Affisameno condiviso è la regola , quello esclusivo l’eccezione

Cass. sez. I, ord. 08/05/2024  n. 12.474, rel. Meloni:

<<In ordine all’affido esclusivo alla madre, la Corte di Appello ha ritenuto di “penalizzare” il padre a cagione della sua condotta ritenuta censurabile; la Corte tuttavia non ha motivato adeguatamente in ordine all’affido esclusivo delle minori alla madre nell’ottica dell’interesse delle minori e di una equilibrato rapporto tra i due genitori, cui è stata anteposta una valutazione in chiave sanzionatoria per comportamenti del padre, ritenuti inadeguati (per la scelta del Fi.Iv. di andare a vivere con la propria compagna, subito dopo la separazione, nello stesso stabile ove vivevano anche le minori, determinando la conseguente necessità del trasferimento delle bambine con la madre in altro edificio; per la “decisione” di “presentarsi al primo incontro” con le figlie, presso il consultorio familiare, accompagnato dalla nuova moglie).

Tuttavia, tali comportamenti – esaminati separatamente o posti tra di loro in connessione – non appaiono motivati dal giudice a quo con riferimento a quella gravità necessaria per giustificare l’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori (e la penalizzazione dell’altro nella dialettica educativa delle minori): misura che può essere adottata, in via di eccezione, solo in presenza del manifestarsi di quelle concrete ragioni contrarie all’interesse del minore (art. 155-bis), tali da giustificare una tale misura rigorosa, quali ad esempio la obiettiva lontananza del genitore o il suo disinteresse rispetto all’affettività delle figlie e agli accordi in ordine alle stesse, espliciti o taciti, in tal senso raggiunti dalle parti.

La regola dell’affidamento condiviso costituisce la scelta tendenzialmente preferenziale (cfr. Cass. n. 6535 del 2019) onde garantire il diritto del minore “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”, tanto che, avendo in tal modo dimostrato il legislatore di ritenere che l’affidamento condiviso costituisca il regime ordinario della condizione filiale nella crisi della famiglia (cfr. Cass. n. 1777 del 2012), la sua derogabilità, neppure consentita in caso di grave conflittualità tra i genitori (cfr. Cass. n. 5108 del 2012), risulta possibile solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore” (cfr. Cass. n. 977 del 2017).

Tanto più che, come diversamente ritenuto dal Tribunale in prima istanza, nel caso di specie, non erano stati ritenuti sussistenti gli estremi per disporre in conformità della proposta domanda di affido esclusivo in quanto non era stata provata la completa assenza del resistente nella vita delle minori, sia sotto l’aspetto psichico ed educativo, sia sotto l’aspetto dei doveri economici>>.

Affidamento dei figli e assegno divorzile

Cass.  sez. I, Ord. 11/04/2024 n. 9.839, rel. Russo R.E.A.:

sul punto 1:

<<La Corte d’appello si è quindi correttamente attenuta, nel regolare l’affidamento, a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (Cass. n. 18817 del 23/09/2015; Cass. n. 14728 del 19/07/2016; Cass. n. 28244 del 04/11/2019.) La Corte distrettuale ha altresì tenuto conto del fatto che costituisce giurisprudenza consolidata, anche sulla scorta dei principi enunciati dalla Corte EDU, che per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare e che l’autorità giudiziale deve predisporre misure volte ad attuare, salvo che non sussistano serie controindicazioni, il diritto alla bigenitorialità (cfr. Kutzner c. Germania, n. 46544/99, Corte EDU 2002; Corte EDU, 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; Cass. n. 9764 del 08/04/2019; Cass. n. 19323 del 17/09/2020)>>.

Sul punto 2:

<< La Corte distrettuale, da un lato, ritiene adeguata la ricostruzione dei redditi e in genere delle condizioni economiche delle parti effettuate dal Tribunale, dall’altro, senza condurre ulteriori indagini su quelle che sono le attuali condizioni economiche di tali parti, ha ridotto l’assegno già disposto dal giudice di primo grado in favore dei figli, genericamente menzionando le “esigenze di vita dei figli”, che non vengono però nel concreto specificate, e facendo riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio per come rappresentate dalle condizioni di separazione. Ciò senza tenere conto che le condizioni della separazione erano dirette ad assicurare il mantenimento di due bambini in tenerissima età e che normalmente le esigenze dei figli crescono nel corso del loro sviluppo; ed inoltre che, tra il tempo della separazione e quello del divorzio, sono intercorse molteplici vicende tra cui le riferite vicissitudini giudiziarie conseguenti al fallimento delle iniziative economiche intraprese dal B.B. sul territorio nazionale, che lo hanno indotto a espatriare e vivere a lungo negli Emirati Arabi per poi rientrare in Italia, pur se – a quanto deduce la ricorrente – i suoi affari sono attualmente legati a società estere; e infine, ma non ultimo, che, nel momento in cui si ritiene corretta la ricostruzione dei redditi operata dal giudice di primo grado, per discostarsi dalle sue valutazioni sarebbe stata necessaria una motivazione rafforzata. Inoltre, la circostanza che nessuna delle parti abbia depositato dichiarazioni dei redditi aggiornati nulla sposta, perché in tali casi il giudice può, o addirittura deve, disporre indagini di polizia tributaria (Cass. n. 22616 del 19/07/2022).

4.1. – Pertanto, il giudizio sul quantum del mantenimento dei figli dovrà essere rivisto ed aggiornato alla attualità, tenendo conto che nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. n. 4145 del 10/02/2023) Il contributo al mantenimento dei figli, si caratterizza per la sua bidimensionalità, poiché da una parte, vi è il rapporto tra i genitori ed i figli, informato al principio di uguaglianza, in base al quale tutti i figli – indipendentemente dalla condizione di coniugio dei genitori – hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni; dall’altro, vi é il rapporto interno tra i genitori, governato dal principio di proporzionalità, in base al quale i genitori devono adempiere ai loro obblighi nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, valutando altresì i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (Cass. n. 2536 del 26/01/2024).

(…)

Inoltre, la Corte distrettuale pur dando atto che la A.A. ha una professionalità, in quanto avvocato, e una età che le consente di reinserirsi nel mondo del lavoro, ed è proprietaria di un discreto patrimonio immobiliare, non pienamente sfruttato economicamente, ritiene di confermare l’assegno pur riducendolo, poiché “la situazione è da valutare in relazione al contesto sociale della famiglia, che ha avuto un elevato tenore di vita”.

Con questa ultima argomentazione il giudice d’appello fa cattiva applicazione del principio, ormai solido nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. sez. un n. 18287 del 11/07/2018) Ed ancora, si è affermato che il tenore di vita matrimoniale è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno e che l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 22738 del 11/08/2021).>>.

Affido esclusivo al padre (anche) per mutamento di residenza in città lontana da parte della madre: valutazione incensurabile in Cassazione

Cass. Sez. I Ord. 27/02/202  n. 5.136, rel. Parise, circa uno spostamento da Novara in Sardegna:

<<2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili perché diretti, tramite l’apparente denuncia di vizi motivazionali e di violazione di legge, a censurare il riesame dei fatti e di valutazioni espresse dalla Corte di merito con adeguata motivazione sotto ogni profilo di rilevanza.

In particolare, la Corte territoriale ha ricostruito in dettaglio i fatti salienti ed ha effettuato un’analitica disamina delle condotte dei genitori, anche sulla base delle risultanze della C.T.U., e della situazione psicologica in cui versava la minore. All’esito, la Corte d’appello ha espresso un motivato giudizio in ordine alle statuizioni ritenute più consone a realizzare l’interesse della bambina ed ha confermato il regime di frequentazione tra madre e figlia dettato dal Tribunale, in quanto oggettivamente stabiliva una tempistica idonea a garantire il mantenimento della relazione con la madre, nei limiti di quanto consentito dall’eventuale residenza di quest’ultima in Sardegna, dando altresì atto che il padre risultava avere sempre rispettato il principio di bigenitorialità, favorendo e consentendo lo svolgimento degli incontri tra la bambina e la madre. La Corte di merito ha, infine, precisato che “l’affido condiviso inizialmente prospettato dalla C.T.U. dottoressa D.D. non è in concreto attuabile in quanto esigerebbe che la signora A.A. risiedesse ad O o nelle vicinanze in modo da poter essere maggiormente partecipativa rispetto alla vita della figlia e alle decisioni da assumere nell’interesse della minore”.

Per contro, la ricorrente, nel richiamare diffusamente la normativa asseritamente violata e la giurisprudenza di questa Corte, nel denunciare la violazione del principio di bigenitorialità e l’asserita omessa adeguata valutazione di talune circostanze, da ella interpretate diversamente dalla Corte d’appello, in buona sostanza prospetta impropriamente una difforme ricostruzione fattuale e sollecita un nuovo riesame valutativo.

Occorre, peraltro, ribadire che l’omesso esame di elementi istruttori (in tesi gli atti del processo penale a carico degli zii paterni su denuncia dell’odierna ricorrente e conclusosi con l’archiviazione) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatti-o storici-o, rilevanti-e in causa (nella specie le condotte dei genitori, la loro relazione con la minore e le problematicità emerse anche nel contesto complessivo della famiglia di origine di ciascun genitore), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra le tante cfr. Cass. n. 27415/2018).

Generico, oltre che inconferente, è il richiamo della normativa Europea e internazionale, prospettato in ricorso sul presupposto di una “rottura” del legame con la madre che non trova riscontro nel regime di frequentazione con la figlia dettato dai giudici di merito e anche, in concreto, nelle relazioni dei servizi sociali e della neuropsichiatra citate nel decreto impugnato, da cui era emerso che C.C. esprimeva sentimenti positivi nei confronti di entrambi i genitori e stata costruendo un rapporto equilibrato e equidistante con entrambi. Il riferimento all’ascolto della minore, indicato nella rubrica del settimo motivo, non risulta neppure illustrato nell’esposizione di detto mezzo, difettando, al riguardo, una compiuta e pertinente critica>>.

Non chiara la SC: una cosa è l’errata percezione delle risultanze istruttorie; un’altra è l’errata applicazione ad esse del canone normativo del best interest of the child (art. 337 ter c.2 cc: “con esclusivo rierimento all’interesse morale e materiale” della prole, che è violazione di legge.

Affido super-esclusivo della figlia al padre e sindrome di alienazione parentale (PAS)

Forti perplessità dela Cassazione sulla scientificità della teoria c.d della sindrome di alienazione parentale (PAS), che non viene dunque valorizzata: con cassazione del provvedimento che aveva disposto l’affido c.d. super-esclusivo

Si tratta di Cass. 13217 de,. 17.05.2021, rel. Caiazzo.

Secondo la giurisprudenza , in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci <<comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena (Cass., n. 6919/16)>>

Inoltre quando sia stata esperita c.t.u. medico-psichiatrica (allo scopo di verificare le condizioni psico-fisiche del minore e conclusasi con un accertamento diagnostico di sindrome dell’alienazione parentale), il giudice di merito, nell’aderire alle conclusioni dell’accertamento peritale, <<non può, ove all’elaborato siano state mosse specifiche e precise censure, limitarsi al mero richiamo alle conclusioni del consulente, ma è tenuto – sulla base delle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti e ricorrendo anche alla comparazione statistica per casi clinici – a verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale e che risulti, sullo stesso piano della validità scientifica, oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale, dovendosi escludere la possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare (Cass., n. 7041/13).>>

Per cui nel caso concreto <<il contenuto e le conclusioni delle c.t.u. sono in molti punti generici e non chiari circa la ritenuta carenza delle capacità genitoriali della ricorrente>>.

In altri termini, il riferimento alla condotta tesa ad estraniare la figlia dal padre – sostanzialmente ricondotta alla cd. PAS, ovvero alla cd. “sindrome della madre malevola” – e la evidenziata conflittualità con l’ex-partner, <<non appaiono costituire fatti pregiudizievoli per la minore alla stregua della descrizione delle vicende occorse, tenuto comunque conto del controverso fondamento scientifico della sindrome PAS, cui le c.t.u. hanno fatto riferimento senza alcuna riflessione sulle critiche emerse nella comunità scientifica circa l’effettiva sussumibilità della predetta sindrome nell’ambito delle patologie cliniche. Sul punto, invero, va rimarcato che la Corte veneziana, esaminando le c.t.u., ha affermato che sarebbero state riscontrate psicopatologie nei confronti della ricorrente, intendendo di fatto che le stesse fossero da identificare nella citata PAS (o anche qualificata dal giudice di merito come “sindrome della madre malevola”), considerando l’assoluta mancanza di riferimenti ad altre ipotetiche patologie>>.

Sicchè nel caso specifico <<deve escludersi che la Corte d’appello, nel disporre l’affidamento esclusivo del minore al padre, abbia garantito il migliore sviluppo della personalità del minore stesso, escludendo l’affidamento condiviso su una astratta prognosi circa le capacità genitoriali della ricorrente fondata, in sostanza, su qualche episodio, sopra citato (pur grave) attraverso cui la madre avrebbe tentato di impedire che il padre incontrasse la bambina, senza però effettuare una valutazione più ampia, ed equilibrata, di valenza olistica che consideri cioè ogni possibilità di intraprendere un percorso di effettivo recupero delle capacità genitoriali della ricorrente, nell’ambito di un equilibrato rapporto con l’ex-partner, e che soprattutto valorizzi il positivo rapporto di accudimento intrattenuto con la minore, sebbene il riferimento della Corte di merito all’apparenza di tale rapporto costituisca una chiara conferma del fatto che il suo giudizio sia stato incentrato esclusivamente sul disvalore attribuito all’asserita PAS. Se è vero, in proposito, che i consulenti hanno riscontrato una forte animosità della ricorrente nei loro confronti e una certa refrattarietà a seguire i suggerimenti e le prescrizioni da loro impartite in ordine al rapporto con la minore e con l’ex partner, è altresì vero che proprio tali limiti caratteriali della madre avrebbero dovuto essere affrontati e valutati nella prospettiva di un’offerta di opportunità diretta a migliorare i rapporti con la figlia, in un percorso scevro da pregiudizi originati da postulate e non accertate psicopatologie con crismi di scientificità. Dagli atti emerge, invece, che le asprezze caratteriali della ricorrente sono state valutate in senso fortemente stigmatizzante, come espressione di un’ineluttabile ed irrecuperabile incapacità di esprimere le capacità genitoriali nei confronti della figlia, pur in mancanza di condotte di oggettiva trascuratezza o incuria verso quest’ultima, anche minime, o anche di mancata comprensione del difficile ruolo della madre. Al contrario, proprio il riferimento della Corte veneziana al buon rapporto di accudimento della minore da parte della ricorrente dimostra plasticamente il travisamento in cui lo stesso giudice d’appello è incorso nel ritenere che la B. fosse stata protagonista di un comportamento concretizzante l’invocata cd. PAS (dall’inglese: Parental Alienation Syndrome) desunto dalle predette condotte, attraverso, come esposto, un implausibile sillogismo la cui premessa principale è costituita da un ingiustificato severo stigma di comportamenti della madre fondato su un mero postulato>>.

E’ poi censurabile il  riferimento al padre <<quale unico genitore “in grado di dare equilibrio e serenità alla bambina”, affermazione che è il diretto precipitato di quanto argomentato sulla PAS. La pronuncia impugnata appare, dunque, essere espressione di una inammissibile valutazione di tatertyp, ovvero configurando, a carico della ricorrente, nei rapporti con la figlia minore, una sorta di “colpa d’autore” connessa alla postulata sindrome>>.

Il Collegio <<non intende (e non può) entrare nel merito della fondatezza scientifica della suddetta PAS, ma deve invece conclusivamente rilevare, in conformità dell’orientamento sopra citato, che i fatti ascritti dalla Corte territoriale alla ricorrente non presentano la gravità legittimante la pronuncia impugnata, in mancanza di accertate, irrecuperabili carenze d’espressione delle capacità genitoriali, considerando altresì il profilo, palesemente trascurato dalla stessa Corte di merito, afferente alle conseguenze sulla minore del c.d. “super-affido” della minore al padre in ordine alla conseguente rilevante attenuazione dei rapporti con la madre in un periodo così delicato per lo sviluppo fisio-psichico della bambina. Per quanto esposto, il decreto impugnato va cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in considerazione dell’opportunità che la causa sia trattata da altra Corte territoriale, anche perchè provveda sul regime delle spese del giudizio.>>