L’accertamento della macnanza delle condiuizoni ab initio per l’assegno di mantenimneto da seperazione fa nascere il credito alla restituzione da indebigto pagamento

Cass. sez. 1 del 14.11.2023 n. 31.635, rel. Pazzi:

<<Le Sezioni Unite di questa Corte, a questo proposito, hanno ritenuto che nel caso in cui si accerti nel corso del giudizio (all’interno della sentenza di primo o secondo grado) l’insussistenza ab origine, in capo all’avente diritto, dei presupposti per il versamento dell’assegno di mantenimento separativo, ancorché riconosciuto in sede presidenziale o dal giudice istruttore in sede di conferma o modifica, opera la regola generale della condictio indebiti (cfr. Cass., Sez. U., 32914/2022, dove, al punto 8.3, si precisa che “ove con la sentenza venga escluso in radice e “ab origine” (non per fatti sopravvenuti) il presupposto del diritto al mantenimento, separativo o divorzile, per la mancanza di uno “stato di bisogno” del soggetto richiedente (inteso, nell’accezione più propria dell’assegno di mantenimento o di divorzio, come mancanza di redditi adeguati)…. non vi sono ragioni per escludere l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite, ai sensi dell’art. 2033 c.c. (con conseguente piena ripetibilità)”).

Nel caso di specie la stessa Corte d’appello ha registrato (a pag. 7) che il primo giudice aveva rilevato che “la S. non (aveva) fornito prova sufficiente della esistenza dei presupposti richiesti per avere diritto all’assegno in questione”.

Il riconoscimento dell’originaria insussistenza dei presupposti per il versamento del contributo di mantenimento già riconosciuto in sede presidenziale determinava, quindi, la piena ripetibilità delle somme versate a tale titolo, a prescindere dal fatto che la richiedente avesse agito con mala fede o colpa grave>>.

La relazione investigativa costituisce prova atipica liberamente valutabile dal giudice nel processo di separazione dei coniugi

Cass. sez. I n° 15196 del 30 maggio 2023, rel. Tricomi:

<<Il motivo di ricorso in esame investe, non un fatto inteso in senso
storico e avente valenza decisiva, ma elementi probatori suscettibili
di valutazione, come appunto la relazione investigativa rientrante tra
le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi
dell’art. 116 cod.proc.civ., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi,
atteso che nell’ordinamento processuale vigente manca una norma
di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova (v. Cass. n.
7712/2023, proprio in tema di relazione investigativa; Cass. n.
1593/2017; Cass. n. 18025/2019; Cass. n. 3689/2021; su
accertamenti tramite agenzia investigativa v. anche Cass. n. 15094/
2018; Cass. n. 11697/2020)>>.

Sempre che non sia confermata dall’investigatore come testimone, naturalmente: a quel punto il mezzo probatorio -presumibilmetne più persuasivo- sarà la testimonianza.

(segnalazione di V. Cianciolo su Ondif)

La tolleranza di infedeltà pregressa è di ostacolo all’addebito della separazione? La Cassazione sulla separazione Ferragamo

E’ stato diffuso il testo di   Cass. 25.966 del 02.09.2022 sez. 1, rel. Mercolino dal collega Alessandro Casartelli.

La SC accoglie la critica al rigetto della domanda di addebito avanzata dal marito.

Premette che <<Grava dunque sulla parte che richieda l’addebito della separazione all’altro coniuge, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre spetta a chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi l’inidoneità dell’infedeltà a determinare l’intollerabilità della convivenza, fornire la prova delle circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire dell’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (cfr. Cass., Sez. VI, 19/02/2018, n. 3923; Cass., Sez. I, 14/02/2012, n. 2059). Ai fini di tale accertamento, è stata ritenuta peraltro irrilevante la prova della tolleranza eventualmente manifestata da un coniuge nei confronti della condotta infedele tenuta dall’altro, essendosi esclusa la configurabilità della stessa come “esimente oggettiva”, idonea a far venire meno l’illiceità del comportamento, o l’ammissibilità di una rinuncia tacita allo adempimento dei doveri coniugali, in quanto aventi carattere indisponibile, ed essendosi ritenuto che la sopportazione dell’infedeltà del coniuge possa essere piuttosto presa in considerazione, unitamente ad altri elementi, quale indice rivelatore di una crisi in atto da tempo, nell’ambito di una più ampia valutazione volta a stabilire se tra le parti fosse già venuta meno raffectio coniugalis (cfr. Cass., Sez. I, 20/09/2007, n. 19450; 27/06/1997, n. 5762; 2/03/1987, n. 2173)>>.

Va poi al caso sub iudice, con l’interessante precisaizone:

<< deve riternersi che la tolleranza manifestata dal ricorrente nei confronti della relazione extraconiugale intrapresa dalla moglie alcuni anni prima della proposizione della domanda in tanto potesse impedirgli di far valere la violazione del dovere di fedeltà, in quanto fosse stato dedotto e dimostrato che la predetta relazione non aveva costituito causa della crisi coniugale, all’epoca già in atto e mai più sanata, ovvero che la stessa era rimasta un episodio isolato, eventualmente dovuto ad un temporaneo appannamento del vincolo affettivo tra i coniugi, e superato da una piena e completa ripresa dei rapporti tra gli stessi, nuovamente deterioratisi in epoca successiva per altre ragioni.

A sostegno della domanda di addebito, il ricorrente aveva invece allegato e chiesto di essere ammesso a provare che la predetta relazione era stata seguita da altre, intraprese successivamente alla cessazione della prima e fino all’instaurazione del giudizio di separazione, in tal modo lasciando chiaramente intendere che la tolleranza da lui inizialmente manifestata nei confronti della condotta del coniuge era venuta meno, a causa della reiterata violazione del dovere di fedeltà da parte dello stesso, che aveva determinato il fallimento dell’unione. A fronte di tale allegazione, l’atteggiamento tenuto dal ricorrente nei confronti della prima relazione non poteva essere considerato sufficiente a giustificare il rigetto della domanda di addebito della separazione, a tal fine occorrendo prendere in esame la successiva evoluzione del rapporto coniugale, ed in particolare accertare se si fossero verificate nuove violazioni del dovere di fedeltà da parte della G., e quale fosse stata la reazione del F.: soltanto ove fosse risultato che a seguito delle cessazione della predetta relazione la vita coniugale era ripresa regolarmente senza ulteriori violazioni del dovere di fedeltà, oppure che la donna aveva intrapreso altre relazioni extraconiugali senza che l’uomo vi desse importanza, si sarebbe potuto concludere che non erano state le predette infedeltà ad impedire la prosecuzione della convivenza, divenuta intollerabile per altre ragioni, che avevano fatto venir meno l’affectio coniugalis.>>

Quindi cassa con rinvio.

Però non ritiene assorbito il motivo impugnatorio relativo alla determinazione dell’assegno: <<se è vero, infatti, che, ai sensi dell’art. 156 c.c., comma 1, l’esclusione dell’addebito costituisce presupposto indispensabile per il riconoscimento dell’assegno, è anche vero, però, che nel caso in cui la predetta statuizione dovesse trovare conferma a conclusione del giudizio di rinvio, la questione posta con il secondo motivo diverrebbe nuovamente rilevante, sicché non può escludersi l’interesse delle parti all’esame della stessa, il cui esito resta tuttavia condizionato a quello del riesame della domanda di addebito (cfr. Cass., Sez. I, 27/09/2017, n. 22602; Cass., Sez. III, 29/02/2008, n. 5513; 6/06/ 2006, n. 13259).>>. Motivo però che viene respinto perchè non in diritto ma sostanzialmente volto a rivalutare il giudizio fattuale, senza rispettare l’art. 360 n. 5 cpc

Affido super-esclusivo della figlia al padre e sindrome di alienazione parentale (PAS)

Forti perplessità dela Cassazione sulla scientificità della teoria c.d della sindrome di alienazione parentale (PAS), che non viene dunque valorizzata: con cassazione del provvedimento che aveva disposto l’affido c.d. super-esclusivo

Si tratta di Cass. 13217 de,. 17.05.2021, rel. Caiazzo.

Secondo la giurisprudenza , in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci <<comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena (Cass., n. 6919/16)>>

Inoltre quando sia stata esperita c.t.u. medico-psichiatrica (allo scopo di verificare le condizioni psico-fisiche del minore e conclusasi con un accertamento diagnostico di sindrome dell’alienazione parentale), il giudice di merito, nell’aderire alle conclusioni dell’accertamento peritale, <<non può, ove all’elaborato siano state mosse specifiche e precise censure, limitarsi al mero richiamo alle conclusioni del consulente, ma è tenuto – sulla base delle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti e ricorrendo anche alla comparazione statistica per casi clinici – a verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale e che risulti, sullo stesso piano della validità scientifica, oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale, dovendosi escludere la possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare (Cass., n. 7041/13).>>

Per cui nel caso concreto <<il contenuto e le conclusioni delle c.t.u. sono in molti punti generici e non chiari circa la ritenuta carenza delle capacità genitoriali della ricorrente>>.

In altri termini, il riferimento alla condotta tesa ad estraniare la figlia dal padre – sostanzialmente ricondotta alla cd. PAS, ovvero alla cd. “sindrome della madre malevola” – e la evidenziata conflittualità con l’ex-partner, <<non appaiono costituire fatti pregiudizievoli per la minore alla stregua della descrizione delle vicende occorse, tenuto comunque conto del controverso fondamento scientifico della sindrome PAS, cui le c.t.u. hanno fatto riferimento senza alcuna riflessione sulle critiche emerse nella comunità scientifica circa l’effettiva sussumibilità della predetta sindrome nell’ambito delle patologie cliniche. Sul punto, invero, va rimarcato che la Corte veneziana, esaminando le c.t.u., ha affermato che sarebbero state riscontrate psicopatologie nei confronti della ricorrente, intendendo di fatto che le stesse fossero da identificare nella citata PAS (o anche qualificata dal giudice di merito come “sindrome della madre malevola”), considerando l’assoluta mancanza di riferimenti ad altre ipotetiche patologie>>.

Sicchè nel caso specifico <<deve escludersi che la Corte d’appello, nel disporre l’affidamento esclusivo del minore al padre, abbia garantito il migliore sviluppo della personalità del minore stesso, escludendo l’affidamento condiviso su una astratta prognosi circa le capacità genitoriali della ricorrente fondata, in sostanza, su qualche episodio, sopra citato (pur grave) attraverso cui la madre avrebbe tentato di impedire che il padre incontrasse la bambina, senza però effettuare una valutazione più ampia, ed equilibrata, di valenza olistica che consideri cioè ogni possibilità di intraprendere un percorso di effettivo recupero delle capacità genitoriali della ricorrente, nell’ambito di un equilibrato rapporto con l’ex-partner, e che soprattutto valorizzi il positivo rapporto di accudimento intrattenuto con la minore, sebbene il riferimento della Corte di merito all’apparenza di tale rapporto costituisca una chiara conferma del fatto che il suo giudizio sia stato incentrato esclusivamente sul disvalore attribuito all’asserita PAS. Se è vero, in proposito, che i consulenti hanno riscontrato una forte animosità della ricorrente nei loro confronti e una certa refrattarietà a seguire i suggerimenti e le prescrizioni da loro impartite in ordine al rapporto con la minore e con l’ex partner, è altresì vero che proprio tali limiti caratteriali della madre avrebbero dovuto essere affrontati e valutati nella prospettiva di un’offerta di opportunità diretta a migliorare i rapporti con la figlia, in un percorso scevro da pregiudizi originati da postulate e non accertate psicopatologie con crismi di scientificità. Dagli atti emerge, invece, che le asprezze caratteriali della ricorrente sono state valutate in senso fortemente stigmatizzante, come espressione di un’ineluttabile ed irrecuperabile incapacità di esprimere le capacità genitoriali nei confronti della figlia, pur in mancanza di condotte di oggettiva trascuratezza o incuria verso quest’ultima, anche minime, o anche di mancata comprensione del difficile ruolo della madre. Al contrario, proprio il riferimento della Corte veneziana al buon rapporto di accudimento della minore da parte della ricorrente dimostra plasticamente il travisamento in cui lo stesso giudice d’appello è incorso nel ritenere che la B. fosse stata protagonista di un comportamento concretizzante l’invocata cd. PAS (dall’inglese: Parental Alienation Syndrome) desunto dalle predette condotte, attraverso, come esposto, un implausibile sillogismo la cui premessa principale è costituita da un ingiustificato severo stigma di comportamenti della madre fondato su un mero postulato>>.

E’ poi censurabile il  riferimento al padre <<quale unico genitore “in grado di dare equilibrio e serenità alla bambina”, affermazione che è il diretto precipitato di quanto argomentato sulla PAS. La pronuncia impugnata appare, dunque, essere espressione di una inammissibile valutazione di tatertyp, ovvero configurando, a carico della ricorrente, nei rapporti con la figlia minore, una sorta di “colpa d’autore” connessa alla postulata sindrome>>.

Il Collegio <<non intende (e non può) entrare nel merito della fondatezza scientifica della suddetta PAS, ma deve invece conclusivamente rilevare, in conformità dell’orientamento sopra citato, che i fatti ascritti dalla Corte territoriale alla ricorrente non presentano la gravità legittimante la pronuncia impugnata, in mancanza di accertate, irrecuperabili carenze d’espressione delle capacità genitoriali, considerando altresì il profilo, palesemente trascurato dalla stessa Corte di merito, afferente alle conseguenze sulla minore del c.d. “super-affido” della minore al padre in ordine alla conseguente rilevante attenuazione dei rapporti con la madre in un periodo così delicato per lo sviluppo fisio-psichico della bambina. Per quanto esposto, il decreto impugnato va cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in considerazione dell’opportunità che la causa sia trattata da altra Corte territoriale, anche perchè provveda sul regime delle spese del giudizio.>>

Separazione tra coniugi, costituzione di simil rendita vitalizia e successiva decisione sull’assegno divorzile

Cass. n. 11.012 del 26.04.2021 si occupa dell’incidenza dell’accordo post separazine sul giudizio circa l’assegno divorzile.

Il giudice di legittimità ribadisce che <<la giurisprudenza di questa Corte è costante nel sanzionare con la nullità gli accordi conclusi in sede di separazione in vista del futuro divorzio. In particolare, nella sentenza n. 2224 del 30/01/2017 (vedi anche Cass. 5302 del 10/03/2006) è stato enunciato il principio di diritto secondo cui gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio.>>p. 4-5

La corte rigetta l’utilzizabilit àòdel precedente Cass. 8109/2000 in cui l’accordo medio tempore inrevenuto (ante divorzio) era una transazione.

Il principio di diritto allora è : <<“In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito – credito portata da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell’uno e a favore dell’altro da versarsi “vita natural durante”, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)”.>>