del notissimo video riproducente un orso polare tristemente magro ed emaciato che disperatamente e stancamente si trascina per i ghiacci artici in cerca di cibo.

<Embedding> è la tecnica dell’incorporamento nel proprio sito di un file che però fisicamente rimane nel server originario (l’utente non se ne rende conto)

Ebben per la Corte:  <<The Copyright Act’s text and history establish that embedding a video on a website “displays” that video, because to embed a video is to show the video or individual images of the video  nonsequentially by means of a device or process. Nicklen alleges that the Sinclair Defendants included in their web pages an HTML code that caused the Video to “appear[]” within the web page “no differently than other content within the Post,” al though “the actual Video . . was stored on Instagram’s server.” …. The embed code on the Sinclair Defendants’ webpages is simply an information “retrieval system” that permits the Video or an individual image of the Video to be seen. The Sinclair Defendants’ act of embedding therefore falls squarely within the display right>>,  p. 8-9.

La parte più interessante è il rigetto espresso  della c.d. <server rule>: <<Under that rule, a website publisher displays an image by “using a computer to fill a computer screen with a copy of the photographic image fixed in the computer’s memory.” Perfect 10, Inc. v. Amazon.com, Inc., 508 F.3d 1146, 1160 (9th Cir. 2007). In contrast, when a website publisher embeds an image, HTML code “gives the address of the image to the user’s browser” and the browser “interacts with the [third-party] computer that stores the infringing image.” Id. Because the image remains on a third-party’s server and is not fixed in the memory of the infringer’s computer, therefore, under the “server rule,” embedding is not display.>>, p. 9.

Infatti la <server rule is contrary to the text and legislative history of the Copyright Act>, ivi: e i giudici spiegano perchè.

Inoltre  i convenuti alleganti la server rule <<suggest that a contrary rule would impose far-reaching and ruinous liability, supposedly grinding the internet to a halt>>.

Obiezione respinta:  <<these speculations seem farfetched, but are, in any case, just speculations. Moreover, the alternative provided by the server rule is no more palatable. Under the server rule, a photographer who promotes his work on Instagram or a filmmaker who posts her short film on You Tube surrenders control over how, when, and by whom their work is subsequently shown reducing the display right, effectively, to the limited right of first publication that the Copyright Act of 1976 rejects. The Sinclair Defendants argue that an author wishing to maintain control over how a work is shown could abstain from sharing the work on social media, pointing out that if Nicklen removed his work from Instagram, the Video would disappear from the Sinclair Defendants’ websites as well. But it cannot be that the Copyright Act grants authors an exclusive right to display their work  publicly only if that public is not online>>, p. 10-11

Viene -allo stato- respinta pure l’eccezione di fair use: profilo interessante dato che Sinclair è un colosso della media industry e quindi ente for profit. Viene riconosciuto che il primo fattore (The Purpose and Character of the Use) gioca a favore del convenuto , mentre altri due sono a favore del fotografo Niclen (porzione dell’uso , avendolo riprodotto per intero, e lato economico-concorrenziale) (v. sub II Fair use).

(notizia della sentenza dal blog di Eric Goldman).