Tra diritto di critica (politica) e diffamazione: la Cassazione conclude la lite tra Berlusconi e l’ex pm Robledo, rigettando il ricorso del primo

Cass. 27.01.2023 n. 2605 , sez. 1, rel. Tricomi, sull’oggetto.

Non ci sono passaggi particolrmente interessanti: ripete dicta noti in materia e si sofferma su fatti storici come ragionati dalla corte di appello.

Si trattava di domanda risarcitoria da diffamazioen aggravata a mezzo stampa (art. 13 L. 47/1948) promossa dall’ex pm.-

La SC ha respinto il ricorso e confermato la decisione di appello, che aveva condannato Berlusconi ad un risarcimento di euro 50.000,00

<< 2.6.- Come affermato da questa Corte, con consolidato principio qui confermato, in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione, la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio dei

diritti di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione; pertanto, il controllo affidato alla Corte di cassazione è limitato alla verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza, con riferimento al diritto di cronaca e di critica, dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie, nonché al sindacato della congruità e logicità della motivazione, secondo la previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile “ratione temporis”, restando estraneo al giudizio di legittimità l’accertamento relativo alla capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione (Cass. n. 18631/2022; Cass. n. 5811/2019; Cass. n. 6133/2018, tra molte)” >>.

Errore: solo la parte in rosso è fatto, il resto è diritto!

Sull’esimente del  diritto di critica:

<< E’ stato più volte affermato, nell’ambito del diritto di critica, che i presupposti per il legittimo esercizio della scriminante di cui all’art. 51 c.p., con riferimento all’art. 21 Cost., sono: a) l’interesse al racconto, ravvisabile anche quando non si tratti di interesse della generalità dei cittadini ma di quello della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la comunicazione; b) la continenza, ovvero la correttezza formale e sostanziale dell’esposizione dei fatti da intendersi nel senso che l’informazione non deve assumere contenuto lesivo dell’immagine e del decoro; c) la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti; d) l’esistenza concreta di un pubblico interesse alla divulgazione (in tema, Cass. n. 2357/2018, in linea con una costante giurisprudenza; v. sul punto Cass. n. 15443/2013,).

Tale insegnamento è stato ulteriormente ribadito dall’ordinanza n. 38215/2021, nella quale si è detto che il diritto di critica, quale estrinsecazione della libera manifestazione del pensiero, ha rango costituzionale al pari del diritto all’onore e alla reputazione, sul quale tuttavia prevale, scriminando l’illiceità dell’offesa, a condizione che siano rispettati i limiti della continenza verbale, della verità dei fatti attribuiti alla persona offesa e della sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti oggetto della critica.

In relazione, specificamente, al diritto di critica politica – nel quale si inserisce la vicenda odierna – è stato ribadito che esso consente l’uso di toni aspri e di disapprovazione anche pungenti, purché sempre nel rispetto della continenza, da intendere come correttezza formale e non superamento dei limiti di quanto strettamente necessario al pubblico interesse (Cass. n. 841/2015).

E’ stato parimenti affermato, con varie sfumature, che trascende i limiti del diritto di critica l’aggressione del contraddittore, sebbene compiuta in clima di accesa polemica, risoltasi nell’accusa di perpetrazione di veri e propri delitti o comunque di condotte infamanti, in rapporto alla dimensione personale, sociale o professionale del destinatario (Cass. n. 11769/2022; Cass. n. 7274/2013). Così come si è detto che in tema di diffamazione a mezzo stampa, l’applicabilità della scriminante rappresentata dalla continenza verbale dello scritto che si assume offensivo va esclusa allorquando vengano usati toni allusivi, insinuanti, decettivi, ricorrendo al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato, all’artificiosa drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre e alle vere e proprie insinuazioni (Cass. n. 27592/2019)>>.

Per obbligare la piattaforma l’editore al delisting (diritto all’oblio), basta una richiesta stragiudiziale

Altro caso (rischiano di diventare una valanga …) di richiesta di cancellazione di notizia infamante (apertura di procedimento penale) -in subordine di aggiornamento- , vera ma superata dai fatti successivi (assoluzione piena) .

La cancellazione era stata ottenuta solo a seguito dell’istanza cautelare.

L’interessato, nonstante la dichiarata cessazione della materia del contendere,  proseguì il processo cercando il risarcimento del danno,  perchè comunque la notizia era rimasta esposta medio temore (per 10 anni circa): presupponendo dunque che sarebbe dovuto bastare una richiesta stradiuziale o addirittura che l’editore dovesse per conto suo controllare costantemente l’aggiornamento delle notizie da lui pubblicate (non è chiara la causa petendI: parrebbe la seconda)

Così opina Cass. sez. 3 del 1 marzo 2023 n. 6116 , rel. Sestini:

<<Ritiene il Collegio che non si possa affermare tout court e in termini generali un obbligo di costante aggiornamento della notizia o di rimozione della stessa una volta che sia trascorso un determinato lasso di tempo (di cui non sarebbe neppure agevole una predeterminazione generalizzata), dato che ciò imporrebbe un onere estremamente gravoso e pressoché impossibile da rispettare a carico delle testate giornalistiche titolari dei siti web, al quale potrebbe non corrispondere un concreto interesse dei soggetti cui si riferiscono le notizie.

D’altra parte, deve riconoscersi alla persona interessata dalla persistenza di una pubblicazione che reputi a sé pregiudizievole il diritto di tutelare la propria reputazione e di richiedere l’aggiornamento del sito o la rimozione della notizia, con la conseguenza che, una volta che sia stata formulata una siffatta richiesta, il rifiuto ingiustificato di aggiornamento o rimozione risulta idoneo a integrare una condotta illecita tale da giustificare il risarcimento del danno prodottosi a partire dalla richiesta di aggiornamento/rimozione (danno che ovviamente va allegato e provato, anche in via presuntiva). [pare dunque bastare richiesta stragiudiziale]

Una soluzione siffatta realizza un ragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi e si pone in linea di continuità col rilievo già contenuto in Cass. n. 5505-2012 circa la possibilità/necessità di “compartecipazione dell’interessato nell’utilizzazione dei propri dati personali… ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l’aggiornamento, l’integrazione”.

In tal senso orientano il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 7 (secondo cui l’interessato “ha diritto di ottenere” l’aggiornamento o la cancellazione) e l’art. 17 Regolamento UE 679-2016 (che fa parimenti riferimento al diritto dell’interessato a ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati che lo riguardano, cui si correla il dovere del secondo di provvedervi senza ingiustificato ritardo): entrambi fanno dipendere dall’iniziativa dell’interessato il dovere del titolare del trattamento di attivarsi per la modifica del dato e mal si prestano a sostenere l’affermazione di un dovere dell’anzidetto titolare (sanzionato a livello risarcitorio) di procedere alla modifica di propria iniziativa.

Deve dunque ritenersi, con specifico riferimento al caso in esame, che la persistenza nel sito web di una testata giornalistica della risalente notizia del coinvolgimento di un soggetto in un procedimento penale – pubblicata nell’esercizio legittimo del diritto di cronaca, ma non aggiornatà con i dati relativi all’esito di tale procedimento – non integra, di per sé, un illecito idoneo a generare una pretesa risarcitoria; tuttavia, il soggetto cui la notizia si riferisce ha diritto ad attivarsi per chiederne l’aggiornamento o la rimozione, con la conseguenza che l’ingiustificato rifiuto o ritardo da parte del titolare del sito è idoneo a comportare il risarcimento del danno patito successivamente alla richiesta (fermo l’onere di allegazione e prova del pregiudizio da parte dell’interessato) >>.

Analoga soluzione in Cass. sez. 1 del 31.01.2023 n. 2983, rel. Scotti, con motivazione però più analitica (v. mio post).

Diritto all’oblio vs. diritto all’informazione: ragionevole composizione di un conflitto sempre più frequente

E’ sempre più frequente la richiesta di cancellazione di notizie passate (negative, spesso di indagini e/o codnanen penali) indirizzata al motore di ricerca e/o all’editore di quotidiano circa la sua banca dati web.

Cass. sez. 1 del 31.01.2023 n. 2983, rel. Scotti, propone (anzi: dispone) una persuiasiv asoluizione al conflitto di interessi de quo. Sta ai §§ 28/30.

<< 28. La Corte, come già anticipato, ritiene che l’equo contemperamento dei diritti in conflitto non possa essere raggiunto attraverso l’accoglimento della richiesta principale dei ricorrenti, ossia la cancellazione tout court degli articoli in questione dall’archivio on line del quotidiano, che annichilerebbe con l’iperprotezione dei diritti alla riservatezza degli interessati la funzione di memoria storica e documentale dell’archivio del giornale, che è oggetto di un rilevante interesse pubblico, di rilievo anch’esso costituzionale ex artt. 21 e 33 Cost., come rammenta esattamente la controricorrente.

In altri termini, non sarebbe più possibile accedere all’originario contenuto degli articoli ad uno studioso, storico o sociologo, intenzionato a ricostruire l’andamento dei processi per reati contro la pubblica amministrazione in quell’epoca, per esaminare il contenuto delle accuse e il loro esito; e ciò anche se, poniamo, l’obiettivo della sua inchiesta fosse rivolto a dimostrare gli eccessi di repressione giudiziaria o gli abusi della carcerazione preventiva in un certo contesto spazio-temporale oppure l’atteggiamento, più o meno “giustizialista” o “garantista”, della stampa e dell’opinione pubblica in quel contesto.

29. Una via adeguata di contemperamento non è neppure quella della manipolazione del testo con l’introduzione di pseudonimi sostitutivi o omissioni nominative, pur astrattamente contemplata dal GDPR.

Infatti, lo stesso art. 89 GDPR consente tali accorgimenti solo se le finalità in questione possano essere conseguite in tal modo e non è questo il caso.

La memoria storica dell’archivio diverrebbe incompleta e falsata e così se ne perderebbe la funzione.

30. Non è così per la richiesta di aggiornamento mediante la mera apposizione agli articoli, su istanza dell’interessato, di una nota informativa volta a dar conto del successivo esito dei procedimenti giudiziari con l’assoluzione degli interessati e il risarcimento del danno per ingiusta detenzione.

In tal modo l’identità dell’articolo, che in sé e per sé rimane intonso, è adeguatamente preservata a fini di ricerca storico-documentaristica, ma al contempo vengono rispettati i fondamentali principi di minimizzazione ed esattezza sopra illustrati.

La soluzione accolta è inoltre conforme al principio di contestualizzazione e aggiornamento dell’informazione.

Non paiono pertinenti rispetto a questo accorgimento le critiche sopra riassunte nel p. 15: non si richiede infatti al gestore dell’archivio di attivarsi in via generale per l’aggiornamento delle informazioni alla luce degli sviluppi giudiziari successivi, che genererebbe effettivamente costi ingenti e probabilmente insostenibili, incompatibili con la persistente economicità degli archivi, ma solo di corrispondere senza ritardo a puntuali e specifiche richieste degli interessati, documentalmente suffragate, non solo con la deindicizzazione ma anche con l’apposizione di una breve nota informativa sull’esito finale della vicenda giudiziaria, in calce o a margine della pagina ove figura l’articolo>>.

Che poi prosegue così:

<<31. La regola fondamentale per ogni bilanciamento di diritti richiede la valutazione comparativa della gravità del sacrificio imposto agli interessi in conflitto: la normale tollerabilità di una ingerenza nel diritto altrui, secondo una risalente ma autorevolissima dottrina, va accertata anche alla luce dei costi necessari per prevenirla.

E nel caso è sufficiente un costo modesto (l’inserzione di una breve nota in calce o a margine e solo su richiesta di parte, che non altera la funzione tipica dell’archivio) per la prevenzione di un pregiudizio ben più consistente per l’interessato.

Tale modesto sacrificio ben può essere accollato a chi gestisce l’impresa giornalistica, in logica di profitto, quale onere accessorio all’attività imprenditoriale, che scatta solo se ed in quanto l’interessato richieda la rettifica esplicativa del dato personale e l’inesattezza del dato viene dedotta sulla base di accertamenti obiettivi e incontrovertibili quali quelli provenienti da un documentato accertamento giudiziario passato in giudicato.

Naturalmente questa tutela si aggiunge a quella consistente nella deindicizzazione, nel caso accordata dalla attuale controricorrente tempestivamente secondo la sentenza del Tribunale, non impugnata al riguardo>>.

Dunque ecco il princuipoio di diritto

In tema di trattamento dei dati personali e di diritto all’oblio, è lecita la permanenza di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, nell’archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di una inchiesta giudiziaria, poi sfociata nell’assoluzione dell’imputato, purché, a richiesta dell’interessato, l’articolo sia deindicizzato e non sia reperibile attraverso i comuni motori di ricerca, ma solo attraverso l’archivio storico del quotidiano e purché, a richiesta documentata dell’interessato, all’articolo sia apposta una sintetica nota informativa, a margine o in calce, che dia conto dell’esito finale del procedimento giudiziario in forza di provvedimenti passati in giudicato, in tal modo contemperandosi in modo bilanciato il diritto ex art. 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita lesione della propria immagine sociale” (§ 32, anche se erroneamente numerato come § 31).

I passaggi chiave, naturalmente, sono i due sottolineati.

Diffamzione negata nella lite Renzi c. RCS (Corriere della sera), direttore e articolista

Trib. Firenze n° 572/2023 del 27.02.2023, RG 8569/2020, rel. Zanda,  decide in modo sfavorevole a Matteo Renzi la lite da lui promossa contro i convenuti in oggetto per articolo sui soldi che egli avrebbe percepito dalla Fondazione Open di Carrai.

<<La domanda è risultata infondata.
Nell’articolo giornalistico del 4.12.2019 sotto il paragrafo “PRESTITI” viene riportato dal giornalista in modo fedele il contenuto del doc. 6 prodotto da parte convenuta, ovvero di quella segnalazione fatta dalla Guardia di Finanza alla Procura, sul giroconto disposto da Marco Carrai di euro 50.000,00 cui aveva fatto seguito poche settimane dopo, il bonifico a Matteo Renzi di un prestito infruttifero di euro 20.000,00.
L’articolo quindi rispetta il canone della verità in quanto l’articolo esprime esattamente il contenuto della nota informativa dell’ufficio di Intelligence finanziario.
La dicitura finale “regalo fatto a Renzi” non è diffamatoria perché nel titolo del paragrafo è chiaramente scritto “prestiti” ed in ogni caso un prestito infruttifero potrebbe essere ritenuto una forma di donazione per gli interessi mancati, interessi che normalmente si collegano ai prestiti, anche tra privati, per cui si ritiene che non risultino integrati gli elementi oggettivo e soggettivo della diffamazione aggravata.
Anche per quanto riguarda la prima e ultima parte dell’articolo non si rinviene alcuna notizia diffamatoria e falsa in danno dell’attore in quanto dagli atti penali è emerso che la Procura stava svolgendo all’epoca indagini sulla Fondazione Open, per l’ipotesi delittuosa di finanziamento illecito ai partiti; in particolare risultavano già emessi vari decreti di perquisizione sugli immobili dell’indagato rapp.te legale Open avv.to Alberto Bianchi di Pistoia, sulla base della ipotesi investigativa che la Fondazione Open fosse non già un organismo avente gli scopi dichiarati, ma fosse un’articolazione politica destinata a supportare la campagna politica di Renzi Matteo, sia per la sua attività di sindaco di Firenze che per quella successiva, compresa la campagna del SI referendario.
In particolare l’articolo giornalistico risulta recepire fedelmente il contenuto di alcuni atti di indagine di poco anteriori quali ad es. il decreto di perquisizione emesso in data 25.11.19 dalla Procura della Repubblica di Firenze, sullo studio e immobili dell’avv.to Bianchi (doc. 4 prodotto dai convenuti), dal quale si traggono tutte le notizie che il giornalista aveva riportato nel suo articolo senza falsificarne il contenuto, come infondatamente allegato da parte attrice.
Nello stesso doc. 4 a pag. 2 si rinviene anche la notizia che dagli atti di indagine era emerso, sempre dunque nella fase delle indagini preliminari e non a seguito di dibattimento penale, che la Fondazione Open rimborsava le spese dei parlamentari e metteva a loro disposizione carte di credito e bancomat; nel provvedimento sono indicate anche specificamente le segnalazioni della guardia di Finanza al riguardo.
Dunque, il giornalista ha fatto affidamento su una fonte particolarmente qualificata e non aveva alcun ulteriore onere di controllo>>.

<<D’altra parte il giornalista aveva giustificatamente ravvisato anche un interesse pubblico alla diffusione, perché il finanziamento di un partito, di una corrente partitica, o di un uomo politico, sono fatti di interesse pubblico, e ciò proprio per il controllo sociale e la trasparenza del funzionamento delle attività istituzionali democratiche.     Si ritiene poi che non sussista nemmeno quell’aspetto diffamatorio allegato dall’attore e connesso alla presunzione di innocenza, atteso che nell’articolo è chiaramente affermato che queste notizie non sono contenute in sentenze ma sono riferite agli sviluppi dell’indagine investigativa in corso, per cui il lettore è edotto del fatto che non c’è stata una sentenza di condanna dibattimentale; è poi da notare che in nessun punto dell’articolo Renzi Matteo viene rappresentato come soggetto imputato o indagato, ciò che non è stato nemmeno allegato>>

Precisazione del giudice: <<Sulla differenza tra Fonte-atti d’indagine e fonte-indiscrezioni su atti di indagine e comunque esimente in entrambi i casi si veda cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 39082 del 09/12/202>>

Diffamazione negata nella lite Osservatorio Giovani Editori – Ceccherini c. Repubblica e La Verità

Trib. Firenze sent. 617/2023 del 01 marzo 2023, rel. Zanda, Rg 2099/2019, rigetta la domanda risacitoria da diffamazione contro editore e giornalisti di Repubblica (articolista: Gatti) per un articolo di giornalismo investigativo ritenuto offensivo da Ceccherini , spt. circa l’inziativa “Il Quotidiano in Classe”.

<<È dunque di interesse collettivo sapere che dietro a questo progetto ci sono gli interessi dei grossi gruppi finanziari rappresentati dalle banche europee che hanno supportato il Ceccherini e la sua attività così delicata come quella mirata alle scuole e alla formazione scientifica economica dei ragazzi italiani; è di interesse collettivo conoscere anche la formazione pregressa di un uomo che pur senza titoli di studio particolari, si è rapportato correntemente con noti personaggi del mondo finanziario e della politica italiana, con cui viene ritratto nel pezzo, e ha mantenuto per 20 in piedi il suo progetto Quotidiano in Classe con l’indispensabile avallo della politica italiana; è di interesse pubblico conoscere le criticità sollevate nel brano, come ad esempio il fatto, non smentito in causa, che gli studenti che avevano letto i giornali proposti dal sig. Ceccherini come il Sole 24 ore, non potevano essere gli oltre due milioni millantati dal Ceccherini, dato che quel numero coincideva quasi col numero degli studenti totali; né il Ceccherini ha smentito che dopo l’inchiesta giornalistica quel numero è stato rettificato e dimezzato nei canali informativi di Andrea Ceccherini e del suo Osservatorio; tutto ciò diviene rilevante se si pensa che in quegli anni (2019) arrivavano a concludersi le indagini della Procura di Milano sui vertici del Sole 24 Ore e della Consob per aver amplificato in modo falso proprio i numeri delle vendite del giornale economico, mettendo a rischio l’affidamento dell’azionariato, ed era risultato che l’Osservatorio del Ceccherini era una delle agenzie di co-marketing del Sole 24 Ore>>.

<<Risultano quindi giustificati i dubbi e le perplessità mosse dal giornalista sul proseguire, nonostante questi risultati, dei finanziamenti e affidamenti da parte dei gruppi bancari e finanziari interessati e di società high tech, come Google che pacificamente ha collaborato pur dopo l’articolo assuntivamente diffamatorio, al recente nuovo progetto della lotta alla Fake News, fatto pacifico in causa ed evidenziato fondatamente da parte convenuta a supporto della sua eccezione di mancanza di lesività del fatto per cui è causa>>.

<<E’ evidente che trattandosi di temi così importanti e così delicati e di rilievo collettivo, il pezzo, non contestato specificamente nemmeno in questo giudizio per numeri e dati ivi riprodotti, attraverso, ad es. la produzione di documenti di segno contrario, era rilevante ed è stato pubblicato come inchiesta giornalistica del dott. Gatti per informare il pubblico sui gruppi economico finanziari anche internazionali e su politici di spicco che continuano a promuoverlo e a supportarlo nei progetti, sempre tesi alla formazione e informazione delle fasce giovani dei lettori italiani; appare dunque giustificata la critica del giornalista sul persistere dei suoi progetti per anni se non per decenni nonostante la perdita di interesse dei giovani lettori sul tipo di giornale economico proposto (il Sole 24 Ore), risultato anche coinvolto da inchieste Consob e penali.
In nessun punto del brano si dice che la colpa del crollo dei lettori sia da ascrivere al Ceccherini o all’Osservatorio, come infondatamente scritto dagli attori, e nemmeno viene scritto che il Ceccherini e l’Osservatorio siano iscritti nel registro indagati.
Il brano è stato dunque espressivo di inchiesta giornalistica e non si ritiene che abbia avuto carattere diffamatorio, né che abbia leso la reputazione degli attori; non contiene false notizie e quanto riportato è di indubbio interesse pubblico>>

Ricjhiama poi Cass. 16236/2010 sul bilanciamento e soprattutto Cass. ord. 4036 del 16.02.2021 sul difficile tema della liceità del giornalismo  di inchiesta.

Ma la parte più interssante è la condanna per abuso del processo ex art. 96.3 cpc ad euro 42.000 in totale (un mezzo al Gatti e l’altro da ripartire tra i restanti) così motivata:

<<Tutto ciò considerato, se ne ricava che l’odierna azione non mira a contrastare la diffusione di notizie false negative, ma mira solamente a censurare un giudizio critico e negativo espresso sull’agire degli attori, un agire che proprio perché riguardante le scuole pubbliche italiane e i personaggi pubblici promotori, riveste un’indubbia rilevanza pubblica; l’azione proposta contro i giornalisti, l’editore e il direttore di Repubblica è dunque risultata palesemente infondata e temeraria, come ripetutamente eccepito dai convenuti, ciò che determina l’applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c. con condanna dei convenuti al doppio delle spese legali a titolo di indennizzo per abuso del processo, trattandosi di un’azione che poteva essere evitata usando la normale diligenza;
inoltre si deve tener conto dell’eccessività della pretesa, tenuto conto che qualora la domanda fosse stata fondata, sarebbe spettato agli attori un importo massimo di euro 50 mila, e non le centinaia di migliaia di euro pretese in conclusioni, completamente al di fuori dei limiti del danno tabellato nelle tabelle milanesi; si pensi che per la morte di un figlio si giunge ad una liquidazione di circa 300 mila euro e per la diffamazione si prevede un massimo di 50 mila; quindi l’abuso dello strumento processuale viene in rilievo sia nell’an della domanda che nel quantum, assolutamente fuori tabella, (vd. Sez. 3 – , Ordinanza n. 26545 del 30/09/2021;cass.sez. U – , n. 25041 del 16/09/2021 “L’accertamento della responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., discende esclusivamente da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta, quali, ai sensi del comma 1, l’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o, per quanto riguarda il comma 3, l’aver abusato dello strumento processuale” >>.

Uguale esito sempre in Trib. Firenze n° 588/2023 del 28.02.2023, RG 2442/2019, rel. sempre Zanda. Riguarda due articoli pretesamente diffamatori del medesimo soggetto comparsi su La Verità di Belpietro.

Anche qui però la domanda è respinta: sono espressione del diritto costituzionale di liberà di stampa.

Spese di lite aumetnte del 50 % (in totale euro 30.600,00) per la complessità delle difese e per il numero degli articoli pretesamente diffamatori (solo due, però!) che ha comportato appesantimento della causa

Diffamazione a carico di ente commerciale: nella lite risarcitoria ENI c. Travaglio è arrivata la sentenza che rigetta la domanda di ENI

Con sentenza 14.12.2022 n° 18412/2022, RG 65990/2020, rel. Bile Corrado, il Tribunale di Roma rigetta la domanda risarcitoria di ENI vs. Il Fatto Quotidiano e il direttore Travaglio.

Il fatto dedotto consisteva in una lunga serie di articoli assai critici verso l’operato di ENI spt. in Africa, asseritamente diffamanti .

IL Trib. li esamina partitamente ma non ravvisa lesione della reputazione rilevante sotto il profilo aquiliano (art. 2043 cc).

Distingue il diritto di cronca dal diritto di critica, approfondendo il secondo.

Si appoggia alla “vecchia” Cass. 5259 del 1984 e al suo noto c.d decalogo del giornalista.

Ricorda che è ammessa una certa dose di esagerazine e provocazione, come ammesso anche da Corte EDU del 2016, ric. 49132/11..

Nel caso specifico <<dalla lettura emerge che la struttura argomentativa è sempre la stessa. Vengono presentate le vicende avvertendo il lettore che si tratta di questioni ancora oggetto di indagine e sulle quali, allo stato, non si è accertata alcuna responsabilità penale e, al contempo, si esprime un’opinione critica sull’opportunità di una scelta politica>>,.

Rigetta la domanda di sanzione per abuso del processo ex art. 96.3 cpc per assenza di malafede e colpa grave.

Spese di lite assestate ad euro 7.600+15% per spese generali.-

In una delle sue conclusioni ENI chiedeva la condanna di controparte a restituire <<l’ingiusto profitto ottenuto in consguenza dell’illecito>>. Domanda curiosa, perchè la norma esplicita è presente solo nel c.p.i. (ambigua invece nella l. aut.) ,ma non nel c.c.  Qui andrebbe ricostruita con complesso lavoro ermeneutico, a partire dalla pionieristica monografia di  Sacco del 1959 (v. ora l’ampio lavoro di Gatti S., Il problema dell’illecito lucrativo tra norme di settore e diritto privato generale, ESI, 2021)

Nessun cenno al concetto di diffamazione quando applicato ad un ente, per di più commerciale: l’art. 595 cp infatti difficilmente è applicabile a soggetti collettivi.

Diffamazione via Twitter

Ancora giurisprudenza fiorentina su diffamazione a carico di Matteo Renzi: App. Firenze n° 18/2023 del 04.01.2023, RG 14.199/2020, rel. Zanda.

Non ci son approfondimenti di rileivo, nemmeno circa lo strumento utilizzato (post su Twitter)

Fatto:

<<Tanto premesso si rileva che parte attrice ha depositato il tweet di cui si duole (vd. doc. 1), e in questo tweet si rinviene l’immagine di Del Rio, Renzi , Lotti e Boschi e sopra sta scritto: “intercettazioni Guidi: ho le foto dei mafiosi”>>

Sul mezzo diffusivo usato:

<<Dunque tornando al doc. 1 si tratta di un tweet collegato all’account della convenuta e dunque diretto alla cerchia ristretta dei suoi followers, e tale piattaforma social si caratterizza per un “messaggio lampo” di cd. micro-blogging in cui sono ammessi al massimo 140 caratteri con trasformazione in link dei messaggi che superano queste dimensioni.

La caratteristica di Twitter è dunque il micro blogging che porta nel web il sistema messaggistico SMS, dove un soggetto iscritto con account twitter comunica con altri soggetti che lo seguono o segue altro soggetto e tutti devono essere iscritti alla piattaforma Twitter.

Nella piattaforma Facebook non c’è né questo limite di caratteri né i messaggi per esser visibili devono essere aperti da chi sia iscritto su facebook; i messaggi facebook resi pubblici, infatti, possono esser visibili anche a chi non sia iscritto alla stessa piattaforma.

Dunque, la diffusività di un messaggio pubblicato nelle due piattaforme è molto differente sulle due piattaforme, per le diverse caratteristiche strutturali, essendo maggiore la potenzialità diffusiva dei post pubblicati su facebook.>>

Ricorda la tabnella milanese per la determianzione del risarcimento:

<<Da tali tabelle sono state ricavate le seguenti indicazioni rilevanti, i cui criteri possono valere anche per il cinguettii su Twitter: – notorietà del diffamante, – carica pubblica o ruolo istituzionale o professionale ricoperto dal diffamato, – natura della condotta diffamatoria (se colpisca la sfera personale e/o professionale, se sia violativa della verità e/o anche della continenza e pertinenza, se sia circostanziata o generica, se siano utilizzate espressioni ingiuriose, denigratorie o dequalificanti, uso del turpiloquio, possibile rilievo penale della condotta), – condotte reiterate, campagne stampa, – collocazione dell’articolo e dei titoli, spazio che la notizia diffamatoria occupa all’interno dell’articolo/libro/trasmissione televisiva o radiofonica;
– intensità dell’elemento psicologico in capo all’autore della diffamazione (se vi sia animus diffamandi, se il dolo sia eventuale), – mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione e relativa diffusione, eventualmente anche con edizione on line del giornale (escludendo la automatica equiparazione tra minor tiratura (o diffusività) = minor danno, specie in caso di mezzo di stampa che abbia un ambito di diffusione assai limitato sul territoriale, ma di elevata diffusività proprio in quell’ambito assai ristretto, ove lo stesso costituisca “territorio” di vita e relazione del danneggiato, – risonanza mediatica suscitata dalle notizie diffamatorie imputabile al diffamante (es. falso scoop con la consapevolezza di avvio di campagna stampa diffamatoria, ovvero notizia data ad agenzia tipo Ansa che la diffonde universalmente), – natura ed entità delle conseguenze sull’attività professionale e sulla vita del diffamato, se siano evidenziati profili concreti di danno o meno, – reputazione già compromessa (es. ampio coinvolgimento in procedimento penale), – limitata riconoscibilità del diffamato (es. foto di spalle, mancata indicazione del nome), – ampio lasso temporale tra fatto e domanda giudiziale, – rettifica successiva e/o spazio dato a dichiarazioni correttive del diffamato o rifiuto degli stessi, – pubblicazione della sentenza>>+

Concliusione in euro 20.000,00:
<<Orbene si ritiene equo liquidare all’attore l’importo omnicomprensivo (compreso danno da ritardo) pari ad euro 20.000,00 in quanto si è trattato di episodio unico, inoltre dai documenti prodotti dalle parti emerge che vi erano altri articoli dello stesso contenuto, dove compariva l’immagine anche dell’attore, associato alla questione delle foto Di Del Rio e scandalo Guidi; inoltre non vi è prova del fatto che gli altri articoli traggano origine dal twett pubblicato dalla convenuta essendo verosimile il contrario tenuto conto della limitata efficacia di un twett senza costrutto rispetto ad un articolo di testata giornalistica online (vd. doc. 3); si tiene poi conto che l’attore ha lasciato trascorrere quasi 5 anni dal fatto, e poi si tiene anche conto del fatto che non sono stati forniti al giudicante né elementi utili a conoscere la diffusività lesiva di quello specifico tweet della convenuta, che, esaminato nella parte delle condivisioni e gradimento esprime invero una molto limitata diffusività e scarsa sequela; nemmeno sono stati forniti elementi utili sul danno conseguenza ossia elementi utili a modulare il risarcimento in modo da adattarlo alle conseguenze sofferte dal richiedente sia sul piano personale che professionale come conseguenza diretta del tweet creato dalla convenuta>>

Ancora sulla diffamazioen: basta l’allusione, non è necessaria l’affermazione esplcita

Sempre nelle diatribe diffamatorie tra Il Fatto Quotidiano e il gruppo di Matteo Renzi, interviene Appello Firenze n° 2815/2022, RG 1620/2019, del 16.-12.2022, rel. Giulia Conte.

La corte fiorentina conferma l’accoglimento da parte del primo grado della domanda risarcitoria avanzata da Marco Lotti.

Qui segnalo solo il passaggio che ritiene sufficiente l’allusione , cioè l’evocazione indiretta, del fatto diffamante:
<<Peraltro, come già affermato dal primo giudice, e come più volte ribadito dalla Suprema Corte (v. da ultimo Cass. Civ. sez. III 29.10.2019 n. 27592), il giudizio sulla continenza verbale riguarda non solo il linguaggio utilizzato, ma anche il significato sottinteso alle parole dette (o non dette), suggerito attraverso espedienti stilistici e/o accostamenti suggestionanti di fatti, e l’applicabilità della scriminante rappresentata dalla continenza verbale dello scritto che si assume offensivo va esclusa allorquando vengono usati toni allusivi, insinuanti, decettivi, ricorrendo al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionalmente scandalizzato e sdegnato, all’artificiosa drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre e alle vere e proprie insinuazioni; d’altro canto, uno scritto allusivo o insinuante, anche quando fondato su fatti veri, può riuscire in concreto molto più pernicioso per l’onore altrui rispetto ad uno scritto vituperoso, giacché mentre questo sollecita il riso, quello suscita il dubbio, che molto più del primo corrode la reputazione di chi ne sia investito.
Soprattutto, però, è con il terzo articolo, quello del 26.09.2015 (v. doc. 6), a firma di Ferruccio Sansa e Davide Vecchi, che la scelta di adottare un titolo scandalistico prende il sopravvento sulla anche più minima prudenza, e induce i giornalisti a coinvolgere senza se e senza ma il Lotti nella bufera che sta travolgendo Tiziano Renzi, facendolo assurgere ad uno dei protagonisti della stessa.>>

<<Ma soprattutto tale articolo si appalesa suggestivo ed insinuante nel titolo: “Hanno mollato l’azienda per non inguaiare Matteo” con occhiello “Fallimenti, debiti e prestiti. Da papà Tiziano a papà Lotti, così nacque il Giglio Magico.”
L’occhiello evoca infatti, senza mezzi termini, un legame d’affari ed un sodalizio disastroso, che accomuna il prestito e l’esito fallimentare dell’impresa, e che riconduce le ragioni del prestito alla volontà di sostenere Matteo Renzi e la sua famiglia, per interessi personali connessi alla sua ascesa (con il chiaro riferimento al cd. Giglio Magico, espressione che allude ai sostenitori di Renzi di area toscana).
Tale occhiello appare particolarmente rilevante, ai fini della natura diffamatoria dell’articolo, sotto due profili.
In primo luogo, esso fornisce la chiave di lettura di tutto ciò che si va poi ad esporre nell’articolo, per quei lettori che abbiano la voglia di procedere oltre nella lettura, confermando che l’accostamento che si va ad operare del prestito a Tiziano Renzi e dell’ascesa politica di Luca Lotti non è affatto neutro.
In secondo luogo, il complessivo titolo assume una valenza diffamatoria ex se, ancora più dirompente rispetto a quei lettori, affatto rari, che si limitano ad una lettura sommaria del quotidiano e si fermano alla sua intitolazione, dalla quale non possono che trarre la conclusione che Marco Lotti abbia agito all’interno della banca illecitamente, per interessi politici e personali e mosso da legami nefasti (tanto che la società che ha beneficiato del prestito da lui istruito con parere favorevole dev’essere allontanata da Matteo Renzi per non inguaiarlo).>>

<<Dunque, come già ritenuto dal primo giudice, gli articoli censurati dall’attore e pubblicati su Il Fatto Quotidiano in data 18-24-26 settembre 2015, anche in base a una lettura sistematica e d’insieme, che consenta di considerare l’effetto amplificato derivante dalla loro contiguità temporale, sono da considerarsi lesivi della reputazione del Lotti, e non possono ritenersi giustificati dal legittimo esercizio del diritto di cronaca e/o di critica.
Invero, manca in essi il rispetto tanto del principio di continenza – leso non solo da un linguaggio scurrile ma, più subdolamente, anche da un linguaggio allusivo e scandalistico – quanto di quello di verità, essendo tratti da fatti noti, veri, in modo ardito e privo di riscontri fatti ignoti, non dimostrati.
Se poi è vero che il diritto di critica presuppone indefettibilmente un taglio soggettivo della vicenda narrata, è vero anche che esso deve avere ad oggetto fatti tutti veri, ai quali il dichiarante solo aggiunge il proprio giudizio; nel caso in esame, invece, si tratta di una mistificazione della realtà, ottenuta accostando in modo malizioso fatti veri, per alludere a fatti indimostrati.>>

<<D’altro canto, è orientamento consolidato in giurisprudenza che in tema di risarcimento del danno causato da diffamazione a mezzo stampa la prova del danno non patrimoniale può essere fornita con ricorso al notorio e tramite presunzioni, assumendo come idonei parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale (cfr. per tutte Cass. 9799/19). A fronte di tale quadro, dunque, avrebbero semmai dovuto essere gli appellanti a spiegare perché nonostante la portata della diffamazione il Lotti non avrebbe subito alcun patema d’animo conseguente>>

Conferma la condanna a tale titolo ad euro 8.000,00.

Renzi v. Travaglio: altra decisione civile fiorentina in tema di diffamazione

Dopo quella di agosto u.s. (v. mio post 24 agosto 2022),  Trib. Firenze interviene ancora sul tema con sentenza n° 316/2023, RG 7918/2020, rel. Zanda.

Il fatto storico:

<<Dalla stessa narrativa del fatto, emerge che la presunta diffamazione deriva non già dall’intervista, ovvero dalle parole proferite da Marco travaglio a Tagadà ma indirettamente dal fatto che dietro la sua persona si trovasse una libreria con libri e oggetti vari tra cui degli oggetti assuntivamente tali da incidere negativamente sulla reputazione dl politico Matteo Renzi.
La diffamazione dunque si sarebbe attuata in forma mediata non attraverso le parole dell’intervistato, in primo piano, ma attraverso la valenza comunicativa degli oggetti posti in secondo piano e che stavano alle sue spalle, e in particolare un rotolo di carta igienica con il volto dell’attore sul lembo mobile e due disegni ritraenti un segnale di pericolo e un escremento e separata un’immagine dell’attore>>

La domanda risarcitoria di Renzi è rigettata, trattandosi di critica politica lecita, anche come satira.

Poi:

<<Guardando il video dell’intervista, non emerge invero il detto carattere diffamatorio in quanto in primo piano si trova il giornalista Travaglio che parla e quindi lo spettatore è portato a concentrarsi sulle sue parole e poco sugli oggetti della libreria; quindi non si può affermare che sia più probabile che non, il fatto che i telespettatori avessero notato quei piccoli dettagli alle spalle dell’intervistato; non si vede nemmeno bene che si tratti di un rotolo di carta igienica, e comunque l’immagine dell’attore non è percepibile perché troppo piccola o coperta dal capo dell’intervistato o sgranata dal fatto di essere in secondo piano, spesso ripreso da lontano; l’accostamento al rotolo della carta igienica di un personaggio politico è poi effettivamente diffusa sui rotoli che vengono venduti su Ebay e Amazon che ritraggono scherzosamente anche altri personaggi della politica nazionale e internazional>>

Sul tema centrale (satira):

<<Come ribadisce la Corte di Giustizia a commento dell’art. 11 della CEDU la satira (in questo caso riferibile anche a un terzo estraneo al giudizio) è espressione di libertà democratica e un uomo politico deve sempre tollerarla indipendentemente dal contesto di critica politica, mettendo in conto di essere sottoposto a caricature, accostamenti ridicolizzanti anche privi di significati politici ben precisi.
La satira ai politici è l’anima della democrazia perché solo nei regimi totalitari la satira è vietata e gli uomini politici non possono essere rappresentati in forma satirica caricaturale e ridicolizzante.
Si veda l’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dei cittadini dell’unione europea e il controllo della Corte di Giustizia sul rispetto da parte degli stati aderenti, sul tema della libertà di espressione, affinchè non si vadano a creare ostacoli alle libertà fondamentali previste dal Trattato dell’Unione, tra cui la libertà di espressione e il pluralismo di media.
Come afferma la sentenza corte di giustizia nella nota sentenza 7.12.76 Handyside la corte di Strasburgo ha qualificato la libertà di espressione come la “precondizione” per l’esercizio e il godimento di tutti gli altri diritti, fondamentali, ed è sia un diritto fondamentale, sia lo strumento di tenuta delle libertà fondamentali degli stati democratici sicchè si può affermare che il livello di democrazia effettiva di uno stato si può valutare dalla maggiore o minore estensione della libertà di espressione e massimamente dalla satira politica.
Dunque seppure si volesse intendere che in un’intervista televisiva si possa prescindere dalle parole dell’intervistato per dare valore, invece, agli oggetti posti in secondo piano e alla loro valenza comunicativa e seppure si volesse vietare la possibilità di farsi riprendere con vignette o immagini caricaturali di personaggi politici anche accostati alla carta igienica o ritratti sulla carta igienica, resta comunque il fatto che un personaggio politico in uno stato democratico deve tollerare immagini satiriche della sua persona e del suo volto, anche impresse su gadget come quello di causa, perché solamente in un regime totalitario è vietato criticare o ridicolizzare un personaggio politico. Si noti, infatti, che la corte di cassazione italiana nega che alla satira possa applicarsi il limite della continenza per sua natura esclusa dalla satira che è eccessiva graffiante e smodata.
Quanto alle sentenze che se da un lato negano la necessità della continenza per il messaggio satirico dall’altro, tuttavia, richiedono la funzionalizzazione della satira ad un messaggio politico si rileva che in realtà la satira potrebbe tradursi esclusivamente nella messa alla berlina dl personaggio pubblico, anche senza un sottostante messaggio politico, ovvero il vignettista o il satirico potrebbe anche non avere alcun messaggio politico da proporre, potrebbe anche essere un soggetto “a-politico” ed essere comunque libero di ridicolizzare e mettere alla berlina un personaggio pubblico, anche al di fuori di un ben preciso accadimento storico e di un fatto politico, perché non risulta alcun elemento normativo che suggerisca che la libertà di satira e di espressione debbano necessariamente veicolare un messaggio politico o una critica politica per essere “giustificabili”; anzi la mera rappresentazione del volto dei politici deformati, con caricature somatiche è sempre stata ritenuta legittima proprio come espressione di satira, avulsa da messaggi o contenuti politici tecnicamente intesi, detta proprio satira politica solo per l’oggetto, ossia per i personaggi politici che ne formavano l’oggetto.
Altrimenti si dovrebbe dire che la satira si possa ammettere solo se il personaggio politico viene rappresentato nell’atto di compiere un’azione politica, o in collegamento con un episodio politico di attualità ben preciso, il che non è.>>

Subito dopo:

<<In ogni caso, nel caso in oggetto non ci sono né parole, né immagini riferibili direttamente a Marco Travaglio, come accadrebbe se si trattasse di una sua vignetta, soggetto al quale possa ricondursi il carattere presuntivamente diffamatorio dell’immagine dell’attore impressa, ed è emersa la prova che la presenza di piccoli oggetti nemmeno evidenti alle sue spalle, non solo non era mediamente percepibile da uno spettatore medio, ma non è risultata nemmeno voluta dal convenuto, che si trovava lì per l’eccezionalità dell’intervista nella fascia oraria pomeridiana invece che tardo pomeridiana allorquando la sala a ciò dedicata risultava occupata..
In ogni caso lo spettatore attento che avesse avuto modo di accorgersi di quelle piccole immagini alle spalle del convenuto, e dunque in secondo piano, in mezzo per giunta a tanti altri oggetti, avrebbe avuto casomai, secondo l’id quod plerumque accidit, una semplice reazione di mera ilarità, ma non si sarebbe certamente fatto alcuna idea peggiorativa o anche solo diversa della reputazione dell’attore, rispetto a quella che aveva prima dell’intervista di Travaglio su Tagadà, perché si sarebbe reso contestualmente conto del carattere satirico delle immagini, tale da non incidere negativamente sulla reputazione dell’attore; si ritiene quindi difetti anche la prova dell’an di danno, che difatti non è stato nemmeno allegato. A questi argomenti si aggiunge che la valutazione dell’equilibrio tra libertà di espressione e reputazione dell’uomo pubblico al potere, spetta in ultima analisi alla suprema corte di giustizia che applica l’art. 10 della convenzione, per cui diviene rilevante la disamina delle pronunce della Corte sull’art. 10 Convenzione; ebbene in un caso esaminato dalla Corte di Giustizia, sentenza del 10.10.2022, i politici furono messi alla berlina in modo molto più eclatante e per giunta utilizzando internet con portata diffusiva maggiore; in particolare i politici al potere erano raffigurati come l’asino dai capelli bianchi che indossava un abito e la scrofa con i capelli biondi che indossava calze di pizzo, reggicalze e tacchi alti, circondati da maiali; tutti brandivano spade e bandiere.>>

Parametri:

<<In questo contesto, i criteri pertinenti da prendere in considerazione sono il contributo a un dibattito di interesse generale, la notorietà della persona interessata, l’oggetto del servizio giornalistico, il comportamento precedente della persona interessata, il contenuto, la forma e le ripercussioni della pubblicazione, nonché, se del caso, le circostanze in cui sono state scattate le fotografie.>>

Condanna per abuso del processo ex art. 96.3 cpc pari al doppio delle spese di lite liquidate (nonostante i precedenti siano per il triplo, ivi citt.) così motivato:

<<Alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia i cui principi il giudice interno deve applicare in rapporto ai diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione, compatibili con la parte rigida e i diritti fondamentali riconosciuti dalle Costituzioni interne europee, e considerata l’inoffensività del fatto come emerge oggettivamente proprio dal video e persino la incolpevolezza del fatto, come emerge dalle dichiarazioni della teste escussa, considerato infine che il danno da diffamazione è tabellato nelle tabelle di Milano e giunge al massimo ad euro 50.000,00 che può essere incrementato con ragionevolezza in rapporto a specifiche circostanze, senza comunque mai poter giungere ad un importo siffatto; considerato che stando alle decisione dell’unione europea l’essere un personaggio pubblico lungi dal poter determinare 500 mila euro di danno, è, caso mai, criterio di valutazione della insussistenza del fatto, e ciò per la maggiore tolleranza che si richiede al personaggio al potere; ebbene tutto ciò considerato si ritiene sussistano le condizioni dell’abuso del processo, con conseguente applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c., liquidando al giornalista Marco Travaglio e a carico di Renzi Matteo, il triplo delle spese legali liquidate, giusta cass. sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8943 del 18/03/2022 conforme a cass. sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21570 del 30/11/2012 (….).

Cionondimeno poiché qui le spese ammontano ad euro 21 mila calcolate sulla base dell’importo del tutto eccessivo della domanda rigettata, si liquida l’indennizzo al doppio delle spese legali liquidate.>>

La parte in rosso è la più interessante e non è scontata. La satira non deve affatto ripercorrere tutto il o parte del messaggio politico del soggetto satireggiato: la critica del potere, alla base della democraticità, può essere libera.

Da approfondire pure quella in verde , inerente al vincolo europeo sulla disciplina dei diritti fondamentali

Sulla satura v. ora Jacopo Menghini,  Libertà di satira, una sfida per i social media, in  forumcostituzionale.it, 2022-4.

Tre sentenze di merito sulla diffamazione (due delle quali anche sul diritto di cronaca giornalistica)

1) Trib. Pavia n° 41 / 2022 del 13.01.222, RG 129/2021, giudice Forcina;

2) Trib. Roma n° 7972/2022 del 23.05.2022, RG 47190/2018, giudice Di Tullio;

3) Trib. Milano n° 9402/2022 del 30.11.2022, RG 32000/2020.

1) offesa rivolta da condomino all’amministratore in una lettera (già a partire dall’indirizzo!). Il T. si rifà ai criteri risarcitori del Trib. Milano .

<<2.2.2. Per quanto concerne l’ammontare del danno si deve evidenziare che la sua sussistenza deve essere sì oggetto di allegazione e prova, ma quest’ultima può essere fornita anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima (cfr. in ultimo Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8861 del 31/03/2021).
La giurisprudenza di merito ha tenuto conto di una serie di criteri che sono stati poi raccolti dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano per l’elaborazione di una tabella di valori per la liquidazione equitativa del danno alla reputazione personale per la diffamazione a mezzo stampa, i quali devono essere qui richiamati nella misura in cui sono compatibili.
Si fa riferimento alla notorietà del diffamante e del diffamato, alla natura della condotta diffamatoria, alla sussistenza di condotte reiterate, all’intensità dell’elemento psicologico in capo all’autore della diffamazione, al mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione e alla relativa diffusione, alla natura ed entità delle conseguenze sull’attività professionale e sulla vita del diffamato, se siano evidenziati profili concreti di danno o meno, alla limitata riconoscibilità del diffamato, alla rettifica successiva e/o spazio dato a dichiarazioni correttive del diffamato o rifiuto degli stessi.
Applicando tali criteri al caso di specie, si ritiene che la lesione della reputazione dell’attore sia stata minima. Si deve infatti considerare la scarsa notorietà della parti, l’esiguità della diffusione dell’offesa atteso che appare presumibile che l’epiteto presente sulla busta contenente la raccomandata sia pervenuto alla conoscenza di una ristretta cerchia di soggetti (l’attore, d’altronde, non ha svolto istanze istruttorie sull’esistenza di ulteriori soggetti che abbiano avuto lettura della busta contenente la corrispondenza) da ricondurre per lo più agli agenti postali; dal punto di vista dell’elemento soggettivo occorre considerare che il convenuto non ha mai receduto dalla volontà di qualificare come “idiota” e autore di truffe l’attore ma, anzi, ha perpetrato in tale intento anche con la lettera inviata al difensore dell’attore dopo la contestazione operata da quest’ultimo a seguito della ricezione della missiva oggetto di causa (cfr. doc. n. 3 fascicolo parte attrice).
Si ritiene, pertanto, che la scarsa diffusività della lesione, unitamente alla intensità del dolo del convenuto conducano alla liquidazione del danno in una misura pari ai valori medio bassi del primo scaglione di riferimento della tabella dianzi menzionata; pertanto, deve riconoscersi in favore dell’attore per la lesione della reputazione la somma di euro 2.500.>>

2) critica giornalistica, domanda del se dicente “leso” respinta (spese di lite liquidate in oltre 11.000 euro):

<<Ritiene il Tribunale che l’articolo per cui è causa costituisce sostanzialmente uno scritto di critica politica, perché il giornalista ha espresso un giudizio su I. D.  e le sua attività di dichiarata promozione culturale, che invece , a suo parere, ha ritenuto finalizzata anche alla realizzazione di obiettivi di diversa natura , ovvero di propaganda russa in occidente.
La critica si concretizza nella manifestazione di un’opinione ed è un giudizio valutativo e come tale soggettivo e non può pretendersi che sia “obiettivo” e neppure, in linea astratta, “vero” o “falso”.
Mentre la cronaca ha ad oggetto la notizia, ovvero una rappresentazione del fatto, che deve essere verificata affinchè il lettore sia informato del reale accadimento, l’esercizio della critica è un’opinione che consiste in un attribuzione di valore e dunque non può che essere fondata sull’interpretazione, necessariamente soggettiva, dell’agente . In definitiva la verità deve essere relativa al fatto riferito e costituente oggetto della valutazione critica (Sez. 5, n. 3389 del 12/11/2004, dep. 2005, Perna, cit.) almeno quanto al suo nucleo essenziale, non anche alla rappresentazione critica dello stesso, conclusione che risponde ai principi enunciati dalla CEDU (cfr. anche sent. IV sez. del 30/06/2015, Peruzzi c. Italia (p. 48) che distingue tra fatto costituente il presupposto della critica e giudizio critico, nonchè corrisponde alla differenza, enunciata dalla Corte di Strasburgo, tra dichiarazioni fattuali e giudizi di valore ( Cass. 07-02-2022, n. 4225).             La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioè, normalmente, un contenuto di veridicità limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (Sez. 5, n. 13264 del 16/03/2005, non massimata; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, Rv. 221904; Sez. 5, n. 7499 del 14/02/2000, Rv. 216534), ma non può pretendersi che si esaurisca in essi. In definitiva nell’ambito del diritto di critica, il rispetto del principio di verità si declina peculiarmente, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale e non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Cass. 42654/21 Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, dep. 2017, Volpe, Rv. 270284, Sez. 5, n. 7715 del 04/11/2014, dep. 2015, Caldarola)>>

3) critica giornalistica . Di questa lite tra giornalisti hanno dato ampia notizia i giornali , decidendo sulla domanda risarcitoria avanzata da Fubini contro Belpietro e altri. I fatti esposti in sentenza : <<L’attore ricostruiva l’iter di approvazione del documento programmatico di bilancio presentato dal Governo Italiano alla Commissione Europea nell’ottobre del 2018, doppiamente bocciato prima che nel dicembre prendesse avvio una trattativa all’esito della quale il governo, smentendo le precedenti dichiarazioni di inamovibilità rese dai due vicepresidenti del Consiglio italiano, apportava una rilevante correzione alla manovra, con riduzione del deficit dal 2,4% al 2,04% che scongiurava l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia per eccesso di deficit.
Alla vicenda Fubini dedicava due ampi articoli nel mese di novembre nei quali si sottolineavano la sostanziale assenza di proposte di correzione ed il conseguente rischio di apertura della procedura di infrazione. Analoghe considerazioni venivano svolte su tutti i principali organi di stampa, il tutto anche in considerazione delle dichiarazioni costantemente rese dal Vice Presidente della Commissione Europea, Valdis Dombrowskis. Contemporaneamente il Corriere pubblicava pezzi del suo corrispondente a Bruxelles, Ivo Caizzi, che pur riferendo di tentativi di mediazione per una correzione “notevole” ribadiva, in mancanza di accordo, il rischio di procedura di infrazione.
Intervenuta la correzione, in data 19/12/18, che scongiurava l’apertura del procedimento per deficit eccessivo contro l’Italia, in data 31/12/18 Caizzi inviava una missiva al Comitato di Redazione del Corriere che chiedeva di valutare il comportamento del Direttore, Luciano Fontana, per la scarsa copertura offerta alla trattativa tra governo italiano e Commissione.
La notizia veniva ripresa dal quotidiano La Verità in data 8/1/19 con un titolo “Europa, il corrispondente da Bruxelles accusa il Corriere di raccontare balle” che coinvolgeva l’odierno attore, ma non è oggetto di contestazione. Il giorno successivo venivano pubblicati i due articoli qui contestati nei quali si accusava Fubini di avere diffuso notizie false sul rischio di apertura della procedura di infrazione, nascondendo le voci ufficiali sull’esistenza di una trattativa, così condizionando i mercati e favorendo operazioni speculative che mettevano a rischio la stabilità del Paese. L’attore veniva quindi accusato di diffondere fake news che favorivano i nemici dell’Italia, rilevando anche la partecipazione di Fubini al board della Fondazione di Soros. Sulla scorta di queste accuse l’on. Lannutti con altri parlamentari del M5S e della Lega presentavano una interpellanza al Parlamento che chiedeva di valutare se la partecipazione di Fubini alla Fondazione di Soros fosse compatibile con la deontologia professionale e se le informazioni fornite sul Corriere della Sera avessero negativamente influenzato i mercati favorendo gli speculatori. Inoltre Lannutti depositava un esposto alla Procura di Milano ipotizzando una responsabilità penale di Fubini, che depositava memoria difensiva con documentazione. All’esito delle indagini delegate al Nucleo Speciale di Polizia valutaria il fascicolo veniva archiviato in data 14/3/19>>.

La domanda è accolta. <<In sostanza il pezzo in discussione trasmette ai lettori, non troppo velatamente, la suggestione che Fubini sia di fatto un “nemico dell’Italia”, giornalista al soldo dello speculatore Soros per favorirlo in operazioni finanziarie che scommettevano sull’impennata dello spread e il crollo della Borsa. La dedotta falsità della notizia veicolata da Fubini si trasformava anche in palese accusa di avere tradito le sue funzioni come membro della task force europea contro le fake news. (/…) In conclusione, pur alla luce del diritto di critica e di satira quale libera manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost che potrebbe prevalere sugli interessi individuali alla reputazione rimane non scriminato il sospetto, suggerito ai lettori, di una sostanziale partecipazione di Fubini, membro della fondazione di Soros, a manovre speculative ai danni dei mercati italiani.>>, p. 6/7.

Il capo di condanna: <<Quanto al risarcimento, può essere riconosciuto il danno non patrimoniale che certamente, come sottolineato dai convenuti, non è “in re ipsa”, nel senso che non coincide con la lesione dell’interesse, ma deve essere considerato con riferimento alle conseguenze che ha determinato nella sfera personale del soggetto leso, sotto il profilo del turbamento psichico (sia pure transeunte) e della ripercussione negativa sulla vita sociale e relazionale. Si tratta di evenienze di danno-conseguenza che, laddove non siano allegati effetti di tipo patologico, possono essere valutate e liquidate utilizzando anche elementi di prova fondati sul notorio, prendendo in considerazione un soggetto-tipo nelle stesse condizioni del soggetto leso.
Di tale sofferenza psicologica e lesione della sfera relazionale, conseguenti alla lesione del valore persona garantito dall’ art. 2 Cost., deve necessariamente darsi una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., che al Tribunale tenuto conto da un lato della gravità della notizia ritenuta diffamatoria, dall’altro della diffusione del quotidiano pare di poter liquidare, secondo i parametri usuali di questo foro, in euro 40.000,00, in moneta attuale e comprensivi di interessi ad oggi (e su cui decorreranno gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo effettivo).
A tale importo può essere aggiunta una somma a titolo di riparazione pecuniaria ex art. 12 L. 47/48, trattandosi di sanzione civile che consegue al reato di diffamazione a mezzo stampa, rafforzativa della sanzione penale (cfr. Cass. 14485/00). Invero, la sanzione pecuniaria prevista dall’ art. 12 L. 47/48 -aggiuntiva e non sostitutiva del risarcimento del danno- presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, sicchè può essere comminata solo all’autore del testo riconosciuto lesivo e può essere liquidata in euro 8.000,00 ciascuno a carico dei giornalisti Mario Giordano e Francesco Luigi Bonazzi sempre in moneta attuale e comprensiva di interessi ad oggi, oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo effettivo.>>