Determinabilità dell’oggetto del preliminare di vendita immobiliare

Cass. sez. II, 14/07/2025 n. 19.334, rel. Cavallino, è lasca sulla determinabilità dell’oggetto in caso di preliminare di vendita immobiliare (rispetto al definitivo), di cui era stata chiesta l’eecuzione forzata ex art. 2932 cc:

<<Come si legge in Cass. Sez. 2 24-1-2020 n. 1626 (Rv. 656846-01), pag.6, è acquisito che l’oggetto del contratto preliminare sia costituito non già dall’oggetto del futuro contratto, che con il preliminare le parti si obbligano a concludere, ma dalla conclusione stessa del contratto definitivo.

Pertanto, ai fini della validità del preliminare non è necessaria l’indicazione completa di tutti gli elementi del futuro contratto, ma è sufficiente l’accordo delle parti sugli elementi essenziali.

In particolare, nel preliminare di vendita di un bene immobile, l’indicazione del bene oggetto del futuro trasferimento della proprietà può essere anche incompleta e mancare dei dati catastali e degli altri elementi distintivi del bene, purché sia certo che le parti abbiano inteso riferirsi a un bene determinato o determinabile.

In altri termini, è sufficiente che dall’atto scritto risulti, anche attraverso il richiamo a elementi esterni ma idonei a consentire l’identificazione del bene in modo inequivoco, che le parti abbiano inteso fare riferimento a un bene determinato o comunque determinabile; la relativa individuazione attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il contratto definitivo può non solo essere incompleta, ma anche mancare del tutto, purché l’intervenuta convergenza delle volontà sia logicamente ricostruibile dal giudice di merito, sia pure aliunde o per relationem (Cass. Sez. 2 23-8-1997 n. 7935 Rv. 507047-01, Cass. Sez. 2 30-5-2003 n. 8810 Rv. 563817-01, Cass. Sez. 2 1-2-2013 n. 2473 Rv. 624872-01, Cass. Sez. 2 10-5-2018 n. 11297 Rv. 648322-02).

Non pone principi di segno diverso ai fini che qui interessano l’indirizzo secondo il quale la possibilità che l’oggetto di un contratto preliminare sia determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio e anche successivi alla sua conclusione trova un limite nel caso in cui l’identificazione del bene da trasferire non attenga all’ipotesi di conclusione consensuale del contratto definitivo su base negoziale, ma afferisca a una pronuncia giudiziale ex art. 2932 cod. civ.; l’affermazione che in tale caso l’esatta individuazione del bene debba risultare dal preliminare, in quanto la pronuncia giudiziale ex art. 2932 cod. civ. deve corrispondere esattamente al contenuto del preliminare (Cass. Sez. 2 7-8-2002 n. 11874 Rv. 556763-01, Cass. Sez. 2 16-1-2013 n. 952 Rv. 624973-01, Cass. Sez. 2 15-9-2017 n. 21449 Rv. 645553-01) individua i requisiti del preliminare necessari al fine della pronuncia ex art. 2932 cod. civ., ma non ai fini della validità del contratto quale fonte di obbligazioni che, se non eseguite dalle parti, non consentiranno l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ., ma potranno dare luogo al risarcimento del danno per l’inadempimento.

La sentenza di primo grado, nella parte trascritta al punto 15 della sentenza impugnata, aveva dichiarato, sulla base del contenuto delle scritture, che il terreno oggetto dell’accordo era il terreno acquistato da Mu.Gi. e AVVENIRE IMMOBILIARE Srl da Sc. Srl e i lottisti erano individuati per relationem; a fronte di questi dati, la Corte d’Appello non spiega perché, in tali termini, l’oggetto del contratto preliminare non fosse almeno determinabile, come sufficiente ex art. 1346 cod. civ.

Neppure l’affermazione in ordine al fatto che fosse indeterminata e indeterminabile la controprestazione relativa alla cessione delle cubature aggiuntive trova spiegazione idonea a escludere l’esistenza di accordo sugli elementi essenziali del contratto. La spiegazione non poteva essere data, perché il riferimento al procedimento amministrativo nel quale avrebbe dovuto essere riconosciuta la cubatura aggiuntiva era evidentemente sufficiente a fare riferimento a tutta la cubatura aggiuntiva che sarebbe stata riconosciuta nel procedimento medesimo.

La diversa circostanza che il procedimento amministrativo non fosse stato concluso non poteva porre questione di mancanza dell’accordo sugli elementi essenziali del contratto o di indeterminatezza dell’oggetto del contratto, ma questioni da valutare esclusivamente sul piano dell’adempimento al contratto preliminare>>.

Esecuzione in forma specifica del preliminare e conformità catastale ex art. 29, c. 1-bis, L. 52/1985

Cass. sez. II, 15/10/2025 n. 27.531, ricorda due principi interessanti per l’operatore:

“La nullità comminata dall’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985, comma introdotto dall’art. 19, comma 14, del D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, in legge n. 122/2010, va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418, terzo comma, c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “formale” e “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti della dichiarazione di parte disponente o dell’attestazione sostitutiva del tecnico circa la conformità catastale oggettiva del cespite. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante o dell’attestazione del tecnico, il contratto è valido a prescindere dalla veridicità della conformità dichiarata o attestata, purché la difformità non emerga in modo palese allo stato degli atti“.

“Nel giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di trasferimento immobiliare relativo ad un fabbricato già esistente, la conformità catastale oggettiva di cui all’art. 29, comma 1-b/s, della legge n. 52/1985, comma introdotto dall’art. 19, comma 14, del D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, in legge n. 122/2010, costituisce una condizione dell’azione e deve formare oggetto di accertamento da parte del giudice, che può accogliere la domanda in presenza della dichiarazione o attestazione di conformità al momento della decisione, senza alcun onere di verifica dell’effettività della coerenza catastale, salvo che si tratti di una falsità conclamata, cioè tale da essere rilevabile ictu oculi anche da un soggetto tecnicamente inesperto, caso nel quale la dichiarazione o attestazione può essere ritenuta inesistente e l’effetto traslativo è precluso”.

La realizzazione illegittima di manufatti sull’immobile da parte del promesso acquirente (in un preliminare ad esecuzione anticipata) non costituisce interversione del possesso

Interessante precisazione, circa un dubbio che effettivamente potrebbe sorgere, da parte di CAss. sez 2 del 13.10.2025 n. 27.326, rel. Oliva: la realizzazione di opere illegittime, perchè in violazione del preliminare, da parte del promissario acquirente non costituisce  di per sè interversione della detenzione in possesso e cioè  non integra l’opposizione, di cui all’art. 1141 cc.

<<Le opere da essi eseguite sul fondo, dunque, sono state ritenute dal giudice di merito funzionalmente connesse al suo progettato acquisto, e non idonee, di per sé, a dimostrare una interversione della detenzione in possesso. Sotto questo profilo, la statuizione della Corte distrettuale è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui “Poiché l’interversione del possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, da cui sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio con correlata sostituzione al precedente, animus detinendi, dell’animus sibi habendi, tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in modo da consentirgli di rendersi conto dell’avvenuto mutamento, e deve tradursi in atti dai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua. A tal fine sono inidonei atti che si traducano nell’inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita (verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale) ovvero si traducano in meri atti di esercizio del possesso, ricorrendo in tal caso una ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene” (, Rv. 573965; negli stessi termini, cfr. anche , Rv. 587753; , Rv. 599249; , Rv. 613210; , Rv. 648535; , Rv. 655670)>>.

Il pericolo di evizione nel preliminare di vendita (sull’art. 1381 cc)

Cass. sez. II, 25/07/2025 n. 21.254, rel. Maccarrone:

<<L’art. 1481 co 1 c.c. riconosce al compratore la possibilità di sospendere il pagamento del prezzo “quando ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possa essere rivendicata da terzi, salvo che il venditore presti idonea garanzia”: la sospensione del pagamento – da parte del compratore – o la prestazione di garanzia – da parte del venditore – sono pertanto i rimedi che la norma prevede per l’ipotesi di pericolo di evizione a tutela del compratore.

La facoltà del compratore di sospendere il pagamento del prezzo, a norma dell’art. 1481 c.c. costituisce applicazione alla compravendita del principio generale “inadimplenti non est adimplendum”, disciplinato all’art. 1460 cod. civ., e richiede che l’esercizio dell’autotutela così riconosciuta sia conforme a buona fede: il pericolo di perdere la proprietà o parte di essa deve cioè essere serio e concreto e risultare inoltre attuale, non già soltanto ipotizzabile in futuro o meramente presuntivo (cfr., in particolare, Cass. 8002/2012).

I presupposti oggettivi di operatività dell’art. 1481 c.c. sono quindi il pericolo di rivendica, relativo anche ad una parte del bene compravenduto, l’effettività del pericolo, che non può rinvenirsi nel mero timore o in una presunzione non grave e non circostanziata dell’acquirente, e la gravità, serietà e concretezza del pericolo stesso e di conseguenza quantomeno la verosimiglianza dell’esistenza di un diritto altrui sul bene.

Sotto il profilo soggettivo la sospensione del pagamento del prezzo disciplinata dall’art. 1481 c.c. presuppone, secondo il disposto del secondo comma della norma, che il compratore non avesse consapevolezza del pericolo di rivendica: è irrilevante invece la situazione soggettiva del venditore, significativa solo sotto il profilo della responsabilità da inadempimento – cfr., in tal senso, tra le altre, Cass. n. 8002/2012; Cass. n. 31314/2019 -.

La norma in esame è dettata per la compravendita ma trova pacificamente applicazione per analogia anche per i contratti preliminari di compravendita. (…) Orbene, il semplice fatto che un bene immobile provenga da donazione e possa essere teoricamente oggetto di una futura azione di riduzione per lesione di legittima esclude di per sé che esita un pericolo effettivo di revindica e che il compratore possa sospendere il pagamento o pretendere la prestazione di una garanzia. Non si è in tal caso nemmeno verificato il presupposto per l’azione restitutoria ex art. 582 c.c., e che cioè, vi sia un erede che, ritenendo lesa la legittima in conseguenza della donazione, abbia esercitato l’azione di riduzione e manifestato l’intenzione di proporre, per la probabilità della vana escussione dei beni del donatario, anche l’azione di restituzione nei confronti degli aventi causa del donatario)”; nello stesso, in ipotesi di bene compravenduto proveniente da donazione, si è espressa di recente Cass. n. 8571/2019).

(…)

Rispetto ad un contratto preliminare il ricorso al disposto dell’art.1481 c.c. permette la sospensione dell’obbligazione di contrarre il contratto definitivo e del pagamento del prezzo (ove siano previsti pagamenti in acconto prima e in vista della stipula del definitivo), ferma restando la possibilità che prima della stipula la parte promittente venditrice trovi una soluzione alla questione e/o offra idonea garanzia: è questa la forma di tutela riconosciuta al promissario acquirente per l’ipotesi di pericolo di evizione.

Ne consegue che la richiesta del promissario acquirente di “regolarizzazione” della situazione con il terzo potenzialmente rivendicante entro un dato termine, rivolta al promittente venditore, si pone al di fuori dell’operatività propria della norma in esame ove sia finalizzata a costituire il presupposto dell’eventuale scioglimento del vincolo, attraverso il recesso o la risoluzione, perché sposta la valutazione del comportamento delle parti dal rischio di evizione nell’ambito della considerazione degli adempimenti a carico di ognuna di esse e delle conseguenze della loro violazione.

Dalla sospensione dell’obbligazione di contrarre il contratto definitivo in capo al promissario acquirente deriva cioè da una parte l’impossibilità per il promittente venditore di far valere nei suoi confronti l’obbligo a contrarre e, dall’altra, la necessità che il pericolo di evizione sia “neutralizzato” prima della stipula del contratto definitivo, a nulla valendo per l’operatività della disposizione in esame l’imposizione unilaterale di termini intermedi (potenzialmente rilevanti nell’ambito proprio dell’adempimento contrattuale).

L’esistenza del pericolo di evizione unitamente alle iniziative della parte promissaria acquirente per la sollecita definizione del rischio evidenziato e della sua incidenza sull’oggetto promesso in vendita, con indicazione di un termine entro cui la parte promittente venditrice avrebbe dovuto operare, riguardano più propriamente il profilo di sussistenza dei presupposti per l’esercizio del recesso, ex art. 1385 c.c., primo tra tutti l’inadempimento della controparte, presupposti che debbono essere esaminati con l’utilizzo degli stessi criteri -in particolare quanto a gravità e proporzionalità – previsti dagli art. 1453 e 1455 c.c. – così già Cass. n. 398/1989, secondo cui “La disciplina dettata dal secondo comma dell’art. 1385 cod. civ., in tema di recesso per inadempimento nell’ipotesi in cui sia stata prestata una caparra confirmatoria, non deroga affatto alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento, consentendo il recesso di una parte solo quando l’inadempimento della controparte sia colpevole e di non scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente. Pertanto nell’ indagine sull’inadempienza contrattuale da compiersi al fine di stabilire se ed a chi spetti il diritto di recesso, i criteri da adottarsi sono quegli stessi che si debbono seguire nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione, nel senso che occorre in ogni caso una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia fatto venir meno, con il proprio comportamento, l’interesse dell’altro al mantenimento del negozio. (V 4011/84, mass n. 435931; (V 4011/84, mass n 435982; (Conf. 4451/85, mass n 441912)”; (le pronunce successive sono conformi: cfr., tra le altre, Cass. n. 409/2012, Cass. n. 12549/2019; Cass. n. 21206/2019; Cass. n. 21209/2019)>>.

Sulla differenza tra vendita preliminare e vendita definitiva per scrittura privata: ricorre la seconda anche se alcuni effetti sono differiti al rogito notarile

Cass. sez. II, 22/04/2025 n. 10.454, rel. Trapuzzano:

<<Si premette che il contratto preliminare e il contratto definitivo di compravendita si differenziano per il diverso contenuto della volontà dei contraenti, che è diretta, nel primo caso, a impegnare le parti a prestare, in un momento successivo, il loro consenso al trasferimento della proprietà e, nel secondo, ad attuare il trasferimento stesso, contestualmente o a decorrere da un momento successivo alla conclusione del contratto, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà.

La qualificazione del contratto come preliminare o definitivo costituisce, pertanto, un accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e non inficiata da vizi logici o giuridici (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3153 del 02/02/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 7666 del 16/03/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 33916 del 17/11/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 21650 del 23/08/2019; Sez. 2, Sentenza n. 24150 del 20/11/2007; Sez. 1, Sentenza n. 7429 del 21/05/2002; Sez. 1, Sentenza n. 564 del 17/01/2001; Sez. L, Sentenza n. 10961 del 02/11/1998).

Senonché nella fattispecie, la lettura resa dalla sentenza di merito non osserva i criteri ermeneutici che governano l’interpretazione del contratto e fornisce una descrizione della vicenda secondo argomentazioni contraddittorie.

Segnatamente, la Corte distrettuale ha individuato i seguenti aspetti: a) la rinnovazione del consenso delle parti in sede di stipulazione notarile – fissata per la data del 30 maggio 2009 –; b) l’obbligo assunto di effettuare, in tale sede, il trasferimento del possesso dell’immobile in favore del promissario acquirente; c) il riferimento al momento della stipula del rogito notarile, ai fini dell’attribuzione delle rendite in favore dell’acquirente e dei pubblici aggravi a suo carico, senza provvedere alla sua trascrizione ai sensi dell’art. 2645-bis c.c.; d) la preclusione della qualificazione del contratto come vendita in conseguenza della mancata trascrizione.

Da ciò la Corte d’Appello ha tratto il convincimento che sia stato stipulato un preliminare di vendita immobiliare.

Nel giungere alla delineata conclusione, la Corte territoriale ha posto l’accento sulla circostanza che il trasferimento del possesso all’atto della stipula del rogito notarile fosse emblematico della volontà di trasferire la proprietà dei cespiti al momento del perfezionamento di tale atto pubblico, con valenza di contratto definitivo, senza considerare: a) il richiamo espresso all’immediata intenzione traslativa; b) la riserva di usufrutto in favore dell’alienante; c) l’immediata assunzione degli oneri e delle spese a carico dell’acquirente; d) il totale versamento del prezzo; e) il rinvio alla stipula dell’atto pubblico ai fini della mera rinnovazione del consenso; f) la prevista limitazione della garanzia per i vizi e la contemplata garanzia per l’evizione.

Né all’uopo assume un peso decisivo il nomen iuris risultante dall’intestazione del contratto, in quanto esso non sia coincidente con le espressioni usate dai contraenti nella parte dispositiva, la quale esprime il nucleo essenziale della volontà negoziale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17682 del 14/08/2007; Sez. 3, Sentenza n. 16342 del 20/11/2002; Sez. 2, Sentenza n. 10898 del 05/10/1992).

Ed ancora il differimento della consegna non è in sé indicativo della stipulazione di un preliminare, posto che il trasferimento sotteso alla stipulazione di un definitivo può avvenire contestualmente o a decorrere da un momento successivo alla conclusione del contratto, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21650 del 23/08/2019; Sez. 5, Sentenza n. 21381 del 04/10/2006; Sez. 2, Sentenza n. 4047 del 07/09/1978).

D’altro canto, il riferimento alla rinnovazione del consenso mediante atto pubblico, ai fini di procurarsi un titolo idoneo per la trascrizione, non è affatto significativo della natura preliminare della scrittura.

Ed invero, nel caso di compravendita conclusa per mezzo di scrittura privata, l’obbligo assunto dalle parti di addivenire alla stipulazione di un atto pubblico di trasferimento, con contestuale immissione nel possesso del bene dell’acquirente, eventualmente con il completamento in quella sede del pagamento del prezzo, non vale a convertire in preliminare il contratto definitivo che le parti hanno eventualmente inteso concludere, nell’espressione della loro autonomia negoziale, in quanto i contraenti possono validamente ed efficacemente, contestualmente o in tempo successivo, accordarsi per la riduzione in atto pubblico della scrittura privata contenente già un trasferimento dominicale perfetto, all’unico fine ricognitivo del precedente contratto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13827 del 19/10/2000; Sez. 1, Sentenza n. 6759 del 22/12/1981; Sez. 2, Sentenza n. 3529 del 16/10/1976; così anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10364 del 31/03/2022).

Sicché – contrariamente all’assunto della sentenza impugnata – la riserva di futura formazione di atto pubblico ben può avere funzione meramente riproduttiva di una precedente definita compravendita e non è in sé indicativa della ricorrenza di un preliminare (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5962 del 03/11/1988; Sez. 1, Sentenza n. 3058 del 07/05/1986; Sez. 2, Sentenza n. 3733 del 21/06/1985; Sez. 2, Sentenza n. 3931 del 08/06/1983)>>.

L’inadempimento della prestazione oggetto del contratto definitivo rileva già per risolvere il preliminare

Cass. sez. II, ord. 31/05/2024n. 15.309, rel. Varrone, relativa ad una errata realizzazione della rampa di accesso all’autorimessa:

<<Ciò precisato, non può che ribadirsi in tema di risoluzione per inadempimento da un lato che: il giudice, per valutarne la gravità, deve tener conto di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, dalle quali sia possibile desumere l’alterazione dell’equilibrio contrattuale (ex plurimis Sez. 3, Sentenza n. 7187 del 04/03/2022, Rv. 664394 – 03) e dall’altro che: la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito (ex plurimis Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 12182 del 22/06/2020, Rv. 658455 – 01).

Infine, con specifico riferimento al caso di specie, è utile richiamare il seguente precedente che, sia pure sotto il diverso profilo delle norme di sicurezza antincendi, è comunque riferito alla necessaria praticabilità di un garage parametrata alla normale capacità di guida di un conducente: “In tema di preliminare di vendita di un garage, ove il promissario acquirente chieda la risoluzione del contratto per inadempimento, stante l’inutilizzabilità del bene per l’impossibilità della manovra di accesso, il criterio della facile manovrabilità, di cui agli artt. 3.6.3. e 3.7.2. del d.m. 1° febbraio 1986 del Ministero dell’interno, recante norme di sicurezza antincendi per la costruzione e l’esercizio di autorimesse, non è soddisfatto dal semplice rispetto dei minimi dimensionali di ampiezza e va collegato al dato oggettivo della dimensione del veicolo rapportato alla ristrettezza degli spazi, nonché alle difficoltà che incontra un qualunque conducente dotato di normale abilità” (Sez. 2, Sentenza n. 13979 del 24/06/2011, Rv. 618321 – 01).

I fatti storici;a<<Il ricorrente riporta il contenuto dell’atto introduttivo: “Asseriva (ndr: il Ca.Ni.) che tuttavia l’impresa costruttrice si era resa inadempiente alle obbligazioni assunte non avendo consegnato l’immobile entro il termine previsto nel preliminare (dicembre 2007) e avendo realizzato la rampa d’accesso o/ box auto con pendenza superiore a quella massima. pari al 20%. Prevista dal regolamento edilizio del Comune di Andria (circostanza che avrebbe impedito il rilascio dell’agibilità. ed avendo concesso ad altro condomino l’uso esclusivo dell”area pertinenziale; e che per tali gravi inadempimenti aveva rifiutato di addivenire alla stipula del definitivo, fissato per il 21 maggio 2008 dinanzi al notaio Po.Pa.(cfr. pag. 3 della sentenza di primo grado).>>

Nulla di particolarm ente interssante, se non che l’inadempimen to è riferito alpreliinare. Contratt  che nella vulgata obblica solo a esprimere il cosnenso il definitivo, non ad eseguire prestaizoni del definitivo.

Identificabilità dell’immobile: differenza tra preliminare di vendita e sentenza ex art. 2932 cc

Cass.  Sez. II, Ord. 01/03/2024 n. 5.536, rel. Mondini:

<<Questa Corte ha affermato che, ai tali fini, con riguardo ai contratti ad effetti reali o obbligatori, relativi ad immobili non è indispensabile l’indicazione dei confini e dei dati catastali, essendo sufficiente qualunque criterio idoneo ad identificare il bene in modo univoco (Cass. Sez. 2, Sentenza n.7079 del 22/06/1995 secondo cui “Il requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto di un contratto preliminare relativo a bene immobile non postula la necessaria indicazione dei numeri del catasto o delle mappe censuarie e di tre almeno dei suoi confini – che sono indicazioni rilevanti ai fini della trascrizione (art. 2659 n. 4 e 2826 cod. civ.) – quando, pur in mancanza delle dette indicazioni, l’oggetto del contratto può essere determinato in base alle altre clausole del contratto medesimo”).

Solo laddove l’identificazione dell’oggetto del preliminare afferisca ad una pronuncia giudiziale ex art. 2932 cod. civ., occorre che, nel preliminare stesso, l’immobile sia esattamente precisato con indicazione dei relativi confini e dati catastali, dovendo la sentenza corrispondere esattamente al contenuto del contratto, senza poter attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto del trasferimento” (Cass. 952/2013)>>.

 

M;ediazione e preliminare di preliminare: nessun diritto alla provvigione

Cass. sent. sez. 2 del 13-12-2023 n. 34.850, rel. Chieca:

<<Anche il secondo motivo è infondato.
In base all’orientamento ormai consolidato di questa Corte, al quale
si intende dare continuità, il diritto del mediatore alla provvigione
sorge allorché la conclusione dell’affare abbia avuto luogo per
effetto del suo intervento, come si ricava dal chiaro letterale
dell’art. 1755, comma 1, c.c.
Al fine di poter ritenere concluso l’affare è necessario che fra le
parti poste in relazione dal mediatore si sia costituito – in relazione ad un’eventuale futura stipula di un contratto preliminare – un
vincolo giuridico che abiliti ciascuna di loro ad agire per
l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., ovvero per il
risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del
risultato utile del negozio programmato.
Non basta, invece, accertare la sottoscrizione di una proposta
irrevocabile da parte dell’aspirante compratore, il quale offra un
certo corrispettivo per l’acquisto del bene, né riscontrare che vi sia
stata la conforme accettazione del proprietario, che pur abbia dato
luogo a una puntuazione vincolante sui profili in ordine ai quali
l’accordo è irrevocabilmente raggiunto e valga, perciò, a
configurare un ”preliminare di preliminare“, secondo quanto
chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 4628/2015 (cfr. Cass.
n. 22012/2023, Cass. n. 17919/2023, Cass. n. 28879/2022, Cass.
n. 30083/2019).
Ciò premesso, nel caso in esame è pacifico che nessun contratto
preliminare sia stato stipulato dal Piccolini con il Billè per effetto
dell’attività di mediazione svolta dalla Davì, la quale, in contrasto
con il surriferito insegnamento della giurisprudenza di legittimità,
pretende di vedersi riconosciuto il diritto alla provvigione per il solo
fatto che le parti da lei messe in contatto avrebbero raggiunto un
accordo su alcuni punti di un ipotetico futuro contratto preliminare
o definitivo di compravendita, poi giammai concluso>.

Il preliminare di preliminare è valido ma non permette l’immediato trasferimento (ex art. 2932) e quindi non costituisce “conclusione dell’affare” per la maturazione della provvigine mediatoria

Cass. sez. 2 del 13.11.2023 n. 31.431 rel. Rolfi:

<<Si deve, tuttavia, rilevare che tale approdo è stato oggetto di un successivo ripensamento, a far tempo dalla sentenza Cass. Sez. 2 – n. 30083 del 19/11/2019, la quale ha invece affermato che, ai fini del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato, dovendosi, conseguentemente, escludere il diritto alla provvigione qualora tra le parti si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare, come nel caso in cui sia stato stipulato un cd. “preliminare di preliminare”, in quanto quest’ultimo, pur essendo di per sé stesso valido ed efficace, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela, non legittima, tuttavia, la parte non inadempiente ad esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l’oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell’autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endoprocedimentale contenuta nell’accordo interlocutorio.

Detta decisione è stata seguita da una nutrita serie di decisioni che si sono poste sulla medesima scia (Cass. Sez. 6- 2, Ordinanza n. 8879 del 5/10/2022, massimata, e le decisioni non massimate Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7781 del 2020; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 39377 del 2021; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 15559 del 2022; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22012 del 2023, ma va anche richiamato il precedente “ante Sezioni Unite” costituito da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24445 del 21/11/2011), determinandosi, quindi, la formazione di un orientamento – ormai diventato essenzialmente uniforme – contrario al riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione nel caso di conclusione di un mero “preliminare di preliminare”.

7.4. Ritiene questo collegio che il secondo e più recente indirizzo giurisprudenziale appena sintetizzato meriti ulteriore conferma, dovendosi, quindi, ribadire il principio per cui il c.d. “preliminare di preliminare”, pur essendo vincolo valido ed efficace se rispondente ad un interesse meritevole di tutela delle parti, risulta idoneo unicamente a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare, senza abilitare le parti medesime ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato e, conseguentemente, non viene a costituire un “affare” idoneo, ex artt. 1754 e 1755 c.c., a fondare il diritto alla provvigione in capo al mediatore che abbia messo in contatto le parti medesime>>.

Poi:

<<Emerge, quindi, in modo univoco dall’arresto delle Sezioni Unite che il “preliminare di preliminare”, pur se valido ove fondato su interessi meritevoli di tutela, si presenta come mezzo per dilatare la fase temporale anteriore all’assunzione di un vincolo alla cui violazione possa reagirsi con l’azione ex art. 2932 c.c. – o, in alternativa, con una domanda risarcitoria volta ad ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata conclusione del negozio programmato – e, quindi, come mezzo per procrastinare l’assunzione di un impegno pienamente vincolante.

Dal “preliminare di preliminare”, infatti, viene a scaturire il solo vincolo a non interrompere, violando la clausola generale di buona fede e correttezza, l’ulteriore trattativa finalizzata a pervenire alla definizione completa dell’operazione negoziale, pena l’insorgere di un obbligo meramente risarcitorio per violazione di un’obbligazione riconducibile alla terza delle categorie elencate dall’art. 1173 c.c..>>

I contitolari del bene promesso in vendita devono tutti partecipare al successivo rogito del definitivo

Affermazione esatta ma quasi ovvia di Cass. 29 agosto 2023 n. 25396, rel. Poletti, su ricorso contro una giuridicamente incredibile corte di appello romana: la quale , nonstante avesse stimato come un unicum il bene oggetto del preliminare, ne aveva fatto discendere la solidarietà (anzichè la collettività stante la indivisibilità) circa il dovere dei contitolari di prestare il consenso al definitivo.

<<Reiterati precedenti di questa Corte hanno coordinato il
principio della indivisibilità del bene con quello della negozialità
dell’adempimento del contratto preliminare, sancendo che “La
promessa di vendita di un bene in comunione è, di norma,
considerata dalle parti attinente al bene medesimo come
un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote
che fano capo ai singoli comproprietari, di guisa che questi ultimi
– salvo che l’unico documento predisposto per il detto negozio
venga redatto in modo tale da farne risultare la volontà di
scomposizione in più contratti preliminari in base ai quali ognuno
dei comproprietari si impegna esclusivamente a vendere la
propria quota al promissario acquirente, con esclusione di forme
di collegamento negoziale o di previsione di condizioni idonee a
rimuovere la reciproca insensibilità dei contratti stessi
all’inadempimento di uno di essi – costituiscono un’unica parte
complessa e le loro dichiarazioni di voler vendere si fondono in
un’unica volontà negoziale. Ne consegue che, quando una di tali
dichiarazioni manchi (o sia invalida), non si forma (o si forma
invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto
preliminare, escludendosi, pertanto, in toto la possibilità del
promissario acquirente di ottenere la sentenza costitutiva di cui
all’art. 2932 cod. civ. nei confronti dei soli comproprietari
promittenti, sull’assunto di una mera inefficacia del contratto
stesso rispetto a quelli rimasti estranei” (Cass. S.U. n.
7481/1993; Cass. S.U. n. 239/1999.

E ancora: “in tema di promessa di vendita di un bene immobile
indiviso, appartenente a più comproprietari, allorché nell’unico
documento predisposto per il negozio non risulti la volontà dei
comproprietari di stipulare più contratti preliminari relativi
esclusivamente alle singole quote di cui ciascuno di essi è
titolare, le dichiarazioni dei promittenti venditori, che
costituiscono un’unica parte complessa, danno luogo a un’unica
volontà negoziale, sicché sono parti necessarie del giudizio ex
art. 2932 cod. civ. tutti coloro che, concorrendo a formare la
volontà negoziale della parte promittente,si sono obbligati a
prestare il consenso necessario per il trasferimento del bene
considerato come un unicum inscindibile e nei cui confronti deve
spiegare effetto la sentenza costitutiva” (Cass. n. 6162/2006; e
cfr. Cass. n. 1866/2015 per l’affermazione che nel caso di
preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà
indivisa le singole manifestazioni di volontà provenienti da
ciascuno dei comproprietari sono prive di una specifica
autonomia e destinate a fondersi in un’unica manifestazione
negoziale)>>

Poi la SC aggiunge di suo:

<<Se è vero che l’obbligazione di trasferire la proprietà di un
immobile oggetto di comunione, considerato come unicum
inscindibile, con la pattuizione di un solo prezzo, dà luogo
all’indivisibilità dell’obbligazione, è altrettanto vero che da tale
affermazione non possono derivare le conseguenze che ne ha
tratto il giudice di seconde cure, ossia l’irrilevanza della
mancanza di partecipazione di un coerede all’atto, stante la
natura obbligatoria del preliminare e l’estensione al suo
adempimento, tramite l’esecuzione dell’obbligo a contrarre,
della disciplina delle obbligazioni solidali.

La prestazione di trasferire la proprietà di un bene in
comproprietà non è stata infatti considerata avente natura
solidale ma collettiva, “non potendo operare il principio stabilito
dall’articolo 1292 c.c., secondo cui ciascuno degli obbligati in solido
puo’ adempiere per l’intero e l’adempimento dell’uno libera gli altri,
atteso che i promittenti sono in grado di manifestare il consenso
relativo alla propria quota e non quello concernente le quote
spettanti agli altri” (Cass. n. 2613/2021).
Diversamente dai corollari desunti dal giudice di appello, la
domanda di adempimento deve essere rivolta nei confronti di tutti
i promittenti venditori (in aggiunta alle decisioni già citate cfr. Cass.
n. 1050/1999), determinando un litiscorsorzio necessario, che si
genera nei confronti di tutti gli eredi anche quando, promosso il
giudizio ex art. 2932 cod. civ. per l’esecuzione specifica
dell’obbligo a contrarre, sopravvenga il decesso di uno dei
promittenti venditori, trattandosi di cause inscindibili (Cass. n.
8225/2011).
Ad ulteriore comprova delle linea interpretativa che nel caso
de quo avrebbe dovuto adottare la Corte distrettuale si possono
ricordare le decisioni che hanno preso specificamente in
considerazione il caso – come quello in esame – di apertura della
successione dopo la stipulazione del preliminare: “Deceduto il
promittente-venditore e apertasi – secondo la disciplina degli artt
566 e 581 cod civ (nel testo anteriore alla legge 19 maggio 1975
n. 151) – la successione legittima nei confronti del medesimo in
favore dell’unica figlia e del coniuge, la domanda di esecuzione
specifica del preliminare, tendendo al conseguimento della piena
proprieta del bene oggetto del contratto, deve essere proposta,
affinche la relativa sentenza sia utiliter data, non solo nei
confronti della figlia del de cuius, di tale bene divenuta piena proprietaria per la meta e nuda proprietaria per l’altra, ma anche
nei confronti del coniuge superstite, divenutone usufruttuario
dell’altra metà” (Cass. n. 1320/1980; e v. Cass. n. 2969/1967).
I precedenti invocati nella sentenza impugnata, molto risalenti
nel tempo, non attengono allo specifico caso di specie o risultano
superati dagli indirizzi interpretativi di cui si è dato conto>>

(link dal Sole 24 Ore)