Danno da errore medico: sottile distinzione tra perdita di chance di sopravvivenza e perdita del bene vita

Cass. n. 31.136 del 21.10.2022, sez. 3, rel Rubino, pone in (troppo) poche righe un concetto importante in un caso di errore medico (mancato trasferimento del paziente da medicina generale in un reparto di unità coronarica e  successivo decesso), cassando la sentenza di appello

Premessa:

<16. – Va invece accolto il terzo motivo, per le ragioni che seguono.

Le considerazioni della corte d’appello sul comportamento inadeguato, imprudente e imperito dei medici non si accompagnano ad un rigoroso ragionamento controfattuale, volto all’accertamento del nesso di causalità tra il comportamento da questi tenuto e il decesso del paziente, da porre alla base dell’affermazione, seppur in termini probabilistici e non di assoluta certezza, che ove spostato in un reparto in grado di fornire le cure adeguate il paziente si sarebbe salvato. La sentenza afferma che “la preclusione di tali interventi sanitari, operabili esclusivamente in un reparto UTIC, ascrivibile all’omissione contestata, ha indubbiamente concorso, alla stregua del criterio di probabilità relativa (…) al tragico epilogo determinatosi” per poi aggiungere ” le probabilità di sopravvivenza del B. in un reparto specializzato sarebbero state sicuramente superiori a quelle che allo stesso venivano concesse in un reparto inidoneo in quanto sprovvisto della necessaria strumentazione, quale quello di medicina legale“.

Data questa premessa, conclude però, incoerentemente, con l’accoglimento della domanda risarcitoria ritenendo provata l’esistenza del nesso causale tra il comportamento dei medici e il danno consistente nella morte del paziente>.

L’errore del secondo giudice:

<< I riferimenti contenuti nella sentenza impugnata al comportamento dei medici, che non hanno sottoposto il paziente che già presentava una estesa ischemia miocardica alle cure necessarie e al monitoraggio diagnostico adeguato, conseguibili solo con lo spostamento del paziente in un reparto di terapia intensiva, fanno intendere, conformemente alle risultanze della c.t.u. pure riportate in sentenza, che gli sia stata negata la possibilità di ottenere un risultato migliorativo, che avrebbe avuto qualche chance di conseguire ( [NB: questa parentesi tonda probabilmente è non voluta; in alternativa non è voluta la successiva] conformemente alla nozione di perdita di chance, da valutarsi non in relazione alla concreta possibilità del B. di guarire, cioè in relazione non al risultato atteso, ma in relazione alla perdita della possibilità di conseguire il risultato utile e sperato: infatti, non è il risultato perduto, ma la perdita della possibilità di realizzarlo l’oggetto della pretesa risarcitoria nella perdita di chance (Cass. n. 2261 del 2022; Cass. n. 12906 del 2021; Cass. n. 28993 del 2019).

Nel momento di trarre le fila del proprio ragionamento, però, la corte d’appello confonde i due piani, quello della chance, ovvero della perdita della possibilità del conseguimento di un risultato utile soltanto sperato, e quello dell’accertamento del nesso causale pieno in relazione alla perdita del bene vita, ovvero dell’accertamento, come più probabile che non, che il comportamento corretto e tempestivo dei sanitari, ovvero l’immediato trasferimento del paziente nell’unità specializzata, avrebbe potuto evitare il danno (la morte) e far conseguire il risultato sperato (la guarigione del paziente) e predica, a quella che descrive in fatto come mera perdita della possibilità di conseguire un miglior risultato, le conseguenze risarcitorie proprie dell’accertamento diretto del nesso di causa tra il comportamento omissivo dei medici e la morte del paziente con l’integrale risarcimento, a carico dei medici e della ASL, del danno da perdita del rapporto parentale subito dalla moglie e dai figli del B..>>

Questa presunta differenza di beni della vita azionati comporta differenza di diritti azionati e dunque, dal punto di vista del difensore, che non si può passare dall’uno all’altro (è mutatio libelli)

Il tema è al centro della monografia Bruno Tassone, Causalità e perdita di chances, Giappichelli, 2 ed., 2020

Omissione e nesso di causalità: probabilità statistica vs. probabilità logica

Cass- 07.03.2022 n. 7355 , rel. Pellecchia, avanza questo insegnamento sul nesso causale in caso di fattispecie omissiva:

<<Sul piano funzionale, la verifica del nesso causale tra condotta omissiva e fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità, positiva o negativa, del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio si conforma ad uno standard di certezza probabilistica che, in materia civile (come in quella penale), non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza del factum probandum nell’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili e alternativi) disponibili nel caso concreto, sulla base della combinazione logica degli elementi fattuali disponibili in seno al processo (cd. probabilità logica o baconiana: Cass. s.u. 576 e 577/2008; Cass. n. 23197/2018).

Il primo criterio funzionale (che può essere correttamente definito come quello della prevalenza relativa) implica che, rispetto ad ogni enunciato, venga considerata l’eventualità che esso possa essere vero o falso, e che l’ipotesi positiva venga scelta come alternativa razionale quando è logicamente più probabile di altre ipotesi, in particolare di quella/e contraria/e, senza che la relativa valutazione risulti in alcun modo legata ad una concezione meramente statistico/quantitativa della probabilità, per essere viceversa scartata quando le prove disponibili le attribuiscono un grado di conferma “debole” (tale, cioè, da farla ritenere scarsamente credibile rispetto alle altre).

In altri termini, il giudice deve scegliere l’ipotesi fattuale ritenendo “vero” l’enunciato che ha ricevuto il grado di maggior conferma relativa, sulla base della valutazione dapprima atomistica (in applicazione del metodo analitico), poi combinata (in attuazione della metodica olistica) degli elementi di prova disponibili e attendibili rispetto ad ogni altro enunciato, senza che rilevi il numero degli elementi di conferma dell’ipotesi prescelta, attesa l’impredicabilità di una aritmetica del valori probatori.

Il secondo criterio (più probabile che non) comporta che il giudice, in assenza di altri fatti positivi, scelga l’ipotesi fattuale che riceve un grado di conferma maggiormente probabile rispetto all’ipotesi negativa: in altri termini, il giudice deve scegliere l’ipotesi fattuale che abbia ricevuto una conferma probatoria positiva, ritenendo “vero” l’enunciato che ha ricevuto un grado di maggior conferma relativa dell’esistenza del nesso, sulla base delle prove disponibili, rispetto all’ipotesi negativa che tale nesso non sussista.

In entrambi i casi, il termine “probabilità” non viene riferito, per quanto si è andati sinora esponendo, al concetto di frequenza statistica, bensì al grado di conferma logica che la relazione tra facta probata ha ricevuto in seno al processo; la probabilità logica consente, pertanto, di accertare ragionevoli verità relative sulla base degli indizi allegati: permanendo l’incertezza, ed in assenza di una conferma positiva dell’esistenza del fatto da provare, il giudice dovrà necessariamente far ricorso alla disciplina legale dell’onere probatorio, rigettando la domanda (Cass. 18392/2017).>>

La distinzione tra probabilitòà statistica o quantitativa, da un parte, e probabilità  logica, dall’altra, è fatta propria da un trend assai seguito, ad es. pure da Cass. 14.03.2022 n. 8114, sempre 3° sez., ove membro del collegio -ma non relatore- è il relatore di quella qui ricordata. Probabilmente si appoggiano già all’autorità di Cass. sez. unite n. 584 del 11.01.2008, al § 19.10.

La nettezza della distinzione non convince, poichè i due criteri sono in realtà due aspetti (due fasi logiche) dell’unico criterio da seguire. La (necessaria) frequenza statistica, estrapolata dai casi passati, va poi esaminata alla luce delle circostanze concrete emerse in processo, per vedere se possa realmente applicarsi o se invece diventi non pertinente e quindi se vada sostituita da regola stastistica diversa (se reperita).

Nel caso de quo si trattava di responsabilità contrattuale per violazione di obbligazione ex lege: si trattava infatti di rapporto pubblicistico di soggezione del  lavoratore (marinaio) ai controlli da parte dei medici della pubblica sanità.