Determinazione dell’assegno di mantenimento (verso coniuge e figli) da separazione personale

Cass. sez. I, ord. 18/09/2024  n. 25.055, rel. Tricomi:

<<4.2. – L’art. 156, primo comma 1, c.c., stabilisce che “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”. Per quanto riguarda i figli, l’art. 155 c.c. richiama l’art. 337-ter c.c. (applicabile anche ai figli maggiorenni ancora non indipendenti economicamente), il quale prevede che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che, il giudice di merito, per quantificare l’assegno di mantenimento spettante al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento, il tenore di vita di cui la coppia abbia goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato. A tal fine, non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso (così, tra le tante, Cass. n. 9915-2007). Anche l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori, o maggiori d’età ma non autosufficienti economicamente, deve essere determinato considerando le esigenze del beneficiario in rapporto al tenore di vita goduto durante la convivenza dei genitori, tenendo conto di tutte le risorse a disposizione della famiglia, non potendo i figli di genitori separati essere discriminati rispetto a quelli i cui genitori continuano a vivere insieme (cfr. già Cass. n. 9915-2007 e, di recente, Cass. n. 16739-2020). È per questo che l’art. 706 c.p.c., nel disciplinare i procedimenti in materia di separazione personale dei coniugi, in deroga alla disciplina ordinaria dell’onere della prova, lasciata di regola alla libera iniziativa delle parti interessate, stabilisce che “Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate”.

Dall’esame delle norme sopra richiamate si evince con chiarezza che ciò che rileva, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, e dei figli è l’accertamento del tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato (Cass. n. 9915-2007), a prescindere, pertanto, dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali da questi ultimi godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, in relazione ai quali l’ordinamento prevede, anzi, strumenti processuali, anche ufficiosi, che ne consentano l’emersione ai fini della decisione, quali le indagini di polizia tributaria (Cass. n.22616-2022) e l’espletamento di una consulenza tecnica.

Inoltre, va rammentato che in tema di separazione personale, la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, operando una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica (Cass. n. 32871-2018; Cass. n.34728-2023) e che il diritto all’assegno di mantenimento, in caso di crisi familiare, viene meno ove, durante lo stato di separazione, il coniuge avente diritto instauri un rapporto di fatto con un nuovo partner, che si traduca in una stabile e continuativa convivenza, ovvero, in difetto di coabitazione, in un comune progetto di vita connotato dalla spontanea adozione dello stesso modello solidale che connota il matrimonio, con onere della prova a carico del coniuge tenuto a corrispondere l’assegno; ne consegue che la stabilità e la continuità della convivenza può essere presunta, salvo prova contraria, se le risorse economiche sono state messe in comune, mentre, ove difetti la coabitazione, la prova relativa all’assistenza morale e materiale tra i partner dovrà essere rigorosa (Cass. n.34728-2023)>>.

E’ revocabile il trasferimento immobiliare pattuito negli accordi di separazione, anche se recepiti dalla sentenza che definisce una separazione giudiziale

Cass. sez. III, sent.  07/10/2024 n. 26.127, rel. Condello:

<<4.3. Le conclusioni cui giungono i precedenti sopra richiamati valgono anche nel caso qui in esame, con la sola differenza che, mentre in quelli gli accordi patrimoniali erano posti ad oggetto di separazione consensuale omologata dal Tribunale, nel caso in esame essi sono invece posti ad oggetto di ricorso di separazione giudiziale necessariamente concluso con sentenza che ne ha recepito il contenuto. Si tratta però di differenza che, ai fini in esame, rimane priva di rilievo.

In tal senso soccorrono le considerazioni svolte dalle Sezioni Unite con la sentenza del 29 luglio 2021, n. 21761, che, rispondendo a quesito riguardante la validità e trascrivibilità di accordi patrimoniali conclusi in sede (e ai fini del giudizio) di separazione o divorzio, ha affermato il principio di diritto, secondo cui: “Le clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni – mobili o immobili – o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo il decreto di omologazione della separazione o la sentenza di divorzio, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c., purché risulti l’attestazione del cancelliere che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui all’art. 29, comma 1-bis, della L. n. 52 del 1985, come introdotto dall’art. 19, comma 14, del D.L. n. 78 del 2010, conv. con modif. dalla L. n. 122 del 2010, restando invece irrilevante l’ulteriore verifica circa gli intestatari catastali dei beni e la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.

In sostanza, le Sezioni Unite hanno affermato il valore meramente dichiarativo della pronuncia (sentenza di separazione o di divorzio) in relazione alle pattuizioni sui rapporti economici, rilevando che “i due istituti” (ossia, da un lato, la separazione consensuale tra i coniugi e, dall’altro, il divorzio congiuntamente richiesto dai medesimi, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16) – pur presentando innegabili diversità sul piano della disciplina (le quali essenzialmente si compendiano nel fatto che, nel secondo caso, il procedimento non termina con l’omologazione da parte del tribunale, bensì con una sentenza emessa all’esito dell’audizione dei coniugi) – “si presentano strettamente connessi l’uno all’altro sul piano dogmatico. Ed invero, ad accomunare le due fattispecie è certamente la connotazione, presente in entrambe, dell’essere finalizzate ad ottenere mediante il consenso dei coniugi, piuttosto che con la pronuncia costitutiva del giudice, le divisate modificazioni dello status coniugale, con le conseguenti ricadute sull’affidamento ed il mantenimento della prole, ove esistente, e sui profili economici concernenti i rapporti tra i coniugi stessi”.

Hanno, quindi, evidenziato che “la pacifica… natura negoziale degli accordi dei coniugi, equiparabili a pattuizioni atipiche ex art. 1322 c.c., comma 2, comporta che – al di fuori delle specifiche ipotesi succitate – nessun sindacato può esercitare il giudice del divorzio sulle pattuizioni stipulate dalle parti. Come del resto – sul piano generale – il giudice non può sindacare qualsiasi accordo di natura contrattuale privato, che corrisponda ad una fattispecie tipica, libere essendo le parti di determinarne liberamente il contenuto (art. 1322 c.c., comma 1), fermo esclusivamente il rispetto dei limiti imposti dalla legge a presidio della liceità delle contrattazioni private e, se si tratta di pattuizioni atipiche, sempre che l’accordo sia anche meritevole di tutela secondo l’ordinamento (art. 1322 c.c., comma 2)” >>.

Sulll’assegno di mantenimento da separazione

Cass. Sez. I, ord. 18 settembre 2024 n. 25.055, rel. Tricomi:

<<Ciò che rileva, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, e dei figli è l’accertamento del tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza matrimoniale. Non possono a tal fine, prendersi in considerazione le spese medie mensili dei due coniugi relative anche agli anni successivi alla separazione.

La stabilità e la continuità della convivenza può essere presunta, salvo prova contraria, mentre, ove difetti la coabitazione, la prova relativa all’assistenza morale e materiale tra i partner dovrà essere rigorosa. [errore: non è affatto presumibile]

In mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno, deve essere compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal primo comma dell’articolo 2729 c.c.>>

(massime di Valeria Cianciolo in  Ondif)

Cass. Sez. I, ord. 16 settembre 2024 n. 24811, rel. Pazzi:

<<La tolleranza dell’altro coniuge, di per sé, non assume rilievo al fine di escludere un simile nesso causale [NB: tra infedeltà e intollerabilità della convivcenza] ma, al più, può essere presa in considerazione, unitamente ad altri elementi, quale indice rivelatore del fatto che l’affectio coniugalis era già venuta meno da tempo.
Tali altri elementi erano stati solo genericamente dedotti ed erano rimasti privi di adeguate allegazioni probatorie.
E’ onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà>>.

Tipi di accordi in sede di separazione e loro diverso regime giuridico

Interessanti principi di diritto posti da Cass.  ord. sez. I, 22/07/2024 n. 20.034, rel. Reggiani:

“In tema di separazione consensuale, gli accordi dei coniugi hanno un contenuto essenziale, che ha causa concreta nella separazione, recante le pattuizioni volte ad assolvere ai doveri di solidarietà coniugale per il tempo immediatamente successivo alla separazione, cui può aggiungersi un contenuto eventuale, che ha mera occasione nella separazione, recante pattuizioni finalizzate a regolare situazioni patrimoniali che non è più interesse delle parti mantenere in vita. La disciplina giuridica di tali pattuizioni è profondamente diversa, poiché gli accordi che disciplinano il contenuto essenziale della separazione possono essere revocati e modificati ai sensi del previgente art. 710 c.p.c. (ovvero in applicazione dell’attuale art. 473-bis 29, c.p.c.) e, con riguardo ai rapporti tra coniugi, sono destinati ad essere superati dalla pronuncia di divorzio, che reca con sé nuove condizioni correlate all’acquisto del nuovo status, mentre gli accordi semplicemente occasionati dalla procedura separativa sono assoggettati alla disciplina propria dei negozi giuridici e il giudice adito non può revocarli o modificarne il contenuto”.

“In tema di separazione consensuale, per distinguere i patti che integrano il contenuto eventuale degli accordi da quelli che costituiscono il contenuto essenziale – i quali non sono suscettibili di modifica o revoca ex art. 710 c.p.c. né possono essere sostituiti dalle condizioni conseguenti al divorzio, ma sono negozi autonomi, che regolano i reciproci rapporti dei coniugi ai sensi dell’art. 1372 c.c. – l’interprete è chiamato a indagare la comune intenzione delle parti, accertando se si tratti di patti che hanno nella separazione una mera occasione, e non la loro causa concreta, facendo uso dei canoni interpretativi forniti dall’art. 1362 e ss. c.c., secondo i quali il primo strumento da utilizzare è il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate.”

Determinazione dell’assegno di mantenimento da separazione

Cass. ord. sez. I, 23/05/2024  n. 14.371, rel. Pazzi:

<<5.1 L’art. 156, comma 2, cod. civ. stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell’assegno tenendo conto non solo dei redditi delle parti ma anche di altre circostanze non indicate specificatamente, né determinabili a priori, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti, la cui valutazione, peraltro, non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass. 605/2017).

Nell’effettuare questa ricostruzione la Corte d’appello ha ritenuto che il cospicuo patrimonio immobiliare di pertinenza dell’odierno ricorrente, dell’importo di oltre quattro milioni di Euro, potesse essere oggetto di sfruttamento diretto, “anche in misura maggiore a quale” (rectius quella) “sino ad oggi attuata come da osservazioni dell’ausiliario” (pag. 10 della decisione impugnata), o di alienazione. In questa prospettiva valutativa non assume alcuna decisività la mancata considerazione degli oneri che l’odierno ricorrente dovrebbe sostenere per rendere commerciabile il suo patrimonio commerciale ubicato in F, dato che la Corte di merito ne ha valorizzato – con valutazione in fatto incensurabile in questa sede – non le rendite percepite, ma le potenzialità reddituali in termini anche maggiori rispetto all’attualità.

Giova, poi, ricordare che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. qualsiasi censura volta a criticare il convincimento che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass. 20553/2021).

5.2 La Corte di merito non ha affatto tralasciato di considerare l’intervenuta morte del padre dell’odierno ricorrente nel corso del giudizio, posto che, dopo aver ricordato che nella ricostruzione del tenore di vita assume rilievo l’apporto costante del nucleo di origine di uno dei coniugi, ha sottolineato che tale disponibilità non era venuta meno nel corso degli anni, poiché il Po.Ro. aveva ereditato (dunque a seguito del decesso del congiunto) un cospicuo patrimonio immobiliare.

In altri termini, l’apporto esterno si era trasformato in apporto ereditario, continuando a contribuire alla determinazione del reddito e del patrimonio dell’odierno ricorrente.

5.3 Né è possibile sostenere che la Corte di merito non abbia tenuto conto dell’indennità di Euro 1.500 corrisposta dal Po.Ro. al fratello per l’occupazione della casa familiare da parte del coniuge separato e dei figli. Tale somma, infatti, costituisce proprio la differenza fra l’ammontare del contributo dovuto fino al rilascio dell’abitazione e dell’assegno da corrispondere in seguito, a testimonianza del fatto che i giudici distrettuali hanno tenuto conto dell’esborso, detraendolo, fino a quando lo stesso fosse stato versato, dall’importo dell’assegno giudicato congruo>>.

Violenze fisiche e morali sono per se causa di addebito della separaizone

Cass. sez. I, ord. 15/02/2024 n. 12.478, rel. Meloni:

<<Invero, le reiterate violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse. Il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei (Cass., n. 31351/22, n. 3925/18).

Tali principi, già affermati da questa corte, vanno in questa sede ulteriormente ribaditi ed enunciati, come criteri guida prevalenti nelle valutazioni relative alle controversie sull’addebitabilità della separazione personale tra coniugi.

Nella specie, alla luce della citata consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, l’affermato addebito della separazione è conforme ai principi e legittimato dal consumato reato di maltrattamenti da parte del ricorrente, nei confronti di Zi.Fr., condotta che non può trovare esimente nella ipotizzata (ed esclusa dal giudice di merito) violazione dell’obbligo di fedeltà realizzato anteriormente, non trattandosi di condotte bilanciabili, come motivato dalla Corte territoriale, per il prevalente ed assorbente disvalore della condotta violenta e prevaricatrice per quanto in ipotesi successiva rispetto alla ipotizzata violazione dell’obbligo di fedeltà.

Inoltre, è inammissibile la censura di inefficacia causale della condotta violenta (nella specie violenze fisiche efferate, verbali e sessuali, vere e proprie condotte criminali plurime e continuate perpetrate verso la moglie alla presenza dei figli minori) rispetto alla presunta cessazione dell’affectio nel rapporto coniugale, atteso che le condotte criminali perpetrate prima della separazione inter partes assumono carattere preminente in quanto consapevolmente tese ad annientare la persona del coniuge rendendo del tutto irrilevante l’esaurirsi pregresso della comunione di vita, assumendo quelle un carattere assorbente e causativo dell’irreparabile fine del matrimonio per l’azione di tendenziale annientamento dell’altra persona (il coniuge), più facilmente raggiungibile e manipolabile, in ragione della prossimità di vita>>.

Per la determinazione del tenore di vita ai dini dell’assegno di mantenimento, conta non solo il reddito ma anche il “patrimonio goduto” in costanza di matrimonio

Cass. Sez. I, Ord. del 24 aprile 2024, n. 11146,rel. Reggiani

<< Ciò che rileva, ai fini della determinazione dell’assegno in questione è
l’accertamento del tenore di vita condotto dalle parti quando vivevano insieme,
da rapportare alle condizioni reddituali e patrimoniali esistenti al momento
della separazione. (…)

Ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge, il tenore di vita goduto dalle parti in costanza di convivenza va rapportato alle condizioni reddituali e patrimoniali esistenti al momento della separazione e tale accertamento va condotto considerando non solo il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma anche gli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso>>.

Poi:

<<Nel rigettare il ricorso promosso avverso la sentenza della Corte d’Appello che aveva ripristinato l’assegno di mantenimento in favore della moglie, la Corte di Cassazione ritorna nuovamente sul concetto del medesimo tenore di vita, quale criterio per il riconoscimento del contributo in favore del coniuge economicamente debole, insistendo sulla valutazione delle condizioni economico-patrimoniali dei coniugi durante la convivenza e successive alla separazione: al riguardo anche l’attitudine dei coniugi al lavoro proficuo costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento, ma l’accertamento non può essere limitato al solo mancato svolgimento di tale attività e vanno escluse mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass., Sez. I, Ordinanza n. 24049 del 06.09.2021).

Nel caso concreto, la Corte territoriale, dopo avere esaminato le risultanze processuali, ha correttamente valutato gli elementi di prova relativi al periodo di convivenza dei coniugi, così acquisendo elementi per ricostruire il tenore di vita matrimoniale da rapportare alla situazione delle parti successiva alla separazione, dando rilievo al lungo periodo durante il quale la moglie è rimasta a casa per accudire la famiglia.

Le generiche deduzioni del ricorrente in ordine alla relazione sentimentale e alla convivenza della moglie, in difetto di specifiche allegazioni di fatti impeditivi del diritto all’assegno di mantenimento, rendono la relativa censura inammissibile, né consentono di prospettare la decisività dei fatti di cui si lamenta l’omesso esame>>

(massime di CEsare Fossati in ONDIF)

Cass. sez. I, Ord. 26 aprile 2024, n. 11.208, rel. Reggiani:

<<Con riguardo all’onere della prova, in base alle regole generali, deve ritenersi gravante sulla parte che richiede l’addebito della separazione l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.

È, invece, onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale alla violazione dell’obbligo derivante dal matrimonio.

L’anteriorità della crisi della coppia rispetto alla violazione di tali obblighi, quale causa di esclusione del nesso causale tra quest’ultima condotta violativa degli obblighi derivanti dal matrimonio e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, integrando un’eccezione in senso lato, è rilevabile d’ufficio, purché sia allegata dalla parte a ciò interessata e risulti dal materiale probatorio acquisito al processo>>.

(massima di Ferrandi Francesca in Ondif)

V. pure mio post a Cass. 10.489/2024.

Nella separzione tra coniugi, la intollerabilità della prosecuzione di convincenza può riguardare anche uno solo dei coniugi

Cass. sez. I, ord. 24/04/2024 n. 11.032, rel. Reggiani:

<< In via generale, questa Corte ha affermato che la pronuncia di addebito della separazione non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posti dall’art. 143 c.c. a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare che tale violazione, lungi dall’essere intervenuta quando era già maturata una situazione in cui la convivenza non era più tollerabile, abbia assunto efficacia causale nel determinare la situazione di intollerabilità (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 18074 del 20/08/2014).    [ovvio]

L’indagine sull’intollerabilità della convivenza deve, peraltro, essere svolta sulla base della valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell’uno essere giudicata senza un raffronto con quella dell’altro, consentendo solo tale comparazione di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano riservato, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi matrimoniale (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 14162 del 14/11/2001).

L’anteriorità della crisi della coppia rispetto alla violazione di tali obblighi, quale causa di esclusione del nesso causale, integra comunque un’eccezione in senso lato, ed è pertanto rilevabile d’ufficio, purché siano allegati dalla parte a ciò interessata i fatti che ne suffragano l’esistenza e i menzionati fatti risultino provati dal materiale probatorio comunque acquisito al processo (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20866 del 21/07/2021).

Con specifico riferimento alla violazione dell’obbligo di coabitazione, questa Corte ha ritenuto che il volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi contiene di per di per sé tutti i requisiti per configurare l’addebito della separazione personale, tenuto conto che obiettivamente a seguito di tale condotta la convivenza non è più possibile, fermo restando che l’addebito deve essere escluso, ove risulti che esso sia stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile e che, anzi, l’allontanamento del coniuge costituisca una conseguenza di tale intollerabilità (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 648 del 15/01/2020). [ovvio, come sopra]

A prescindere da qualsivoglia elemento di addebito, in applicazione dell’art. 151 c.c., la separazione dei coniugi deve comunque trovare causa e giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza, intesa come fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno della vita dei coniugi, purché oggettivamente apprezzabile e giuridicamente controllabile. A tal fine non è necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere da una condizione di disaffezione al matrimonio di una sola delle parti, che renda incompatibile la convivenza e che sia verificabile in base ai fatti obiettivi emersi in giudizio (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8713 del 29/04/2015; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 16698 del 05/08/2020). [il passaggio più interessante]

Ovviamente, l’apprezzamento circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi, nel determinarsi della intollerabilità della convivenza, è un accertamento in fatto riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di una motivazione che non sia viziata (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 18074 del 20/08/2014). [no: non e’ fatto ma diritto, come emerge anche dalle parole della SC, laddove parla di “appprezzamento di responsabilità”]

(…)  Il giudice del gravame ha, in sintesi, ritenuto provata una condizione di disaffezione, quantomeno da parte della donna, già prima dell’allontanamento di quest’ultima dalla casa coniugale, dato che la donna aveva già prima comunicato al marito la volontà di separarsi per il tramite di un legale e poi aveva lasciato la casa coniugale, aggiungendo che il marito, sottoscrivendo la scrittura di separazione, risulta avere condiviso la decisione di separarsi, regolando convenzionalmente le conseguenze della separazione, compresa l’attribuzione di un assegno in favore della moglie, peraltro senza rappresentare negli atti di causa una condizione di vita matrimoniale in cui la comunione di vita fosse, invece, esistente.

Si tratta di un accertamento in fatto, operato dal giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità che, in virtù di quanto sopra evidenziato, non può essere considerato frutto di extrapetizione.

Lo stesso Si.Gi., nel ricorso per cassazione, ha riportato per esteso le allegazioni della moglie, contenute nella memoria di costituzione per l’udienza presidenziale in Tribunale, ove, nel richiedere l’addebito della separazione al marito, aveva allegato atteggiamenti violenti, tradimenti e comportamenti denigratori dell’uomo nei suoi confronti, oltre che condotte contrarie al dovere di assistenza morale durante la grave malattia della donna, fino alla decisione di quest’ultima di allontanarsi della casa coniugale, dietro suggerimento dei familiari, per timore di reazioni aggressive del marito, che ormai si era reso conto della volontà della moglie di separarsi (p. 14 del ricorso per cassazione).

Si tratta di condotte precedenti all’allontanamento della donna dalla casa coniugale, da quest’ultima avvertite, e dedotte, come causa di una pregressa intollerabilità della convivenza.

Il medesimo ricorrente ha, inoltre, evidenziato che, in appello, la moglie aveva dato rilievo alla missiva inviata dal suo legale, con cui aveva chiesto la separazione, e alla scrittura di separazione sottoscritta da entrambi i coniugi il 10/12/2016, per affermare che in tale occasione i coniugi erano assolutamente consci della crisi coniugale e d’accordo sulla necessità di addivenire ad una soluzione condivisa, entrambi consapevoli che il matrimonio era “finito” (p. 16 del ricorso per cassazione).

Anche tali allegazioni costituiscono argomenti che la donna ha posto a supporto della intollerabilità della convivenza precedente all’allontanamento della donna.

Il giudice di merito, valutando in fatto le risultanze di causa, ha ritenuto provata la obiettiva intollerabilità della convivenza, avvertita dalla donna prima dell’allontanamento da casa, e non contrastata dal marito, anche se non ha accertato i fatti che la stessa ha posto come causa della menzionata condizione di disaffezione.

In altre parole, la Corte di merito ha fatto proprie solo in parte le allegazioni della donna, che aveva dedotto la pregressa intollerabilità della convivenza per fatto imputabile al marito, ritenendo provata, per le ragioni in fatto sopra indicate, semplicemente la ritenuta impossibilità di vivere ancora insieme, percepita dalla moglie e non contrastata dal marito.

(…) Il terzo motivo è infondato.

4.1. Come già evidenziato, la condizione di intollerabilità della convivenza può essere intesa anche in senso soggettivo, non essendo necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco di una sola delle parti, che sia verificabile in base a fatti obiettivi (così Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8713 del 29/04/2015; v. anche v. ancora Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 16698 del 05/08/2020).

In tale ottica, questa Corte ha di recente ritenuto dimostrata tale preesistente intollerabilità della convivenza dalla presentazione stessa del ricorso per separazione e dal successivo comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze negative del tentativo di conciliazione, dovendosi ritenere venuto meno, al ricorrere di tali evenienze, quel principio del consenso che caratterizza ogni vicenda del rapporto coniugale (v. ancora Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 16698 del 05/08/2020; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8713 del 29/04/2015).

Non si tratta di un’interpretazione che abroga la previsione normativa del dovere di coabitazione, perché, comunque, l’allontanamento presuppone l’accertamento di una condizione anche personale, non necessariamente condivisa tra i coniugi, che risulti comunque da dati obiettivi e, ovviamente, non sia la conseguenza della violazione di un altro obbligo matrimoniale da parte di chi compia tale scelta.  [ok]

La coabitazione, infatti, non è convivenza, perché quest’ultima si connota per una condivisione di vita che non è richiesta nella prima.

La coabitazione, ove la convivenza sia divenuta intollerabile anche per una sola persona della coppia, perde di significato coniugale, per il declino dei diritti e doveri reciproci che connotano il rapporto matrimoniale, e non può essere imposta come mero artificio esteriore.

4.3. Nel caso di specie la Corte d’appello ha dato applicazione ai principi enunciati, dando rilievo alla missiva inviata dal legale della moglie prima dell’allontanamento della casa coniugale, in cui quest’ultima ha manifestato la volontà di separarsi, la quale costituisce una obiettiva e inequivoca rappresentazione dell’impossibilità per la donna di continuare a vivere con il marito, seguita, dopo pochi mesi dall’allontanamento, dalla sottoscrizione da parte di entrambi i coniugi di un accordo che regolava le condizioni di separazione e prevedeva un assegno di mantenimento in favore della donna, cui si è aggiunta anche la constatazione, da parte del giudice di appello, che non una parola si leggeva negli atti difensivi del marito su eventuali condizioni della vita matrimoniale che avrebbero potuto rendere imprevedibile la scelta della donna (v. supra e p. 7 e ss. della sentenza impugnata)>>.