Ripasso sulla atipicità contrattuale ex art. 1322 c. 2 c.c. in tema di canoni leasing indicizzati a parametro mobile

Puntuali osservazioni da Cass. sez. III  18 Ottobre 2023, n. 28.998, rel. Dell’Utri, in un caso di canone leasing pattuito indicizzato al cambio euro/yen:

<< osserva il Collegio come, secondo il recente orientamento fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio di “immeritevolezza” di cui all’art. 1322 c.c., comma 2, va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, e non alla sua convenienza, né alla sua chiarezza, né alla sua aleatorietà (Sez. U., Sentenza n. 5657 del 23/02/2023);

al riguardo, non costituisce di per sé un patto immeritevole di tutela ex art. 1322 c.c., né uno strumento finanziario derivato implicito – con conseguente inapplicabilità delle disposizioni del D.Lgs. n. 58 del 1998 – la clausola di un contratto di leasing che preveda a) il mutamento della misura del canone in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera, b) l’invariabilità nominale dell’importo mensile del canone con separata regolazione dei rapporti dare/avere tra le parti in base alle suddette fluttuazioni (Sez. U., Sentenza n. 5657 del 23/02/2023, Rv. 667188 – 02);

a sostegno di tali asserzioni, le Sezioni Unite hanno rimarcato come il giudizio di “meritevolezza” di cui all’art. 1322 c.c., comma 2, non coincida col giudizio di liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa [cosa assai dubbia!]; secondo la Relazione al Codice civile, infatti, la meritevo-lezza è un giudizio che deve investire non il contratto in sé, ma il risultato con esso avuto di mira dalle parti, cioè lo scopo pratico o causa concreta che dir si voglia (ex aliis, Sez. U., Sentenza n. 4222 del 17/02/2017; Sez. U., Sentenza n. 4223 del 17/02/2017; Sez. U., Sentenza n. 4224 del 17/02/2017; Sez. 3, Sentenza n. 10506 del 28/04/2017);

il risultato del contratto dovrà dirsi immeritevole solo quando sia contrario alla coscienza civile, all’economia, al buon costume od all’ordine pubblico (così la Relazione al Codice, p. 603, II capoverso) [quindi coincide con l’illiceità, essendo da ravvisare in tali casi];

tale principio, se pur anteriore alla promulgazione della Carta costituzionale, è stato da questa ripreso e consacrato nell’art. 2 Cost., secondo periodo; art. 4 Cost., comma 2, e art. 41 Cost., comma 2;

un contratto, dunque, non può dirsi diretto a realizzare interessi “immeritevoli” di tutela sol perché poco conveniente per una delle parti; l’ordinamento garantisce il contraente il cui consenso sia stato stornato o prevaricato, ma non quello che, libero e informato, abbia compiuto scelte contrattuali non pienamente satisfattive dei propri interessi economici;

affinché dunque un patto atipico possa dirsi diretto a realizzare interessi “immeritevoli”, ai sensi dell’art. 1322 c.c., è necessario accertare la contrarietà (non del patto, ma) del risultato cui esso mira con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati;

nel caso di specie, la corte territoriale ha ritenuto che la clausola di “rischio cambio” inserita nel contratto oggetto dell’odierno esame presentasse “una formulazione particolarmente astrusa e una macchinosa articolazione di calcolo”, risolvendosi in un patto di natura “sicuramente atipica” caratterizzato da “ampia aleatorietà e squilibrio delle prestazioni” (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata);

tale clausola, ad avviso del giudice a quo, prevederebbe un accordo squilibrato nei rischi, “che vengono posti tutti a carico dell’utilizzatore”, con una base di calcolo del rischio cambio superiore all’importo del canone (perché maggiorato dell’Iva), con la conseguenza che, avendo la clausola di rischio cambio una finalità aleatoria ed eminentemente speculativa incoerente all’effettiva necessità di un contratto di leasing, ne va dichiarata l’invalidità ai sensi dell’art. 1322 c.c. (cfr. pag. 14-15);

in contrasto con tali argomentazioni, varrà richiamare quanto decisamente obiettato dal richiamato orientamento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, nella parte in cui hanno evidenziato come il carattere “astruso” o “macchinoso” dei calcoli previsti dal contratto non possa ritenersi tale da determinarne la nullità o l’immeritevolezza di tutela, poiché “dinanzi a clausole contrattuali oscure il giudice deve ricorrere agli strumenti legali di ermeneutica (artt. 1362-1371 c.c.), e non ad un giudizio di immeritevolezza. La clausola oscura andrà dunque interpretata, in mancanza di altri criteri, almeno in modo che le si possa dare un senso (art. 1371 c.c.), oppure contra proferentem (art. 1370 c.c.)”;

allo stesso modo, neppure il carattere “macchinoso” dei calcoli vale a pregiudicare la meritevolezza di tutela del negozio stipulato dalle parti: “da un punto di vista epistemologico, non esistono concetti “facili” e concetti “difficili”. Esistono concetti noti e concetti ignoti: i primi sono comprensibili ed i secondi no, se non vengano spiegati. Una clausola contrattuale non può dirsi dunque mai “macchinosa” in senso assoluto. Può esserlo in senso relativo, ad es. se contenuta in un testo contrattuale predisposto unilateralmente e sottoposto a persona priva delle necessarie competenze per comprenderlo. Ma in quest’ultima ipotesi non si dirà che quel contratto è “immeritevole”: si dirà, piuttosto, che il contratto è annullabile poiché il consenso del contraente è stato dato per errore o carpito con dolo. Oppure si dirà che il proponente è tenuto al risarcimento del danno per non avere fornito alla controparte le necessarie informazioni precontrattuali, ove imposte dalla legge o dal dovere di buona fede. Molti contratti contengono per necessità clausole assai articolate e complesse: ad esempio i contratti di handling aeroportuale, le assicurazioni dei rischi agricoli, il noleggio di piattaforme off-shore, il project financing di opere pubbliche, ma anche i contratti di massa come quelli di somministrazione di energia elettrica; ma non constano precedenti che abbiano dichiarate nulle tali clausole soltanto a causa della loro complessità. L’equazione stabilita dalla corte d’appello, per cui “macchinosità della clausola = immeritevolezza” e’, dunque, erronea in punto di diritto”;

parimenti priva di consistenza, sotto il profilo del giudizio di meritevolezza degli interessi disposti dalle parti, deve ritenersi la valutazione del giudice a quo circa la pretesa aleatorietà e lo squilibrio delle prestazioni;

da un lato, infatti, non ogni contratto aleatorio e’, per ciò solo, immeritevole di tutela ex art. 1322 c.c.; dall’altro, deve escludersi che sia inibito alle parti stipulare contratti aleatori atipici: questa Corte, infatti, ha già affermato la liceità e la meritevolezza di contratti aleatori non espressamente previsti dalla legge: ad esempio, in materia di c.d. vitalizio atipico (ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 8209 del 22/04/2016; Sez. 3, Sentenza n. 2629 del 27/04/1982). Neppure è vietato inserire elementi di aleatorietà in un contratto commutativo. Le parti d’un contratto infatti, nell’esercizio del loro potere di autonomia negoziale, ben possono prefigurarsi la possibilità di sopravvenienze che incidono o possono incidere sull’equilibrio delle prestazioni, ed assumerne, reciprocamente o unilateralmente, il rischio, modificando in tal modo lo schema tipico del contratto commutativo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l’effetto di escludere, nel caso di verificazione di tali sopravvenienze, l’applicabilità dei meccanismi riequilibratorii previsti nell’ordinaria disciplina del contratto (artt. 1467 e 1664 c.c.). E l’assunzione del suddetto rischio, come già stabilito da questa Corte, può risultare anche per implicito dal regolamento convenzionale che le parti hanno dato al rapporto e dal modo in cui hanno strutturato le loro obbligazioni (Sez. 1, Sentenza n. 948 del 26/01/1993, Rv. 480454 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 17485 del 12/10/2012, Rv. 624088-01; Sez. 3, Ordinanza n. 8881 del 13/05/2020; Sez. 2, Sentenza n. 2622 del 4.2.2021 (in motivazione)) (Sez. U., Sentenza n. 5657 del 23/02/2023, cit.);

quanto al dedotto squilibrio delle prestazioni, varrà sottolineare come la corte territoriale mostri implicitamente (ma inequivocamente) di ritenere che:

a) il concetto di “equilibrio delle prestazioni” di un contratto sinallagmatico consista in una paritaria e perfetta equipollenza tra le contrapposte obbligazioni;

b) ogni minimo disallineamento tra questa perfetta parità possa essere sindacato dal giudice, amputando parti del contratto per ricondurlo all’equità;

entrambe tali asserzioni, tuttavia, devono ritenersi erronee, stante:

a) il diritto di ciascuna parte di pianificare in piena libertà le proprie strategie imprenditoriali e commerciali, come già ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo, con ampiezza di motivazioni, Sez. 1, Sentenza n. 1184 del 21.1.2020; nello stesso senso, Sez. 3, Ordinanza n. 28022 del 14/10/2021);

b) l’impossibilità di far coincidere lo squilibrio delle prestazioni con la convenienza del contratto: chi ha fatto un cattivo affare non può retendere di sciogliersi dal contratto invocando “lo squilibrio delle prestazioni”. L’intervento del giudice sul contratto non può che essere limitato a casi eccezionali, pena la violazione del fondamentale principio di libertà negoziale (così, ex multis, Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 36740 del 25/11/2021, Rv. 663148 – 01);

c) l’evocabilità, in caso di squilibrio (economico) tra prestazioni, del rimedio della rescissione per lesione (ove lo squilibrio sia genetico) o della risoluzione per eccessiva onerosità (in caso di sopravvenienze), con la conseguenza che proprio l’esistenza di tali rimedi esclude la necessità stessa di ricorrere a fantasiose invenzioni circa l’immeritevolezza d’un contratto che preveda “prestazioni squilibrate” (Sez. U., Sentenza n. 5657 del 23/02/2023, cit.);

in conclusione, la corte d’appello ha formulato in iure un giudizio di “immeritevolezza” del contratto, ex art. 1322 c.c., comma 2, dopo avere accertato in facto circostanze irrilevanti ai fini del suddetto giudizio (aleatorietà, difficoltà di interpretazione, asimmetria delle prestazioni) procedendo, in tal modo, alla falsa applicazione del richiamato art. 1322 c.c.;

converrà, da ultimo, limitarsi a richiamare, nel loro insieme, le considerazioni illustrate dalle Sezioni Unite di questa Corte a fondamento del principio che esclude l’immeritevolezza di tutela ex art. 1322 c.c., o la natura di strumento finanziario derivato implicito (con conseguente inapplicabilità delle disposizioni del D.Lgs. n. 58 del 1998), della clausola di un contratto di leasing che preveda: a) il mutamento della misura del canone in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera; b) l’invariabilità nominale dell’importo mensile del canone con separata regolazione dei rapporti dare/avere tra le parti in base alle suddette fluttuazioni (Sez. U., Sentenza n. 5657 del 23/02/2023, Rv. 667188 – 02): considerazioni alle quali questo Collegio si richiama integralmente, condividendone l’ispirazione, al fine di assicurare una continuità;

alle argomentazioni che precedono – una volta rilevata la complessiva inidoneità delle giustificazioni poste a fondamento del giudizio espresso dal giudice a quo circa l’immeritevolezza di tutela della clausola di “rischio cambio” oggetto dell’odierno esame – segue la corrispondente cassazione della sentenza impugnata con l’attribuzione, alla Corte d’appello di Trieste, quale giudice del rinvio, del compito di procedere alla corretta riformulazione del giudizio di meritevolezza (ex art. 1322 c.c.) degli interessi disposti dalle odierne parti attraverso le pattuizioni dalle stesse concluse, avendo cura di evidenziare gli aspetti eventualmente idonei a giustificare la negazione di tale meritevolezza sulla base di una valutazione da condurre “in concreto”, e non già puramente in astratto, degli scopi pratici (c.d. causa concreta) perseguiti dai contraenti;>>

Le Sezioni Unite sul “prodotto finanziario implicito” in relazione alla facoltà di pagamento in euro di un leasing pattuito in franchi svizzeri, variabili in base al “Libor 3 mesi CHF”

Pregevole insegnamento in Cass. sez. un. n° 5657 del 23.02.2023, rel. Rossetti, sull’oggetto.

La chiarezza del dr. Rossetti è sempre apprezzabile, soprattutto su temi specialistici e quindi complessi, come quello sub iudice.

Allora subito evidenzio la bacchettata alla dottrina che complica troppo: <<Prima di stabilire se una clausola come quella oggetto del presente giudizio patto costituisca o meno uno “strumento finanziario derivato” reputa questa Corte doveroso premettere di non potere seguire le nimiae subtilitates con cui parte della dottrina ha proposto infinite distinzioni e sottodistinzioni in tema di strumenti finanziari derivati.

Compito del giudice di legittimità è infatti assicurare “l’esatta interpretazione della legge”, e l’esatta interpretazione consiste nel sussumere le nuove fattispecie concrete, fino a quando sia possibile, in categorie giuridiche note, piuttosto che partorirne continuamente di nuove>>. Difficile dissentire, anche se si trattasse di giudice del merito.

Il contratto:

<< 2. Il contratto di leasing prevedeva che:

a) la valuta nominale di riferimento del contratto fosse il franco svizzero;

b) la società utilizzatrice rimborsasse il finanziamento in Euro;

c) il rimborso dovesse avvenire in 15 anni, mediante pagamento di un anticipo, di 179 rate mensili di Euro 4.487,60 ciascuna (termine poi prorogato in corso di esecuzione del contratto), e di un prezzo finale di riscatto;

d) la rata dovuta dall’utilizzatrice alla concedente potesse aumentare o diminuire in funzione di due variabili:

d’) sia in funzione della variazione del tasso “LIBOR 3 mesi – CHF”; d’) sia in funzione delle variazioni del tasso di cambio tra l’Euro e il franco svizzero.

3. Il modo e la misura in cui il canone di leasing dovesse variare erano stabiliti dal contratto come segue:

a) la rata poteva variare sia in aumento che in diminuzione;

b) la variabilità del canone dipendente dalle fluttuazioni del tasso LIBOR era illimitata in aumento, e limitata in diminuzione (non oltre due punti in meno dell’indice di base), e si sarebbe applicata a partire dal canone in scadenza nel mese in cui si era verificata la variazione del tasso LIBOR;

c) la variabilità del canone dipendente dalle fluttuazioni del cambio franco/Euro era illimitata sia in aumento che in diminuzione;

d) la misura della variazione del canone dipendente dalle fluttuazioni del cambio franco/Euro doveva determinarsi con una formula matematica, pari al canone, diviso per il cambio al momento del pagamento della rata, e moltiplicato per la differenza tra cambio storico (cioè il cambio fissato convenzionalmente dalle parti alla stipula del contratto) e cambio alla scadenza del canone.

Unica differenza tra l’ipotesi di apprezzamento del franco e quella di apprezzamento dell’Euro in corso di contratto era che nel primo caso (apprezzamento del franco, e quindi variazione a favore del debitore) a base del calcolo si sarebbe dovuto porre l’importo della rata al netto dell’IVA, e nel secondo caso (deprezzamento del franco, e quindi variazione a favore del creditore) a base del calcolo si sarebbe dovuto porre l’importo della rata al lordo dell’IVA;

e) infine, il contratto prevedeva che eventuali variazioni del canone non avrebbero comportato l’aumento o la diminuzione della rata mensilmente dovuta, ma sarebbero state regolate a parte, con periodiche rimesse reciproche tra le parti.>>

– Motivo della rimessione per le SU:

<< La suddetta ordinanza, dopo aver ravvisato l’esistenza di contrastanti decisioni di questa Corte circa la validità di clausole come quella oggetto del presente giudizio, ha ritenuto non persuasivo l’orientamento che nega alle clausole suddette la qualificazione di “derivati impliciti”, e sollecita queste Sezioni Unite a stabilire, siccome questioni di massima di particolare importanza:

a) se la clausola di cui si discorre sia un mero meccanismo di indicizzazione, oppure costituisca una “scommessa”, o comunque abbia una finalità speculativa;

b) se la suddetta clausola muti la causa del contratto di leasing, “inquinandola”, ed in questo caso con quali effetti;

c) se la relativa pattuizione, a causa della sua oscurità, violi i doveri di correttezza e buona fede da parte del predisponente.>>

Alcuni passaggi significativi:

– << Questa Corte ha già stabilito che il giudizio di “meritevolezza” di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., non coincide col giudizio di liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa.

Secondo la Relazione al Codice civile la meritevolezza è un giudizio che deve investire non il contratto in sé, ma il risultato con esso avuto di mira dalle parti, cioè lo scopo pratico o causa concreta che dir si voglia (ex aliis, Sez. U -, Sentenza n. 4222 del 17/02/2017; Sez. U, Sentenza n. 4223 del 17/02/2017; Sez. U, Sentenza n. 4224 del 17/02/2017; Sez. 3, Sentenza n. 10506 del 28/04/2017).

Ed il risultato del contratto dovrà dirsi immeritevole solo quando sia contrario alla coscienza civile, all’economia, al buon costume od all’ordine pubblico (così la Relazione al Codice, p. 603, II capoverso)>>.

Profilo importante però , in sostanza, immotivato.

– §§ 2.3 segg.: sul perchè la calusola de qua non è immeritevole. Ragionamento condivisibile.

§ 2.5: <<Tali considerazioni, svolte solo a mò d’esempio, corroborano la conclusione che il giudizio di “immeritevolezza” d’un contratto, ex art. 1322, comma 2, c.c., non può essere formulato in astratto ed ex ante, limitandosi a considerare il solo contenuto oggettivo dei patti contrattuali, ma va compiuto in concreto ed ex post, ricercando – beninteso, iuxta alligata et probata partium – lo scopo perseguito dalle parti>>.

Non è così: la valtuaizone non è mai ex post, è sempre ex ante, essendo un vizio genertico e non funzinale: vero è che deve considerare la  futura ipotetica esecuzione del contratto (il che è ovvio). Probabilmente una svista .

Questo sulla teoria del contratto. Poi passa allo specifico stipulato

– il § 5 distingue tra <derivato implicito> e <clausola di indicizzazione>. E’ la parte più interessante e per lo più condivisibile.

– secco al § 5.1: <<5.1. Una clausola inserita in un contratto di leasing, la quale faccia dipendere gli interessi dovuti dall’utilizzatore dalla variazione di un indice finanziario insieme ad un indice monetario, in un caso come quello di specie, non è uno strumento finanziario derivato, e tanto meno un “derivato implicito”>>. Ciò sia in base al testo del TUF ratione temporis applicabile sia in abase all’attuale, §§ 5.2 segg.

– il § 5.7  spiega il funzionamento economico del finanziamento in valuta estera:

<< 5.7. La corretta qualificazione giuridica di clausole come quella oggetto del presente giudizio deve muovere del rilievo che il contratto oggetto del contendere aveva ad oggetto una operazione reale (leasing); prevedeva che il valore del debito complessivo dell’utilizzatore fosse determinato in franchi svizzeri, e accordava all’utilizzatore la facoltà di pagare in Euro.

Il contratto di leasing ha ovviamente sempre una funzione (anche) di finanziamento, ed un finanziamento può legittimamente essere concesso in valuta nazionale od in valuta estera.

Un finanziamento in valuta estera ha lo scopo di evitare i rischi connessi alla svalutazione della moneta nazionale (e cioè il rischio della svalutazione per il creditore, e il rischio della rivalutazione per il debitore).

Un finanziamento in moneta estera può avvenire con due modalità:

a) la prima modalità è prevedere che l’indebitamento venga direttamente denominato ed erogato nella valuta estera (ad es., il concedente acquista l’immobile in franchi, e lo dà in locazione finanziaria all’utilizzatore, che avrà facoltà di pagare in franchi o in Euro, secondo la previsione dell’art. 1278 c.c.);

b) la seconda modalità è esprimere sia la provvista erogata dal concedente, sia le rate dovute dall’utilizzatore in valuta domestica, ma agganciarne il valore al rapporto di cambio con una valuta estera.

In questo modo si realizza indirettamente lo stesso risultato della pattuizione sub (a).

In conclusione, un finanziamento (non importa se in forma di mutuo o di leasing) il cui importo è parametrato ad un rapporto di cambio è un debito di valore e non di valuta.

La clausola di cui si discorre dunque non è che una normale clausola-valore, attraverso la quale le parti individuano il criterio al quale commisurare la prestazione del debitore.

Pertanto:

-) l’aleatorietà del contratto, lungi dal costituire un indice della presenza d’un “derivato implicito”, non è che un effetto naturale d’una altrettanto normale clausola-valore;

-) la previsione che eventuali conguagli a favore dell’una o dell’altra parte fossero regolati a parte, e non incidessero sul valore della rata (che restava costante) non è che una modalità esecutiva delle reciproche obbligazioni, insuscettibile di riverberare effetti di sorta sulla qualificazione del contratto. Il titolo dell’obbligazione infatti non muta solo perché cambi il termine di adempimento. Del resto, il creditore ha facoltà di accettare un adempimento parziale (art. 1181 c.c.) o di rinunciare al termine stabilito a suo favore (art. 1185 c.c.), e ciò dimostra che la possibilità di regolare a parte alcune delle obbligazioni e non altre, oppure una aliquota dell’unica obbligazione, è un effetto normale dello statuto delle obbligazioni civili.>>

– § 6 : la clausola <rischio di cambio> non snatura il tipo astrattamente pattuito (leasing)

  • principi di diritto: << 8. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Trieste, in differente composizione, la quale tornerà ad esaminare l’appello proposto dalla RPS applicando il seguente principio di diritto:”il giudizio di “immeritevolezza” di cui all’art. 1322, comma 2, c.c. va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, e non alla sua convenienza, né alla sua chiarezza, né alla sua aleatorietà“.

9. Va, infine, formulato nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c. il seguente principio di diritto:

La clausola inserita in un contratto di leasing, la quale preveda che: a) la misura del canone varii in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera; b) l’importo mensile del canone resti nominalmente invariato, e i rapporti di dare/avere tra le parti dipendenti dalle suddette fluttuazioni siano regolati a parte; non è un patto immeritevole ex art. 1322 c.c., né costituisce uno “strumento finanziario derivato” implicito, e la relativa pattuizione non è soggetta alle previsioni del d. lgs. 58/98″ >>.

Sentenza importante, che tocca  temi di vertice nel diritto dei contratti,  già oggetto di pregevoli commenti (ad es. D’Amico in I contratti, 2023/3, 260 ss.)