Ben si può condannare il Comune ai danni per non aver fatto quianto possibile per eliminare il disturbo da riumnori niotturni proocati dalal clientela dei bar

Giustamente Cass. sez. III del 23 maggio 2023 n. 14.209, rel. Vicenti, cassa l’appello Brescia che aveva negato il danno perchè allegante vioalazioni del Comune esorbitanti i suoi poteri .

E’ ora che la giurisprudenza interventa in modo deciso sul grave problema della rimorosità prodotta dai clienti dei locali che tengono aperto fino a tardi alla sera. In attesa che intervenga il legislatore (improbabile)

<<3.2. – Ciò premesso, è errata la premessa da cui muove la Corte territoriale, poiché la tutela del privato che lamenti la lesione, anzitutto, del diritto alla salute (costituzionalmente garantito e incomprimibile nel suo nucleo essenziale (Cost., art. 32)), ma anche del diritto alla vita familiare (convenzionalmente garantito (art. 8 CEDU: cfr., tra le altre, Cass. n. 2611/2017; Cass. n. 19434/2019; Cass. n. 21649/2021)) e della stessa proprietà (che rimane diritto soggettivo pieno sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l’affievolimento (Cass. n. 1636/1999)), cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili, ex art. 844 c.c., provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la Pubblica Amministrazione è proprietaria), trova fondamento, anche nei confronti della P.A., anzitutto nelle stesse predette norme a presidio dei beni oggetto dei menzionati diritti soggettivi.

La P.A. stessa, infatti, è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere, con ciò potendo essere condannata sia al risarcimento del danno (artt. 2043 e 2059 c.c.) patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità, non investendo una tale domanda, di per sé, scelte ed atti autoritativi, ma, per l’appunto, un’attività soggetta al principio del neminem laedere (tra le più recenti: Cass., S.U., n. 21993/2020; Cass., S.U., n. 25578/2020; Cass., S.U., n. 23436/2022; Cass., S.U., n. 27175/2022; Cass., S.U., n. 5668/2023).

Ne consegue la titolarità dal lato passivo del convenuto Comune di (Omissis) a fronte delle domande, risarcitoria e inibitoria, proposte dagli attori a fronte del dedotto vulnus che le immissioni intollerabili, provenienti dalla strada comunale in cui si trova la loro abitazione, sono idonee a cagionare ai diritti dai medesimi vantati.

3.3. – Posta tale diversa premessa, e’, altresì, errata la decisione della Corte territoriale di ritenere, di per sé, infondate le domande attoree in quanto esorbitanti dai limiti interni della giurisdizione del giudice ordinario.

Anzitutto, la domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dagli attori in conseguenza delle immissioni acustiche intollerabili, non postula alcun intervento del giudice ordinario di conformazione del potere pubblico e, dunque, non spiega alcuna incidenza rispetto al perimetro dei limiti interni della relativa giurisdizione, ma richiede soltanto la verifica della violazione da parte della P.A. del principio del neminem laedere e, dunque, della sussistenza o meno della responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., per aver mancato di osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni quale condotta, connotata da c.d. colpa generica, determinativa di danno ingiusto per il privato.

Anche la domanda volta a far cessare le immissioni intollerabili, come detto, non implica, di per sé, una attribuzione al giudice ordinario di poteri esorbitanti rispetto a quelli previsti dall’ordinamento e, dunque, ad esso inibiti dal principio desumibile dalla L. 20 marzo 1865 n. 2248 All. E., art. 4, comma 2, siccome incidenti sul potere discrezionale riservato alla Pubblica Amministrazione nell’espletamento dei suoi compiti istituzionali.

La circostanza che il primo giudice avesse predeterminato il facere del Comune convenuto imponendo ad esso taluni comportamenti implicanti l’adozione di provvedimenti discrezionali ed autoritativi – come l’effettuazione di un servizio pubblico di vigilanza, organizzandone anche le modalità operative – non impediva, però, ogni diversa delibazione del giudice di secondo grado, coerente con la portata della domanda formulata dagli attori, che fosse volta ad imporre alla P.A. (non già le modalità di esercizio del potere discrezionale ad essa spettante, ma) di procedere agli interventi idonei ed esigibili per riportare le immissioni acustiche entro la soglia di tollerabilità, ossia quegli interventi orientati al ripristino della legalità a tutela dei diritti soggettivi violati>>.

Responsabilità in eligendo del Condominio e del suo amministratore per l’infortunio occorso al lavoratore mentre esegue un contratto di appalto

Trib. Palermo n. 1561/2023 del 9 maggio 2023, RG 11995/2019, g.  del lavoro Martino:

<<La mancata adozione di qualsiasi misura di sicurezza da parte dell’impresa esecutrice, come sopra evidenziata, dimostra, infatti, la chiara violazione da parte del committente [cioè l’amministratore del condominio] dei principi di diligenza cristallizzati nelle norme sopra citate e quindi, la responsabilità colposa dello stesso, ai sensi dell’art. 2043 c.c., per l’infortunio mortale occorso a Spatola.
Ove, infatti, il committente, nella fase di progettazione ed esecuzione del progetto di ristrutturazione avesse rispettato i principi e le misure generali di tutela di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 626 del 1994 ed avesse scelto un’impresa idonea sotto il profilo tecnico-professionale, è ragionevole ritenere che l’evento in questione non si sarebbe realizzato.
Non v’è dubbio altresì che sussista anche la responsabilità del condominio.
Va ricordato infatti che il rapporto tra condominio e amministratore è riconducibile a quello del mandato con rappresentanza (Cass. 16 agosto 2000, n. 10815, Cass. 12 febbraio 1997, n. 1286, inoltre, Cass., S.U., 8 aprile 2008, n. 9148) con la conseguenza che dell’operato dell’amministratore che abbia agito in esecuzione del mandato, risponde il condominio in forza dell’articolo 2049 c.c (sulla responsabilità ai sensi dell’art. 2049 c.c. del mandante per l’illecito del mandatario cfr. Cass 18691 del 22.9.2015, Cass 12945 del 19.12.1995).

Nel caso di specie, sulla scorta della documentazione in atti, è indubbio che Levantino abbia agito nell’espletamento di un incarico del condominio. Ciò emerge dalle dichiarazioni rese dai condomini Inserra e Garonna i quali sentiti a sommarie informazioni nel corso del procedimento penale hanno dichiarato nell’immediatezza del fatto che i lavori di ristrutturazione dell’immobile erano stati decisi in seguito a riunione condominiale sulla base dell’offerta ritenuta più conveniente sotto il profilo economico>>.

Principio importante anche a livello teorico, essendo assai dubbio se possa onerarsi il Condominio di vagliare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa scelta, in mancanza di disposizione di legge.

Solo che tale disposizione c’è : art. 90 c. 9 del Testo unico per la sicurezza sul lavoro d. lgs. 81 del 2008. Si applica a tutti i “committenti” nel cui concetto, in assenza di deroga ex lege, dovrebbe rientra pure il Condominio.

Da vedere la responsabilità del Condominio è contrattuale, in  mancanza di rapporto diretto col lavoratore, oppuire aquiliana, come quella dei medici ospedalieri (dopo la legge Gelli Bianco n. 24 del 2017).

Diffamzione negata nella lite Renzi c. RCS (Corriere della sera), direttore e articolista

Trib. Firenze n° 572/2023 del 27.02.2023, RG 8569/2020, rel. Zanda,  decide in modo sfavorevole a Matteo Renzi la lite da lui promossa contro i convenuti in oggetto per articolo sui soldi che egli avrebbe percepito dalla Fondazione Open di Carrai.

<<La domanda è risultata infondata.
Nell’articolo giornalistico del 4.12.2019 sotto il paragrafo “PRESTITI” viene riportato dal giornalista in modo fedele il contenuto del doc. 6 prodotto da parte convenuta, ovvero di quella segnalazione fatta dalla Guardia di Finanza alla Procura, sul giroconto disposto da Marco Carrai di euro 50.000,00 cui aveva fatto seguito poche settimane dopo, il bonifico a Matteo Renzi di un prestito infruttifero di euro 20.000,00.
L’articolo quindi rispetta il canone della verità in quanto l’articolo esprime esattamente il contenuto della nota informativa dell’ufficio di Intelligence finanziario.
La dicitura finale “regalo fatto a Renzi” non è diffamatoria perché nel titolo del paragrafo è chiaramente scritto “prestiti” ed in ogni caso un prestito infruttifero potrebbe essere ritenuto una forma di donazione per gli interessi mancati, interessi che normalmente si collegano ai prestiti, anche tra privati, per cui si ritiene che non risultino integrati gli elementi oggettivo e soggettivo della diffamazione aggravata.
Anche per quanto riguarda la prima e ultima parte dell’articolo non si rinviene alcuna notizia diffamatoria e falsa in danno dell’attore in quanto dagli atti penali è emerso che la Procura stava svolgendo all’epoca indagini sulla Fondazione Open, per l’ipotesi delittuosa di finanziamento illecito ai partiti; in particolare risultavano già emessi vari decreti di perquisizione sugli immobili dell’indagato rapp.te legale Open avv.to Alberto Bianchi di Pistoia, sulla base della ipotesi investigativa che la Fondazione Open fosse non già un organismo avente gli scopi dichiarati, ma fosse un’articolazione politica destinata a supportare la campagna politica di Renzi Matteo, sia per la sua attività di sindaco di Firenze che per quella successiva, compresa la campagna del SI referendario.
In particolare l’articolo giornalistico risulta recepire fedelmente il contenuto di alcuni atti di indagine di poco anteriori quali ad es. il decreto di perquisizione emesso in data 25.11.19 dalla Procura della Repubblica di Firenze, sullo studio e immobili dell’avv.to Bianchi (doc. 4 prodotto dai convenuti), dal quale si traggono tutte le notizie che il giornalista aveva riportato nel suo articolo senza falsificarne il contenuto, come infondatamente allegato da parte attrice.
Nello stesso doc. 4 a pag. 2 si rinviene anche la notizia che dagli atti di indagine era emerso, sempre dunque nella fase delle indagini preliminari e non a seguito di dibattimento penale, che la Fondazione Open rimborsava le spese dei parlamentari e metteva a loro disposizione carte di credito e bancomat; nel provvedimento sono indicate anche specificamente le segnalazioni della guardia di Finanza al riguardo.
Dunque, il giornalista ha fatto affidamento su una fonte particolarmente qualificata e non aveva alcun ulteriore onere di controllo>>.

<<D’altra parte il giornalista aveva giustificatamente ravvisato anche un interesse pubblico alla diffusione, perché il finanziamento di un partito, di una corrente partitica, o di un uomo politico, sono fatti di interesse pubblico, e ciò proprio per il controllo sociale e la trasparenza del funzionamento delle attività istituzionali democratiche.     Si ritiene poi che non sussista nemmeno quell’aspetto diffamatorio allegato dall’attore e connesso alla presunzione di innocenza, atteso che nell’articolo è chiaramente affermato che queste notizie non sono contenute in sentenze ma sono riferite agli sviluppi dell’indagine investigativa in corso, per cui il lettore è edotto del fatto che non c’è stata una sentenza di condanna dibattimentale; è poi da notare che in nessun punto dell’articolo Renzi Matteo viene rappresentato come soggetto imputato o indagato, ciò che non è stato nemmeno allegato>>

Precisazione del giudice: <<Sulla differenza tra Fonte-atti d’indagine e fonte-indiscrezioni su atti di indagine e comunque esimente in entrambi i casi si veda cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 39082 del 09/12/202>>

Diffamazione negata nella lite Osservatorio Giovani Editori – Ceccherini c. Repubblica e La Verità

Trib. Firenze sent. 617/2023 del 01 marzo 2023, rel. Zanda, Rg 2099/2019, rigetta la domanda risacitoria da diffamazione contro editore e giornalisti di Repubblica (articolista: Gatti) per un articolo di giornalismo investigativo ritenuto offensivo da Ceccherini , spt. circa l’inziativa “Il Quotidiano in Classe”.

<<È dunque di interesse collettivo sapere che dietro a questo progetto ci sono gli interessi dei grossi gruppi finanziari rappresentati dalle banche europee che hanno supportato il Ceccherini e la sua attività così delicata come quella mirata alle scuole e alla formazione scientifica economica dei ragazzi italiani; è di interesse collettivo conoscere anche la formazione pregressa di un uomo che pur senza titoli di studio particolari, si è rapportato correntemente con noti personaggi del mondo finanziario e della politica italiana, con cui viene ritratto nel pezzo, e ha mantenuto per 20 in piedi il suo progetto Quotidiano in Classe con l’indispensabile avallo della politica italiana; è di interesse pubblico conoscere le criticità sollevate nel brano, come ad esempio il fatto, non smentito in causa, che gli studenti che avevano letto i giornali proposti dal sig. Ceccherini come il Sole 24 ore, non potevano essere gli oltre due milioni millantati dal Ceccherini, dato che quel numero coincideva quasi col numero degli studenti totali; né il Ceccherini ha smentito che dopo l’inchiesta giornalistica quel numero è stato rettificato e dimezzato nei canali informativi di Andrea Ceccherini e del suo Osservatorio; tutto ciò diviene rilevante se si pensa che in quegli anni (2019) arrivavano a concludersi le indagini della Procura di Milano sui vertici del Sole 24 Ore e della Consob per aver amplificato in modo falso proprio i numeri delle vendite del giornale economico, mettendo a rischio l’affidamento dell’azionariato, ed era risultato che l’Osservatorio del Ceccherini era una delle agenzie di co-marketing del Sole 24 Ore>>.

<<Risultano quindi giustificati i dubbi e le perplessità mosse dal giornalista sul proseguire, nonostante questi risultati, dei finanziamenti e affidamenti da parte dei gruppi bancari e finanziari interessati e di società high tech, come Google che pacificamente ha collaborato pur dopo l’articolo assuntivamente diffamatorio, al recente nuovo progetto della lotta alla Fake News, fatto pacifico in causa ed evidenziato fondatamente da parte convenuta a supporto della sua eccezione di mancanza di lesività del fatto per cui è causa>>.

<<E’ evidente che trattandosi di temi così importanti e così delicati e di rilievo collettivo, il pezzo, non contestato specificamente nemmeno in questo giudizio per numeri e dati ivi riprodotti, attraverso, ad es. la produzione di documenti di segno contrario, era rilevante ed è stato pubblicato come inchiesta giornalistica del dott. Gatti per informare il pubblico sui gruppi economico finanziari anche internazionali e su politici di spicco che continuano a promuoverlo e a supportarlo nei progetti, sempre tesi alla formazione e informazione delle fasce giovani dei lettori italiani; appare dunque giustificata la critica del giornalista sul persistere dei suoi progetti per anni se non per decenni nonostante la perdita di interesse dei giovani lettori sul tipo di giornale economico proposto (il Sole 24 Ore), risultato anche coinvolto da inchieste Consob e penali.
In nessun punto del brano si dice che la colpa del crollo dei lettori sia da ascrivere al Ceccherini o all’Osservatorio, come infondatamente scritto dagli attori, e nemmeno viene scritto che il Ceccherini e l’Osservatorio siano iscritti nel registro indagati.
Il brano è stato dunque espressivo di inchiesta giornalistica e non si ritiene che abbia avuto carattere diffamatorio, né che abbia leso la reputazione degli attori; non contiene false notizie e quanto riportato è di indubbio interesse pubblico>>

Ricjhiama poi Cass. 16236/2010 sul bilanciamento e soprattutto Cass. ord. 4036 del 16.02.2021 sul difficile tema della liceità del giornalismo  di inchiesta.

Ma la parte più interssante è la condanna per abuso del processo ex art. 96.3 cpc ad euro 42.000 in totale (un mezzo al Gatti e l’altro da ripartire tra i restanti) così motivata:

<<Tutto ciò considerato, se ne ricava che l’odierna azione non mira a contrastare la diffusione di notizie false negative, ma mira solamente a censurare un giudizio critico e negativo espresso sull’agire degli attori, un agire che proprio perché riguardante le scuole pubbliche italiane e i personaggi pubblici promotori, riveste un’indubbia rilevanza pubblica; l’azione proposta contro i giornalisti, l’editore e il direttore di Repubblica è dunque risultata palesemente infondata e temeraria, come ripetutamente eccepito dai convenuti, ciò che determina l’applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c. con condanna dei convenuti al doppio delle spese legali a titolo di indennizzo per abuso del processo, trattandosi di un’azione che poteva essere evitata usando la normale diligenza;
inoltre si deve tener conto dell’eccessività della pretesa, tenuto conto che qualora la domanda fosse stata fondata, sarebbe spettato agli attori un importo massimo di euro 50 mila, e non le centinaia di migliaia di euro pretese in conclusioni, completamente al di fuori dei limiti del danno tabellato nelle tabelle milanesi; si pensi che per la morte di un figlio si giunge ad una liquidazione di circa 300 mila euro e per la diffamazione si prevede un massimo di 50 mila; quindi l’abuso dello strumento processuale viene in rilievo sia nell’an della domanda che nel quantum, assolutamente fuori tabella, (vd. Sez. 3 – , Ordinanza n. 26545 del 30/09/2021;cass.sez. U – , n. 25041 del 16/09/2021 “L’accertamento della responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., discende esclusivamente da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta, quali, ai sensi del comma 1, l’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o, per quanto riguarda il comma 3, l’aver abusato dello strumento processuale” >>.

Uguale esito sempre in Trib. Firenze n° 588/2023 del 28.02.2023, RG 2442/2019, rel. sempre Zanda. Riguarda due articoli pretesamente diffamatori del medesimo soggetto comparsi su La Verità di Belpietro.

Anche qui però la domanda è respinta: sono espressione del diritto costituzionale di liberà di stampa.

Spese di lite aumetnte del 50 % (in totale euro 30.600,00) per la complessità delle difese e per il numero degli articoli pretesamente diffamatori (solo due, però!) che ha comportato appesantimento della causa

Danno da occupazione abusiva dell’immobile: in re ipsa o da provare?

E’ nel secondo senso Cass. sez. un. 15.11.2022 n. 33.645, rel. Scoditti.

 

La decisione va condivisa.

Premessa: si tratterebbe di danno emergente e non mancato guadagno : << 4.2. Entrambe le ordinanze interlocutorie pongono la questione
della configurabilità del c.d. danno
in re ipsa nell’ipotesi di
occupazione
sine titulo dell’immobile, ma il punto di divergenza fra gli
orientamenti che esse esprimono riguarda non il mancato guadagno,
bensì la perdita subita. Entrambe le ordinanze escludono infatti che
un danno
in re ipsa sia configurabile in relazione al lucro cessante e si
può convenire sul dato che nella giurisprudenza di legittimità le
occasioni di guadagno perse devono essere oggetto di specifica
prova, naturalmente anche a mezzo di presunzioni. La problematica
del danno
in re ipsa emerge in entrambe le ordinanze in relazione alla
facoltà di godere del proprietario quale individuazione dell’esistenza di
un danno risarcibile per il sol fatto che di tale facoltà il proprietario sia
stato privato a causa dell’occupazione abusiva dell’oggetto del suo
diritto
>>

<<4.5. La questione posta dal contrasto è, al fondo, se la violazione
del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno
risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale ma anche
risarcitoria. Ritengono le Sezioni Unite che al quesito debba darsi
risposta positiva, nei termini emersi nella richiamata linea evolutiva
della giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, secondo cui la
locuzione “danno in re ipsa” va sostituita con quella di “danno
presunto” o “danno normale”, privilegiando la prospettiva della
presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il
pregiudizio allegato (Cass. 7 gennaio 2021, n. 39; 20 gennaio 2022,
n. 4936; 22 aprile 2022, n. 12865). Tale esito interpretativo, per
quanto riguarda la lesione della facoltà di godimento, resta coerente
al significato di danno risarcibile quale perdita patrimoniale subita in
conseguenza di un fatto illecito. La linea da perseguire è infatti,
secondo le Sezioni Unite, quella del punto di mediazione fra la teoria
normativa del danno, emersa nella giurisprudenza della Seconda
Sezione Civile, e quella della teoria causale, sostenuta dalla Terza
Sezione Civile. Al fine di salvaguardare tale punto di mediazione,
l’estensione della tutela dal piano reale a quello risarcitorio, per
l’ipotesi della violazione del contenuto del diritto, deve lasciare intatta
la distinzione fra le due forme di tutela>>

<<4.9. Nella comune fattispecie di occupazione abusiva d’immobile è
al contrario richiesta, come si è visto, l’allegazione della concreta
possibilità di esercizio del diritto di godimento che è andata persa. Ciò
significa che il non uso, il quale è pure una caratteristica del
contenuto del diritto, non è suscettibile di risarcimento>>

PRINCIPI DI DIRITO:

<<  –  “nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento
del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del

diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del
godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta”;
–   “nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di
un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il
risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare,
esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso
mediante il parametro del canone locativo di mercato”;
–   “nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di
un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento
del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito,
quale quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe
concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore
al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo
più conveniente di quello di mercato”.
>>

(Si tratterà però spesso di lucro cessante, a dispetto di quanto premettono le SU come sopra riportato)

Importante la precisazione per cui la relevatio ab onere probandi ex art. 115 cpc riguarda solo i fatti noti al convenuto: <<Sia per la perdita subita che per il mancato guadagno va rammentato che l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte convenuta, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass.
31 agosto 2020, n. 18074; 4 gennaio 2019, n. 87; 18 luglio 2016, n.
14652; 13 febbraio 2013, n. 3576). Poiché non si compie l’effetto di
cui all’art. 115, comma 1, cod. proc. civ., per i fatti ignoti al
danneggiante l’onere probatorio sorge comunque per l’attore, a
prescindere dalla mancanza di contestazione, ma il criterio di
normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi
di mancato esercizio del diritto di godimento, comporta che
l’evenienza dei fatti ignoti alla parte convenuta sia tendenzialmente
più ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno. Ne consegue sul
piano pratico la maggiore ricorrenza per il convenuto dell’onere di
contestazione, nel rigoroso rispetto del requisito di specificità previsto
dall’art. 115 comma 1, nelle controversie aventi ad oggetto la perdita
subita e la maggiore ricorrenza per l’attore dell’onere probatorio, pur
in mancanza di contestazione, nelle controversie aventi ad oggetto il
mancato guadagno>>

Regola spesso violata nella prassi giudiziaria

Responsabilità di Uber per l’aggressione ad un suo autista?

Dice di no la corte distr. di West Dist. Washington 27 sett. 2022, Civil Action 2:21-cv-202-BJR, Drammeh v. Uber Techs .

L’autista era stato aggredito e ucciso da due utenti che avevano anche creato (allo scopo, parrebbe) un falso account Uber .

Il punto è l’esistenza o meno di un duty of care di Uber vs. gli autisti.

In genrere nel common law non ci sono doveri di protezione di terzi, tranne che ricorrano due circostanze:

– vi sia tra loro special relationship; o

– che vi sia misfeasance “in the limited circumstances [where] the actor’s own affirmative act creates a recognizable high degree of risk of harm.”. Deve però esswerci azione difettrosa, non omissione che non vbasta.

E’ il punto meno sicuro ma la Corte rigetta:

<<Plaintiffs may be correct that certain omissions can amount to misfeasance if they create a risk of harm that would otherwise not exist. The Washington Supreme Court has stated in dicta that “[a] driver affirmatively create[s] a new risk to a pedestrian by failing to stop his or her car [at a crosswalk].” Robb, 176 Wash.2d at 437. However, none of the omissions identified by Plaintiffs created the risk that resulted in Ceesay’s death. Plaintiffs’ own statistics show that carjacking is a broad societal problem. See Pl. Opp’n, Dkt. 123 at 20. There is no evidence or allegation that anything Defendants did actively encouraged carjackings or “create[d] a special or particular temptation or opportunity for crime.” Hutchins, 116 Wash.2d at 232-33; see also Jane Doe 1 v. Uber Techs., Inc., 79 Cal.App. 5th 410, 425 (finding Uber did not engage in misfeasance and contrasting a case in which a “plaintiff was injured by third parties doing exactly what defendant’s conduct encouraged them to do” (emphasis added)). Even if it were conclusively shown at trial that the risk of carjackings would have been reduced if Defendants had implemented the measures demanded by Plaintiffs, it still would not follow that Defendants created the risk. Washington courts have rejected the idea that “the failure to take [preventative measures] against crime is not in and of itself a special temptation to crime.” Sourakli v. Kyriakos, Inc. 144 Wash.App. 501 (2008). >>

Nemeno ricore la foreseeability dell’evento.

La domanda è respinta.

Non  si menziona (strano che non sia stato invocato) il safe harbour ex § 230 CDA,

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Due proposte della Commissione UE sulla responsabilità civile: da intelligenza artificiale e sostituzione di quella generale da prodotto difettoso

Comunicato della Commissione sull oggetto e cioè sulle seguente due proposte dir dir.:

Proposal for a DIRECTIVE OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL on liability for defective products,  Brussels, 28.9.2022 – COM(2022) 495 final, 2022/0302 (COD): qui ad es. importante disciplina (in parte anticipata da dottrina o giurisprudenza) sull’onere della prova, art. 9;

Proposal for a DIRECTIVE OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL on adapting non-contractual civil liability rules to artificial intelligence
(AI Liability Directive)
, Brussels, 28.9.2022 – COM(2022) 496 final, 2022/0303 (COD)
: molto interessanti gli art. 3 (Disclosure of evidence and rebuttable presumption of non-compliance ) e art. 4 (Rebuttable presumption of a causal link in the case of fault). E’ prcisato che la dir. regola la responsabilità aquiliana cioè non da contratto, art. 1.

Non c’è responsabilità di Uber per gli assalti a passeggeri compiuti da falsi Uber drivers

Così la Corte di appello californiana, 2 app. dist.-division one, 01 giungo 2022, B310131 (Los Angeles County Super. Ct. No. 19STCV11874).

Questione molto interessante, anche a livello teorico. Il punto è se U. doveva una protezione speciale alle attrici (vittime di adescamenti e aggressione da parte di falsi guidatori U.) ad es. fornendo accurate informazioni sull’esistenza di tali rischi nonchè predisponendo soluzioni (informatiche o altro)  per evitarli.

La domanda giudiziale:  << Through the SAC, the Jane Does seek to hold Uber liable for failing to warn them about or implement other measures to protect them against rapists employing the fake Uber scheme in the portions of West Hollywood and Los Angeles where the Uber entities knew rapists had repeatedly implemented the scheme. The SAC alleges the Uber entities “have not taken . . . any affirmative precautions to warn Uber users in” these or any other areas “of the continuous fake Uber sexual assault scheme” (capitalization omitted), and have not implemented additional safety features to help Uber app users assure they are entering the car of their authorized Uber driver>>, p. 8.

La regola nel diritto usa: <<The general rule that one has no duty, absent a special relationship, to protect others against harm at the hands of third parties is rooted in the idea that, “[g]enerally, the ‘person who has not created a peril is not liable in tort merely for failure to take affirmative action to assist or protect another’ from that peril.” (Brown, supra, 11 Cal.5th at p. 214, italics added, quoting Williams v. State of California (1983) 34 Cal.3d 18, 23.) A necessary corollary to this is that when a defendant has affirmatively “created a peril” that foreseeably leads to the plaintiff’s harm (Williams, supra, at p. 23), the defendant can, even absent a special  elationship, be held liable for failing to also protect the plaintiff from that peril. This scenario does not represent a true exception to the general rule that there is no duty to protect. Rather, it involves more than a mere failure to protect (nonfeasance), and instead involves both misfeasance— the defendant has “ma[de] the plaintiff’s position worse, i.e., defendant has created a risk”—and the nonfeasance of failing to protect against that risk once created. (Weirum v. RKP General, Inc. (1975) 15 Cal.3d 40, 49 (Weirum).)>>, p. 17

Di conseguenza : <<The fake Uber scheme may be a foreseeable result of the Uber business model, and the Jane Does’ assailants may not have been able to as easily commit their crimes against the Jane Does, were it not for the Uber app and the Uber business model. But these connections cannot establish that the harm the
Jane Does suffered is a “necessary component” of the Uber entities’ actions. (
Sakiyama, supra, 110 Cal.App.4th at p. 408.) “The violence that harmed [the Jane Does]”—abduction and rape—“[is] not ‘a necessary component’ of” the Uber business model. (See Melton, supra, 183 Cal.App.4th at p. 535.) Nor does such harm become a necessary component of the Uber business model because the Uber entities marketed the Uber app as safe to use, refused to cooperate with sexual assault investigations, or concealed sexual assaults related to the use of the app. Even accepting such allegations as true, the Uber entities still are not alleged to have “[taken] . . . action to stimulate the criminal conduct” (ibid.), as was the case in Weirum, where defendants encouraged plaintiffs to drive as quickly as possible to the designated location. (See Weirum, supra, 15 Cal.3d at p. 48.) To the contrary, like the defendants in Sakiyama, the Uber entities made efforts to prevent the type of conduct that harmed the plaintiffs—namely, they included matching system features in the Uber app that, if utilized, can
thwart efforts like the fake Uber scheme. The conduct based on which the Jane Does seek to impose liability thus does not constitute misfeasance that can give rise to a duty to protect>>, P. 22 .

E se fosse stata portata in corte da noi? Può dirsi che che U. abbia il dovere ex art. 2043 (certo non contrattuale) di avvisare l’utenza che ci son falsi autisti e di implementare meccanismi di autenticazione o altro, per non incapparvi? Una risposta positiva  pare tutt’altro che impossibile. Non parrebbe però utile la disciplina della responsabilità precontrattuale , dato che non c’è stato alcun contatto tra le vittime e U.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Ancora sul c.d. data scraping: i dati pubblici dei profili Linkedin possono essere utilizzati da terzi

Interessante decisione di appello (di rimando dalla Suprema Corte) nella lite HiQ Labs c. Linkedin da parte del 9° circuito, 18.04.2022, 3:17-cv-03301-EMC (link fornito dal blog del prof. Eric Goldman) sulla questione della liceità dello scraping (raschiare/grattare) automatizzato (tramite bot) di dati presenti nei profili Linkedin pubblici.

Linkedid (L.)  è scocciata per la raccolta dei dati dei suoi utenti da parte di HiQ che li usa per fornire offerte di profilazione ad aziende (ove è di fatto in concorrenza con la stessa L.) e tenta di bloccare la pratica.

Allo stato però in via cautelare (preliminary injunction) è ritenuta più probabilmente legittima che uillegittima.

Si v. spt. il § B Balance of equities, p. 17 ss sul bilanciamento dei reciproci danni probabili : In short, even if some users retain some privacy interests in their information notwithstanding their decision to make their profiles public, we cannot, on the record before us, conclude that those interests—or more specifically, LinkedIn’s interest in preventing hiQ from scraping those profiles—are significant enough to outweigh hiQ’s interest in continuing its business, which depends on accessing, analyzing, and communicating information derived from public LinkedIn profiles, p. 19.

Poi la corte affronta il merito cautelare (likelihood of success), p. 20 ss, favorevole ad HiQ sia per l’azione di tortious interference che per il CFAA.

Sulla prima (interferenza di L. sui rapporti contrattuali di HiQ con i suoi clienti): Balancing the interest in contractual stability and the specific interests interfered with against the interests advanced by the interference, we agree with the district court that hiQ has at least raised a serious question on the merits of LinkedIn’s affirmative justification defense … or all these reasons, LinkedIn may well not be able to demonstrate a “legitimate business purpose” that could justify the intentional inducement of a contract breach, at least on the record now before us. We therefore conclude that hiQ has raised at least serious questions going to the merits of its tortious interference with contract claim. Because such a showing on the tortious interference claim is sufficient to support an injunction prohibiting LinkedIn from selectively blocking hiQ’s access to public member profiles, we do not reach hiQ’s unfair competition claim.(p. 24-5 e 26/7).

Sulla seconda (Computer Fraud and Abuse Act (CFAA) ): il requisito di legge sull’accesso a computer altrui <<without authorization >> non si rifeisce al caso in cui i dati siano volutamente resi pubblici: <<We therefore conclude that hiQ has raised a serious question as to whether the reference to access “without authorization” limits the scope of the statutory coverage to  computers for which authorization or access permission, such as password authentication, is generally required. Put differently, the CFAA contemplates the existence of three kinds of computer systems: (1) computers for which access is open to the general public and permission is not required, (2) computers for which authorization is required and has been given, and (3) computers for which authorization is required but has not been given (or, in the case of the prohibition on exceeding authorized access, has not been given for the part of the system accessed). Public LinkedIn profiles, available to anyone with an Internet connection, fall into the first category. With regard to websites made freely accessible on the Internet, the “breaking and entering” analog ue invoked so frequently during congressional consideration has no application, and the concept of “without authorization” is inapt >>.    Soluzione esatta, direi (pur se relativo al diritto usa; da noi ad es. si v. il chiaro disposto dell’art. 615 ter c. pen.).

A ciò segue la sentenza 4 novembre 2022 sulla violazione contrattuale: Northern District of ColumbiaCase 3:17-cv-03301-EMC, HIQW c. Linkedin, 4.11.2022 , che di fatto  limita la vittoria di HJQ sopra riportata (anche questa sentenza e link dal blog del prof. Eric Goldman).

Si v. ora l’aggiornamento sulla importante questione del data scraping postato il 28 marzo 2023 da Kieran McCarthy nel blog di Eric Goldman .