Determinazione dell’assegno di mantenimento da separazione

Cass. ord. sez. I, 23/05/2024  n. 14.371, rel. Pazzi:

<<5.1 L’art. 156, comma 2, cod. civ. stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell’assegno tenendo conto non solo dei redditi delle parti ma anche di altre circostanze non indicate specificatamente, né determinabili a priori, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti, la cui valutazione, peraltro, non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass. 605/2017).

Nell’effettuare questa ricostruzione la Corte d’appello ha ritenuto che il cospicuo patrimonio immobiliare di pertinenza dell’odierno ricorrente, dell’importo di oltre quattro milioni di Euro, potesse essere oggetto di sfruttamento diretto, “anche in misura maggiore a quale” (rectius quella) “sino ad oggi attuata come da osservazioni dell’ausiliario” (pag. 10 della decisione impugnata), o di alienazione. In questa prospettiva valutativa non assume alcuna decisività la mancata considerazione degli oneri che l’odierno ricorrente dovrebbe sostenere per rendere commerciabile il suo patrimonio commerciale ubicato in F, dato che la Corte di merito ne ha valorizzato – con valutazione in fatto incensurabile in questa sede – non le rendite percepite, ma le potenzialità reddituali in termini anche maggiori rispetto all’attualità.

Giova, poi, ricordare che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. qualsiasi censura volta a criticare il convincimento che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass. 20553/2021).

5.2 La Corte di merito non ha affatto tralasciato di considerare l’intervenuta morte del padre dell’odierno ricorrente nel corso del giudizio, posto che, dopo aver ricordato che nella ricostruzione del tenore di vita assume rilievo l’apporto costante del nucleo di origine di uno dei coniugi, ha sottolineato che tale disponibilità non era venuta meno nel corso degli anni, poiché il Po.Ro. aveva ereditato (dunque a seguito del decesso del congiunto) un cospicuo patrimonio immobiliare.

In altri termini, l’apporto esterno si era trasformato in apporto ereditario, continuando a contribuire alla determinazione del reddito e del patrimonio dell’odierno ricorrente.

5.3 Né è possibile sostenere che la Corte di merito non abbia tenuto conto dell’indennità di Euro 1.500 corrisposta dal Po.Ro. al fratello per l’occupazione della casa familiare da parte del coniuge separato e dei figli. Tale somma, infatti, costituisce proprio la differenza fra l’ammontare del contributo dovuto fino al rilascio dell’abitazione e dell’assegno da corrispondere in seguito, a testimonianza del fatto che i giudici distrettuali hanno tenuto conto dell’esborso, detraendolo, fino a quando lo stesso fosse stato versato, dall’importo dell’assegno giudicato congruo>>.