Assegno divorzile in funzione solo compensativo-perequativa (non assistenziale)

Cass. sez. I, 30/05/2025 n.14.459, rel. Tricomi:

<<Nel caso in esame, la controversia concerne il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione esclusivamente compensativa -perequativa, risultando acclarata la autosufficienza economica di entrambe le parti.

In tema, va rammentato che l’assegno divorzile, avendo una funzione anche compensativo-perequativa, sotto questo profilo va adeguato all’apporto fornito dal coniuge richiedente che, pur in mancanza di prova della rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali, dimostri di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell’assistenza della famiglia e dei figli, anche mettendo a disposizione, sotto qualsiasi forma, proprie risorse economiche, come il rilascio di garanzie, o proprie risorse personali e sociali, al fine di soddisfare i bisogni della famiglia e di sostenere la formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, restando di conseguenza assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale (Cass. n. 24795 del 16/09/2024).

e che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in funzione perequativa-compensativa presuppone un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, presente al momento del divorzio, sia l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, ponendo rimedio, in presenza di tali presupposti, agli effetti derivanti dalla rigorosa applicazione del principio di autoresponsabilità (Cass. n. 32354 del 13/12/2024.), mentre, in assenza di prova di tale nesso causale, l’assegno può giustificarsi solo per esigenze strettamente assistenziali, ravvisabili laddove il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non possa procurarseli per ragioni oggettive (Cass. n. 26520 del 11/10/2024).>>

La prima sezione sulla funzione giuridica del’assegno divorzile

Cass. sez. I, 14/04/2025 n. 9.785, rel. Reggiani, ci permette di ripassare il tema in oggetto:

<<4.3. Com’è noto, la giurisprudenza più recente di questa Corte (Cass., Sez. U, Sentenza n. 18287 dell’11/07/2018) ha stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

L’attribuzione dell’assegno divorzile non dipende dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, dovendosi piuttosto tenersi conto dello squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma 6, prima parte, L. n. 898 del 1970, in ragione della finalità composita, assistenziale e perequativo-compensativa, di detto assegno (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 32398 del 11/12/2019).

L’unico denominatore comune e condicio sine qua non nell’esame del diritto all’assegno di divorzio, sia che abbia funzione assistenziale sia che abbia funzione perequativo-compensativa, deve rinvenirsi nella precondizione dello squilibrio economico-patrimoniale e reddituale, conseguente allo scioglimento del vincolo. In caso di sostanziale parità o di squilibrio di entità modesta, infatti, non si procede alla fase successiva di verifica dell’applicabilità dei criteri elaborati dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 27536 del 23/10/2023).

Nell’ipotesi in cui emerga una condizione di squilibrio conseguente allo scioglimento del vincolo, occorre verificare se la condizione di svantaggio dell’ex coniuge che richiede l’assegno può essere eziologicamente conseguente alle modalità di conduzione della vita familiare. [è il passaggio più importante]

Come spiegato chiaramente dalle Sezioni Unite del 2018, “… l’accertamento del giudice non è conseguenza di un’inesistente ultrattività dell’unione matrimoniale, definitivamente sciolta tanto da determinare una modifica irreversibile degli status personali degli ex coniugi, ma della norma regolatrice del diritto all’assegno, che conferisce rilievo alle scelte ed ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e la vita familiare. Tale rilievo ha l’esclusiva funzione di accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente. Ove la disparità abbia questa radice causale e sia accertato che lo squilibrio economico patrimoniale conseguente al divorzio derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia e dal conseguente contribuito fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge, occorre tenere conto di questa caratteristica della vita familiare nella valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi e dell’incapacità del coniuge richiedente di procurarseli per ragioni oggettive. Gli indicatori, contenuti nella prima parte dell’art. 5.c.6, prefigurano una funzione perequativa e riequilibratrice dell’assegno di divorzio che permea il principio di solidarietà posto a base del diritto… Ne consegue che la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente. Il giudizio di adeguatezza ha, pertanto, anche un contenuto prognostico riguardante la concreta possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico derivante dall’assunzione di un impegno diverso. Sotto questo specifico profilo il fattore età del richiedente è di indubbio rilievo al fine di verificare la concreta possibilità di un adeguato ricollocamento sul mercato del lavoro. L’eliminazione della rigida distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno di divorzio e la conseguente inclusione, nell’accertamento cui il giudice è tenuto, di tutti gli indicatori contenuti nell’art. 5 comma 6 in posizione equiordinata, consente, in conclusione, senza togliere rilevanza alla comparazione della situazione economico-patrimoniale delle parti, di escludere i rischi d’ingiustificato arricchimento derivanti dalla adozione di tale valutazione comparativa in via prevalente ed esclusiva, ma nello stesso tempo assicura tutela in chiave perequativa alle situazioni, molto frequenti, caratterizzate da una sensibile disparità di condizioni economico-patrimoniali ancorché non dettate dalla radicale mancanza di autosufficienza economica ma piuttosto da un dislivello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della vita familiare.” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 18287 del 11/07/2018).

La funzione perequativo-compensativa dell’assegno, dunque, conduce al riconoscimento di un contributo, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte durante il matrimonio, la cui prova in giudizio spetta al richiedente (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 9144 del 31/03/2023; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 23583 del 28/07/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 38362 del 03/12/2021).

In proposito, le Sezioni Unite hanno precisato che “l’autoresponsabilità deve… percorrere tutta la storia della vita matrimoniale e non comparire solo al momento della sua fine: dal primo momento di autoresponsabilità della coppia, quando all’inizio del matrimonio (o dell’unione civile) concordano tra loro le scelte fondamentali su come organizzarla e le principali regole che la governeranno, alle varie fasi successive, quando le scelte iniziali vengono più volte ridiscusse ed eventualmente modificate, restando l’autoresponsabilità pur sempre di coppia. Quando poi la relazione di coppia giunge alla fine, l’autoresponsabilità diventa individuale, di ciascuna delle due parti: entrambe sono tenute a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità, anche quella più debole economicamente. Ma non si può prescindere da quanto avvenuto prima dando al principio di autoresponsabilità un’importanza decisiva solo in questa fase, ove finisce per essere applicato principalmente a danno della parte più debole” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 18287 del 11/07/2018).

In tale ottica, come pure successivamente ribadito da questa Corte, occorre effettuare un rigoroso accertamento per verificare se lo squilibrio presente al momento del divorzio fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti è l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari o dell’altro coniuge, il che giustifica il riconoscimento di un assegno “perequativo”, cioè di un assegno tendente a colmare tale

squilibrio reddituale e a dare ristoro, in funzione riequilibratrice, al contributo dato dall’ex coniuge all’organizzazione della vita familiare, senza che per ciò solo si introduca il parametro, in passato utilizzato e ormai superato, del tenore di vita endoconiugale. In assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza strettamente assistenziale, la quale, tuttavia, consente l’attribuzione dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa e non può procurarseli per ragioni oggettive (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 35434 del 19/12/2023; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 26520 del 11/10/2024).

Questa stessa Corte (v. ancora Cass., Sez. 1, Sentenza n. 35434 del 19/12/2023) ha, poi, precisato che l’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa deve essere adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato, in particolare, a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio), al fine di contribuire ai bisogni della famiglia (funzione propriamente compensativa), sia ad assicurare, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare oltre che personale dell’altro coniuge (funzione propriamente perequativa).

In sintesi, la funzione perequativo-compensativa dell’assegno dà attuazione al principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole, con la conseguenza che detto assegno deve essere riconosciuto, in presenza della precondizione di una rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale tra gli ex coniugi, non solo quando vi sia una rinuncia a occasioni professionali da parte del coniuge economicamente più debole frutto di un accordo intervenuto fra i coniugi, ma anche nelle ipotesi di conduzione univoca della vita familiare – che, salvo prova contraria, costituisce espressione di una scelta comune tacitamente compiuta dai coniugi – a fronte del contributo, esclusivo o prevalente, fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, anche sotto forma di risparmio di spesa (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4328 del 19/02/2024).

Ciò che rileva, per la funzione perequativo-compensativa dell’assegno, sempre in presenza di un significativo squilibrio tra le condizioni economiche delle parti, è l’apporto fornito dal coniuge richiedente che, pur in mancanza di prova della rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali, dimostri di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell’assistenza della famiglia e dei figli, anche mettendo a disposizione, sotto qualsiasi forma, proprie risorse economiche, come il rilascio di garanzie, o proprie risorse personali e sociali, al fine di soddisfare i bisogni della famiglia e di sostenere la formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24795 del 16/09/2024)>>.

Sui parametri per la determinazione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, 16/04/2025  n. 10.035, rel. Valentino:

<<L’art.5, comma 6, L.n. 898/1970 prevede, innanzitutto, che il giudice tenga conto: delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, valutando tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del rapporto. Nel disporre l’assegno di divorzio deve considerare la condizione dell’insussistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarli per ragioni obiettive, in capo all’ex coniuge che richieda l’assegno. Con sentenza delle Sez. Unite n.18287/2018 è stato chiarito che all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.

L’assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico-patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare; l’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale.

Il riconoscimento dell’assegno divorzile è collegato all’altrui stato di bisogno, inteso quale mancanza di adeguati redditi propri e in termini di incapacità di procurarseli, in ossequio al principio di autoresponsabilità economica di ciascun coniuge: esso, quindi, deve essere negato in presenza di mezzi adeguati dell’ex coniuge richiedente o delle effettive possibilità di procurarseli.

L’assegno divorzile deve essere valutato, sia nell’an sia nel quantum, alla luce dell’evidenza che il divorzio ha reso ciascun ex coniuge una persona sola auto-responsabile. Dunque, l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive richiede una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti che tenga conto del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

Secondo il principio di autodeterminazione e responsabilità, nella determinazione dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge rilevano la capacità dello stesso di procurarsi mezzi propri di sostentamento e le sue potenzialità professionali e reddituali, che egli stesso è chiamato a valorizzare attraverso una condotta attiva e non passiva limitata ad attendere nuove opportunità lavorative.

Ai fini del riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, assumono rilievo la capacità di quest’ultimo di procurarsi i propri mezzi di sostentamento e le sue potenzialità professionali e reddituali piuttosto che le occasioni concretamente avute dall’avente diritto di ottenere un lavoro. Se la solidarietà post coniugale si fonda sui principi di autodeterminazione e autoresponsabilità, non si potrà che attribuire rilevanza alle potenzialità professionali e reddituali personali, che l’ex coniuge è chiamato a valorizzare con una condotta attiva facendosi carico delle scelte compiute e della propria responsabilità individuale, piuttosto che al contegno, deresponsabilizzante e attendista di chi si limiti ad aspettare opportunità di lavoro riversando sul coniuge più abbiente l’esito della fine della vita matrimoniale.

Alla luce di questi principi la Corte d’Appello ha escluso la impossibilità di autonomo sostentamento ed ha precisato che la breve durata del matrimonio rende del tutto indimostrato che la moglie abbia concorso alla formazione del patrimonio del marito che invece pare averlo acquisito per ragioni familiari (successione dal padre titolare dell’impresa, avvenuta in epoca successiva alla separazione). Ed inoltre precisa: “Se le parti si erano accordate perché la madre seguisse i figli non si ha certezza che tale sarebbe stato l’accordo per gli anni a venire e non piuttosto la ricerca di un lavoro indipendente. Infine, non vi è traccia delle ragioni della separazione. Il fatto quindi che l’ex marito sia molto benestante nella situazione come descritta è assolutamente indifferente non sussistendo nessuno dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile” (stessi principi ribaditi da Cass., n. 14160/2022; Cass., n. 9144/2023; Cass., n. 10614/2023)>>.

Assegno divorzile (privo della compononente perequativa) e assegno alimentare: quali differenze?

Cass. Civ., Sez. I, ord. 16 febbraio 2025 n. 3952, rel. Russo:

<<Nella maggior parte dei casi la differenza concreta tra un assegno di divorzio privato della sua componente compensativa -perequativa e un assegno alimentare potrebbe essere di scarso rilievo: se la finalità assistenziale assume rilievo preponderante rispetto a quella perequativo-compensativa, la quantificazione dell’assegno divorzile deve tendenzialmente effettuarsi sulla base dei criteri di cui all’art. 438 c.c., salvi gli opportuni adattamenti.
Si tratta però di un tendenziale avvicinamento dei calcoli nel procedimento di concreta quantificazione, da farsi tenendo presente la differenza concettuale e normativa tra i due istituti.
Di conseguenza, assegno alimentare e assegno divorzile con funzione assistenziale possono essere anche sensibilmente differenti nel quantum qualora si tratti di patrimoni ingenti.>>

(massima di Valeria Cianciolo in Ondif)

Parametri per la determinazione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 11/02/2025 n. 3.506, rel. Caiazzo:

<<La ricorrente aveva appellato la sentenza di primo grado – che le aveva riconosciuto la misura di Euro 350,00 mensile – chiedendone l’aumento a Euro 1500,00 mensile, lamentando l’erronea applicazione delle norme disciplinati l’istituto, con riguardo al profilo assistenziale dell’assegno.

La ricorrente lamenta in particolare che la Corte d’Appello ha escluso anche il profilo assistenziale dell’assegno (accogliendo l’appello incidentale dell’ex marito), non avendo tenuto conto della rilevante sproporzione tra la situazione reddituale e patrimoniale tra le parti. Sul punto, in effetti, la sentenza impugnata si è limitata ad affermare che “se si considera che il matrimonio è avvenuto allorquando l’appellante aveva già compiuto 45 anni ed aveva certamente impostato correttamente la propria vita ed il proprio mantenimento, che il matrimonio stesso è durato solo 9 anni e che manca qualunque allegazione, che concretamente faccia ritenere che sussista tra le parti una sperequazione economica dovuta a scelte funzionali alla famiglia, che non consenta (oggi) all’appellante una vita dignitosa, di tal che il sacrificio deve essere compensato.”.

Inoltre, dalla sentenza di divorzio si evince che il Bi.Re. era socio “nella misura di 1/3 della Sassomet che presenta una notevole capacità di fatturato, ha circa 13/14 dipendenti, non sono stati prodotti documenti contabili recenti attestanti un calo dei ricavi che deve presumersi siano rimasti invariati e che quindi negli anni abbia accantonato notevoli risparmi, percepisce la pensione di Euro 1.885,22, è comproprietario di 95 porzioni di terreni e di 19 immobili”; di contro la Sl.Ir. ha prodotto solo le dichiarazioni dei redditi relative agli anni di imposta 2016-2019 da cui risulta che ha percepito annualmente soltanto la somma di Euro 4.200,00 a titolo di contributo erogato dai Servizi Sociali per l’affido della nipote”.

Invero, l’assegno di divorzio, avente funzione anche perequativa-compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, presente al momento del divorzio, sia l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, mentre, in assenza di prova di tale nesso causale, l’assegno può giustificarsi solo per esigenze strettamente assistenziali, ravvisabili laddove il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non possa procurarseli per ragioni oggettive (Cass., n. 26520/2024).

Nel caso concreto, la ricorrente aveva allegato il notevole squilibrio tra le situazioni patrimoniale delle partii, e il fatto di essere impossidente e di non poter ricercare un lavoro, essendo disabile al 75%, considerata anche l’età avanzata (nata nel 1957).

La Corte territoriale ha ritenuto assorbente rilevare che la ricorrente lavorava continuativamente, sebbene in maniera irregolare, senza attribuire rilievo al suddetto squilibrio patrimoniale, alla disabilità dell’ex moglie e alla relativa età che costituiscono elementi oggettivi incidenti sulla capacità di ricercare un’occupazione o anche di conservare quella pregressa.

Al riguardo, non può essere sottaciuto che l’irregolarità del lavoro prestato, che comportava una certa dose di energia fisica, sia un fatto che – a prescindere dalle violazioni di legge relative ai diritti spettanti alla lavoratrice – oggettivamente rende incerta la prosecuzione dell’attività che risultava svolta dall’ex moglie alla data della sentenza impugnata – .

Ora, atteso che dagli atti emergeva chiaramente tra le parti la sperequazione tra redditi e patrimoni – resa particolarmente acuita dal fatto che l’ex marito era proprietario di ben 19 immobili e 95 porzioni di terreno-, la Corte di merito non ha compiuto una corretta ricognizione dei presupposti dell’assegno divorzile nella funzione assistenziale, avendo ritenuto che la ricorrente disponesse di un lavoro stabile, trascurando di valutare, come detto, la sua disabilità, la sua età, e la relativa influenza sulla capacità lavorativa futura, omettendo altresì di approfondire la questione dell’irregolarità del lavoro prestato>>.

Assegno di mantenimento da separazione e assegno divorzile: differenze e (alcune) somiglianze

Breve ripasso in tema da parte di Cass. sez. I, ord. 07/01/2025 n. 234, rel. Russo R. E. A.:

<<La Corte territoriale si è limitata ad affermare che la moglie al momento della separazione non lavorava e che ha diritto di conservare l’elevato tenore di vita mantenuto in costanza di convivenza, senza valutare se ella sia in possesso di risorse economiche tra le quali rileva certamente, oltre che l’eventuale patrimonio, anche la capacità lavorativa, da valutarsi in concreto e non in astratto (Cass. n. 24049 del 06/09/2021).

2.1.- Non si tratta qui di estendere automaticamente alla separazione i principi affermati da questa Corte in tema di assegno divorzile (Cass. S.U. 18287/2018), quanto di verificare se sussistano i presupposti per ottenere l’assegno di mantenimento ed in che misura, con accuratezza e considerando la concreta situazione, pur tenendo fermo che assegno di divorzio ed assegno di mantenimento sono diversi quanto a natura presupposti e funzioni; e segnatamente, l’assegno di mantenimento che il coniuge privo di mezzi può ottenere in sede di separazione è correlato al tenore di vita ed è privo della componente compensativa, consistendo nel diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario mantenimento, in mancanza di adeguati redditi propri (art 156 c.c.).

2.2.- Nel quadro normativo del codice civile la separazione dei coniugi ha funzione conservativa, pur se la legge sul divorzio le ha affiancato anche una funzione dissolutiva, tanto che questa Corte ha affermato che in tema di crisi familiare, in ragione dell’unica causa della crisi, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto anche con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Secondo l’id quod prelumque accidit, si osserva che la crisi separativa conduce, sia pure attraverso la disciplina di una graduazione e assottigliamento delle posizioni soggettive (diritti e doveri) dei coniugi, dal fatto separativo e con altissima probabilità all’esito divorzile successivo (Cass. n. 28727 del 16/10/2023).

2.3.- Il diritto all’assegno di mantenimento è quindi fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale fintanto che il matrimonio non è sciolto; il principio di parità richiede che tale sostegno sia reciproco, senza graduazioni o differenze, ma anche solidale (Cass. n. 34728 del 12/12/2023 in motivazione).

3.- Il Collegio ritiene di aderire a tutt’oggi a questo orientamento, considerando che l’assegno di mantenimento è fondato – come sopra si diceva – sulla persistenza di uno dei doveri matrimoniali e non ha – a differenza dell’assegno di divorzio – componenti compensative. Tuttavia, deve rilevarsi che l’accertamento del diritto ad esser mantenuti dall’altro coniuge a seguito di separazione non è scisso dalla valutazione che la solidarietà presuppone un rapporto paritario e di reciproca lealtà, incompatibile con comportamenti parassitari diretti a trarre ingiustificati vantaggi dal coniuge separato. Più volte questa Corte ha sottolineato come anche nelle relazioni familiari valga il principio di autoresponsabilità che è strettamente correlato alla solidarietà; tutte le comunità solidali presuppongono che ciascuno contribuisca al benessere comune secondo le proprie capacità e che nessuno si sottragga ai propri doveri.

4. – Deve quindi rilevarsi che ferma la differenza tra assegno di divorzio e assegno di separazione, vi sono alcuni tratti comuni tra i due istituti e tra questi il presupposto che il richiedente sia privo di risorse adeguate. L’art. 156 parla invero di mancanza di “adeguati redditi propri”, e non di “mezzi adeguati” come l’art. 5 della legge divorzile, ma, ove il richiedente sia dotato di concreta e attuale capacità lavorativa e non la metta a frutto senza giustificato motivo la assenza di adeguati redditi propri non può considerarsi un fatto oggettivo involontario ma una scelta addebitabile allo stesso interessato.

4.1.- Nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che il riconoscimento dell’assegno previsto dall’art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo (Cass. n. 20866 del 21/07/2021). Ed ancora si è affermato che l’attitudine al lavoro proficuo dei coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass. n. 5817 del 09/03/2018; Cass. n. 24049 del 06/09/2021).

Nella specie la Corte d’Appello di Napoli non ha fatto buon governo di questi principi nell’omettere qualsivoglia indagine sulle capacità lavorative concrete della richiedente assegno e non indagando sulla possibilità che la moglie si procuri redditi diversi, ad esempio da patrimonio, limitandosi ad affermare che la stessa al momento della separazione non lavorava>>.

Ancora sull’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 28/11/2024  n. 30.602, rel. Garri:

<<I criteri di cui all’art.5, comma 6, in esame costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all’ an debeatur quanto di quella relativa al quantum debeatur: l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, prescritto ai fini della prima operazione, deve aver luogo mediante una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dello avente diritto, tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell’assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà. (…).

Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, ma tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, ex post divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa.

Ciò detto, il giudice del merito dovrà effettuare un esame bifasico in ordine all’an debeatur dell’assegno divorzile in cui l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, nonché dello squilibrio economico/patrimoniale fra i coniugi costituisce un prius logico-giuridico e fattuale preliminare alla ulteriore valutazione dell’apporto dato dal coniuge economicamente più debole al c.d. menage familiare in costanza di rapporto matrimoniale>>.

Solo che a  tutta questa copiosa (e costante, tutto sommato) giurisporudenza sfugge che nell’art. 5.6 è solo il parametro dell’ultima parte che regola l’AN, mentre sono solo quelli della prima parte che regolano il QUANTUM.

Nella determinazione dell’assegno divorzile, la possibilità di critica dell’omessa disposizione di indagini economico-patrimoniali vale anche per l’omesso esame di contestazioni sull’esito delle indagini disposte

Cass. sez. I, ord. 27/11/2024n. 30.537, rel. Reggiani:

<<3.3. Nei giudizi di divorzio, inoltre, ai sensi dell’art. 5, comma 9, L. cit. (abrogato dal D.Lgs. n. 149 del 2022, che ha introdotto l’art. 473-bis.2 c.p.c., ma applicabile al presente giudizio ratione temporis) i coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al Presidente del Tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune, con la precisazione che, in caso di contestazioni il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi se del caso, anche della polizia tributaria.

Questa Corte ha precisato che il potere di disporre indagini sui redditi è un potere senza dubbio discrezionale, il cui mancato esercizio può essere sindacato per vizio di motivazione, ove non venga attivato a fronte di richiesta fondata su fatti concreti e circostanziati, di cui non sia spiegata l’irrilevanza ai fini della decisione (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21603 del 20/09/2013).

Tale principio opera anche nel caso in cui le indagini siano state effettuate, ma a fronte di contestazioni circostanziate sull’esito e la completezza delle stesse venga richiesto al giudice di discostarsi dall’elaborato peritale o di effettuare delle integrazioni.>>

Differenza tra gli assegni di mantenimento da separazione e da divorzio

Cass. sez. I ord. 22.11.2024 n. 30.119, rel. Acierno:

<<La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicchè in assenza della condizione ostativa dell’addebito, resta ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio. Quanto alla determinazione del quantum dell’assegno di mantenimento, inoltre, è sufficiente che sia fondata su un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi>>.

(massima di Valeria Cianciolo in OndiF)

La componente compensativo-perequativa nella determinazione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 19/08/2024  n.22.942, rel. Caiazzo:

<<Il ricorrente lamenta l’omesso esame del nesso causale, da una parte, tra il contributo alla vita familiare della ex moglie e la formazione del patrimonio comune e personale degli ex coniugi e, dall’altra parte, la rinuncia da parte della stessa di opportunità lavorative o professionali, nonché l’omesso esame della questione dell’impossibilità della controricorrente di procurarsi migliori occasioni di lavoro.

Al riguardo, va rilevato che l’assegno divorzile assolve una funzione non solo assistenziale, ma anche compensativo-perequativa che dà attuazione al principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole; ne consegue che detto assegno deve essere riconosciuto, in presenza della precondizione di una rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale tra gli ex coniugi, non solo quando la rinuncia a occasioni professionali da parte del coniuge economicamente più debole sia il frutto di un accordo intervenuto fra i coniugi, ma anche nelle ipotesi di conduzione univoca della vita familiare – che, salvo prova contraria, esprime una scelta comune tacitamente compiuta dai coniugi – a fronte del contributo, esclusivo o prevalente, fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, anche sotto forma di risparmio (Cass., n. 4328/24). Nel caso concreto, la Corte territoriale ha esaminato i fatti sottesi alle predette questioni e, attraverso un ragionamento presuntivo, come detto, è pervenuta al convincimento che la madre si era prevalentemente dedicata alla crescita del figlio, di 17 anni- fatto ritenuto non contestato dalla controparte- anche se coadiuvata da colf e baby-sitter, e che il ricorrente abbia potuto dedicare gran parte delle sue energie all’attività lavorativa, anche grazie a tale maggior contributo dell’ex moglie nella gestione familiare e nell’accudimento del figlio, considerando altresì la durata del matrimonio>>.