Le Sezioni Unite sulla sussidiarietà nell’azione di ingiustificato arricchimento

Cass., Sez. Un, 5 dicembre 2023, n. 33954, Pres. Virgilio, Est. Criscuolo (lik offerto da dirittodellacrisi.it) dà quirsto princiopio di dirittyO:

<<Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui
all’art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento è proponibile ove la
diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole
generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo.
Viceversa, resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda
alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato,
ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa
l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del
titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto
per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico>>

In motivazione:

<<Colgono nel segno le riflessioni di quella dottrina che ha
sottolineato come l’azione di arricchimento non possa far rivivere
il diritto prescritto, che è estinto e resta tale.
La regola della sussidiarietà impone di affermare che, se
l’impoverito dispone di altre difese, l’azione di arricchimento non
può essere esercitata, e ciò vale anche se le altre difese, già
pertinenti al soggetto, siano andate perdute, come appunto nel
caso della prescrizione. Né può trascurarsi l’argomento speso da
autorevole dottrina secondo cui “concedere in questi casi l’azione
di arricchimento, significherebbe frustrare la finalità di quegli
istituti, che consiste proprio nel determinare la perdita di un
diritto a danno di chi non lo ha esercitato”.
Una precisazione però si impone per le ipotesi di rigetto ovvero di
infondatezza della domanda proponibile in via principale, e ciò in
quanto, alla luce della disamina della giurisprudenza di questa
Corte, come compiuta al punto 5. che precede, la formale
adesione al principio della sussidiarietà in astratto risulta oggetto
di un costante temperamento, soprattutto nel caso in cui l’azione
principale sia fondata su una fonte contrattuale, mediante il
riconoscimento della sua esperibilità ove sia riconosciuta la nullità
del titolo contrattuale azionato (si veda da ultimo Cass. n. 13203/2023, secondo cui, nei casi in cui l’azione contrattuale è
stata rigettata per inesistenza del titolo, sarebbe contraddittorio
sostenere che la proposizione di una azione, che presuppone la
non esistenza di un contratto, possa essere impedita da una
pronuncia che abbia per l’appunto dichiarato la non esistenza di
un contratto, e ciò anche perché, se al rigetto del rimedio
contrattuale, determinato dall’inesistenza del titolo, potesse
conseguire l’improponibilità del rimedio sussidiario, costituito
dall’azione di arricchimento, l’avente diritto sarebbe privato di
qualsiasi strumento processuale per ottenere il rimborso del
pregiudizio subito; conf. Cass. n. 15496/2018).
Tuttavia, come confermato da Cass. n. 13203/2023, va ribadito
che resta preclusa la possibilità di agire ex art. 2041 c.c., anche in
caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi
dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o
con l’ordine pubblico (conf. ex multis, Cass. n. 10427/2002; Cass.
n. 14085/2010)….

Occorre quindi distinguere tra le ipotesi in cui il rigetto derivi dalriconoscimento della carenza ab origine dei presupposti fondanti
la domanda cd. principale, da quelli in cui derivi dall’inerzia
dell’impoverito ovvero dal mancato assolvimento di qualche onere
cui la legge subordinava la difesa di un suo interesse.
Nella prima ipotesi il rigetto per accertamento della carenza ab
origine del titolo fondante la domanda cd. principale comporta che
quello che appariva un concorso da risolvere ex art. 2042 c.c. in
favore della domanda principale si rivela essere in realtà un
concorso solo apparente, in quanto deve escludersi la stessa
ricorrenza di un diritto suscettibile di essere dedotto in giudizio
con la conseguente improponibilità della domanda ex art. 2041
c.c.
Viceversa, il rigetto della domanda, correlato al mancato
assolvimento dell’onere della prova in relazione alla sussistenza
del pregiudizio, non esclude che il diverso titolo sussista e che
quindi sia preclusa la domanda fondata sulla clausola residuale.
Se la domanda principale è correlata ad una pretesa scaturente
da un contratto, di cui si lamenta l’esecuzione in maniera difforme
da quanto pattuito, chiedendosi il ristoro del pregiudizio subito e
si accerta che il contratto era affetto da nullità, lo spostamento
contrattuale si palesa privo di una giusta causa e legittima quindi
la proposizione, anche in via subordinata nel medesimo giudizio,
dell’azione di arricchimento.
Se viceversa, incontestata o dimostrata l’esistenza del contratto,
il rigetto sia derivato dalla mancata prova da parte del contraente
del danno derivante dall’altrui condotta inadempiente, la domanda
di arricchimento resta preclusa in ragione della clausola di cui
all’art. 2042 c.c.

>>.

La sussidiarietà dell’azione di arricchimento non la impedisce, quando l’azione contrattuale è stata in precedenza rigettata per inesistenza di un patto sul credito azionato

interessante precisazione in Cass. sez. III del 15.05.2023 n. 13.203, rel. Gianniti, circa il sempre controverso requisito della sussidiarietà ex art. 2042 cc:

<< B) Ciò posto, il Collegio, per dare una risposta alla questione oggetto del presente giudizio, richiamata la rassegna giurisprudenziale operata nella suddetta ordinanza di rimessione, rileva che la ratio della natura sussidiaria dell’azione in esame riposta (in via alternativa, ma talvolta anche congiuntamente): a) nell’esigenza di evitare che, attraverso il cumulo delle azioni, possano aversi duplicazioni di tutela; b) nella necessità di evitare che l’avente diritto, mediante l’esercizio dell’azione di ingiustificato arricchimento, possa sottrarsi alle conseguenze del rigetto della diversa azione contrattuale che l’ordinamento gli concede a tutela del diritto; c) nella esigenza di evitare che colui che ha fondato il suo diritto su un contratto, che è risultato nullo (per contrarietà a norme imperative o di ordine pubblico), possa comunque coltivare la sua pretesa sia pure attraverso altro titolo.

Orbene, nel caso di specie, non ricorre nessuna delle suddette tre ratio: non la prima, in quanto nel primo processo l’azione contrattuale era stata respinta nel merito; non la seconda, in quanto detto rigetto era stato giustificato dalla ritenuta inesistenza del titolo contrattuale; non la terza, in quanto nel caso di specie il N. ha chiesto il rimborso delle spese sostenute per il riavvio dell’azienda prima della stipulazione del contratto di affitto e tale sua pretesa non è preclusa da nessuna norma imperativa o di ordine pubblico.

Pertanto, se è vero che l’esercizio dell’azione ex art. 2041 c.c. è in grado di produrre un aggiramento della decisione di rigetto dell’azione contrattuale è altrettanto vero che ciò non accade sempre e comunque.

Al riguardo, invero, occorre distinguere i casi nei quali, come quello in esame, l’azione contrattuale è stata rigettata per inesistenza del titolo contrattuale posto a fondamento dalla domanda, da tutti gli altri casi, nei quali l’azione contrattuale è stata respinta per qualsiasi altra ragione (di rito o di merito, ma comunque diversa dall’inesistenza del titolo): nei primi colui che ha agito in giudizio non poteva proporre una azione di ingiustificato arricchimento, in quanto per l’appunto, per far valere la sua pretesa, disponeva di una azione contrattuale (che, tuttavia, è stata poi respinta per ragioni di rito o di merito, ma comunque non per inesistenza del titolo); al contrario, nei casi in cui l’azione contrattuale è stata rigettata per inesistenza del titolo, sarebbe contraddittorio sostenere che la proposizione di una azione, che presuppone la non esistenza di un contratto, possa essere impedita da una pronuncia che abbia per l’appunto dichiarato la non esistenza di un contratto; d’altronde, se al rigetto del rimedio contrattuale, determinato dall’inesistenza del titolo, potesse conseguire l’improponibilità del rimedio sussidiario, costituito dall’azione di arricchimento, l’avente diritto sarebbe privato di qualsiasi strumento processuale per ottenere il rimborso del pregiudizio subito.

In definitiva, la presente controversia, dando continuità ad un orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (Cas. N. 15496 del 2018, n. 11489 del 2011 e 6537 del 1984) viene decisa sulla base del seguente principio di diritto:

La sentenza, che abbia dichiarato l’inesistenza del contratto, se in negativo esclude che l’avente diritto possa nuovamente esercitare l’azione contrattuale, in positivo accerta la sussistenza del presupposto della sussidiarietà (cioè dell’indisponibilità di un rimedio alternativo a quello contrattuale), che deve ricorrere per l’esperibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento: in tal caso, l’azione ex art. 2041 è proponibile proprio in quanto il danneggiato, non esistendo il contratto, ha a disposizione soltanto detta azione per far valere il suo diritto all’indennizzo per il pregiudizio subito”   >>.

La residualità/sussidiarietà dell’azione di arricchimento ex art. 2042 cc

Cass. ordin. interloc. n° 5.222 del 20.02.2023, rel., Cricenti, affronta l’oggetto e, ritenendolo di notevole importanza, sugerisce la rimessione alle sezioni unite.

Si trattava della frequente fattispecie per cui un’impresa esegue lavori ad una PA, contando su promessa verbale di successivo miglioramento del regime urbanistico del proprio terreno (in claris: di successiva trasformazione da agrigolo ad edificabile).

La promessa non viene mantenuta e allora l’impresa agisce per vioalazione dell’affidamento (trattativa in malafede) e in subordine per ingiusto arricchimento .

Non si tratta solo della nota alternativa tra residualità in astatto/in concreto, ma pure di quella relativa al se l’azione primaria sia fondata su legge/contratto oppure su clausola generale (di buona fede, come nel caso specifico : art. 1337 cc)

La seconda alternativa è ritenuta poco sensata dalla ordinanza: in tutti i casi (o meglio: anche quando si fa valere la violazione della buona fede) non è vero che, per decidere se sia data l’azione primaria, si entri nel merito,  potendosi (dovendosi) eseguire una valutazione in astratto.