Affidamento dei figli e assegno divorzile

Cass.  sez. I, Ord. 11/04/2024 n. 9.839, rel. Russo R.E.A.:

sul punto 1:

<<La Corte d’appello si è quindi correttamente attenuta, nel regolare l’affidamento, a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (Cass. n. 18817 del 23/09/2015; Cass. n. 14728 del 19/07/2016; Cass. n. 28244 del 04/11/2019.) La Corte distrettuale ha altresì tenuto conto del fatto che costituisce giurisprudenza consolidata, anche sulla scorta dei principi enunciati dalla Corte EDU, che per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare e che l’autorità giudiziale deve predisporre misure volte ad attuare, salvo che non sussistano serie controindicazioni, il diritto alla bigenitorialità (cfr. Kutzner c. Germania, n. 46544/99, Corte EDU 2002; Corte EDU, 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; Cass. n. 9764 del 08/04/2019; Cass. n. 19323 del 17/09/2020)>>.

Sul punto 2:

<< La Corte distrettuale, da un lato, ritiene adeguata la ricostruzione dei redditi e in genere delle condizioni economiche delle parti effettuate dal Tribunale, dall’altro, senza condurre ulteriori indagini su quelle che sono le attuali condizioni economiche di tali parti, ha ridotto l’assegno già disposto dal giudice di primo grado in favore dei figli, genericamente menzionando le “esigenze di vita dei figli”, che non vengono però nel concreto specificate, e facendo riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio per come rappresentate dalle condizioni di separazione. Ciò senza tenere conto che le condizioni della separazione erano dirette ad assicurare il mantenimento di due bambini in tenerissima età e che normalmente le esigenze dei figli crescono nel corso del loro sviluppo; ed inoltre che, tra il tempo della separazione e quello del divorzio, sono intercorse molteplici vicende tra cui le riferite vicissitudini giudiziarie conseguenti al fallimento delle iniziative economiche intraprese dal B.B. sul territorio nazionale, che lo hanno indotto a espatriare e vivere a lungo negli Emirati Arabi per poi rientrare in Italia, pur se – a quanto deduce la ricorrente – i suoi affari sono attualmente legati a società estere; e infine, ma non ultimo, che, nel momento in cui si ritiene corretta la ricostruzione dei redditi operata dal giudice di primo grado, per discostarsi dalle sue valutazioni sarebbe stata necessaria una motivazione rafforzata. Inoltre, la circostanza che nessuna delle parti abbia depositato dichiarazioni dei redditi aggiornati nulla sposta, perché in tali casi il giudice può, o addirittura deve, disporre indagini di polizia tributaria (Cass. n. 22616 del 19/07/2022).

4.1. – Pertanto, il giudizio sul quantum del mantenimento dei figli dovrà essere rivisto ed aggiornato alla attualità, tenendo conto che nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. n. 4145 del 10/02/2023) Il contributo al mantenimento dei figli, si caratterizza per la sua bidimensionalità, poiché da una parte, vi è il rapporto tra i genitori ed i figli, informato al principio di uguaglianza, in base al quale tutti i figli – indipendentemente dalla condizione di coniugio dei genitori – hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni; dall’altro, vi é il rapporto interno tra i genitori, governato dal principio di proporzionalità, in base al quale i genitori devono adempiere ai loro obblighi nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, valutando altresì i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (Cass. n. 2536 del 26/01/2024).

(…)

Inoltre, la Corte distrettuale pur dando atto che la A.A. ha una professionalità, in quanto avvocato, e una età che le consente di reinserirsi nel mondo del lavoro, ed è proprietaria di un discreto patrimonio immobiliare, non pienamente sfruttato economicamente, ritiene di confermare l’assegno pur riducendolo, poiché “la situazione è da valutare in relazione al contesto sociale della famiglia, che ha avuto un elevato tenore di vita”.

Con questa ultima argomentazione il giudice d’appello fa cattiva applicazione del principio, ormai solido nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. sez. un n. 18287 del 11/07/2018) Ed ancora, si è affermato che il tenore di vita matrimoniale è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno e che l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 22738 del 11/08/2021).>>.

Funzione dell’assgno divorzile a costitizione di trust

Cass. sez. I, ord. 03/04/2024 n. 8.859, rel. Caiazzo:

<<La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass., SU, n. 18287/18).

In tema di attribuzione dell’assegno divorzile e in considerazione della sua funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa, il giudice del merito deve accertare l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte “manente matrimonio”, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali – reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente; a tal fine, l’assunzione, in tutto o in parte, delle spese di ristrutturazione dell’immobile adibito a casa coniugale, di proprietà esclusiva dell’altro coniuge, non costituisce ex se prova del suddetto contributo, rientrando piuttosto nell’ambito dei doveri primari di solidarietà e reciproca contribuzione ai bisogni della famiglia durante la comunione di vita coniugale (Cass., n. 9144/23).

Nella specie, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, il thema decidendum consiste nel verificare se la Corte d’appello abbia correttamente applicato i principi affermati dapprima dalle Sezioni Unite, e poi ribaditi da questa stessa Sezione, in ordine ai presupposti dell’assegno divorzile.

In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata che non avrebbe motivato sul contributo dell’ex moglie alla formazione del patrimonio comune, o dell’ex coniuge; la So.Ro. ha sostanzialmente replicato che avrebbe contribuito alla formazione del trust che, sebbene formalmente di proprietà della madre del ricorrente, si sarebbe costituito con il contributo di entrambi i coniugi (s’invoca la proprietà indivisa, in comunione).

Al riguardo, la Corte d’appello, nell’argomentare sui presupposti dell’assegno divorzile, ha affermato che “..considerando le utilità connesse all’essere beneficiaria, insieme al coniuge, dei proventi di gestione del trust, l’appellata non aveva certamente investito in proprie aspettative professionali, che pur ha coltivato..”.

La controricorrente assume altresì che la prova di tale comproprietà sarebbe desumibile dalle lettere inviatele dal ricorrente nelle quali avrebbe sostanzialmente riconosciuto tale comproprietà, prescindendo dai dati formali (e ciò sebbene la stessa controricorrente abbia eccepito, infondatamente, l’improcedibilità del ricorso proprio per la mancata regolare produzione di tali lettere).

Orbene, come detto, la Corte territoriale ha fatto riferimento, genericamente, alle utilità che l’ex moglie traeva dal trust, ma non ha certo argomentato su una proprietà comune indivisa (in tal senso, alla luce della narrazione della controricorrente, emerge che neppure il Tribunale abbia chiaramente affermato ciò).

Si può dunque ragionevolmente presumere che l’ex moglie beneficiasse delle rendite del trust allo stesso modo di ogni utilità connessa al tenore di vita garantito dalla rilevante consistenza del patrimonio e del reddito dell’ex marito.

Pertanto, può affermarsi che, effettivamente, come lamentato dal ricorrente, la Corte d’appello abbia riconosciuto la funzione perequativa – assistenziale dell’assegno divorzile, senza nessuna evidenza probatoria del contributo che l’ex moglie avrebbe apportato alla formazione del patrimonio comune, o dell’ex marito, né di rinunce ad aspettative professionali (al riguardo, la So.Ro. assume di non svolgere l’attività di psicoterapeuta dal 2013), considerando altresì che la sentenza impugnata ha accertato che l’unico figlio, convivente dall’età di 12 anni con il padre, sia stato poi accudito e mantenuto esclusivamente dallo stesso genitore.

Inoltre, la corte d’appello ha accertato che il patrimonio della So.Ro. è consistente e, quantunque, di dimensioni inferiori a quello del ricorrente, certo idoneo alla richiedente per garantire di vivere autonomamente e dignitosamente.

Peraltro, la questione della contitolarità del patrimonio costituente il trust (prescindendo dalla valenza probatoria che s’intenda attribuire alle lettere inviate dal ricorrente all’allora moglie, di cui la sentenza impugnata non discorre) non può, in astratto, venire in rilievo ai fini dell’assegno divorzile, ma solo in ordine all’accertamento delle comproprietà; ma il ricorrente adduce la sentenza del marzo 2022, che avrebbe riconosciuto la titolarità del trust in capo alla propria madre; tale sentenza risulta depositata in cassazione, indicata al punto 5.ci del relativo indice, da intendersi come inammissibile produzione di documento nuovo.

Invero, nel giudizio per cassazione è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395, n. 3, c.p.c. (Cass., n. 18464/18; n. 4415/20).

In definitiva, deve affermarsi che la motivazione della Corte territoriale risulta di fatto imperniata sul mantenimento del tenore di vita pregresso di cui godeva l’ex moglie e, pertanto, non è rispettosa dei principi affermati dalla richiamata elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, ai fini della liquidazione dell’assegno divorzile, dei quali ha sostanzialmente omesso l’esame>>.

Sui criteri determinativi dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 15/03/2024 n.  7.069, rel. Reggiani:

<<Dalla lettura della menzionata ordinanza si evince chiaramente che questa Corte, nel richiamare la decisione delle Sezioni Unite del 2018 (Cass., Sez. U, Sentenza n. 18287 dell’11/07/2018), ha ribadito il principio secondo cui il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, L. n. 898 del 1970, richiede ai fini dell’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, l’applicazione dei criteri contenuti nella prima parte della norma, i quali costituiscono, in posizione pari ordinata, i parametri cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’ assegno. Il giudizio, premessa la valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, avrà ad oggetto, in particolare, il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

Nel valutare la statuizione impugnata, poi, ha rilevato che “3.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale, nel richiamare la pronuncia di questa Corte n. 11504/2017, ha basato il proprio convincimento ed ha motivato il percorso argomentativo della decisione assunta prendendo in considerazione, quanto alla situazione dell’attuale ricorrente, il solo requisito dell’inesistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarseli, senza attenersi ai principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 18287/2018 e senza, quindi, effettuare alcuna valutazione comparativa degli altri parametri rilevanti nel senso precisato, alla stregua delle circostanze allegate da parte della ex moglie, come indicate in ricorso, anche in relazione al ruolo che assume di avere svolto all’interno della coppia durante la vita matrimoniale. Resta da aggiungere che la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio per un vizio di violazione o falsa applicazione di legge che reimposti in virtù di un nuovo orientamento interpretativo termini giuridici della controversia, così da richiedere l’accertamento di fatti, intesi in senso storico e normativa, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice del merito, impone, perché si possa dispiegare effettivamente il diritto di difesa, che le parti siano rimesse nei poteri di allegazione e prova conseguenti alle esigenze istruttorie conseguenti al nuovo principio di diritto da applicare in sede di giudizio di rinvio (Cass. n. 11178/2019)” (p. 4-5 dell’ordinanza n. 17426/2020 di questa Corte).

È pertanto evidente che la pronuncia di legittimità ha imposto un rinnovato giudizio in ordine al diritto all’attribuzione dell’assegno divorzile e alla sua quantificazione, che rimette in gioco tutti i parametri normativi previsti>>.

Nella revisione delle condizioni di divorzio costituisce sopravvenienza valutabile per l’aumento dell’assegno divorzile la revoca dell’assegnazione della casa familiare

Cass. Sez. I, Ord. 25/03/2024 n. 7.961, rel. Reggiani, pone il seguente principi odi diritto sulla revisione dell’assegno divorzile:

In tema di revisione delle condizioni di divorzio, costituisce sopravvenienza valutabile, ai fini dell’accertamento dei giustificato motivi per l’aumento dell’assegno divorzile, la revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge, il cui godimento, ancorché funzionale al mantenimento dell’ambiente familiare in favore dei figli, costituisce un valore economico non solo per l’assegnatario, che ne viene privato per effetto della revoca, ma anche per l’altro coniuge, che si avvantaggia per effetto della revoca, potendo andare ad abitare la casa coniugale o concederla in locazione a terzi o comunque impiegarla in attività produttive, compiendo attività suscettibili di valutazione economica che, durante l’assegnazione all’altro coniuge, non erano consentite.”

Debito per assegno di mantenrimento e sopravvenienza di figli per il debiore

Cass.  sez. I, ORD. 12/03/2024,  n. 6.455, rel. Tricomi:

<<Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la quantificazione dell’assegno di mantenimento previsto in favore del figlio, deve tenere conto non solo delle “rispettive sostanze”, ma anche della capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, con espressa valorizzazione, oltre che delle risorse economiche individuali, anche delle accertate potenzialità reddituali (Cass. n. 6197/2005 e Cass. n. 3974/2002), in uno con la considerazione delle esigenze attuali del figlio (Cass. n. 4811/2018; Cass., n. 16739/2020 e Cass. n. 19299/2020), nonché dei tempi di permanenza dello stesso presso ciascuno dei genitori e della valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti (Cass. n. 17089/2013).

Inoltre, la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli con il nuovo partner, pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza che può incidere nella determinazione dell’importo dovuto in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico (Cass. n. 14175/2016; Cass. n. 21818/2021). [o incide o non incide: non può essere che “possa incidere”]

Nel caso in esame, la Corte di merito non si è attenuta ai principi ricordati, essendo la motivazione sul raddoppio del mantenimento della figlia minore del tutto generica ed apodittica, oltre che costituente violazione delle norme succitate, essendo fondata sul solo presuntivo incremento delle esigenze della minore e sulla valorizzazione della più ampia permanenza temporale presso la madre, atteso che non vengono in alcun modo illustrate le ragioni del così cospicuo aumento, né vengono presi in esame ad alcun titolo i sopravvenuti oneri di mantenimento rispetto alla nuova prole dello Za.Ma>>.

E poi sul tema in generale ripete le note consideraizoni della sezione (anzi del relatore):

<<Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. Sez. U. n.18287/2018).

Nella specie, la Corte d’appello – pur avendo accertato che, al momento della decisione, la moglie aveva quasi cinquanta anni, che la medesima, pur essendo laureata, si era sempre dedicata alla cura della figlia, pur avendo ricevuto diverse proposte di lavoro, e che aveva comunque cercato di lavorare, trasferendosi all’estero – ha negato l’assegno, sulla base del riscontro di un diritto di abitazione acquisito su di una casa in Firenze e della nuda proprietà di altra abitazione, senza effettuare ulteriori accertamenti sui redditi effettivi della medesima, e sulla sua ipotetica autosufficienza economica. La Corte ha, poi, del tutto omesso di effettuare una valutazione comparativa con i redditi del marito, neppure indicati, e sul contributo dato dalla donna alla formazione del patrimonio familiare, rinunciando ad accettare le proposte di lavoro dalla stessa Corte elencate>>.

Ancora su assegno di mantenimento e convivenza more uxorio

Cass. sez. I, ord.  12/03/2024  n. 6.443, rel. Tricomo:

<<3.2.- Come chiarito nei precedenti di legittimità (Cass. n.3645/2023 e Cass. n. 14151/2022, Cass. n.34374/2023, in motivazione), la coabitazione assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non è di per sé decisivo” e la Corte di appello si è attenuta a tale principio, perché non si è limitata a valorizzare la circostanza dell’assenza di coabitazione, ma ha affermato che non risultava provato nemmeno un progetto comune di vita.

Orbene, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, occorre che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal comma 1 dell’art. 2729 cod.civ.: il giudice è quindi tenuto, perché è la stessa norma dell’art. 2729 cod.civ. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio.

Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche. Il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno.

3.3.- La Corte d’appello si è attenuta a detti principi ed ha individuato plurimi elementi sintomatici dell’instaurazione di una relazione affettiva stabile e duratura (relazione investigativa confermata dal titolare dell’Agenzia, materiale fotografico documentante atteggiamenti intimi non meramente amicali, ruolo assunto da Cr. nella gestione del conto corrente intestato alla Ca.Sa., partecipazione di Cr. all’asta per la vendita dell’immobile di cui gli ex coniugi erano proprietari, acquisizione da parte di Ca.Sa. del diritto di abitazione dell’immobile di proprietà di Cr. per sua cessione, prove testimoniali, etc.), non utilmente elisi dalle avverse deduzioni della ricorrente, elementi che manifestano l’esistenza – non contestata – di un legame affettivo e di un effettivo progetto di vita comune tra l’ex coniuge e il terzo, con una effettiva compartecipazione alle spese di entrambi.

3.4.- A fronte di tali accertamenti in fatto, il ricorso tende evidentemente ad una rivalutazione del merito. (…)  . Va, inoltre, ribadito che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto (Cass. n. 29730/2020; Cass. n. 3601/2006)>>.

E poi sull’an e quantum in generale:

<<4.2.- Com’è noto, la giurisprudenza più recente di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 18287/2018) ha stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

I criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile non dipendono, pertanto, dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma 6, prima parte, l. n. 898 del 1970, in ragione della finalità composita assistenziale e perequativo-compensativa di detto assegno (Cass. n. 32398/2019).

II giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

La natura perequativo-compensativa, poi, discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo, volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate.

In altre parole, il giudice del merito è chiamato ad accertare la necessità di compensare il coniuge economicamente più debole per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte durante il matrimonio, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente (Cass. n. 9144/2023; Cass. n. 23583/2022; Cass. n. 38362/2021).

Infine, qualora – come nel caso di specie – sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa, dovendo fornire la prova secondo i criteri già indicati (Cass. Sez. U. n. 32198/2021)>>.

Ancora sull’assegno divorzile

Cass sez. I, ord. 08/03/2024  n. 6.263, rel. Caiazzo:

<<l riguardo, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia tenuto conto del mancato svolgimento della propria attività lavorativa per il periodo di due anni nel quale aveva seguito la famiglia in Polonia. Il secondo e terzo motivo (spettanza dell’assegno divorzile), aventi carattere preliminare rispetto al primo (misura dell’assegno divorzile)-esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi- sono fondati.

All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto (Cass., S.U. 18287/2018).

Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento; tuttavia tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa>>.

Il rapporto tra le due funzioni (perequativa; assistenziale) non è chiarito adeguatamente, però.

Poi:

<<Pertanto, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, l’assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass. 24250/2021; Cass. 23583/2022; Cass. 9144/2923).>>

Applicato al caso sub iudice:

<<Nel caso di specie, la Corte d’appello, con una motivazione più che stringata, ha ritenuto non provate le condizioni per il riconoscimento dell’assegno divorzile, poiché la Fe. insegna ed è proprietaria della porzione di casa in cui vive, e non provato – a differenza di quanto aveva ritenuto il giudice di primo grado, e senza alcun mutamento del quadro probatorio – che la medesima avesse perso la retribuzione e i contributi per il trattamento pensionistico per i 20 mesi nei quali aveva seguito il marito in Polonia, per ragioni di lavoro del medesimo. Orbene, la Corte territoriale non ha tenuto conto della durata (23 anni) del matrimonio, dell’età (circa 60 anni) della Fe., del fatto pacifico, che la stessa si fosse recata per 20 mesi in Polonia al seguito del marito, del fatto – del pari pacifico, essendo stato riconosciuto anche in questa sede dal Carver nel controricorso – che la ex moglie si era messa in aspettativa ai sensi della l. 26/1980, che prevede che il dipendente in aspettativa non ha diritto ad alcun assegno (art. 2) e che “Il tempo trascorso in aspettativa concessa ai sensi dello articolo 1 della presente legge non è computato ai fini della progressione di carriera, dell’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza”>>.

REvisione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 12/03/2024 n. 6.453, rel. Meloni:

<<Occorre premettere che il giudizio riguarda la revisione delle condizioni di divorzio, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970. Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, la revisione dell’assegno divorzile di cui all’art. 9 della l. n. 898 del 1970 postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata (Cass. 10133/2007; Cass. 787/2017; Cass. 11177/2019). Appare altresì opportuno rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, nr. 18287 del 11/07/2018) hanno affermato “Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi” (sul punto anche Cass. 5603/2020 e 17098/2019).

Ciò premesso nel caso concreto, la censura risulta infondata in quanto la Corte d’appello ha ritenuto correttamente valida ed efficace la pattuizione intervenuta tra i coniugi successivamente alla sentenza di divorzio, trovando essa fondamento nell’art. 1322 c.c. e nel principio di autonomia negoziale ivi stabilito e non costituendo detto accordo una lesione di diritti indisponibili e poi ha osservato che già all’epoca del decreto del 19.03.2021 erano state prese in considerazione tutte le circostanze sopravvenute rispetto al momento della pronuncia della sentenza divorzile e nuovamente riproposte dallo Sc.En. nel procedimento in esame (…), va osservato che l’unica novità e rappresentata dal trasferimento del figlio Fe. presso il padre. Trattasi di circostanza che il Tribunale ha senz’altro considerato, dal momento che ha revocato l’assegno posto a carico del padre per il mantenimento del figlio (pari ad euro 700,00) e ha confermato la contribuzione della madre nella misura del 50% alle spese straordinarie scolastiche e sanitarie del minore. “La revisione dell’assegno divorzile richiede la presenza di “giustificati motivi” e impone la verifica di una sopravvenuta, effettiva e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi sulla base di una valutazione comparativa delle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali. Ove, pertanto, le ragioni invocate per la revisione siano tali da giustificare la revoca o la riduzione dell’assegno divorzile, è indispensabile accertare con rigore l’effettività dei mutamenti e verificare l’esistenza del nesso di causalità tra gli stessi e la nuova situazione economica instauratasi. (Cass. 354/2023)”.

Tale valutazione è stata effettuata – con ampia ed adeguata motivazione – dalla Corte territoriale, che ha tenuto conto anche delle circostanze dedotte dal ricorrente che, per converso, tende a sollecitare un inammissibile riesame di merito>>.

E poi:

<<Nel giudizio di divorzio, al fine di quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore per il mantenimento dei figli economicamente non autosufficienti, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. 19299/2020; Cass. 4145/2023). Nella specie, la Corte ha preso in adeguata considerazione la situazione economica di entrambe le parti, pervenendo ad una soluzione che tiene conto del fatto che entrambi i figli vivono con il padre, esonerato dal corrispondere per essi un assegno di mantenimento, ponendosi a carico della madre – in considerazione ella sua capacità reddituale inferiore – un contributo per le spese straordinario.

Nel caso in esame la Corte di merito ha adeguatamente ed esaurientemente valutato i singoli elementi e la situazione complessiva ed il motivo si traduce in una inammissibile richiesta di riesame delle circostanze di merito. Il ricorso deve quindi essere respinto>>.

La componente assistenziale e quella compensativa dell’assegno divorzile restano ben distinte per la Cassazione

Cass. Sez. I, Ord. 08/03/2024, n. 6.253, rel. Lamorgese:

Fatti provati:

<<2.2. In relazione alla censura espressa con il primo motivo, occorre rilevare che la Corte di merito ha fondato la prova presuntiva sulla relazione investigativa, il cui contenuto – confermato dal teste, anche se non da lui sottoscritta – è stato riprodotto nel provvedimento impugnato, sull’ammissione della stessa ricorrente di avere una relazione sentimentale, nonché sulla dettagliata dichiarazione della figlia della coppia, che aveva riferito di avere conoscenza della relazione di convivenza della madre con un nuovo compagno dall’anno della separazione.

L’accertamento di una stabile convivenza della donna con un altro uomo è stato, pertanto, effettuato sulla base di diversi elementi indiziari convergenti, tali da dare vita ad una valida prova per presunzioni, sicché non ricorre affatto il vizio di violazione di legge denunciato>>.

Diritto:

<<2.3. Ciò posto, secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa; a tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell’apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge e l’assegno, su accordo delle parti, può anche essere temporaneo (Cass. S.U. 32198/2021; Cass. 14256/2022; cfr. pure Cass. 3645/2023).

E’ stato, dunque, precisato che la sussistenza della componente compensativa deve essere specificamente dedotta dalla parte che faccia valere il proprio diritto all’assegno, mentre la Corte d’appello ha affermato che l’odierna ricorrente non aveva provato nulla al riguardo. A fronte di detto assunto, con il secondo motivo la ricorrente, nel richiamare le deduzioni svolte nel giudizio d’appello, anche in ordine alla durata del matrimonio e alla cura delle figlie (pag. 7 e pag. 22 ricorso), in particolare rimarca il proprio contributo alla realizzazione del patrimonio familiare, consistito nell’acquisto della casa familiare, che, tuttavia, in base a quanto si legge nello stesso ricorso, è in comproprietà tra gli ex coniugi pur se abitata dall’ex marito (pag.7), e altresì consistito nell’aver ella prestato in passato attività di lavoro presso terzi (pag.23 ricorso), ossia di collaboratrice domestica, cessata per problemi di salute (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata)>>.

Solo che l’efficacia estintiva del diritto all’assegno, asseritamente prodotta dalla convivenza more uxorio, non è disposta dalla legge.

E  nemmeno vi è ricavabile  interpretativamente, dato che certo non si può equipararla alle “nuove nozze” di cui al medesimo art. 5 l. div. co. 10.

Del resto la legge 76/2016 su unioni civili e convivenze non ha modificato tale disposizione , mentre avrebbe potuto e dovuto dato che si occupava proprio del tema de quo.

Determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli da separazione o divorzio: irrilevanti le liberalità ai figli da parte dell’obbligato

Cass. sez. I, ord. 07/03/2024  n. 6.111, rel. Valentino:

<<L’assegno dovuto al coniuge separato o divorziato, per il mantenimento dei figli ad esso affidati, non può subire riduzioni o detrazioni in relazione ad altre elargizioni del coniuge obbligato in favore dei figli medesimi, ove queste risultino effettuate per spirito di liberalità per soddisfare esigenze ulteriori rispetto a quelle poste a base del predetto assegno, sicché restino ricollegabili ad un titolo diverso (Cass., n. 12212/1990). Nella specie, la Corte ha correttamente accertato che si trattava di un mutuo contratto a favore della figlia a scopo di liberalità, vivendo la medesima con il padre.

Inoltre, in assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all’assegno di divorzio, in linea di principio, di per sè permane, nella misura stabilita dalla sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche se il suo titolare instauri una convivenza “more uxorio” con altra persona, salvo che sussistano i presupposti per la revisione dell’assegno, secondo il principio generale posto dall’art. 9, comma 1, l. 1° dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 13 l. 6 marzo 1987, n. 74: e cioè che sia data la prova, da parte dell’ex coniuge onerato, che tale convivenza ha determinato un mutamento “in melius” – pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidato e protraendesi nel tempo – delle condizioni economiche dell’avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, o quanto meno di risparmi di spesa derivatigli dalla convivenza. La relativa prova, pertanto, non può essere limitata a quella della mera instaurazione e del permanere di una convivenza “mora uxorio” dell’avente diritto con altra persona, essendo detta convivenza di per sè neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche del titolare, potendo essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio, e dovendo l’incidenza economica di detta convivenza essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano (Cass., n. 1557/2004; Cass., n. 21080/2004; cfr., da ultimo, Cass. S.U. 32198/2021)>>.