Violazione del diritto d’autore su banca dati: processo per la liquidazione del danno (altro episodio nella lite Business Competence c. Facebook)

Con sentenza 17.09.2019, n. 8244/2019, RG 68360/2013, il Tribunale di Milano sez. spec. impresa A, ha deciso la lite per la liquidazione del danno nella lite Business Competence (di seguito: BC) contro Facebook (di seguito : FB), relativa ad un’applicazione che offriva informazioni presenti in FB (su esercizi commerciali nei dintorni) in base ad un sistema di geolocalizzazione.

Con sentenza del 2016  non definitiva (da poco confermata in appello) il Tribunale di Milano  aveva accertato la violazione in capo a FB per aver riprodotto nella propria applicazione Nearby l’applicazione Faround di BC e aveva quindi condannato la prima al risarcimento del danno, disponendo la prosecuzione del processo per la determinazione del quantum (verosimilmente ex art. 278 cpc).

La sentenza (rel. Marangoni) è interessante per la motivazione inerente la stima del danno (profilo centrale nella pratica). Il Collegio:

  • stima come royalty persa quella conseguente ad un tasso lordo del 5 (cinque) %  , desunto dai CTU  dal settore computer software e internet (§§ 3-4);
  • ritiene non significativi i ragionamenti sulla stima condotti da BC, dato che il suo progetto commerciale all’epoca dei fatti di causa era ancora in fase di iniziale sviluppo ed inolre soggetto ai necessari adeguamenti, in un settore con elevata e costante innovazione (§ 2, p. 6)
  • non dà importanza al fatto che FB abbia disatteso l’ordine giudiziale di trasmettere ai CTU i dati sulla diffusione di Nearby. Ciò perchè il successo economico di Nearby non è comunque utilizzabile per calcolare le chanche di Faraound in sede di giudizio controfattuale, dato che (§ 2 e § 5) i due business sono incomparabili: Nearby era distribuito grauitamente  ed inserito automaticametne nella piattaforma principale FB, mentre Faraound era/sarebbe stato a pagamento sia per utenti che per inserzionisti;
  • limita il periodo su cui calcolare le royalties mancate a due anni. I CTU invece -se ben capisco- avevano calcolato un periodo  temporalmente illimitato, dato che -come app di FB- si doveva correlarla alla vita utile di FB stessa. Il Collegio ha deciso così in base al quadro di vivace concorrenzialità delle app inerenti a FB (§ 6/7).
  • pertanto la liquidazione del Tribunale,  a fronte di una liquidazione: -di € 18.805.000,00  chiesta da BC; -di € 1.614.000,00 come corretta dalle osservazioni di FB; -di € 3.831.000,00 suggerita in via intermedia ed equitativa dai CTU, si è assestata (pure equitativamente) su € 350.000,00 (§ 8): meno di 1/10 del suggerimento del CTU e quasi 1/5 della somma che tiene conto delle correzioni apportate dalla stessa  FB.
  • ha compensato per intero le spese dei due gradi cautelari sia per l’esito, sia “per la obiettiva impossibilità in tale fase di pervenire ad un effettivo giudizio di interferenza tecnica tra le contrapposte applicazioni” (§ 9)

La ragione sociale della s.n.c. deve contenere il nome del socio, inteso come prenome e cognome indicati per esteso ex art. 6 / 2 c.c.

Secondo il Tribunale di Udine, quale giudice del Registro Imprese, la ragione sociale di una s.n.c. deve contenere il nome del socio inteso come prenome e cognome, riportati per esteso.

In applicazione di ciò, ha ordinato la cancellazione ex art. 2191 c.c. dell’iscrizione di una delibera di modifica del contratto sociale che, se ben capisco (è stata anonimizzata), aveva sostituito il prenome per esteso con una sua abbreviazione.

Effettivamente l’art. 2292 cc menziona solo il “nome” , a differenza dell’art. 2563 c.2 c.c., il quale, a proposito della ditta, ritiene sufficiente  anche la sigla.

Si tratta del decreto 3 giugno 2019, RG 1337/2019.

La Corte di Giustizia sul cumulo di protezione per disegni e modelli (tutela specifica e tutela d’autore)

La Corte di Giustizia con sentenza 12.09.2019, C-683/17, Cofomel-Sociedade de Vestuário SA c. G‑Star Raw CV,  esamina una questione pregiudiziale sollevata dalla corte suprema portoghese.

Il diritto portoghese concede protezione d’autore anche a <<opere d’arte applicata, disegni e modelli industriali e opere di design che costituiscano una creazione artistica, indipendentemente dalla tutela della proprietà industriale>>, § 15

Pertanto il giudice portoghese chiede alla C.G. <<se l’interpretazione data dalla Corte all’articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/29 osta ad una normativa nazionale – nel caso di specie, la norma di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera i), del codice del diritto d’autore e diritti connessi – che garantisca protezione a titolo di diritti d’autore a opere d’arte applicata, disegni e modelli industriali e opere di design, che, al di là del loro fine utilitario, producono un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico, di tal guisa che la loro originalità è il criterio centrale per l’attribuzione della protezione nell’ambito dei diritti d’autore>>, § 25.

[ La formulazione del questito non è chiara: il dettato normativo non dice esattamente quello che chiede il giudice, ma forse questi si riferisce ad una prassi interpretativa nazionale.]

La Corte riformula  la questione così: <<il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/29 vada interpretato nel senso che osta al conferimento, da parte di una normativa nazionale, di tutela ai sensi del diritto d’autore a modelli come i modelli di capi di abbigliamento oggetto del procedimento principale in base al rilievo secondo il quale, al di là del loro fine utilitario, essi producono un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico>>, § 26

Il passo centrale dunque, su cui certe la risposta, è il concetto di “producono un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico”. Cioè la Corte , se ben intendo, deve giudicare sulla compatibilità della normativa posta della direttiva 29/2001 con la tutela portoghese basata su tale concetto .

 La Corte ribadisce concetti noti tra cui:

<<La nozione di «opera» (..) costituisce (..) una nozione autonoma del diritto dell’Unione che deve essere interpretata e applicata in modo uniforme, e che presuppone il ricorrere di due elementi cumulativi. Da una parte, tale nozione implica che esista un oggetto originale, nel senso che detto oggetto rappresenta una creazione intellettuale propria del suo autore. D’altra parte, la qualifica di opera è riservata agli elementi che sono espressione di tale creazione (..) >>, § 29

Quanto al primo elemento, l’originalità <<è necessario e sufficiente che rifletta la personalità del suo autore, manifestando le scelte libere e creative di quest’ultimo>>, § 30

Quanto al secondo elemento, <<la nozione di «opera» di cui alla direttiva 2001/29 implica necessariamente l’esistenza di un oggetto identificabile con sufficiente precisione e oggettività>>, § 32. Infatti <<da un lato, le autorità competenti a garantire la tutela dei diritti esclusivi inerenti al diritto d’autore devono poter conoscere con chiarezza e precisione gli oggetti in tal modo protetti. Lo stesso vale per i terzi nei confronti dei quali si può far valere la tutela rivendicata dall’autore di detto oggetto. Dall’altro lato, la necessità di evitare qualsiasi elemento di soggettività, pregiudizievole per la certezza del diritto, nel processo di identificazione di detto oggetto implica che quest’ultimo sia stato espresso in modo obiettivo>>, § 33

Quando un oggetto presenta queste due caratteristiche, deve beneficiare della tutela d’autore, <<ove la portata di tale tutela non dipende dal grado di libertà creativa di cui ha goduto il suo autore e non è pertanto inferiore a quella di cui gode ogni opera che ricade in detta direttiva>>, § 35

Svolte queste premesse generali,  la Corte esamina se i modelli sub judice costituiscano opere ai sensi della direttiva 29/2001.

Disegni e modelli non sono in linea di principio assimilabili alle opere protette (§ 40) , ma è possibile concedere una protezione d’autore speciale (§ 42) in aggiunta a quella loro propria (§ 43).

Pertanto è confermato che modelli e disegni, se rispettano i due requisit predetti,  costituiscano “opere” ex dir. 29 (§ 48).

Poi la CG esamina il punto specifico e cioè <<se siano qualificabili come «opere», alla luce di queste esigenze, modelli come i modelli di capi di abbigliamento oggetto del procedimento principale che, al di là del loro fine utilitario, producono, secondo il giudice del rinvio, un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico, ove le questioni di detto giudice vertono sulla questione se un tale elemento di originalità estetica costituisca il criterio centrale di attribuzione della protezione prevista dalla direttiva 2001/29>>, § 49 . L’inciso finale (“ove le questioni di detto giudice..”) pare da interpretare nel senso che la CG valuta sul presupposto che il requisito costituisca l’unico (quello “centrale”) cui è subordinata la concessione della tutela d’autore a disegni e modelli.

La risposta è negativa, soprattutto alla luce del secondo requisito sopra ricordato.

Infatti l’effetto estetico prodotto da un modello è il risultato della sensazione soggettiva della bellezza percepita dall’osservatore. Quindi <<questo effetto di natura soggettiva non consente, di per sé, di caratterizzare l’esistenza di un oggetto identificabile con sufficiente precisione e oggettività ai sensi della giurisprudenza menzionata ai punti da 32 a 34 della presente sentenza>>, § 53.

È bensì vero, ricorda la Corte, che le considerazioni estetiche fanno parte dell’attività creativa. Tuttavia la produzione di un effetto estetico non permette di determinare se il modello sia o meno creazione intellettuale, che rifletta la libertà di scelta e la personalità del suo autore e cioè se sia o meno originale (§ 54): che, come detto, è l’unico criterio rilevante.

Di conseguenza il requisito dell’ <<effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico>>, menzionato dal giudice di rinvio, non permette di concedere la tutela per le opere (§ 55), per cui la Corte concludeche la direttiva 29  osta a conferire tutela d’autore in base a questo requisito (§ 56).

La decisione può avere grande impatto, in quanto non ammette per alcun settore requisiti ulteriori, a parte l’orignalità, per la protezione d’autore.   Tuttavia lascia un po’ perplessi.

La normativa europea ed internazionale permette ai singoli Stati di fissare le condizioni a cui concedere la protezione d’autore a modelli e disegni: v. i §§ 3-14 e poi §§ 42-47 e soprattutto dir. 98/71 e reg. 6/2002, fatti salvi dall’art. 9 della dir. 29:

  • cons. 8 dir. 98/71: <<«[C]onsiderando che, in mancanza di un’armonizzazione della normativa sul diritto d’autore, è importante stabilire il principio della cumulabilità della protezione offerta dalla normativa specifica sui disegni e modelli registrati con quella offerta dal diritto d’autore, pur lasciando gli Stati membri liberi di determinare la portata e le condizioni della protezione del diritto d’autore>>;
  • art. 17 dir. 98/71: <<«I disegni e modelli protetti come disegni o modelli registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro a norma della presente direttiva sono ammessi a beneficiare altresì della protezione della legge sul diritto d’autore vigente in tale Stato fin dal momento in cui il disegno o modello è stato creato o stabilito in una qualsiasi forma. Ciascuno Stato membro determina l’estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere>>;
  • cons. 32 REg. 6/2002: <<In assenza di una completa armonizzazione delle normative nazionali in tema di diritto d’autore è importante stabilire il principio della cumulabilità della protezione conferita dal disegno o modello comunitario con quella conferita dal diritto d’autore, pur lasciando agli Stati membri piena facoltà di determinare la portata e le condizioni della protezione conferita dal diritto d’autore>>;
  • art. 96 § 2 reg. 6/2002: <<Disegni e modelli protetti in quanto tali da un disegno o modello comunitario sono altresì ammessi a beneficiare della protezione della legge sul diritto d’autore vigente negli Stati membri fin dal momento in cui il disegno o modello è stato ideato o stabilito in una qualsiasi forma. Ciascuno Stato membro determina l’estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere>>.
  • art. 9 della dir. 29 /2001: <<La presente direttiva non osta all’applicazione delle disposizioni concernenti segnatamente brevetti, marchi, disegni o modelli, modelli di utilità, topografie di prodotti a semiconduttori, caratteri tipografici, accesso condizionato, accesso ai servizi di diffusione via cavo, la protezione dei beni appartenenti al patrimonio nazionale, gli obblighi di deposito legale, le norme sulle pratiche restrittive e sulla concorrenza sleale, il segreto industriale, la sicurezza, la riservatezza, la tutela dei dati e il rispetto della vita privata, l’accesso ai documenti pubblici, il diritto contrattuale.>>

La Corte avrebbe dovuto spiegare – alla luce di tali norme- come possa imporre alla disciplina nazionale di disegni e modelli lo stesso concetto di “opera proteggibile”, previsto per le altre opere secondo la dir. 29.

Pare infatti  difficile ritenere che la previsione di requisiti ulteriori specifici (da noi il valore artistico: art.  2 n. 10 l.a.; in Germania, la soglia particolarmente elevata di originalità, secondo la teoria giurisprudenziale dei tre livelli della stessa, c.d. Stufentheorie, su cui v. Donle-Held-Nordemann-Schiffel-Nordemann, The interplay between design and copyright protection for industrial products, 31.05.2012, per AIPPI, §§ 4-5) possa essere incompatibile con la disciplina europea ex dir. 29. Come appena visto, infatti, la  normativa europea ed internazionale permette ai singoli Stati di determinare le condizioni della protezione.

Questa tesi è stata sostenuta pure da alcuni Stati intervenuti, tra cui l’Italia, ma contrastata dalle conclusioni dell’A.G. Szpunar, che nega l’esistenza di una lex specialis per disegni e modelli (v. sue conclusioni  2 maggio 2019, §§ 33-48). Egli contrasta il pur chiaro dettato normativo cit., affermando -con rif. al reg. 6/2002- che era anteriore alla dir. 29 e dunque volutamente provvisorio in attesa di un aromnizzazione del diritto di autore europea (§ 37).

Secondo l’AG, la ragione consisterebbe soprattutto nel fatto che: i) l’elaborazione dei due atti normativi (reg. 6/2002 e dir. 29) è proceduta in contemporanea; ii)  che la regola sul punto del reg. 6/2002 era presente anche nella sue versioni iniziali; iii)  che, pur essendo la dir. 29 stata approvata prima del reg., è però entrata in vigore dopo. In conclusione, le disposizioni, che lasciano agli Stati la determinazione della tutela di autore a disegni e mdoelli, andrebbero soggette ad una sorta di interpretatio abrogans.

Questa posizione mi pare alquanto debole.

I punti i) e ii) vanno valorizzato in senso opposto: il fatto che sia stata mantenuta la disciplina iniziale anche quanto la dir. 29 era in avanzato stato di elaborazione ,-anzi, era stata già approvata formalmente, significa che il tenore letterale è stato consapevolmente voluto e dunque è stata voluta la disciplina speciale per disegni e modelli. Il punto iii) è irrilevante: quello che conta è se esisteva o meno una disciplina generale  d’autore (basterebbero lavori avanzati, non essendo necessaria la approvazione definitiva), quando è stato varato il reg. 6 : e la risposta è positiva. Il momento di entrata in vigore non ha alcun rilievo interpretativo.

Ancora , l’AG contrasta l’art. 9 della dir. 29 dicendo che <<la direttiva 2001/29, la quale è relativa al diritto d’autore, non debba pregiudicare le disposizioni di altri settori, come il diritto dei disegni e dei modelli. Tuttavia, l’articolo 17 della direttiva 98/71, al pari dell’articolo 96, paragrafo 2, del regolamento n. 6/2002, [1° argomento] non sono disposizioni afferenti al settore del diritto dei disegni e dei modelli, bensì a quello del diritto d’autore. [2° argomento] Una diversa interpretazione implicherebbe che la protezione delle opere delle arti applicate attraverso il diritto d’autore dipenda dal diritto dei disegni e dei modelli, mentre questi due settori sono tra loro autonomi. L’articolo 9 della direttiva 2001/29 non può, pertanto, essere interpretato come determinante l’esclusione dei disegni e dei modelli dall’armonizzazione operata con la direttiva 2001/29>> (§ 39).

Il ragionamento non è corretto. Circa il primo argomento, l’art. 9 non fa salve solo le regole ad hoc di disegni e modelli, ma tutte le <<disposizioni concernenti segnatamente brevetti, marchi, disegni o modelli>>: quindi pure quelle che si occupano della tutela di autore. Circa il secondo , che i due settori siano autonomi è una petizione di principio: le riscostruzioni in sede interpretativa dipendono infatti dalle norme e queste sul punto specifico dicono l’opposto.

Il Tribunale UE sul giudizio di confondibilità tra marchi denominativi

Il Tribunale UE 27.06.2019, T-268/18 (leggibile in italiano solo per estratti), Luciano Sandrone c. EUIPO, affina alcune regole sul giudizio di confondibilità tra marchi denominativi (quello posteriore patronimico , impregiudicata la questione su quello anteriore).

Il conflitto riguardava il marchio anteriore “don Luciano” e il marchio posteriore “Luciano Sandrone” (chiesto dal titolare del’omonima ditta individuale di Barolo, Italia). Entrambi erano stato chiesti per prodotti alcolici ed entrambe paiono essere imprese vitivinicole.

Rovesciando la decisione della Commissione di Ricorso, il Tribunale afferma alcuni principi sul giudizio di confusione tra marchi denominativi:

  • nel marchio “don Luciano” prevale “Luciano”, anche se non al punto da rendere “don” trascurabile (§§ 66- 67);
  • il marchio “Luciano Sandrone” è percepito come combinazione di nome e cognome da parte del pubblico dell’intera unione. inoltre “Luciano” è meno distintivo di “Sandrone”: quest’ultimo è cognome raro, sicchè ha un <<valore intrinseco superiore>> (§ 68, riportando la decisione della commissione).
  • invece il nome “Luciano” non è da considerare raro, nonostante che in alcuni paesi  non sia molto comune (Germania e Finlandia).Quest’ultima circostanza infatti non fa venir meno la circostanza che in questi stessi paesi si sappia (o meglio che il pubblico di riferimento di tali paesi sappia) che il nome è molto diffuso in altri paesi (Italia Spagna Portogallo Francia) , i quali costituiscono “parte sostanziale”  dell’UE ( §§ 73-74).
  • Pertanto si può dire che nel suo insieme il pubblico dell’Unione considera elemento più distintivo l’elemento <<Sandrone>> rispetto al nome, essendo meno comune, anche anche se <<Luciano>> non è trascurabile (§ 75).
  • Questo per il confronto fonetico e visivo. Circa il confronto concettuale (ove si valuta la concordanza semantica: CG caso SAbel, 11.11.1997, C-251-95, ricordata al § 84), nel caso specifico non lo si può fare: ciò perché i nomi di persona -a meno che siano riferiti ad esempio persone famose- non hanno un concetto corrispondente (§§ 85-86). Quindi censura la decisione della Commissione di Ricorso sul punto (§ 91).

Infine, sulla valutazione globale del rischio di confusione, ribadisce alcune regole note tra cui:

  • è sufficiente che l’impedimento alla registrazione esista anche solamente per una parte dell’unione (§  92).
  • la interdipendenza tra i fattori (cioè somiglianza tra segni e affinità tra prodotti/servizi) comporta che si compensano reciprocamente, sicchè <<un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa>>  (§ 93)
  • <<nel settore vitivinicolo i nomi sono molto importanti, sia che si tratti di cognomi o di nomi di tenute, in quanto essi servono a contraddistinguere e a designare i vini. In generale, occorre ricordare che i consumatori sono abituati a designare e a riconoscere il vino in funzione dell’elemento denominativo che serve a identificarlo e che tale elemento designa in particolare il viticoltore o la proprietà su cui il vino è prodotto (…)>>. Ne segue che è l’elemento distintivo “sandrone” che <<servirà a identificare i vini del ricorrente, ovvero la denominazione nel suo insieme, vale a dire “luciano sandrone”, ma non unicamente l’elemento “luciano”>> (§ 99).
  • <<nel settore dei vini, in cui è molto frequente l’uso di segni costituiti da nomi o cognomi, è inverosimile che il consumatore medio possa credere nell’esistenza di un collegamento economico tra i titolari dei segni in conflitto per il solo fatto che essi condividono il nome italiano Luciano, percepito come molto diffuso, secondo il punto 47 della decisione impugnata, in Spagna, in Francia, in Italia e in Portogallo, e per il quale non è stato dimostrato che potrebbe essere percepito come raro in altri paesi dell’Unione. Questo semplice fatto non consente quindi di concludere, per quanto riguarda i marchi relativi a vini, nel senso della sussistenza di un rischio di confusione, poiché il pubblico di riferimento non si aspetta che detto nome, di comune diffusione, sia utilizzato da un solo produttore quale elemento di un marchio>> (§ 101).
  • Soprattutto (dico io), <<la commissione di ricorso non ha neppure preso in considerazione il debole grado di carattere distintivo dell’elemento comune ai due marchi, ossia «luciano», derivante dal fatto che tale nome può designare un numero potenzialmente indeterminato di persone e che, pertanto, l’insieme del pubblico di riferimento sarà in grado di distinguere il marchio anteriore dal marchio di cui si chiede la registrazione, poiché quest’ultimo contiene, inoltre, l’elemento «sandrone», un cognome dotato di un valore intrinseco superiore>> (§ 102);
  • il punto precedente è corroborato <<dalla giurisprudenza della Corte, secondo la quale non si può ammettere che qualsiasi cognome che costituisce un marchio anteriore possa essere opposto con successo alla registrazione di un marchio composto da un nome e dal cognome in questione (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2010, Becker/Harman International Industries, C‑51/09 P, EU:C:2010:368, punto 39). Non esiste quindi alcun automatismo che consenta di concludere nel senso dell’esistenza di un rischio di confusione quando un marchio anteriore consistente in un cognome è ripreso in un altro marchio, aggiungendovi un nome. Tale considerazione vale altresì quando il marchio anteriore consiste, in particolare, in un nome proprio e il segno di cui si chiede la registrazione è una combinazione di tale nome e di un cognome>> (§ 103) [non “vale altresì”, direi, ma “a maggior ragione”, quando il primo è un nome e il secondo un cognome+nome]

Ancora sulla lite Vivendi-Mediaset: un’applicazione dell’art. 83 septies TUF

La lite tra Vivendi (in seguito : V.) e Mediaset (in seguito: M.) si arricchisce di un cautelare interessante, perchè applica l’art. 83 septies TUF: si tratta dell’ordinanza 31.08.2019 giudice Simonetti Amina, RG 33508, 2019-1, Trib. Milano sezione feriale civile.

Come ivi si legge , il giudizio di merito consiste nell’impugnazione da parte di Vivendi ex art. 2378 della delibera assembleare Mediaset 18 aprile 2019 con cui le è stato negato il diritto di voto (ma concesso quello di partecipazione).

In sede cautelare V. chiede che il giudice ordini a M. e a chi presiderà l’assemblea dei soci 4 settembre 2019 di ammetterla ad intervenirvi (per una certa percentuale di capitale e diritti di voto) e di consentirle l’esercizio dei pertinenti diritti amministrativi.

Avendo M. dichiarato che l’avrebbe esclusa pure all’assemblea del  4 settembre, V. ha proposto la domanda cautelare.

L’art. 83 septies TUF così recita:

<<Art. 83-septies (Eccezioni opponibili) 1. All’esercizio dei diritti inerenti agli strumenti finanziari da parte del soggetto in favore del quale e’ avvenuta la registrazione l’emittente puo’ opporre soltanto le eccezioni personali al soggetto stesso e quelle comuni a tutti gli altri titolari degli stessi diritti>>.

M. l’ha invocato affermando che V. <<ha acquistato (gli acquisti si sono concentrati negli ultimi 15 giorni del mese di dicembre 2016) e detiene la partecipazione in Mediaset in violazione:
a) delle obbligazioni assunte da Vivendi a favore di Mediaset con il contratto stipulato l’8 aprile 2016 avente ad oggetto la cessione di Mediaset Premium spa,
b) delle disposizioni di cui all’art 43 comma 11 Tusmar, come accertato da Agcom con delibera 178/17/Cons.(doc. 17 citazione).>> (p. 2).

Circa b) , il Tribunale ha ammesso V. al voto e ai diritti conseguenti per la parte di diritti che rispetta i limiti alla concentrazione ex art. 43 c. 11 Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici d. lgs. 177/2005 (la cui violazione è sanzionata da nullità negoziale: c. 4, ivi). La parte residua (eccedente il 10% in M.) era stata trasferita da V. ad una fiduciaria (Simon Fiduciaria spa)

Circa a), il caso offre un’interessante applicazione del concetto di “eccezioni personali” ex art. 83 septies cit. Nel caso specifico l’eccezione consisterebbe nella violazione di un patto di cristallizzazione della situazione societaria (c.d. standstill): cioè un patto di non modifica di essa assunto da V. verso M. nell’ambito delle trattative per l’acquisto di Mediaset Premium spa.

Questo è il punto che qui intendo ricordare. In altre parole, l’eccezione sollevata da M.  consiste nella violazione da parte di V. di un patto di non acquisto di azioni di M., stipulato con quest’ultima.

La dottrina ha osservato che il concetto di “eccezioni personali” è molto ampio, al pari della norma “madre” (art.  1993 c. 1 c.c.) e vi rientrano tutte quelle fondate su rapporti personali (Marano, art. 83 septies, Le soc. per az.-le fonti del dir. it., dir. da Abbadessa e Portale, Giuffrè, 2016, t. 2, § 2, p. 3750; e pure in Id., La circolazione delle azioni dematerializzate e la disciplina dei mercati, Giuffrè, 2013, nuova ed., 226).

Il punto è interessante. Altra dottrina afferma che, data l’ampiezza del dettato normativo, deve intedersi richiamato il diritto comune : cioè vi rientrano tutti quei rapporti che secondo il diritto comune possono reagire negativametne sul rapporto cartolare (F. Martorano, Titoli di credito, Tratt. dir. civ. comm. Cicu Messineo Mengoni, Giuffrè, 2002, p. 304: ma è forse tautologico, perchè resta da capure cosa possa incidere sul rapporto cartolare).

Secondo altri non ci si può richiamare solo alle eccezioni attinenti al fatto costitutivo dell’obbligazione, ma anche a quelle derivanti da un rapporto del tutto estraneo, purchè il possessore ne sia parte (F. De Vescovi, Tre dubbi sulla <<tutela cartolare>> nei tempi della dematerializzazione, BBTC, 2003, 715 ss, a p. 728).

Le ultime due opinioni paiono avere conseguenze diverse . La prima restringe l’ambito delle eccezioni sollevabili, la seconda l’amplia, permettendo anche la compensazione con qualsiasi controcredito.

Il Tribunale ha però ritenuto non sufficientemente fondata l’eccezione sollevata da M. sotto due profili:

1) le cause di merito promosse da M. (in cui verosimilmente si dibatteva il medesimo tema) erano state da poco rinviate a precisazione conclusione con esclusione di attività istruttoria: il che -direi- indica al giudice la scarsa plausibilità della tesi di M.;

2) anche ammettendo, prosegue il Tribunale, <<l’esistenza nel contratto 8.4.2016 di un implicito patto tra le parti di standstill funzionale al conseguimento degli obiettivi delle parti del Contratto di dar vita ad una partnership industriale paritetica[nota1 : “Patto contestato da Vivendi ed invero non espressamente contenuto nel contratto 8.4.2016, previsto solo in un patto parasociale tra Vivendi e Fininvest che si si sarebbe dovuto sottoscrivere dopo il closing, cui mai si è pervenuti”]>>,  anche ammesso ciò, il fatto però che  M. in quei giudizi abbia modificato la domanda da adempimento a risoluzione del contratto, col conseguente effetto retroattivo, impedisce di ritenere illegittimo [l’acquisto e dunque] il possesso attuale di azioni M. da parte di V.  Precisamente così dice il Tribunle: <<l’attuale pretesa di Mediaset verso Vivendi che questa dismetta tale partecipazione potrebbe non avere più ragione giuridica nella situazione presente, caratterizzata dal fatto che nei giudizi di merito riuniti RG 47205/2016 e 47575/2016 l’attrice Mediaset ha (alla udienza del 4.12.2018) modificato l’originaria domanda di adempimento del contratto 8 aprile 2016 in domanda di risoluzione, dichiarando di non avere più interesse al mantenimento dello Share Exchange Agreement. La risoluzione contrattuale, se pronunciata come richiesto da Mediaset, avrebbe come effetto quello di far venire meno con efficacia retroattiva ogni vincolo contrattuale, tra cui il patto di standstill (se sussistente). Con la conseguenza che il possesso attuale di azioni da parte di Vivendi risulterebbe legittimo, anche se eventualmente ab origine acquistato in violazione del contratto 8.4.2016.>>

Il Tribunale invece nulla dice sulla questione a monte e cioè sulla  possibilità teorica che, tra le eccezioni personali ex art. 83 septies TUF, rientri pure la violazione di un divieto di acquisto di azioni stipulato con l’emittente stessa. Nulla dicendo su tale possibilità ed entrando nel merito, implicitamente l’afferma.

A conforto di questa supposizione si veda un precedente intervento del Tribunale di Milano nel procedimento cautelare per la sospensiva ex art. 2378 c. 2 c.c. relativametne alla impugnazione della delibera assembleare 27 giugno 2018 (Trib. Milano 23.11.2018, Simon fiduciaria spa c. Mediaset spr, giudice: d.ssa Amina Simonetti, RG 2018/50173). Qui non era in causa Vivendi ma solo la sua fiduciaria. Anche qui  << le parti in causa hanno discusso circa la riconducibilità alla nozione di eccezioni personali di cui all’art 83 septies tuf delle eccezioni sollevate da Mediaset a Simon Fiduciaria relative alla violazione dell’art 43 Tusmar e al dedotto inadempimento al contratto 8 aprile 2016 : * sia con riferimento al fatto che tali eccezioni, non traendo fondamento in questioni connesse al rapporto causale sottostante lo strumento finanziario azione (cioè extrastatutarie ed extra societarie) non sarebbero riconducibili alla nozione di eccezioni personali, * sia con riferimento alla diversa identità soggettiva tra la fiduciaria e la fiduciante Vivendi cui si riferiscono i fatti giuridici inerenti le eccezioni>>.

Infatti circa il primo profilo, qui di interesse, il Tribunale risponde così: <<può dirsi, per quanto rileva nel caso di specie, che la nozione di eccezioni personali cui si riferisce l’art 83 septies tuf può essere tratta da quella del diritto comune (art 1993 c.c.), data l’identità di funzione tra le discipline (favorire una circolazione celere e sicura); il riferimento nell’art 83 septies tuf alle eccezioni personali consente di comprendere nella categoria tutte quelle inerenti a colui che è legittimato in quanto titolare del conto (art 83 quinquies Tuf) e che traggano fondamento sia nel contratto c.d. causale (statutario) sottostante lo strumento finanziario, sia in rapporti extra e diretti tra emittente e titolare del conto ( non statutari per quanto riguarda le azioni quali strumenti finanziari). Nota 4: Infatti non può dubitarsi che sia sempre oggetto possibile come eccezione personale ex art 1993 comma 1 c.c. la compensazione fondata su un qualsiasi controcredito e non si dubita che l’art 1993 c.c. si applichi ad alcune eccezioni fondate sui rapporti personali extrastatutari tra azionista e società, anche; la compensazione non può esservi se non in caso di autonoma fonte delle reciproche e contrapposte obbligazioni pecuniarie>> (seguono interessanti osservazioni, su cui non si può qui fermare , in base alle quali il Tribunale afferma che: 1)  la società può opporre al fiduciario la natura elusiva del negozio di trasferimento fiduciario volto a eludere norme di legge o statutarie -si tratterà di abuso del dirito o di negozio in frode alla legge-;  2) la decisione di intestare fiduciariamente ad altri una parte delle azioni, in esecuzione della delibera Agcom per rispettare i tetti partecipativi (quindi con corretezza sotto il profilo amministrativo), non preclude una diversa valutazione di tale operazione sul piano civilistico).

Questa (implicita, nel caso più recente) soluzione pare corretta. La dottrina fa ad es. rientrare nel concetto di “eccezioni personali” ex art 1993 c.c. quelle basate su rapporti extrastatutari, come l’eccezione di compensazione [ma allora secondo il regime comune: art.  1241 ss cc] oppure un pactum de non petendo circa la riscossione dei  dividendi (Angelici C., art. 2354, in Le azioni-artt. 2346-2356, in Il cod. civ. Commentario dir. da Schlesinger, Giuffrè, 1992, 282-283). Quest’ultimo è equiparabile, per tornare al caso nostro, al patto di divieto di acquisto di azioni dell’emittente (stipulato con quest’ultima): non vedo ragione per differenziare i diritti amministrativi da quelli patrimoniali.

Restano da capire quali possano essere altri casi di applicabilità della norma, data la peculiarità della fattispecie. Può essere abbastanza semplice, quando si tratti di pretesa alla riscossione dei dividendi; può esserlo meno, quando la pretesa, paralizzata dalla norma, abbia natura non patrimoniale ma relativa alla partecipazione alla vita organizzativa interna dell’emittente. Ad es.:

– la violazione del medesimo divieto (di acquisto azioni dell’emittente) ma stipulato con terzi, anzichè con l’emittente (ad es. con alcuni soci), costituisce “eccezione personale”? Direi di no, stante la regola di relatività del vincolo contrattuale.

– la violazione di altri obblighi (di qualunque tipo ma non concernenti operazioni su azioni dell’emittente: la fantasia può sbizzarirsi) ma pur sempre con l’emittente, può costituire eccezione personale? Ad es. invocando la normativa comune inadimplenti non est adimplendum ex art. 1460 cc? Parrebbe di si, stante l’ampiezza dell’ambito applicativo riconosciuto dalla dottrina all’art. 83 septies TUF .

Competenza giurisdizionale per violazioni di marchio UE, consistenti in offerta in vendita su internet

Interviene la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul tema in oggetto, decidendo una questione pregudiziale  sollevata dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) e relativa all’art. 97 (rubricato <<Competenza internazionale>>) § 5 del reg. 207/2009.

Secondo l’art. 97 § 1 sono competenti i Tribunali del domicilio del convenuto.

Secondo l’art. 97 § 5,  l’azione può essere promossa  anche <<dinanzi ai tribunali dello Stato membro in cui l’atto di contraffazione è stato commesso>>.

Nel caso specifico il presunto contraffattore era domiciliato in Spagna ed offriva in vendita prodotti contraffatti su internet. I titolari hanno fatto valere la violazione nel Regno Unito e solo per quanto riguarda il territorio britannico (§ 19 e § 55).

La questione riguarda l’interpretazione del concetto di “luogo di commissione della contraffazione“. Precisamente consiste nel capire se con ciò si intenda solo il luogo, in cui il convenuto abbia organizzato la messa on line, oppure anche il luogo (anzi i luoghi), in cui si trovano consumatori e professionisti cui pubblicità ed offerte di vendita sono rivolte, pur se diverso dal primo.

La Corte ha risposto nel secondo senso e ciò, oltre che per altre ragioni, anche tramite una corretta interpretazione della norma sull’ambito oggettivo di protezione conferito dalla privativa.

Secondo l’art. 9 § 2 lett. b) e d) [§ 3 lett. b) ed e) nell’ultima versione consolidata], infatti, costituisce contraffazione anche l’offerta in vendita e l’uso del segno nella pubblicità. Quindi il luogo di commissione della contraffazione in tali casi è laddove la pubblicità o l’offerta vendono percepite dai [“rese accessibili ai”] destinatari (§ 54).

In sintesi , ne segue che <<il titolare di un marchio dell’Unione (…) può introdurre un’azione per contraffazione (…) dinanzi a un tribunale dei marchi dell’Unione europea dello Stato membro sul cui territorio si trovano consumatori o professionisti cui si rivolgono tali pubblicità o dette offerte di vendita, nonostante il fatto che il suddetto terzo abbia adottato le decisioni e le misure finalizzate a tale pubblicazione elettronica in un altro Stato membro>> (§ 65)

Si tratta della sentenza 05.09.2019, causa C-172/18AMS Neve Ltd-Barnett Waddingham Trustees-Mark Crabtree contro Heritage Audio SL-Pedro Rodríguez Arribas.

La cointestazione di conto bancario non significa necessariamente cedere (o cointestare) il relativo credito verso la Banca

La Cassazione chiarisce che cointestare un conto corrente bancario (e anche il dossier titoli appoggiato ad esso: da vedere se sia possibile disgiugnerli) signifca solo estendere la legittimazione ad operare sul conto.

Non significa invece -tranne pattuizione diversa, da provare- trasferire la titolarità del credito.

Il trasferimento del contenuto di un conto corrente (o della intestazione del deposito titoli )  è una forma di cessione del credito verso la banca e come tale presuppone un contratto [uno specifico titolo giuridico: quindi da provare] tra cedente e cessionario.

Si può ricordare per completezza che il titolare può non solo trasferire la proprietà sul contenuto, ma anche semplicemente fare entrare altri nella titolarità, estendendo quindi il profilo soggettivo del diritto. In altre parole può modificare la titolarità del diritto passando dalla proprietà solitaria alla comunione  (il che costituisce parziale trasferimento).

Così Cass. 21963 del 03.09.2019, rel. Gianniti, Piccirilli ed altri c. Sartorelli ed altri, § 2, in fine.

Autore della musica di opera cinematografica, cessione dei diritti e termination right nel diritto statunitense (una recente decisione della Court of Appeals del 2° Circuito)

Il compositore Ennio Morricone (in causa si presenta il suo avente causa, Ennio Morricone Music Inc.)  si impegnò a creare sei colonne sonore per sei film verso una società del gruppo Edizioni Musicali Bixio (in causa: Bixio Music Group Ltd.) a fronte di un pagamento anticipato (3.000.000 di lire) e di future royalties, oltre ad altri compensi secondari. In aggiunta egli cedette all’editore Bixio i diritti d’autore su dette sue creazioni .

I film sono della fine anni 70 e inizio 80.

Successivamente (2012) Morricone notificò a Bixio l’intenzione di avvalersi del diritto di termination (recesso oppure risoluzione: qui non approfondisco) del rapporto  (si badi: era stata stipulata una cessione, non una licenza) secondo il § 203 della legge copyright statunitense (Tit. 17 Copyrights  dello US Code, chap. 2).

Questa norma lo permette dopo trentacinque anni, tranne che si tratti di  work made for hire.  Work made for hire (di seguito: w.m.f.h.) all’incirca significa “opera realizzata in esecuzione di contratto di lavoro dipendente o autonomo”: il concetto è definito dal § 101 del  cit. Tit. 17 Copyrights  dello US Code.

Le parti concordano in causa che il rapporto è governato dalla legge italiana e il giudice prende per buona questa posizione.

La difesa Bixio eccepisce che la nostra legge qualifica il rapporto sub iudice in modo tale da poterlo riternere sostanzialmente corrispondente al concetto statunitense di w.m.f.h. e dunque che Morricone non poteva esercitare il suo diritto di termination.

Il giudice però rileva diverse differenze tra i due istituti, che elenca in modo minuzioso. La prima ad es. consiste nel fatto che il  diritto statunitense rende titolare ab initio il datore/committente, mentre da noi l’autore delle  musiche è coautore (art. 44 l.aut.): ed il § 203 presuppone un trasferimento/cessione (assignment) da parte dell’autore per invocarne la relativa termination. Quindi -direi così, ma non lo dice il giudice- questa , se non può operare nel caso di w.m.f.h., ove non c’è alcun trasferimento, può invece operare secondo il diritto italiano, che prevede invece un acquisto derivativo in caso di trasferimetno dal compositore (Morricone) a soggetto terzo (Bixio).

Quello che è strano è il motivo per cui si applica un istituto autorale statunitense pur in presenza di legge applicabile italiana.

Secondo la teoria del diritto internazionale privato, l’ordinamento richiamato potrebbe non applicarsi, a favore invece di una norma della lex fori, se si tratta di norma c.d. unilateriale oppure di norma di diritto internazionale privato materiale oppure di  norma di applicazione necessaria o infine di norma di ordine pubblico.

Nessuna di queste ipotesi è richiamata però dal giudice.

In conclusione il giudice , ribaltando il primo verdetto, dà ragione a Morricone riconoscendogli il diritto di termination.

La decisione è del 21 agosto 2019 ed è stata emessa dalla United States Court of Appeals for the Second Circuit, KEARSE, JACOBS, HALL, Circuit Judges, caso No. 17‐3595‐cv, August Term 2018, parti: ENNIO MORRICONE MUSIC INC., Plaintiff‐Appellant, v. BIXIO MUSIC GROUP LTD., Defendant‐Appellee.

E’ leggibile nel database Decisions del Second Circuit.