Donazioni ed eredità ricevute nella valutazione delle condizioni economiche circa l’assegno di mantenimento

Cass. sez. I, 25/06/2025 n. 17.037, rel. Dal Moro:

<<Il diritto al mantenimento, ricorrendo le condizioni previste dall’art 156 c.c., è fondato sulla persistenza, durante lo stato della separazione, di alcuni degli obblighi derivanti dal matrimonio, e “l’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”.

Questa Corte con un più recente orientamento rispetto a quello citato dal ricorrente, ha affermato che in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento, sono irrilevanti le elargizioni a titolo di liberalità ricevute dai propri genitori dal coniuge obbligato o, comunque, da terzi, ancorché regolari e continuate dopo la separazione, in quanto il carattere di liberalità impedisce di considerarle “reddito” ai sensi dell’art. 156, secondo comma, c.c., così come non costituiscono reddito, ai sensi del primo comma dello stesso articolo, analoghi contributi ricevuti dal coniuge che si afferma titolare del diritto al mantenimento.

Sul punto, nel leading case in materia (v. Cass. n. 10380/2012), questa Corte ha osservato che “La questione della rilevanza delle elargizioni di terzi – in particolare familiari, normalmente i genitori – nel giudizio sul riconoscimento del diritto all’assegno di separazione o di divorzio e nella determinazione del suo ammontare è stata affrontata, nella giurisprudenza di questa Corte, quasi esclusivamente con riguardo alle elargizioni ricevute dal coniuge che pretenda tale diritto. All’iniziale orientamento favorevole alla rilevanza di dette elargizioni, ove non meramente saltuarie, bensì continue e regolari (cfr. Cass. 5916/1996, in tema di separazione, nonché Cass. 278/1977, 358/1978, 497/1980, 1477/1982, 4158/1989, in tema di divorzio), è poi subentrato un orientamento negativo (cfr. Cass. 11224/2003, 6200/2009, in tema di separazione, nonché Cass. 4617/1998, 7601/2011, in tema di divorzio) che fa leva sul carattere liberale delle elargizioni di cui trattasi, non comportanti l’assunzione di alcun obbligo di mantenimento da parte dei genitori, sui quali grava la sola obbligazione alimentare ai sensi dell’art.433 c.c. in via subordinata rispetto al coniuge (cfr. Cass. 11224/2003, cit.). Con riferimento, invece, alle elargizioni ricevute dal coniuge obbligato… non si registrano precedenti ad eccezione di Cass. 20352/2008, pronunciatasi in senso favorevole alla rilevanza di siffatte elargizioni, nella determinazione dell’assegno divorzile, nonostante perplessità sulla natura liberale delle stesse in quella fattispecie concreta”. Dopo tale disamina della propria giurisprudenza sul punto, la Corte in quel caso ha ritenuto che “l’irrilevanza delle elargizioni liberali di terzi, quali i genitori, ancorché regolari e protrattesi anche dopo la separazione, già affermata con riferimento alla condizione del coniuge richiedente l’assegno nella più recente giurisprudenza di questa Corte, sopra richiamata, debba confermarsi anche con riguardo agli aiuti economici ricevuti dal coniuge obbligato al pagamento dell’assegno. Decisivo è l’evidenziato carattere liberale e non obbligatorio di tali aiuti, che impedisce di considerarli reddito dell’obbligato, ai sensi dell’art. 156 c.c., comma 2, così come non costituiscono reddito, ai sensi del comma 1 dello stesso articolo, gli analoghi aiuti ricevuti dal coniuge creditore”.

Conclude la Corte in quel caso “La sentenza impugnata è dunque errata, avendo, invece, dato rilievo alle elargizioni fatte al sig. G. da suo padre (eccettuate, ovviamente, quelle per l’acquisto della casa di abitazione, tradottesi in un diritto reale acquisito al patrimonio del beneficiario), nella determinazione dell’assegno di separazione a suo carico”.

Pertanto, l’esclusione della considerazione degli atti di liberalità è legata al fatto che, pur anche quando si tratti di elargizioni sistematiche che incrementano la disponibilità del coniuge obbligato, in quanto frutto di una volontà sempre revocabile non costituiscono reddito in senso proprio.

Altro è, tuttavia, l’incremento patrimoniale che si verifica una tantum e che in modo definitivo accresce il patrimonio dell’obbligato, e che rappresenta le “altre circostanze” rispetto al reddito di cui l’art 156 c.c. impone di tener conto.

Perciò anche la donazione di immobili in favore del sig. Se.El. – in tanto in quanto ha incrementato il suo patrimonio al pari di quanto sarebbe avvenuto per effetto di una successione mortis causa, che pacificamente viene considerata onde “circostanziare” la valutazione della sussistenza del preteso diritto in discorso (cfr. Cass. n. 8176/2016 per cui “L’acquisto da parte dell’obbligato di una eredità produce un incremento particolare, non riferibile ad uno sviluppo naturale e prevedibile della situazione reddituale; rileva però ai fini della valutazione complessiva delle condizioni economiche delle parti (Cass. 4758 del 2010)”), è stata in questo caso correttamente tenuta in considerazione nella ricostruzione della situazione patrimoniale del ricorrente dal giudice di merito nella sentenza gravata>>.

La convivenza con nuovo partner, che fa perdere l’assegno di mantenimento da separazione, e l’onere della prova

Cass. sez. I, 29/05/2025 n. 14.358, rel. Caiazzo:

<<Invero, in tema di separazione personale dei coniugi, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole e dei figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, occorre accertare il tenore di vita della famiglia durante la convivenza matrimoniale a prescindere dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, all’accertamento dei quali l’ordinamento prevede strumenti processuali ufficiosi, quali le indagini della polizia tributaria (Cass., n. 22616/2022).

Tuttavia, va osservato che, in tema di crisi familiare, il diritto all’assegno di mantenimento viene meno ove, durante lo stato di separazione, il coniuge avente diritto instauri un rapporto di fatto con un nuovo partner, che si traduca in una stabile e continuativa convivenza, ovvero, in difetto di coabitazione, in un comune progetto di vita connotato dalla spontanea adozione dello stesso modello solidale che connota il matrimonio, con onere della prova a carico del coniuge tenuto a corrispondere l’assegno; ne consegue che la stabilità e la continuità della convivenza può essere presunta, salvo prova contraria, se le risorse economiche sono state messe in comune, mentre, ove difetti la coabitazione, la prova relativa all’assistenza morale e materiale tra i partner dovrà essere rigorosa (Cass., n. 34728/23; n. 32871/18).>>

Criteri di determinazione dell’assegno di mantenimento da separazione

Cass. sez. I, 03/05/2025  n. 11.611, rel. Reggiani:

<<In tale ottica, la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che il giudice di merito, per quantificare l’assegno di mantenimento spettante al coniuge, cui non sia addebitabile la separazione, deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento, il tenore di vita di cui la coppia abbia goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato. A tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso, la percezione di redditi occultati al fisco, che possono essere portati ad emersione attraverso strumenti processuali officiosi, come le indagini di polizia tributaria o l’espletamento di una consulenza tecnica. (v. già Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9915 del 24/04/2007; da ultimo, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22616 del 19/07/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 32349 del 13/12/2024)>>.

Matrimonio troppo breve e “superficiale” per giustificare l’assegno di mantenimento

Cass. sez. I, 08/04/2025 n. 9.207, rel. Pazzi, su una convivenza durata quattro mesi:

<<5.1 È ben vero, in materia di separazione personale dei coniugi, che la durata del matrimonio o della convivenza matrimoniale non incidono sul riconoscimento del diritto a percepire un assegno di mantenimento.

Infatti, alla breve durata del matrimonio non può essere riconosciuta efficacia preclusiva del diritto all’assegno di mantenimento, ove di questo sussistano gli elementi costitutivi, rappresentati dalla non addebitabilità della separazione al coniuge richiedente, dalla non titolarità, da parte del medesimo, di adeguati redditi propri, ossia di redditi che consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e dalla sussistenza di una disparità economica tra le parti; al più, alla durata del matrimonio può essere attribuito rilievo ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento (Cass. 1162/2017).

Inoltre, tra le condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, l’art. 156 cod. civ. non pone l’instaurazione di un’effettiva convivenza fra i coniugi; la mancata convivenza può, invero, trovare ragione nelle più diverse situazioni o esigenze e va comunque intesa, in difetto di elementi che dimostrino il contrario, come espressione di una scelta della coppia, di per sé non escludente la comunione spirituale e materiale, dalla quale non possono farsi derivare effetti penalizzanti per uno dei coniugi ed alla quale comunque non può attribuirsi efficacia estintiva dei diritti e doveri di natura patrimoniale che nascono dal matrimonio (Cass. 19349/2011, Cass. 17537/2003, Cass. 3490/1998).

5.2 Nel caso di specie, tuttavia, la Corte distrettuale non ha valorizzato, al fine di escludere il diritto dell’appellante a ricevere un assegno di mantenimento, solo il fatto che non vi era stata un’effettiva convivenza tra i coniugi, dato che la Sp.Ma. dopo quattro mesi era tornata a vivere a Pisa, ma anche la circostanza che fra i coniugi non si era mai instaurata una vera communio omnis vitae, né vi era stata condivisione del menage familiare.

In presenza di una simile situazione di fatto i giudici distrettuali hanno negato la possibilità di riconoscere un assegno di divorzio, in coerenza con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “[…] nell’ipotesi di durata particolarmente breve del matrimonio, in cui non si è ancora realizzata, al momento della separazione, alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi, attesa la insussistenza di condivisione di vita e, dunque, la mancata instaurazione di un vero rapporto affettivo qualificabile come affectio coniugalis, non può essere riconosciuto il diritto al mantenimento” (Cass. 402/2018); dunque, “se è vero che la breve durata del matrimonio non esclude di per sé il diritto all’assegno, tuttavia la mancata instaurazione di una comunione materiale e spirituale fra i coniugi può costituire una causa di esclusione” (Cass. 16737/2018; nello stesso senso, da ultimo, Cass. 20507/2024).

5.3 Questo collegio condivide questo principio, a cui intende dare continuità.

Non vi è dubbio che il matrimonio-atto costituisca un negozio che produce la costituzione di un rapporto matrimoniale comportante una serie di reciproci diritti e doveri fra i coniugi, in cui è ricompreso l’obbligo di assistenza materiale previsto dall’art. 143, comma 2, cod. civ.

Ciò nondimeno, il fine essenziale del matrimonio è la costituzione di una comunione di vita “spirituale e materiale”, come è possibile ricavare, indirettamente, dal tenore dell’art. 1 L. 898/1970, secondo cui il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio “quando accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita”.

Questa comunione di vita costituisce un fatto, consistente nell’effettiva attuazione del rapporto matrimoniale attraverso la convivenza e l’osservanza degli altri doveri di solidarietà coniugale, che si realizza non certo automaticamente per effetto della legge, ma solo grazie alla condotta e al contributo dei coniugi.

È nell’ambito di questa comunione di vita che l’obbligo di assistenza materiale si attualizza, giacché, in sua assenza, difetterebbe il contesto all’interno del quale l’assistenza (che è attività continuativa protratta nel tempo) assume una sua concretezza.

Ora, se nessuna comunione di vita vi è mai stata, l’obbligo di assistenza non ha mai avuto il naturale ambito dove avverarsi e non può conseguire, per la prima volta, a una statuizione di separazione nel cui contesto il diritto al mantenimento a favore del coniuge separato trova il suo fondamento nella permanenza del vincolo coniugale e nel dovere di assicurare continuità all’assistenza materiale già realizzatasi, in precedenza, tra i coniugi>>.

Assegno di mantenimento da separazione

Cass. sez. I, 17/03/2025 n. 7.123, rel. Caprioli:

<<Com’è noto, l’art. 156, comma 1, c.c., dispone che “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.

Ciò che rileva, ai fini della determinazione dell’assegno in questione è l’accertamento del tenore di vita condotto dalle parti quando vivevano insieme, da rapportare alle condizioni reddituali e patrimoniali esistenti al momento della separazione.

Ai fini del compimento di entrambi gli accertamenti (le condizioni economico-patrimoniali durante la convivenza e quelle attuali di entrambi i coniugi) non è sufficiente guardare solo al reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma si deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9915 del 24/04/2007; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22616 del 19/07/2022).

La stessa valutazione deve essere compiuta con riferimento alle condizioni di vita di ciascuno dei coniugi successive alla separazione.

In tale ottica, l’attitudine dei coniugi al lavoro proficuo, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, dovendosi verificare la effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l’accertamento al solo mancato svolgimento di tale attività, e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24049 del 06/09/2021)>>.

Ciò in genrale. Applicandolo al caso de quo:

<<Nel caso di specie, la Corte di merito, dall’esame delle dichiarazioni reddituali del ricorrente in atti, ha potuto rilevare che, durante la convivenza matrimoniale, le entrate familiari erano tutte provenienti dai redditi del Pe.Gi. che disponeva di un considerevole patrimonio frutto di un’attività di intermediazione immobiliare esercitata da parecchi anni fonte di guadagni significativi in un mercato locale di nicchia che notoriamente non aveva subito flessioni di particolare rilievo.

Ha poi messo in evidenza le partecipazioni societarie Cortina Snc di cui l’appellante è legale rappresentante e socio al 45% assieme alla madre) e della Saura Srl di cui lo stesso possiede una partecipazione del 32,5% dedita agli investimenti immobiliari in una località turistica di notevole pregio ambientale e di prestigio internazionale come Cortina d’Ampezzo.

Ha poi messo in luce che non aveva formato oggetto di contestazione il fatto che la famiglia era vissuta sulle molteplici disponibilità facenti capo a Pe.Gi.

Ha rilevato che in ragione dei numerosi cespiti che facevano capo al marito il tenore di vita goduto dalla famiglia non poteva considerarsi modesto.

Conclusione questa rafforzata dagli esiti dell’indagine affidata alla Guardia di Finanza di Belluno che certificava la consistenza del variegato e cospicuo patrimonio di Pe.Gi., il quale “non era riuscito a smentire e neppure a mettere in dubbio che le sue svariate disponibilità (diretto e/o indirette) abbiano sempre soddisfatto a pieno tutte le necessità familiari, essendo ben superiori ai redditi formalmente dichiarati (almeno nel periodo 2017-2020)”.

Ora nella specie il ricorrente intende confutare il convincimento della Corte territoriale, formatosi su una serie di elementi documentali e sugli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza, contrapponendo ad essi varie argomentazioni nell’ambito di una complessiva diversa valutazione del compendio istruttorio.

Il Giudice distrettuale ha altresì rilevato che l’appellante non aveva contestato il suo consolidato ruolo attivo nel mercato immobiliare di Cortina oggettivamente idoneo a garantire una redditività importante non scalfita da alcuna recessione.

Quanto alla posizione della moglie la Corte ha messo in luce che durante il matrimonio la stessa non aveva mai lavorato , non disponeva di beni immobili, ed aveva un’ età (v. 49 anni all’epoca della separazione del 2018) che non le consentiva un utile inserimento nel mondo lavorativo con una retribuzione piena capace di soddisfare i bisogni essenziali, seppure in presenza di una capacità lavorativa che avrebbe potuto essere messa a frutto perlomeno a livello stagionale in una realtà come quella ampezzana.

Il giudice di merito ha pertanto considerato l’effettiva possibilità per la richiedente di reperire un’adeguata attività lavorativa, le caratteristiche specifiche del soggetto (età, condizione fisica), il grado di istruzione, l’avere prestato attività lavorativa in precedenza ed il fattore ambientale.

In particolare si è tenuto conto in una prospettiva concreta che nella realtà ampezzana la maggior parte delle attività presenti, hanno un andamento stagionale e quindi le professionalità richieste sono quelle legate all’attività alberghiera (camerieri, cuochi, barman, facchini) oppure all’attività commerciale che rendono particolarmente complicato per una donna di circa 50 anni, per di più affetta da serie patologie tumorali (all 4 del controricorso doc 101,102 e 103) l’inserimento nel mercato del lavoro.

Pertanto nell’ottica di garantire nell’immediato il tenore di vita di cui la stessa di cui la stessa godeva in costanza di matrimonio, è stato ritenuto congruo l’importo di Euro 500,00, per sostenere esborsi di importanza primaria nella quotidianità, quali vitto, utenze della casa, spese sanitarie in ragione della durata non modesta del matrimonio e del principio solidaristico verso il coniuge di derivazione costituzionale.

Per quanto riguarda il quantum dell’assegno in favore delle figlie la Corte ha giustificato la misura in considerazione del fatto che con un menage familiare improntato senz’altro al benessere (viste le possibilità del padre e della sua famiglia d’origine e dal momento che non è stato dedotto nulla in senso contrario) nonché in un contesto socio-economico dove i costi per vitto, istruzione, abbigliamento, sport, intrattenimento sono più elevati dei livelli medi nazionali.

La Corte ha quindi vagliato con ampia motivazione ben al di sopra del minimo costituzionale le posizioni delle parti alla luce dei principi di diritto sopra illustrati senza incorrere violazione del riparto dell’onere della prova.

Il Giudice di merito ha esaminato le risultanze acquisite al processo e, sulla base di quelle, ha valutato gli elementi di prova relativi al periodo di convivenza dei coniugi, così acquisendo elementi per ricostruire il tenore di vita matrimoniale, rapportandolo alla situazione attuale delle parti, dando rilievo al fatto incontroverso della dedizione per della moglie alla famiglia per tutta la durata del matrimonio.

Le doglianze in esame, nel lamentare l’apparenza della motivazione”, non adducono che le spiegazioni offerte dalla Corte di merito non fossero idonee a rappresentare l’iter logico-intellettivo seguito dal collegio giudicante per arrivare alla decisione sotto i vari profili in contestazione, ma intendono confutare la fondatezza e la plausibilità degli argomenti sviluppati dai giudici di merito, ripercorrendoli passo passo e muovendo critiche alle ragioni offerte sui singoli punti oggetto di censura.

Simili censure non evidenziano, quindi, alcuna criticità dell’apparato argomentativo presente all’interno della decisione impugnata nei limiti attualmente ammissibili (v. Cass., Sez. U., 8053/2014), ma sono espressione di un mero dissenso motivazionale rispetto a un apprezzamento di fatto – assunto, in tesi, “contra alligata et probata”, discostandosi dalle risultanze istruttorie ed anzi contraddicendole – che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte>>.

Presupposti per l’assegno di mantenimento da separazione

Cass. sez. I, ord. 10/02/2025, (ud. 21/01/2025, dep. 10/02/2025), n.3.354, rel. Caiazzo:

<<In tema di separazione personale dei coniugi, l‘attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass., n. 5817/2018: in applicazione di tale principio la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza del giudice di merito, che aveva escluso il diritto al mantenimento del coniuge, in ragione della pacifica esistenza di proposte di lavoro immotivatamente non accettate).

In materia di separazione dei coniugi, grava sul richiedente l’assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua capacità di lavorare, l’onere della dimostrazione di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato per reperire un’occupazione retribuita confacente alle proprie attitudini professionali, poiché il riconoscimento dell’assegno a causa della mancanza di adeguati redditi propri, previsto dall’art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo (Cass., n. 20866/2021; n. 24049/21; n. 234/20215).

Nella specie, in applicazione del citato consolidato orientamento di questa Corte, la doglianza in esame è dunque inammissibile, poiché la questione della rilevante disparità delle condizioni reddituali tra i coniugi è da ritenere preclusa dall’accertamento preliminare della mancata prova dell’adeguata ricerca di lavoro, tanto più che è emersa la mancata accettazione di un’offerta di lavoro e la mancata allegazione dei motivi del rifiuto>>.

Si noti la preliminarità dell’accertamento della ricerca lavorativa.

Sul dovere di cercarsi un lavoro, ai fini dell’assegno di mantenimento da separazione

Cass. Civ., Sez. I, ord. 7 gennaio 2025 n. 234, rel. Russo, enuncioa il seguente principio di diritto:

<<In tema di separazione dei coniugi il diritto a ricevere un assegno di mantenimento ai sensi dell’art 156 c.c. è fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale e morale, è correlato al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio e non ha, a differenza dell’assegno di divorzio, componenti compensative. Tuttavia, nel valutare se il richiedente è effettivamente privo di adeguati redditi propri, deve tenersi conto anche della sua concreta e attuale capacità lavorativa, pur se l’istante non la metta a frutto senza giustificato motivo, dal momento che l’assegno di mantenimento non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo>>.

Assegno di mantenimento da separazione e assegno divorzile: differenze e (alcune) somiglianze

Breve ripasso in tema da parte di Cass. sez. I, ord. 07/01/2025 n. 234, rel. Russo R. E. A.:

<<La Corte territoriale si è limitata ad affermare che la moglie al momento della separazione non lavorava e che ha diritto di conservare l’elevato tenore di vita mantenuto in costanza di convivenza, senza valutare se ella sia in possesso di risorse economiche tra le quali rileva certamente, oltre che l’eventuale patrimonio, anche la capacità lavorativa, da valutarsi in concreto e non in astratto (Cass. n. 24049 del 06/09/2021).

2.1.- Non si tratta qui di estendere automaticamente alla separazione i principi affermati da questa Corte in tema di assegno divorzile (Cass. S.U. 18287/2018), quanto di verificare se sussistano i presupposti per ottenere l’assegno di mantenimento ed in che misura, con accuratezza e considerando la concreta situazione, pur tenendo fermo che assegno di divorzio ed assegno di mantenimento sono diversi quanto a natura presupposti e funzioni; e segnatamente, l’assegno di mantenimento che il coniuge privo di mezzi può ottenere in sede di separazione è correlato al tenore di vita ed è privo della componente compensativa, consistendo nel diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario mantenimento, in mancanza di adeguati redditi propri (art 156 c.c.).

2.2.- Nel quadro normativo del codice civile la separazione dei coniugi ha funzione conservativa, pur se la legge sul divorzio le ha affiancato anche una funzione dissolutiva, tanto che questa Corte ha affermato che in tema di crisi familiare, in ragione dell’unica causa della crisi, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto anche con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Secondo l’id quod prelumque accidit, si osserva che la crisi separativa conduce, sia pure attraverso la disciplina di una graduazione e assottigliamento delle posizioni soggettive (diritti e doveri) dei coniugi, dal fatto separativo e con altissima probabilità all’esito divorzile successivo (Cass. n. 28727 del 16/10/2023).

2.3.- Il diritto all’assegno di mantenimento è quindi fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale fintanto che il matrimonio non è sciolto; il principio di parità richiede che tale sostegno sia reciproco, senza graduazioni o differenze, ma anche solidale (Cass. n. 34728 del 12/12/2023 in motivazione).

3.- Il Collegio ritiene di aderire a tutt’oggi a questo orientamento, considerando che l’assegno di mantenimento è fondato – come sopra si diceva – sulla persistenza di uno dei doveri matrimoniali e non ha – a differenza dell’assegno di divorzio – componenti compensative. Tuttavia, deve rilevarsi che l’accertamento del diritto ad esser mantenuti dall’altro coniuge a seguito di separazione non è scisso dalla valutazione che la solidarietà presuppone un rapporto paritario e di reciproca lealtà, incompatibile con comportamenti parassitari diretti a trarre ingiustificati vantaggi dal coniuge separato. Più volte questa Corte ha sottolineato come anche nelle relazioni familiari valga il principio di autoresponsabilità che è strettamente correlato alla solidarietà; tutte le comunità solidali presuppongono che ciascuno contribuisca al benessere comune secondo le proprie capacità e che nessuno si sottragga ai propri doveri.

4. – Deve quindi rilevarsi che ferma la differenza tra assegno di divorzio e assegno di separazione, vi sono alcuni tratti comuni tra i due istituti e tra questi il presupposto che il richiedente sia privo di risorse adeguate. L’art. 156 parla invero di mancanza di “adeguati redditi propri”, e non di “mezzi adeguati” come l’art. 5 della legge divorzile, ma, ove il richiedente sia dotato di concreta e attuale capacità lavorativa e non la metta a frutto senza giustificato motivo la assenza di adeguati redditi propri non può considerarsi un fatto oggettivo involontario ma una scelta addebitabile allo stesso interessato.

4.1.- Nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che il riconoscimento dell’assegno previsto dall’art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo (Cass. n. 20866 del 21/07/2021). Ed ancora si è affermato che l’attitudine al lavoro proficuo dei coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass. n. 5817 del 09/03/2018; Cass. n. 24049 del 06/09/2021).

Nella specie la Corte d’Appello di Napoli non ha fatto buon governo di questi principi nell’omettere qualsivoglia indagine sulle capacità lavorative concrete della richiedente assegno e non indagando sulla possibilità che la moglie si procuri redditi diversi, ad esempio da patrimonio, limitandosi ad affermare che la stessa al momento della separazione non lavorava>>.

Per l’assegno di mantenimento dei figli, contano solo le condiizoni economiche dei genitori, non quelle dei nonni

Cass. sez. I, ord. 13 dicembre 2024, n. 32.365, rel. Tricomi:

In tema di assegno di mantenimento per i figli trova applicazione il principio secondo cui, in sede di separazione, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge, non rilevano le condizioni economiche dei genitori del soggetto obbligato, giacché questi, una volta che il figlio sia divenuto autonomo e abbia fondato un proprio nucleo familiare, non hanno più alcun obbligo giuridico nei suoi confronti; pertanto, eventuali elargizioni dei genitori, ancorché continuative, costituiscono atti di liberalità e non possono essere considerate reddito del coniuge obbligato, salva la possibilità, ove ricorrano lo stato di bisogno e i presupposti di legge, di proporre domanda per il riconoscimento degli alimenti ex art. 433 e ss c.c.

(massima di Cesare Fossati in Ondif)

Nella separazione coniugale, l’assegno di mantenimento va parametrato al precedente tenore di vita (a differenza dal divorzio)

Cass. Civ., Sez. I, Ord. 26 novembre 2024, n. 30502, rel. Acierno:

<<Risulta, infine, pienamente condivisibile l’interpretazione dell’art. 156 c.c.
offerta dalla Corte d’Appello presta piena adesione alla consolidata
giurisprudenza di questa Corte per cui: “a norma dell’art. 156 cod. civ., il
diritto all’assegno di mantenimento sorge nella separazione personale a favore
del coniuge cui essa non sia addebitabile, quando questi non fruisca di redditi
che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello esistente
durante il matrimonio e sussista disparità economica tra i coniugi; il parametro
al quale va rapportato il giudizio di adeguatezza è dato dalle potenzialità
economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento
condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del
richiedente, senza che occorra un accertamento dei redditi rispettivi nel loro
esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle
situazioni patrimoniali complessive di entrambi” (Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n.
3974 del 19/03/2002 )>>