Debito per assegno di mantenrimento e sopravvenienza di figli per il debiore

Cass.  sez. I, ORD. 12/03/2024,  n. 6.455, rel. Tricomi:

<<Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la quantificazione dell’assegno di mantenimento previsto in favore del figlio, deve tenere conto non solo delle “rispettive sostanze”, ma anche della capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, con espressa valorizzazione, oltre che delle risorse economiche individuali, anche delle accertate potenzialità reddituali (Cass. n. 6197/2005 e Cass. n. 3974/2002), in uno con la considerazione delle esigenze attuali del figlio (Cass. n. 4811/2018; Cass., n. 16739/2020 e Cass. n. 19299/2020), nonché dei tempi di permanenza dello stesso presso ciascuno dei genitori e della valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti (Cass. n. 17089/2013).

Inoltre, la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli con il nuovo partner, pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza che può incidere nella determinazione dell’importo dovuto in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico (Cass. n. 14175/2016; Cass. n. 21818/2021). [o incide o non incide: non può essere che “possa incidere”]

Nel caso in esame, la Corte di merito non si è attenuta ai principi ricordati, essendo la motivazione sul raddoppio del mantenimento della figlia minore del tutto generica ed apodittica, oltre che costituente violazione delle norme succitate, essendo fondata sul solo presuntivo incremento delle esigenze della minore e sulla valorizzazione della più ampia permanenza temporale presso la madre, atteso che non vengono in alcun modo illustrate le ragioni del così cospicuo aumento, né vengono presi in esame ad alcun titolo i sopravvenuti oneri di mantenimento rispetto alla nuova prole dello Za.Ma>>.

E poi sul tema in generale ripete le note consideraizoni della sezione (anzi del relatore):

<<Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. Sez. U. n.18287/2018).

Nella specie, la Corte d’appello – pur avendo accertato che, al momento della decisione, la moglie aveva quasi cinquanta anni, che la medesima, pur essendo laureata, si era sempre dedicata alla cura della figlia, pur avendo ricevuto diverse proposte di lavoro, e che aveva comunque cercato di lavorare, trasferendosi all’estero – ha negato l’assegno, sulla base del riscontro di un diritto di abitazione acquisito su di una casa in Firenze e della nuda proprietà di altra abitazione, senza effettuare ulteriori accertamenti sui redditi effettivi della medesima, e sulla sua ipotetica autosufficienza economica. La Corte ha, poi, del tutto omesso di effettuare una valutazione comparativa con i redditi del marito, neppure indicati, e sul contributo dato dalla donna alla formazione del patrimonio familiare, rinunciando ad accettare le proposte di lavoro dalla stessa Corte elencate>>.

Determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli da separazione o divorzio: irrilevanti le liberalità ai figli da parte dell’obbligato

Cass. sez. I, ord. 07/03/2024  n. 6.111, rel. Valentino:

<<L’assegno dovuto al coniuge separato o divorziato, per il mantenimento dei figli ad esso affidati, non può subire riduzioni o detrazioni in relazione ad altre elargizioni del coniuge obbligato in favore dei figli medesimi, ove queste risultino effettuate per spirito di liberalità per soddisfare esigenze ulteriori rispetto a quelle poste a base del predetto assegno, sicché restino ricollegabili ad un titolo diverso (Cass., n. 12212/1990). Nella specie, la Corte ha correttamente accertato che si trattava di un mutuo contratto a favore della figlia a scopo di liberalità, vivendo la medesima con il padre.

Inoltre, in assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all’assegno di divorzio, in linea di principio, di per sè permane, nella misura stabilita dalla sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche se il suo titolare instauri una convivenza “more uxorio” con altra persona, salvo che sussistano i presupposti per la revisione dell’assegno, secondo il principio generale posto dall’art. 9, comma 1, l. 1° dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 13 l. 6 marzo 1987, n. 74: e cioè che sia data la prova, da parte dell’ex coniuge onerato, che tale convivenza ha determinato un mutamento “in melius” – pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidato e protraendesi nel tempo – delle condizioni economiche dell’avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, o quanto meno di risparmi di spesa derivatigli dalla convivenza. La relativa prova, pertanto, non può essere limitata a quella della mera instaurazione e del permanere di una convivenza “mora uxorio” dell’avente diritto con altra persona, essendo detta convivenza di per sè neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche del titolare, potendo essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio, e dovendo l’incidenza economica di detta convivenza essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano (Cass., n. 1557/2004; Cass., n. 21080/2004; cfr., da ultimo, Cass. S.U. 32198/2021)>>.

Precisazioni sull’assegno (separatorio) di mantenimento e su quello divorzile

Cass. 12/12/2023  n. 34.728, rel. Russo:

<<Questa Corte ha invero affermato che in presenza di una convivenza stabile si deve presumere che le risorse economiche vengano messe in comune, salvo la prova contraria data dall’interessato (Cass.16982/2018). E però, perché possa legittimamente farsi ricorso a detta presunzione, occorre preventivamente accertare che si tratti di una relazione non solo “affettiva” ma di un rapporto stabile e continuativo, ispirato al modello solidale che connota il matrimonio, che non necessariamente deve sfociare in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche, gravando il relativo l’onere probatorio sulla parte che neghi il diritto all’assegno (Cass. n. 3645 del 07/02/2023).

Questa Corte ha inoltre affermato, in tema di divorzio, che, ove sia richiesta la revoca dell’assegno in favore dell’ex coniuge a causa dell’instaurazione da parte di quest’ultimo di una convivenza “more uxorio”, il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale (Cass. n. 14151 del 04/05/2022).

6.1.- Questo orientamento, pienamente condivisibile, va qui ribadito, con le opportune precisazioni in ordine alle ragioni per le quali la convivenza può comportare la perdita dell’assegno di separazione. [non condivisibile: la convivenza non dà diritto ad alcuna stabilità, è puro fatto]

In tema di assegno divorzile, infatti, è principio consolidato che qualora sia instaurata una stabile convivenza tra un terzo e l’ex coniuge, viene meno la componente assistenziale all’assegno divorzile, e se ne perde il correlativo diritto, ma non viene meno la componente compensativa, qualora l’interessato alleghi e dimostri non solo di essere privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, ma anche, nel caso concreto, il comprovato emergere di un contributo dato alle fortune familiari e al patrimonio dell’altro coniuge (Cass. sez. un. 32198 del 05/11/2021; Cass. n. 14256 del 05/05/2022). Di conseguenza qualora sia stato il coniuge divorziato ad intraprendere una nuova relazione familiare di fatto, non necessariamente ciò comporta il venire meno dell’assegno di divorzio, perché, anche rimodulato nel quantum, il diritto può essere mantenuto.

Assegno di divorzio ed assegno di mantenimento sono però diversi quanto a natura presupposti e funzioni; e segnatamente, l’assegno di mantenimento che il coniuge privo di mezzi può ottenere in sede di separazione è privo della componente compensativa, consistendo nel diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario mantenimento, in mancanza di adeguati redditi propri (art. 156 c.c.).

Nel quadro normativo del codice civile la separazione dei coniugi ha funzione conservativa, pur se la legge sul divorzio le ha affiancato anche una funzione dissolutiva, tanto che questa Corte ha affermato che in tema di crisi familiare, in ragione dell’unica causa della crisi, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis c.p.c., comma 1 è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto anche con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Secondo l’id quod prelumque accidit, si osserva che la crisi separativa conduce, sia pure attraverso la disciplina di una graduazione e assottigliamento delle posizioni soggettive (diritti e doveri) dei coniugi, dal fatto separativo e con altissima probabilità all’esito divorzile successivo (Cass. n. 28727 del 16/10/2023).

La funzione conservativa della separazione, ad oggi, si invera prevalentemente nel riconoscimento del diritto del coniuge economicamente debole a mantenere lo stesso tenore di vita. In fase di separazione infatti alcuni doveri matrimoniali vengono meno (ad esempio l’obbligo di coabitazione) oppure si attenuano (ad esempio l’obbligo di fedeltà), ma è essenzialmente conservata la solidarietà economica, espressione del principio costituzionale di parità dei coniugi, che si esprime nel dovere di assistenza, in ragione della quale il coniuge cui non sia addebitabile la separazione ha diritto a mantenere lo stesso tenore di vita matrimoniale e quindi a ricevere un assegno di mantenimento dal coniuge economicamente più forte.

In termini, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (Cass. n. 12196 del 16/05/2017; conf. Cass. n. 16809 del 24/06/2019; Cass. n. 4327 del 10/02/2022).

Il diritto all’assegno di mantenimento è quindi fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale; il principio di parità richiede che tale sostegno sia reciproco, senza graduazioni o differenze, ma anche solidale, il che significa che chi ha maggiori risorse economiche deve condividerle con chi ne ha di meno. In ogni caso, il coniuge economicamente debole deve essere consapevole che la separazione è una condizione di possibile, anzi probabile, breve durata e che nella maggior parte dei casi non prelude a una riconciliazione bensì allo scioglimento del vincolo, in seguito al quale l’assegno di divorzio è riconosciuto -se riconosciuto- sulla base di diversi presupposti e prescindendo dal rapporto con il tenore di vita (Cass. civ. sez. un. 18287/2018).

Tuttavia, finché perdura lo stato di separazione resta attiva la solidarietà matrimoniale, che si concreta nel dovere di assistenza tra coniugi, sebbene diversamente attuato che in costanza di convivenza, e cioè con una prestazione patrimoniale periodica, perché i coniugi non vivono più insieme; ed è attivo anche – di conseguenza – il legame con il modello matrimoniale concretamente vissuto dai coniugi e cioè il pregresso tenore di vita. Ciò non significa che detto legame non possa essere spezzato per effetto di una scelta volontaria, ed in tal senso la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato che durante la separazione personale, la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, operando una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica (Cass. n. 32871 del 19/12/2018).

7.- Il Collegio ritiene di aderire a tutt’oggi a questo orientamento, considerando che l’assegno di mantenimento è fondato – come sopra si diceva – sulla persistenza di uno dei doveri matrimoniali e non ha – a differenza dell’assegno di divorzio – componenti compensative.

Nel nostro ordinamento il modello di relazione familiare tra due adulti, sia essa fondata sul matrimonio, che sulla unione civile, che su un rapporto di fatto, è un modello monogamico: non è consentito contrarre matrimonio o unione civile se si è già vincolati da analogo legame, e neppure stipulare validi patti di convivenza se si è legati da altro vincolo matrimoniale o da altra convivenza regolata da patto (L. n. 76 del 2016, comma 57, art. 1, che prevede in tal caso la nullità insanabile del patto).

L’ordinamento non tollera la concorrenza di due vincoli solidali fondati sullo stesso tipo di relazione, e pertanto il coniuge separato non può al tempo stesso beneficiare dell’assistenza materiale del dell’altro coniuge e della assistenza materiale del (nuovo) convivente.

Quanto sopra esposto rende evidente l’errore della Corte d’appello di Lecce che non ha accertato, iuxta alligata et probata, e a fronte della contestazione della ricorrente sull’assenza di prova di una convivenza stabile, le caratteristiche del legame tra l’odierna ricorrente l’uomo di cui si parla nella relazione investigativa, e non ha spiegato le ragioni per cui, in relazione a quanto accertato, ha ritenuto di revocare l’assegno di mantenimento.

Di conseguenza, in accoglimento del quarto motivo di ricorso, respinti gli altri, la sentenza in esame deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione per un nuovo esame attenendosi ai seguenti principi di diritto:

7.1.- “In tema di crisi familiare, se durante lo stato di separazione il coniuge avente diritto all’assegno di mantenimento instaura un rapporto di fatto con un nuovo partner, che si traduce in una stabile e continuativa convivenza, ovvero, in difetto di coabitazione, in un comune progetto di vita connotato dalla spontanea adozione dello stesso modello solidale che connota il matrimonio, caratterizzato da assistenza morale e materiale tra i due partner, viene meno l’obbligo di assistenza materiale da parte del coniuge separato e quindi il diritto all’assegno.

La prova dell’esistenza di un tale legame deve essere data dal coniuge gravato dall’obbligo di corrispondere assegno.

Dalla prova della stabilità e continuità della convivenza può presumersi, salvo prova contraria, che le risorse economiche siano state messe in comune; ma nel caso in cui difetti la coabitazione, la prova dovrà essere rigorosa, dovendosi dimostrare che, stante il comune progetto di vita, i partner si prestano assistenza morale e materiale”>>

La rinuncia all’eredità non incide sul proprio credito al’assegno di mantenimento

<<Il nostro ordinamento conosce il principio della libertà nella accettazione della eredità ex art. 470 c.c., involgendo questa sia scelte di convenienza economica – dato che l’erede è tenuto al pagamento dei debiti – nonché scelte di carattere personalissimo, legate alle relazioni con il de cuius.
Pertanto, la rinuncia all’eredità da parte di uno dei coniugi non comporta automaticamente la perdita del rinunciante ad ottenere l’assegno di divorzio>> (Cass. sez. I, ord. 16 maggio 2023 n. 13.351, rel. Russo Rita).

(massima di Cianciolo Valeria in osservatoriofamiglia.it)

Revisione dell’assegno di mantenimento dei figli e sua retroattività

In relazione all’art. 337 ter c.c. e in  una complessa lite tra genitori non legati da matrimonio sulla determinazione dell’assegno di mantenimento della figlia, offre utili precisazioni Cass. sez. I del 26.04.2023 n. 10.974, rel. Iofrida, circa la retroattività della sua revisione:

<<Anche le disposizioni di natura economica attinenti ai figli sono soggette a modifica nel caso di variazione dei presupposti sui cui si fondava la decisione precedente.

Questa Corte ha affermato il principio secondo cui in materia di revisione dell’assegno di mantenimento per i figli, il diritto di un coniuge a percepirlo ed il corrispondente obbligo dell’altro a versarlo, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di separazione o dal verbale di omologazione, conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modifica di tali provvedimenti, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui, di fatto, sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza dal momento dell’accadimento innovativo, anteriore nel tempo rispetto alla data della domanda di modificazione (Cass. 16173/2015; Cass. n. 3922/2012; Cass. 11913/2009; Cass., n. 28/2008; Cass., n. 19722/2008; Cass., n. 22941/2006; Cass., n. 6975/2005; Cass., n. 8235/2000).

Da ultimo, Cass. 4224/ 2021 ha chiarito che “la decisione del giudice relativa al contributo dovuto dal genitore non affidatario o collocatario per il mantenimento del figlio non ha effetti costitutivi, bensì meramente dichiarativi di un obbligo che è direttamente connesso allo “status” genitoriale e il diritto alla corresponsione del contributo sussiste finché non intervenga la modifica di tale provvedimento, sicché rimane ininfluente il momento in cui sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’obbligo, decorrendo gli effetti della decisione di revisione sempre dalla data della domanda di modificazione”.

(…)  Nella motivazione [di Cass. sez. un. sez. un. n. 32914 del 8 novembre 2022]  si è tuttavia, in particolare, evidenziato come: a) non vi è una norma che sancisce la irripetibilità dell’assegno in senso stretto alimentare provvisoriamente concesso, e dunque, a fortiori, non potrebbe affermarsi, per via analogica, la irripetibilità dell’assegno di mantenimento separativo o divorzile provvisoriamente (o comunque non definitivamente) attribuito; b) un temperamento al principio di piena ripetibilità trova giustificazione solo per ragioni equitative, sulla base dei principi costituzionali di solidarietà umana (Cost., art. 2) e familiare in senso ampio (Cost., art. 29), e solo nella misura in cui si esoneri il soggetto beneficiario dal restituire quanto percepito provvisoriamente anche “per finalità alimentare”, sul presupposto che le somme versate in base al titolo provvisorio siano state verosimilmente consumate per far fronte proprio alle essenziali necessità della vita (arg. ex art. 438, comma 2 c.c.); c) occorre, allora, dare il giusto rilievo alle esigenze equitative e solidaristiche anche con riferimento alla crisi della famiglia, nel cui ambito si collocano gli assegni di mantenimento, esigenze che inducono a temperare la generale operatività della regola civilistica della ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c.), nel quadro di una interpretazione costituzionalmente orientata della stessa; d) non si tratta di dettare una regola di “automatica irripetibilità” delle prestazioni rese in esecuzione di obblighi di mantenimento, quanto di operare un necessario bilanciamento tra l’esigenza di legalità e prevedibilità delle decisioni e l’esigenza, di stampo solidaristico, di tutela del soggetto che sia stato riconosciuto parte debole del rapporto; e) ove con la sentenza venga escluso in radice e “ab origine” (non per fatti sopravvenuti) il presupposto del diritto al mantenimento, separativo o divorzile, per la mancanza di uno “stato di bisogno” o, comunque, per la insussistenza di una sperequazione tra redditi tra i soggetti della coppia in crisi, ovvero sia addebitata la separazione al coniuge che, nelle more, abbia goduto di un assegno con funzione non meramente alimentare, non vi sono ragioni per escludere l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite, ai sensi dell’art. 2033 c.c. (con conseguente piena ripetibilità); f) invece, non sorge, a favore del coniuge separato o dell’ex coniuge, obbligato o richiesto, il diritto di ripetere le maggiori somme provvisoriamente versate sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione) sia nel caso in cui l’assegno stabilito in sede presidenziale (o nel rapporto tra la sentenza definitiva di un grado di giudizio rispetto a quella, sostitutiva, del grado successivo) venga rimodulato “al ribasso”, il tutto sempre se l’assegno in questione non superi la misura che garantisca al soggetto debole di far fronte alle normali esigenze di vita della persona media, tale che la somma di denaro possa ragionevolmente e verosimilmente ritenersi pressoché tutta consumata, nel periodo per il quale è stata prevista la sua corresponsione; g) l’entità, necessariamente modesta, di tale somma di denaro non può essere determinata in maniera fissa e astratta essendosi ritenuta necessaria una valutazione personalizzata e in concreto, la cui determinazione è riservata al giudice di merito, valutate tutte le variabili del caso concreto, la situazione personale e sociale del coniuge debole, le ragionevoli aspettative di tenore di vita ingenerate dal rapporto matrimoniale ovvero di non autosufficienza economica, nonché il contesto socioeconomico e territoriale in cui i coniugi o gli ex coniugi sono inseriti.

Nella fattispecie in esame, si discute, in sede di giudizio avviato nel settembre 2012 per la modifica delle condizioni concordate dai genitori nel 2002 e trasposte nel decreto presidenziale del 29/10/2002, riguardanti l’affidamento ed il mantenimento della figlia nata dalla loro unione al di fuori del matrimonio, dell’intervenuta rimodulazione al ribasso, in via provvisoria, nel corso del giudizio, da Euro 1.500,00 + 500,00 (a titolo di contributo per il canone locatizio) a Euro 1.000,00, oltre spese straordinarie, dell’ assegno di mantenimento della figlia, minorenne prima e poi maggiorenne ma non autosufficiente economicamente (per quanto risulta), che viveva, sino al luglio 2016, presso la madre.

Ora, l’assegno in oggetto ha comunque natura para-alimentare, rispondendo il contributo al mantenimento dei figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti economicamente, al pari degli alimenti, alla necessità di sopperire, in rapporto alle esigenze anche presunte in relazione all’età, agli studi, etc…, ai bisogni di vita della persona, sia pure in un’accezione più ampia e pur non essendo necessario uno stato di indigenza, come negli alimenti (cfr. sul carattere “sostanzialmente alimentare” dell’assegno Cass. 28987/2008; Cass. 13609/2016; Cass. 23569/2016; Cass. 11689/2018).

Deve quindi affermarsi che, in ogni ipotesi di riduzione del contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti provvisori adottati, è esclusa la ripetibilità della prestazione economica eseguita; il diritto di ritenere quanto è stato pagato non opera nell’ipotesi in cui sia accertata la non sussistenza, quanto al figlio maggiorenne, ab origine dei presupposti per il versamento (vale a dire la non autosufficienza economica, in rapporto all’età ed al percorso formativo e/o professionale sul mercato del lavoro avviato, Cass. 38366/21) e sia disposta la riduzione o la revoca del contributo, con decorrenza comunque sempre dalla domanda di revisione o, motivatamente, da periodo successivo>>.

Assegno divorzile e nuova convivenza del coniuge creditore

Cass.sez. 1 del 31.01.2023 n. 2840, rel. Conti:

<<In effetti, la Corte di appello si è pienamente uniformata ai principi espressi da questa Corte in ordine all’esistenza di una convivenza di fatto, valorizzando l’esistenza di uno stabile rapporto di convivenza collegato anche al coinvolgimento nel progetto comune di figli della coppia – cfr., infatti, Cass., S.U. n. 32198 del 2012 ove si è chiarito che quanto al contenuto della prova della convivenza, in virtù del dovere di assistenza reciproca, anche materiale, che scaturisce dalla convivenza di fatto (in base alla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37), deve ritenersi che il coniuge onerato dell’obbligo di corrispondere l’assegno possa limitarsi a provare l’altrui costituzione di una nuova formazione sociale familiare stabile, e che non sia onerato del fornire anche la prova (assai complessa da reperire, per chi è estraneo alla nuova formazione familiare) di una effettiva contribuzione, di ciascuno dei conviventi, al menage familiare, perchè la stessa può presumersi, dovendo ricondursi e fondarsi sull’esistenza di obblighi di assistenza reciproci -. E nello stesso contesto le Sezioni Unite hanno aggiunto che ai fini del riconoscimento del carattere di stabilità della convivenza potrà farsi riferimento, come indica della L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37, alla dichiarazione anagrafica ivi indicata, se effettuata, o ad altri indici di stabilità in concreto (quali, a titolo esemplificativo, l’esistenza di figli della nuova coppia, la coabitazione, l’avere conti correnti in comune, la contribuzione al menage familiare)>>.

Principio errato, anche perchè non sorge alcun dovere di mantenimento in caso di convivenza di fatto.    Erroneo è il rif. al co. 37 dell’art. 1 L. 76 del 2016 : qui l’ “assistenza materiale” è solo una situazione fattuale da cui la legge desume il ricorrere del concetto di “convivenza di fatto” (cioè è un sintagma descrittivo, non prescrittivo), alla quale poi applica la nuova disciplina . Quest’ultima però nulla dispone  circa diritti di mantenimento durante la convivenza, ma solo quello agli alimenti dopo la cessazione (co. 65)

Separazione personale, permanenza del vincolo coniugale e determinazione dell’assegno di mantenimento

Cass . , sez. I, ord., 23 marzo 2023 n. 8254:

<<7.1. — Costituisce principio interpretativo ormai acquisito che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 cod. civ., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (cfr. Cass. 12196/2017; id. 16809/2019; id. 5605/2020; id.4327/2022).
7.2. — Ciò posto è stato altresì precisato, in relazione allo stato di bisogno che giustifica il contributo e rispetto al quale rilevano sia i redditi percepiti dal coniuge richiedente che la sua capacità lavorativa, che l’attitudine al lavoro proficuo valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, è costituita dalla effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l’accertamento al solo mancato svolgimento di un ‘attività lavorativa e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass.24049/2021).
7.3. — Ebbene, nel caso di specie la corte territoriale non si è attenuta a questi principi là dove ha respinto la domanda di mantenimento della sig.ra D’E. senza alcuna considerazione, da un canto del tenore di vita matrimoniale, ed ancora rilevante ai fini del contributo di mantenimento, e dall’altro, all’effettiva possibilità di reperire un lavoro adeguato nella zona di trasferimento (Monte di Procida prima e San Prisco dopo).
7.4.— Infatti, per quanto riguarda il tenore di vita non è contestato che la famiglia abbia potuto beneficiare di una buona disponibilità finanziaria assicurata dal lavoro del sig. P. – conduttore radiofonico e disc-jochey, noto con lo pseudonimo di R. F. – e che ciò sia proseguito anche dopo il trasferimento in Campania della sig.ra D’E. con la figlia mediante il versamento da parte del marito della somma mensile di circa euro 3.400,00 (euro 2000,00 oltre euro 700,00 per affitto ed oltre euro 700,00 per la governante).
7.5.— Tale disponibilità non è stata considerata dalla corte territoriale mentre è in realtà rilevante ai fine di ricostruire l’effettivo livello di vita matrimoniale e il contributo dalla stessa fornito.
7.6.— Inoltre, la corte d’appello non ha considerato l’effettiva possibilità per la sig.ra D’E. di reperire un’adeguata attività lavorativa, in una regione che conosce notoriamente tali problemi, ma anche in ragione delle caratteristiche specifiche delle esigenze di cura della figlia e delle difficoltà, pure riconosciute, quali l’indisponibilità di un mezzo di trasporto personale.
7.7. — A questo riguardo, infatti, la corte territoriale ha motivato erroneamente il rigetto con la “poco incisiva” ricerca di un posto di lavoro allegata dall’appellante e con il mancato riferimento all’eventuale richiesta del reddito di cittadinanza, in una prospettiva astratta che non può automaticamente condurre ad escludere l’osservanza dell’obbligo, ancora normativamente esistente in sede separativa, di assistenza materiale a favore del coniuge che non disponga di propri mezzi adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale. >>

Sulla retroattività o meno della modifica in corso di causa degli assegni di mantenimento e divorzili inizialmente disposti hanno deciso le Sezioni Unite

Cass. sez. un. n. 32914 del 8 novembre 2022, rel. Iofrida , si sono pronunciate sul punto in oggetto con lunga sentenza qqui ricordata solo sul principio di diritto (largamente -ma non totalmente- incline verso la retroattività e quindi la ripetibilità):

«In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere:

a) opera la «condictio indebiti» ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione «del richiedente o avente diritto», ove si accerti l’insussistenza «ab origine» dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile;

b) non opera la «condictio indebiti» e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, «delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)», sia se viene effettuata (sotto il profilo del quantum) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica;

c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità».

Significativa è l’analisi del concetto di assegno alimentare e della presunta sua irripetibilità in caso di successiva modifca o cancellazione.

In generale è logico che la statuzione definitiva metta nel nulla tutti gli effetti giuiridici prodotti dalle statuizioni anteriori , come tali provvisorie (tutte quelle anteriori al giudicato).

L’assegno di mantenimento da separazione è diverso da quello divorzile

Cass., sez. 1, 13.09.2022 n. 26.890, rel. Lamorgese:

L’appello riduceva l’assegno a favopre del marito così motiovando:

<<Il G., all’epoca della separazione nel 2012, aveva quarantasette anni ed era dotato di piena capacità lavorativa e notevole professionalità, avendo goduto di un ottimo stipendio fino al 2007, quando aveva lasciato il lavoro per dedicarsi all’accudimento del figlio (bisognoso di sostegno e di essere seguito nelle attività sportive) e alla cura della prestigiosa abitazione coniugale acquistata con proventi della moglie; egli “era dotato di tutte le risorse personali e professionali per provvedere autonomamente al proprio dignitoso mantenimento” ed era diventato istruttore di tecnica equestre, né aveva dimostrato che le somme erogategli dalla moglie (indicate dal ricorrente in circa Euro 10000,00 al mese) servissero per le proprie esigenze personali piuttosto che per i bisogni del figlio; il G. non contribuiva al mantenimento del figlio, al quale provvedeva la T.; il tenore di vita del G. aveva subito “un rilevante ridimensionamento, con la perdita dell’abitazione familiare… e la necessità di reperire altra abitazione a pagamento, non disponendo egli di proprietà immobiliari”, sicché l’assegno mensile di Euro 300,00 serviva “per consentirgli di disporre di una adeguata abitazione”; dal canto suo, la T. “continua a godere del tenore di vita precedente alla separazione, grazie alle sue numerose proprietà immobiliari e ai proventi che le derivano dalla sua famiglia, pur dovendo provvedere in via esclusiva a mantenere il figlio”>>.

La Sc però accoglie , così censurandolo

<<Da queste argomentazioni traspare che il criterio seguito per la quantificazione del contributo di mantenimento a favore del G. non è quello seguito dalla giurisprudenza di legittimità, che è espresso dal principio secondo cui i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione, stante la permanenza del vincolo coniugale e l’attualità del dovere di assistenza materiale, derivando dalla separazione – a differenza di quanto accade con l’assegno divorzile che postula lo scioglimento del vincolo coniugale – solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione (ex plurimis, Cass. 5605 del 2020, 16809 del 2019, 12196 del 2017).

Ed infatti, il contributo di mantenimento in favore del G. non è stato quantificato in misura idonea a garantirgli, in via tendenziale, la conservazione del tenore di vita matrimoniale – che, come accertato dalla Corte di merito, aveva subito un rilevante ridimensionamento dopo la separazione, contrariamente alla T., la quale poteva contare su notevoli risorse a sua disposizione – ma solo a consentirgli di procurarsi una abitazione, nell’ottica di un aiuto a provvedere al proprio “dignitoso mantenimento”.

Apodittica è l’affermazione secondo cui il G. sarebbe titolare di idonee risorse personali e professionali, essendo priva di una comprensibile esplicitazione dei fatti idonei a corroborarla. Ne’ è chiaro il significato dell’ulteriore affermazione secondo cui “egli peraltro ha goduto per quattro anni di un contributo mensile da parte della moglie di Euro 1500,00 mensili (attribuitogli in sede presidenziale)”, non comprendendosi se e quali elementi rilevanti la Corte ne abbia tratto sul piano decisorio.

Si tratta di una motivazione in fatto perplessa e sostanzialmente apparente, dunque censurabile in sede di legittimità>>.

La Cassazione sulla revisione dell’assegno divorzile di mantenimento dei figli

Precisazioni da  Cass. 12 luglio 2022 n. 22.075, sez. 1, rel. Reggiani.

1) <Come più volte affermato da questa Corte, il principio sancito dall’art. 337 quinquies c.c., secondo cui i genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni relative ai figli (affidamento e contributo al mantenimento) va, infatti, coniugato con i principi che regolano il relativo procedimento. Il che comporta che il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti di siffatte statuizioni sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in seno al precedente titolo e, dunque, non può dare ingresso a fatti anteriori alla definitività del titolo stesso, o a quelli che comunque avrebbero potuto essere fatti valere con gli strumenti concessi per impedirne la definitività, dovendo quel giudice limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’assetto tenuto in considerazione in sede di formazione del titolo (v. da ultimo, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 283 del 09/01/2020; con riferimento alle statuizioni relative ai figli nati fuori del matrimonio, assimilate a quelle adottate in sede di separazione e divorzio che riguardano i figli di coppie coniugate, v. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 18608 del 30/06/2021, ove a fondamento della richiesta di revisione del contributo al mantenimento sono state poste solo modifiche delle condizioni economiche; v. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6132 del 26/03/2015, Rv. 634872-01 e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3192 del 07/02/2017, Rv. 643720-01)>.

Punto importante, da certa dottrina avversato.

2) <<5.5. In tale ottica, perché possa essere operata la revisione del contributo al mantenimento del figlio, non basta che si determini un mutamento di alcuni dei parametri di riferimento previsti dall’art. 337 ter c.c., comma 4, essendo necessario che tale mutamento comporti un’alterazione del principio della proporzionalità che aveva determinato la misura dell’assegno in questione.

In particolare, se sono ritenute esistenti maggiori spese per il mantenimento del figlio (art. 337 ter c.c., comma 4, n. 1), ciò non comporta un automatico aumento del contributo al mantenimento a carico del genitore obbligato, perché deve sempre essere garantito il rispetto del sopra menzionato principio della proporzionalità, da verificarsi in base ai parametri sopra indicati ai nn. 3, 4, e 5 dell’art. 337 ter c.c.

Ciò significa che, se risultano immutati tutti gli altri elementi di valutazione, che attengono al riparto interno dell’obbligo di mantenimento, l’aumento delle spese di mantenimento legate alla crescita del figlio, in relazione alle specifiche esigenze di quest’ultimo, deve comportare un aumento del contributo al mantenimento gravante sul genitore obbligato, perché altrimenti le maggiori spese graverebbero ingiustamente solo sull’altro.>>

In sintesi, <a fronte della richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento dei figli minorenni o maggiorenni e non autosufficienti economicamente giustificata dall’insorgenza di maggiori oneri legati alla crescita di questi ultimi, il giudice di merito, che ritenga esistenti tali maggiori spese, non è chiamato ad accertare l’esistenza di sopravvenienze nel reddito del genitore obbligato in grado di giustificare l’aumento del contributo, ma deve limitarsi a verificare se tali maggiori spese comportino la necessità di rivedere l’assegno per assicurare la proporzionalità del suo contributo alla luce dei parametri fissati dall’art. 337 ter c.c., comma 4, ben potendo l’incremento di spesa determinare un maggiore contributo con redditi (dei genitori) immutati (o mutati senza modificare la rispettiva debenza), ovvero non incidere sulla misura del contributo, ove le attuali consistenze economiche dei genitori non rilevino per la misura del contributo, come già determinato.>

Rifoprmulato nel principio di diritto <<“Nel giudizi separativi, a fronte della richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento dei figli (minorenni o maggiorenni e non autosufficienti economicamente), giustificata dall’insorgenza di maggiori oneri legati alla crescita di questi ultimi, il giudice di merito, che ritenga necessarie tali maggiori spese, non è tenuto, i via preliminare, ad accertare l’esistenza di sopravvenienze nel reddito del genitore obbligato, ma a verificare se tali maggiori spese comportino la necessita di rivedere l’assegno, ben potendo l’incremento di spesa determinare un maggiore contributo anche a condizioni economiche dei genitori immutate (o mutate senza alterare le proporzioni delle misure di ciascuno dei due), ovvero non incidere sulla misura del contributo di uno o di entrambi gli onerati, ove titolari di risorse non comprimibili ulteriormente.”>>

3)  <E’ stato già evidenziato come l’art. 337 ter c.c. preveda che il riparto tra i genitori degli oneri legati al mantenimento dei figli sia regolato dal principio della proporzionalità al reddito di ciascuno. Ciò comporta che il genitore che gode di redditi maggiori sostiene maggiori spese anche se la proporzione tra spese e reddito è la stessa. E’ dunque evidente che la misura del contributo di ciascuno di essi dipende dalla misura del contributo dell’altro, sempre regolato dal principio della proporzionalità. E’ per questo che, in modo inequivoco, l’art. 337 ter c.c., comma 4, n. 4), espressamente indica, tra i parametri per la determinazione del contributo al mantenimento del figlio, le risorse economiche di entrambi i genitori.

Tale considerazione non cambia, ove la valutazione debba essere fatta in sede di revisione del contributo in questione, poiché, come sopra evidenziato, le sopravvenienze poste a fondamento della richiesta di modifica di tale contributo devono essere tali da incidere sulla proporzione che regola il riparto delle spese tra genitori.

In particolare, anche quando sia posta a fondamento della richiesta di modifica del contributo l’insorgenza di maggiori spese legate alla crescita dei figli, ove – come nella specie – sia controversa la permanenza della stessa situazione economica dei coniugi rispetto al tempo della determinazione originaria dell’assegno, il giudice è chiamato ad effettuare la valutazione delle risorse economiche di entrambi i genitori, proprio per valutare se la sopravvenienza dedotta incide o meno sull’ammontare del contributo gravante sul genitore obbligato in applicazione del principio della proporzionalità.

L’accertamento non deve essere limitato alle consistenze dell’obbligato, ma al reddito e al patrimonio di entrambi i genitori, per verificare se la sopravvenienza dedotta ha alterato la proporzione che regola, tra loro, il riparto dell’obbligo di contribuzione al mantenimento dei figli, giustificando un aumento del contributo al mantenimento da parte del genitore a ciò obbligato.

Nel caso di specie, la Corte di appello, ha effettuato tale valutazione e ha escluso che la sopravvenienza dedotta abbia inciso sul menzionato rapporto di proporzionalità, affermando che, se vi era stato un miglioramento delle condizioni economiche, quello era in favore della madre con cui i figli vivevano.>