Diritto all’oblio vs. diritto all’informazione: ragionevole composizione di un conflitto sempre più frequente

E’ sempre più frequente la richiesta di cancellazione di notizie passate (negative, spesso di indagini e/o codnanen penali) indirizzata al motore di ricerca e/o all’editore di quotidiano circa la sua banca dati web.

Cass. sez. 1 del 31.01.2023 n. 2983, rel. Scotti, propone (anzi: dispone) una persuiasiv asoluizione al conflitto di interessi de quo. Sta ai §§ 28/30.

<< 28. La Corte, come già anticipato, ritiene che l’equo contemperamento dei diritti in conflitto non possa essere raggiunto attraverso l’accoglimento della richiesta principale dei ricorrenti, ossia la cancellazione tout court degli articoli in questione dall’archivio on line del quotidiano, che annichilerebbe con l’iperprotezione dei diritti alla riservatezza degli interessati la funzione di memoria storica e documentale dell’archivio del giornale, che è oggetto di un rilevante interesse pubblico, di rilievo anch’esso costituzionale ex artt. 21 e 33 Cost., come rammenta esattamente la controricorrente.

In altri termini, non sarebbe più possibile accedere all’originario contenuto degli articoli ad uno studioso, storico o sociologo, intenzionato a ricostruire l’andamento dei processi per reati contro la pubblica amministrazione in quell’epoca, per esaminare il contenuto delle accuse e il loro esito; e ciò anche se, poniamo, l’obiettivo della sua inchiesta fosse rivolto a dimostrare gli eccessi di repressione giudiziaria o gli abusi della carcerazione preventiva in un certo contesto spazio-temporale oppure l’atteggiamento, più o meno “giustizialista” o “garantista”, della stampa e dell’opinione pubblica in quel contesto.

29. Una via adeguata di contemperamento non è neppure quella della manipolazione del testo con l’introduzione di pseudonimi sostitutivi o omissioni nominative, pur astrattamente contemplata dal GDPR.

Infatti, lo stesso art. 89 GDPR consente tali accorgimenti solo se le finalità in questione possano essere conseguite in tal modo e non è questo il caso.

La memoria storica dell’archivio diverrebbe incompleta e falsata e così se ne perderebbe la funzione.

30. Non è così per la richiesta di aggiornamento mediante la mera apposizione agli articoli, su istanza dell’interessato, di una nota informativa volta a dar conto del successivo esito dei procedimenti giudiziari con l’assoluzione degli interessati e il risarcimento del danno per ingiusta detenzione.

In tal modo l’identità dell’articolo, che in sé e per sé rimane intonso, è adeguatamente preservata a fini di ricerca storico-documentaristica, ma al contempo vengono rispettati i fondamentali principi di minimizzazione ed esattezza sopra illustrati.

La soluzione accolta è inoltre conforme al principio di contestualizzazione e aggiornamento dell’informazione.

Non paiono pertinenti rispetto a questo accorgimento le critiche sopra riassunte nel p. 15: non si richiede infatti al gestore dell’archivio di attivarsi in via generale per l’aggiornamento delle informazioni alla luce degli sviluppi giudiziari successivi, che genererebbe effettivamente costi ingenti e probabilmente insostenibili, incompatibili con la persistente economicità degli archivi, ma solo di corrispondere senza ritardo a puntuali e specifiche richieste degli interessati, documentalmente suffragate, non solo con la deindicizzazione ma anche con l’apposizione di una breve nota informativa sull’esito finale della vicenda giudiziaria, in calce o a margine della pagina ove figura l’articolo>>.

Che poi prosegue così:

<<31. La regola fondamentale per ogni bilanciamento di diritti richiede la valutazione comparativa della gravità del sacrificio imposto agli interessi in conflitto: la normale tollerabilità di una ingerenza nel diritto altrui, secondo una risalente ma autorevolissima dottrina, va accertata anche alla luce dei costi necessari per prevenirla.

E nel caso è sufficiente un costo modesto (l’inserzione di una breve nota in calce o a margine e solo su richiesta di parte, che non altera la funzione tipica dell’archivio) per la prevenzione di un pregiudizio ben più consistente per l’interessato.

Tale modesto sacrificio ben può essere accollato a chi gestisce l’impresa giornalistica, in logica di profitto, quale onere accessorio all’attività imprenditoriale, che scatta solo se ed in quanto l’interessato richieda la rettifica esplicativa del dato personale e l’inesattezza del dato viene dedotta sulla base di accertamenti obiettivi e incontrovertibili quali quelli provenienti da un documentato accertamento giudiziario passato in giudicato.

Naturalmente questa tutela si aggiunge a quella consistente nella deindicizzazione, nel caso accordata dalla attuale controricorrente tempestivamente secondo la sentenza del Tribunale, non impugnata al riguardo>>.

Dunque ecco il princuipoio di diritto

In tema di trattamento dei dati personali e di diritto all’oblio, è lecita la permanenza di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, nell’archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di una inchiesta giudiziaria, poi sfociata nell’assoluzione dell’imputato, purché, a richiesta dell’interessato, l’articolo sia deindicizzato e non sia reperibile attraverso i comuni motori di ricerca, ma solo attraverso l’archivio storico del quotidiano e purché, a richiesta documentata dell’interessato, all’articolo sia apposta una sintetica nota informativa, a margine o in calce, che dia conto dell’esito finale del procedimento giudiziario in forza di provvedimenti passati in giudicato, in tal modo contemperandosi in modo bilanciato il diritto ex art. 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita lesione della propria immagine sociale” (§ 32, anche se erroneamente numerato come § 31).

I passaggi chiave, naturalmente, sono i due sottolineati.

Impotante sentenza europea sul bilanciamento a carico del motore di ricerca nel caso di istanza di deindicizzazone per informazione erronea

Corte di Giustizia 8 dicembre 2022 , C-460/20, sull’esercizio del diritto all’oblio per notizie inesatte e diffamatorie circa sia 1) i link ai siti fonte che 2) le fotografie in miniatura risutlanti dalla ricerca,  che poi rinviano ai siti medesimi.

Sentenza importante, molto importante,  che fungerà da guida per i motori di ricerca e per gli interessati.

Il succo circa il punto 1 è ai §§ 68-74:

<<Per quanto riguarda, in primo luogo, gli obblighi incombenti alla persona che richiede la deindicizzazione per l’inesattezza di un contenuto indicizzato, spetta a tale persona dimostrare l’inesattezza manifesta delle informazioni che compaiono in detto contenuto o, quanto meno, di una parte di tali informazioni che non abbia un carattere secondario rispetto alla totalità di tale contenuto. Tuttavia, al fine di evitare di far gravare su tale persona un onere eccessivo idoneo a minare l’effetto utile del diritto alla deindicizzazione, essa è tenuta unicamente a fornire gli elementi di prova che, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, si può ragionevolmente richiedere a quest’ultima di ricercare al fine di dimostrare tale inesattezza manifesta. A tal riguardo, tale persona non può essere tenuta, in linea di principio, a produrre, fin dalla fase precontenziosa, a sostegno della sua richiesta di deindicizzazione presso il gestore del motore di ricerca, una decisione giurisdizionale ottenuta contro l’editore del sito Internet in questione, fosse pure in forma di decisione adottata in sede di procedimento sommario. Imporre un obbligo siffatto a detta persona avrebbe, infatti, l’effetto di far gravare su di essa un onere irragionevole.

69      Per quanto riguarda, in secondo luogo, gli obblighi e le responsabilità incombenti al gestore del motore di ricerca, è vero che quest’ultimo, al fine di verificare, a seguito di una richiesta di deindicizzazione, se un contenuto possa continuare ad essere incluso nell’elenco dei risultati delle ricerche effettuate mediante il suo motore di ricerca, deve fondarsi sull’insieme dei diritti e degli interessi in gioco nonché su tutte le circostanze del caso di specie.

70      Tuttavia, nell’ambito della valutazione delle condizioni di applicazione di cui all’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del RGPD, il medesimo gestore non può essere tenuto a svolgere un ruolo attivo nella ricerca di elementi di fatto che non sono suffragati dalla richiesta di cancellazione, al fine di determinare la fondatezza di tale richiesta.

71      Pertanto, in sede di trattamento di una richiesta del genere, non può essere imposto al gestore del motore di ricerca in questione un obbligo di indagare sui fatti e di organizzare, a tal fine, uno scambio in contraddittorio, con il fornitore di contenuto, diretto ad ottenere elementi mancanti riguardo all’esattezza del contenuto indicizzato. Siffatto obbligo, infatti, poiché costringerebbe il gestore del motore di ricerca stesso a contribuire a dimostrare l’esattezza o meno del contenuto menzionato, farebbe gravare su tale gestore un onere che eccede quanto ci si può ragionevolmente da esso attendere alla luce delle sue responsabilità, competenze e possibilità, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 53 della presente sentenza. Tale obbligo comporterebbe quindi un serio rischio che siano deindicizzati contenuti che rispondono ad una legittima e preponderante esigenza di informazione del pubblico e che divenga quindi difficile trovarli in Internet. A tal riguardo, sussisterebbe un rischio reale di effetto dissuasivo sull’esercizio della libertà di espressione e di informazione se il gestore del motore di ricerca procedesse a una deindicizzazione del genere in modo pressoché sistematico, al fine di evitare di dover sopportare l’onere di indagare sui fatti pertinenti per accertare l’esattezza o meno del contenuto indicizzato.

72      Pertanto, nel caso in cui il soggetto che ha presentato una richiesta di deindicizzazione apporti elementi di prova pertinenti e sufficienti, idonei a suffragare la sua richiesta e atti a dimostrare il carattere manifestamente inesatto delle informazioni incluse nel contenuto indicizzato o, quantomeno, di una parte di tali informazioni che non abbia un carattere secondario rispetto alla totalità di tale contenuto, il gestore del motore di ricerca è tenuto ad accogliere detta richiesta di deindicizzazione. Lo stesso vale qualora l’interessato apporti una decisione giudiziaria adottata nei confronti dell’editore del sito Internet e basata sulla constatazione che informazioni incluse nel contenuto indicizzato, che non hanno un carattere secondario rispetto alla totalità di quest’ultimo, sono, almeno a prima vista, inesatte.

73      Per contro, nel caso in cui l’inesattezza di tali informazioni incluse nel contenuto indicizzato non appaia in modo manifesto alla luce degli elementi di prova forniti dall’interessato, il gestore del motore di ricerca non è tenuto, in mancanza di una decisione giudiziaria del genere, ad accogliere siffatta richiesta di deindicizzazione. Qualora le informazioni di cui trattasi siano idonee a contribuire a un dibattito di interesse generale, occorre, alla luce di tutte le altre circostanze del caso di specie, attribuire un’importanza particolare al diritto alla libertà di espressione e di informazione.

74      Occorre aggiungere che, conformemente a quanto esposto al punto 65 della presente sentenza, sarebbe altresì sproporzionato procedere alla deindicizzazione di articoli, con la conseguenza di rendere difficile l’accesso in Internet all’integralità di essi, nel caso in cui si rivelino inesatte solo talune informazioni di minore importanza rispetto alla totalità del contenuto incluso in tali articoli.>>

Ripsosta finale: <<nell’ambito del bilanciamento che occorre effettuare tra i diritti di cui agli articoli 7 e 8 della Carta, da un lato, e quelli di cui all’articolo 11 della Carta, dall’altro, ai fini dell’esame di una richiesta di deindicizzazione rivolta al gestore di un motore di ricerca e diretta ad ottenere l’eliminazione, dall’elenco dei risultati di una ricerca, del link verso un contenuto che include affermazioni che la persona che ha presentato detta richiesta ritiene inesatte, tale deindicizzazione non è subordinata alla condizione che la questione dell’esattezza del contenuto indicizzato sia stata risolta, almeno provvisoriamente, nel quadro di un’azione legale intentata da detta persona contro il fornitore di tale contenuto.>>, § 77.

Circa il punto 2 (fotografie in miniatura) la risposta è meno facile e sopratutto rigurada il se si debba tener conto pure del contesto in cui le foto sono inserite: le miniature infatti nei risultati della ricrca non lo mostrano e per raggiungerlo bisogna cliccarci (le foto sono un link).

Risposta: <nell’ambito del bilanciamento che occorre effettuare tra i diritti di cui agli articoli 7 e 8 della Carta, da un lato, e quelli di cui all’articolo 11 della Carta, dall’altro, ai fini dell’esame di una richiesta di deindicizzazione rivolta al gestore di un motore di ricerca e diretta ad ottenere l’eliminazione, dai risultati di una ricerca di immagini effettuata a partire dal nome di una persona fisica, delle fotografie visualizzate sotto forma di miniature raffiguranti tale persona, occorre tener conto del valore informativo di tali fotografie indipendentemente dal contesto della loro pubblicazione nella pagina Internet da cui sono state tratte, prendendo però in considerazione qualsiasi elemento testuale che accompagna direttamente la visualizzazione di tali fotografie nei risultati della ricerca e che può apportare chiarimenti riguardo al loro valore informativo.>, § 108.

Il punto 2 è stato deciso in base non al GDPR ma ratione temporis agli art. 12.b e art. 14.1.a della dir. 95/46.

Sentenza importante, dicevo, che dovrà essere studiata a fondo qualora ci si imbattesse nell’argomento.

Importante intervento della Cassazione sulla deindicizzazione da diritto all’oblio da parte del motore di ricerca: può (e talora) deve essere mondiale, non solo europea

Cass. sez. 1° del 24.11.2022 n° 34.658, per l’ottima penna del rel. Scotti, affronta il tema in oggetto cassando un Trib. Milano del 2020.

Vedila ad es. in questo link offerto dal Sole 24 ore o da Eleonora Rosati nel suo post in IPKat.

Ripercorsa la tutela della privacy e del diritto all’oblio, ricorda i due precedenti europei che avevano l’uno accolto e l’altro osteggiato il delisting extraUE in caso di notizie già legittimamente pubblicate ma poi superate dal tempo: dopo l’iniziale caso Costeja del 2014 (C-131/12), sono intevente la sentenza nel caso CNIL 24.09.2019 , C-507/2017 e quella nel caso   Glawischnig-Piesczek c. Facebook 03.10.2019 , C-18/08.

La SC si adegua al decisum della prima , per cui, appurato che il delisting mondiale non è dal diritto UE nè obbligato nè vietato, la questione va sciolta in base ai diritti nazionali.

Ci son due affermazioni importanti.

1°  Il ns. diritto impone il delisting mondial. La tutela di un valore costituzionale, quale la riservatezza, deve fronteggiare anche le modalità “liquide e pervasive della circolazione dei dati sulla rete di internet!”, § 19.

E’ il punto centrale e condivisibile.

Il rischio di conflitti tra ordini in conflitto emanati da autorità di diversi paesi non osta a questa conclusione, aggiunge la SC.

Del resto -aggiungo io- i colossi tecnologici come sfruttano la diversità di regole giuridiche tra Stati  quando gli fa comdo (tassazione), l’accettino  anche quando non gli fa comodo (cuius commoda eius et incommoda) : filtreranno nel limite massimo imposto dallo Stato più garantista, visto che sfruttano a livello mondiale tutte le opportunità possibili.

Le difficoltà in fase esecutiva non son rilevanti .

2° Il secondo punto importante sta nel § 26. Il delisting mondiale può essere concesso perchè nel caso specifico il danneggiato operava per lavoro in giro per il mondo: e dunque poteva subire danno da altre parti del mondo, oltre all’Italia. Quindi può arguirsi che per la SC , se invece gli interessi di una persona son solo in italia, il delisting mondiale non è concedibile. Cioè -parrebbe- può esserlo solo se essa può provare danni dalla circolazione all’estero della notizia de qua: il che è difficile se i suoi interessi son appunto concentrati solo in Italia.

Principio di diritto al § 27 : “In tema di trattamento dei dati personali, la tutela spettante all’interessato, strettamente connessa ai diritti alla riservatezza e all’identità personale e preordinata a garantirne la dignità personale dell’individuo, ai sensi dell’art. 3 Cost., comma 1 e dell’art. 2 Cost., che si esprime nel cosiddetto “diritto all’oblio”, consente, in conformità al diritto dell’Unione Europea, alle autorità italiane, ossia al Garante per la protezione dei dati personali e al giudice, di ordinare al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni, anche extraEuropee, del suddetto motore, previo bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e il diritto alla libertà d’informazione, da operarsi secondo gli standard di protezione dell’ordinamento italiano“.

Infine una nota processuale.

La SC precisa che un parere giuridico è atto difensivo e dunque non può essere introdotto come allegato alla memoria ex art. 380 bis.1 cpc, non rientrando tra i documenti ammissibili nel giudizio di legittimità ex art. 372 cpc.

Onere della prova nella richiesta (stragiudiziale) di deindicizzazione e necessità o meno di tener conto del contesto circa la riproduzione di fotografie miniaturizzate: due questioni importanti sul diritto all’oblio

Due questioni importanti sono affrontate dall’avvocato generale Pitruzzella nelle Conclusioni 07.04.2022, causa C-460/20:

1° se e quale prova debba dare al motore di ricerca chi domanda la deindicizzazione, basandosi sulla pretesa falsità delle notizie divulgate dal sito terzo di cui si chiede la deindizzazione stessa;

2° se il motore di ricerca debba tener conto o meno del contesto in cui sono pubblicate le fotografie, di cui si chiede la cessazione dell’abbinameno ad una ricerca per nome (e che son visualizzate nell’elenco risultati come miniature/thumbnails).

Importanti sia in teoria che in pratica, affrontate con buona analisi dall’AG.

Circa 1, la risposta è che l’istante deve dare un minimo di prova al motore di ricerca: <<44.      Un privato ha, in base al RGPD, il diritto di chiedere la deindicizzazione di una pagina web contenete dati che lo riguardano e che egli considera non veritieri. L’esercizio di tale diritto comporta tuttavia, a mio avviso, l’onere di indicare gli elementi su cui si basa la richiesta e di fornire un principio di prova della falsità dei contenuti di cui si richiede la deindicizzazione, ove ciò non risulti, in particolare in relazione alla natura delle informazioni di cui trattasi, manifestamente impossibile o eccessivamente difficile (41). L’imposizione di un tale onere appare coerente con la lettera e all’economia del RGPD, in cui i diversi diritti di rettifica, cancellazione, limitazione del trattamento e opposizione, riconosciuti all’interessato sono sottoposti a condizioni specifiche e spetta a chi intende avvalersene allegare l’esistenza delle relative condizioni.

45.      A fronte di una tale richiesta di deindicizzazione, il gestore del motore di ricerca, in virtù del ruolo che svolge nella diffusione dell’informazione e delle responsabilità che ne derivano, è tenuto a effettuare le verifiche dirette a confermare o meno la fondatezza della domanda e che rientrano nelle sue concrete possibilità. Tali verifiche potranno effettuarsi sui dati che ospita e che si riferiscono alla persona in questione e all’editore della pagina web ove è pubblicato il contenuto contestato, dati che il gestore del motore di ricerca può analizzare rapidamente ricorrendo agli strumenti tecnologici di cui dispone. Inoltre, purché possibile, il gestore del motore di ricerca dovrà attivare rapidamente un contraddittorio con l’editore web che ha diffuso inizialmente l’informazione, che sarà in tal modo messo nella condizione di esporre le ragioni a sostegno della veridicità dei dati personali trattati e della liceità del trattamento. Infine, il gestore del motore di ricerca dovrà decidere sull’accoglimento o meno della domanda di deindicizzazione, dando conto succintamente delle ragioni della decisione.

46.      Solo nel caso in cui permangano dubbi consistenti sulla veridicità o falsità delle informazioni in questione o qualora il peso delle informazioni false nel contesto della pubblicazione di si tratta è manifestamente poco rilevante e tali informazioni non hanno un carattere sensibile, il gestore del motore di ricerca potrà rigettare la domanda. La persona interessata potrà allora rivolgersi all’autorità giudiziaria, che ha il potere di fare le verifiche del caso, o all’autorità di controllo di cui all’articolo 51 del RGPD, nel quadro di un reclamo contro la decisione del gestore del motore di ricerca.

47.      Se il contenuto riguarda una persona che ha un ruolo pubblico, secondo l’accezione precedentemente indicata, poiché il diritto all’informazione ha, in linea di principio, un peso maggiore di quelli enunciati agli articoli 7 e 8 della Carta, la scelta di deindicizzare dovrà fondarsi su dei riscontri particolarmente pregnanti circa la falsità delle informazioni. In casi del genere, ove residui un ragionevole dubbio sulla veridicità o falsità dell’informazione, la deindicizzazione dovrà, a mio avviso, escludersi. In ogni caso, a maggior ragione quando il contenuto controverso riguarda una persona in virtù del ruolo che essa riveste nella vita pubblica, non potrà accordarsi la deindicizzazione ove si esprimano solo opinioni, sia pure fortemente critiche e anche dai toni molto vivaci e irriverenti, o si tratti di satira (42). La rettifica dei dati non veritieri riguarda, infatti, informazioni sui dati e non opinioni, che contribuiscono comunque allo sviluppo del dibattito pubblico in una società democratica, purché non scivolino nella diffamazione. È chiaro, invece, che, anche in caso di iniziale rigetto della domanda, il gestore del motore di ricerca sarà tenuto a procedere alla deindicizzazione ove la falsità dell’informazione sia ulteriormente accertata giudizialmente.

48.      Infine, qualora le circostanze del caso lo consiglino al fine di evitare un pregiudizio irreparabile per la persona interessata, il gestore del motore di ricerca potrà procedere ad una sospensione temporanea dell’indicizzazione (43), oppure all’indicazione, nei risultati della ricerca, che la veridicità di talune delle informazioni che figurano nel contenuto cui rinvia il link in questione è contestata (44), fermo restando, comunque, il diritto, in primis, dell’editore web di contestare una tale iniziativa dinanzi all’autorità giudiziaria>>.

Circa la questione 2, la risposta è negativa: non si tiene conto del contesto. In particolare: <<56.      Risulta, a mio avviso, da quanto precede che, nel quadro del bilanciamento tra diritti fondamentali confliggenti da condurre in base alle pertinenti disposizioni della direttiva 95/46 e del RGPD ai fini dell’esame di una domanda di rimozione di fotografie che raffigurano una persona fisica dai risultati di una ricerca per immagini effettuata a partire dal nome di tale persona, si deve tener conto unicamente del valore informativo delle fotografie in quanto tali, indipendentemente dal contenuto nel quale queste ultime sono inserite nella pagina web da cui sono tratte. Viceversa, nel caso in cui fosse contestata, nel quadro di una domanda di deindicizzazione del link che rinvia a una pagina web, la visualizzazione di fotografie nel contesto del contenuto di tale pagina, sarebbe il valore informativo che tali fotografie rivestono nell’ambito di tale contesto a dover essere preso in considerazione ai fini di tale bilanciamento>>.

Il diritto all’oblio comporta la deindicizzazione completa cioè anche della copia cache?

Cass. 3952 del 08.02.2022, rel. Falabella, decide il punto in oggetto (v. il testo, purtroppo in formato pdf che parrebbe fotografico e non copiabile ).

A parte ragionamenti sulla giurisdizione, importanti per l’operatore, il cuore della sentenza (emssa a seguito di ricorso ex 152 c. priv.) sta nella distinzione tra deindicizzazione dai motori di ricerca stricto sensu e cancellazione pure della copia cache della pagine web richieste/proposte.

Dice (spt. § 3.7) che si tratta di due aspetti diversi per i quali operano due bilanciamenti diversi tra il diritto di informare e quello all’oblio, p. 23: distinzione assente , si badi, nell’art. 17 GDPR. Non avendo il Trib. a quo dimenticato tale distinzione, rinvia al medesimo in altra sezione.

Affermazione che tiene in tanto in quanto sia vero la cache è richiamata/proposta a seguito di interrogazioni con modalità diverse da quelle che che ottengono/generano le pagine originali: cosa che allo stato non parrebbe e comunque che andrebbe approfondita.

Altro punto interessante è la (innegabile) distinzione tra deindicizzazione e cancellazione della notizia anche dalla pagina web originale: solo che la permanenza su questa ultima, senza la prima (deindicizzazione), di fatto è vanificata,  dato che sarà reperibile solo da quei pochissimi che sanno ivi trovarsi la notizia.

Diritto all’oblio, diritto di informazione, cancellazione e deindicizzazione

Il sig. CF chiede al Garante privacy provedimenti affinhcè siano cancellati gli URL  o siano deinidiczzate pagine reperite da Google che lo connettono a fatti di mafia.

Non ottiene ragione nè in quella sede nè in Tribunale.

La Cassazione gli dà invece ragione con sentenza n° 15.160 del 31.05.2021 , CF c. Google Italy srl, Google Inc. e Garante Privacy.

la SC prima ricorda la giurisprudenza propria ed europea intema.

Poi procede ad esporre il proprio pensiero: <<orbene, dal complessivo quadro giurisprudenziale e normativo di riferimento si evince – in maniera inequivocabile – che il diritto all’oblio va considerato, atteso il comune fondamento nell’art. 2 Cost., in stretto collegamento con i diritti alla riservatezza ed all’identità personale. Nel bilanciamento tra l’interesse pubblico all’informazione, anche mediante l’accesso a database accessibili attraverso la digitalizzazione di una parola chiave, ed i diritti della personalità suindicati, il primo diviene recessivo allorquando la notizia conservata nell’archivio informatico sia illecita, falsa, o inidonea a suscitare o ad alimentare un dibattito su vicende di interesse pubblico, per ragioni storiche, scientifiche, sanitarie o concernenti la sicurezza nazionale. Tale ultima esigenza presuppone, peraltro, la qualità di personaggio pubblico del soggetto al quale le vicende in questione si riferiscono. In difetto di almeno uno di tali requisiti, la conservazione stessa della notizia nel database è da reputarsi illegittima, e lo strumento cui l’interessato può fare ricorso è la richiesta di “cancellazione” dei dati, alla quale il prestatore di servizi, nella specie Google, è tenuto a dare corso, anche in forza delle menzionate sentenze delle Corti Europee.

Nelle ipotesi in cui sussiste, invece, un interesse pubblico alla notizia, l’interessato, i cui dati non siano indispensabili – non rivestendo il medesimo la qualità di un personaggio pubblico, noto a livello nazionale – ai fini della attingibilità della notizia sul database, può richiedere ed ottenere la “deindicizzazione”, in tal modo bilanciandosi il diritto ex art. 21 Cost., della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico, con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita compressione della propria immagine sociale (Cass., n. 7559/2020).

In siffatta ipotesi, sussiste, invero, un diritto dell’interessato ad evitare che la possibilità di un accesso agevolato, protratto nel tempo, ai dati personali, attraverso il mero uso di una parola chiave possa ledere il suo diritto all’oblio, inteso in correlazione al diritto all’identità personale, come diritto a non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica diversa da quella reale, e costituente oggetto di notizie ormai archiviate e superate.>>, § 2.4.14.

Nel caso di specie, il Tribunale ha dato atto che il C. <<aveva chiesto in giudizio, sia la “cancellazione” di determinati URL dal risultato dei motori di ricerca, sia la “deindicizzazione”, che impedisce – come detto – che, digitando una parola chiave, affiorino dal motore di ricerca i dati da questo attinti dai “siti sorgente”, che possono pregiudicare il diritto dell’interessato a non vedersi attribuite certe frequentazioni o certe qualità deteriori. E tuttavia, pur considerando la domanda di cancellazione “sproporzionata ( ) rispetto all’obiettivo perseguito dal ricorrente che si sostanzia nell’eliminazione dell’automatica emersione degli articoli all’inserimento del suo nome”, non ha poi contraddittoriamente ed incongruamente – considerato la non essenzialità, ai fini dell’interesse pubblico alla conoscenza di fatti criminosi commessi nella realtà calabrese, del permanere dell’indicizzazione degli URL, partendo dal nome dell’interessato, combinato con termini come “‘ndrangheta”, “massoneria”, “boss”. Tanto più che dalla riproduzione degli articoli contenuta nella sentenza impugnata, non si evince – sebbene i fatti ivi riportati siano stati accertati come veritieri – alcun coinvolgimento concreto ed effettivo del C. in procedimenti penali per fatti di criminalità organizzata.

2.4.16. La sentenza, pertanto, non si sottrae neppure alla censura – al di là dell’impropria intestazione del motivo che fa riferimento a parametri non più contenuti nel novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – di vizio di motivazione, apparendo la decisione in esame anche fortemente carente sul piano motivazionale. Ed invero, oltre ai rilievi che precedono, va soggiunto che la notorietà del C., peraltro esclusivamente a livello locale, è stata utilizzata dal Tribunale fondandosi su elementi, come le attività filantropiche e di beneficenza che, ben al contrario, avrebbero dovuto essere logicamente valorizzati ai fini di escludere la necessità del permanere dell’indicizzazione dei documenti in questione, che mettevano in luce – senza alcun positivo elemento di – riscontro aspetti della personalità del soggetto interessato in contrasto con le qualità del medesimo emerse nel giudizio.

1.4.17. Al riguardo, il Tribunale si è, altresì, limitato a considerare esclusivamente il diritto all’oblio – che nella specie riguardava il diritto del C. a non vedersi reiteratamente associato, semplicemente digitando il proprio nome, a fatti ai quali si considerava estraneo – sotto il mero profilo temporale, non ponendolo in raccordo con il diritto alla riservatezza e con quello all’identità personale, al quale è strettamente collegato, e comunque non tenendo conto – del tutto incongruamente – che le intercettazioni, dalle quali gli articoli avevano desunto la fonte delle notizie riferite, risalivano comunque a cinque anni prima della decisione assunta>>, § 2.4.15.

sentenza milanese sul diritto all’oblio verso Google

Trib. Milano 24.01.2020, sent. 4911/2019-RG 12255/2018 , decide una domanda di deindicizzazione verso Google.

Nel caso specifico l’istante, ottenuta una sentenza penale di diffamazione a carico di un terzo che l’aveva diffamato con post su internet, chiede a Google (G.) la deindicizzazione dal motore di ricerca di tali materiali.

La cronologia:

  • l’attore si accorge delle notizie lesive nel giugno 2011;
  • ottiene sentenza di condanna per diffamazione nel febbraio 2017;
  • fa istanza a G. di deindicizzazione nel maggioo 2016 e poi tramite legale nel febbraio 2017;
  • adisce il trib. MI nel febbraio 2018.

Adisce citando sia Google italy che Google LLC. Il primo però  è ritenuto privo di legittimazione passiva, <<poichè il titolare del trattamento dei dati personali di cui parte attrice si duole è unicamente Google LLC>>, p. 5

Il Trib elenca le norme regolanti il caso, p. 9-10, tra cui figura la dir. 2016/680 del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio.

Non figura direttamente il GDPR.

Il Trib. qualifica i motori di ricerca come banche dati di pagine reperite tramite i software c.d spiders, p. 13.

Non si applica la normativa sul safeharbour: <<Ritiene  il  Tribunale  che  la  presente  vicenda  non  possa  trovare  regolazione  dalla  normativa  contenuta nel  D.  Lgs.  n.70/03,  che  inerisce  esclusivamente  l’attività  di  memorizzazione  di  informazioni commerciali fornite daaltri. Oggetto del presente ricorso,  invero, non è l’attività di host  provider di  Google  in  relazione  alla formazione  dei  contenuti  delle  singole  pagine  web  sorgente,  ma la  condotta  posta  in  essere  dal motore di ricerca in qualità di titolare del trattamento dei dati sottesa all’evocazione attraverso la semplice digitazione del nome e cognome dell’interessatodi  tutti  i  siti  in  cui  viene  in  risalto  il  preteso  ruolo  criminale  del  ricorrente attraverso  un software messo  a  punto    da  Google  e  di  cui quest’ultima  si avvale per facilitare la ricerca degli utenti attraverso il suo motore di ricerca>> p. 14-15.

Il Trib. ribadisce che <<l’abbinamento dei siti al nome del ricorrente è frutto del sistema adottato da  Google  per  scandagliare  il  web,  copiare  e  immagazzinare  i  contenuti  pubblicati  dai  siti sorgente,  aggiornandoli,  organizzare  il  materiale  secondo  chiavi  di  lettura  in  modo  da  rendere fruibile “worldwide” in tempo reale i contenuti relativi ad un soggetto, ad una data vicenda o ad argomento assegnati dall’utente nella stringa di ricerca; condotta da  intendersi,  dunque,  comeprodotto di un’attività direttamente ed esclusivamente riconducibile, come tale,  alla resistente.  Ed è proprio questo il meccanismo di operatività del software messo a punto da Google che determina il   risultato   rappresentato   dai   possibili   percorsi   di   ricerca, rendendo   disponibili   informazioni aggregate  in  grado  di  fornire  agli  utenti  una  profilazione  dell’intera  storia  personale dell’interessato e  che appaiono all’utente che inizia la ricerca digitando le parole chiave anche  in relazione a settori potenzialmente differenti od estranei a quello oggetto della ricerca. Soprattutto, la capillarità della raccolta, la capacità di padroneggiare un numero potenzialmente illimitato  di  dati  e  notizie,  la  diffusività  della  propagazione  del  dato  e  delle  notizie  ad  esso correlate  costituiscono  il  valore  aggiunto,  autonomo  da  quello  offerto  dai  siti  sorgente,  operato dal motore generale di ricerca>> p. 16

D’altro  canto,  il T. sottolinea  che   la   rimozione   a   posteriori   mediante   de-indicizzazione dell’associazione dato personale/contenuti dei siti sorgente Google <<non impedisce la visualizzazione  di contenuti immessi  dagli utenti  e non costituisce  intromissione dell’hosting provider nei  contenuti immessi   nel   sito   dai   siti   sorgente   (i   cui   titolari   non   venivano   evocati   nel   presente   giudizio), considerazione che consente di superare l’eccezione mossa da parte convenuta circa l’impossibilità (giuridica, non certo tecnica) di accedere e cancellare il testo veicolato in rete dal soggetto titolare del singolo sito informatico.

Va  dunque  ribadito  che  la  deindicizzazione  non  comprime  in  alcun  modo  la  libertà    degli  utenti  di accedere alle ricerche offerte dal motore di ricerca Google-alla stessa maniera di quanto accade per gli altri motori di ricerca-attingendo la notizia dai singoli siti sorgente.

Infatti -come  si  è  descritto  in  precedenza-il  servizio  indicato  non  compie  alcun  intervento  diretto  sui contenuti  memorizzati  nel  web,  ma  svolge  su  di  essi  una  rilevazione  in  ambito  mondiale  non  solo meramente quantitativa e statistica (e dunque “esterna” rispetto al contenuto)  dei dati oggettivi, ma provvede  altresì  alla  estrapolazione  dei  dati  organizzandoli  in rankingsulla  base  diparametri  non divulgati (non comprimibili nella sola, notoria, frequenza,  c.d. popolarità, dei termini  usati dagli utenti nelle ricerche  e dei siti visitati), trasfusi nel  grande algoritmo segreto  che  regola il  funzionamento  del sistema>>, p.17.

Nel  web  i  dati  assai  sovente  risultino  <<inseriti  in  contenuti  non comprimibili  nella  mera  categoria  delle  aggregazioni  di  nudi  dati,  ma  siano  piuttosto  inclusi  in testi più ampi, ascrivibili all’area dell’esercizio della liberta di stampa o di espressione (come nel caso  di  specie),  di  talchè  la  cancellazione  della  pagina  web  dall’archivio  del  titolare  del trattamento  finirebbe  per  incidere  su  un’area  ben  più  ampia  del  singolo  dato  che  si  vuole trattare.  Occorre  poi  puntualizzare  che,  come  più  volte  ribadito,  la  deindicizzazione  non  incide  sui  contenuti; nondimeno, limitando l’accessibilità alla pagina web, attingibile solo attraverso l’attivazione diretta del singolo sito sorgente,  essa finisce per incidere sull’ampiezza e quindi sul concreto esercizio dei diritti di libertà ad esso connessi.  Non ci si può infatti nascondere che la mancata comparsa sulla pagina web del motore generalista della pagina  sorgente alla digitazione delle generalità dell’interessato sia in grado di incidere in maniera significativa  -in ipotesi anche potenzialmente assorbente-sulla capacità diffusiva della notizia da parte del sito sorgente.    Occorre dunque effettuare un attento bilanciamento dei contrapposti diritti>> p. 18

l  diritto  in  esame [identità personale e riservatezza] , dice il T.,  <<piuttosto  che  un  autonomo diritto  della personalità  costituisce  un  aspetto  del  diritto  all’identità  personale,  segnatamente  il  diritto  alla  dis-associazione  del  proprio  nome  da  un  dato  risultato  di  ricerca.  Il  c.d.  ridimensionamento  della  propria visibilità  telematica,  difatti,  rappresenta  un  aspetto  “funzionale”  del  diritto  all’identità  personale, diverso  dal  diritto  ad  essere  dimenticato,  che  coinvolge  e  richiede  una  valutazione  di  contrapposti interessi: quello dell’individuo a non essere (più) trovato on  linee  quello  del  motore  di  ricerca  (nel senso poco sopra specificato).

Orbene,  se  tutto  ciò  vale  per  il  caso  in  cui  un  dato  sia  vero,  ma  la  sua  conoscenza  abbia  perso  di interesse  per  la  collettività  per  la  risalenza  di  esso,  a  maggior  ragione    dovrà  porsi  nel  giudizio  di bilanciamento  una  valutazione  di supravalenza della falsità del dato in tutti i casi in cui l’interessato offra una  ragionevole (sensible) rappresentazione della  falsità allegata; bilanciamento sottratto, infine, alla  disponibilità  del  titolare  del  trattamento in tutti i casi in cui dall’interessato sia allegata prova dell’accertamento giudiziario della falsità del dato. Nelle pagine web ricorrono entrambe le fattispecie menzionate>>,  p. 21.

Poi passa ad applicare questi principi al caso de quo.

Ritiene che il trattamento di G. sia illecito a partire dalla diffida inotrata dall’ineressato, tra l’altro allegando la sentenza di condanna per diffamazione: <<la convenuta avrebbe, tuttavia, dovuto procedere a trattare lecitamente i dati del ricorrente, evitando che le ricerche effettuate dagli utenti partendo dalla stringa contenente le generalità di XX dessero luogo all’elencazione dei siti sorgente contenenti le notizie la cui diffamatorietà era stata giudizialmente accertata. IL  motore di ricerca avrebbe quindi dovuto procedere in allora alla deindicizzazione dei risultati>> p. 22

Anche sul danno, naturalmente la responsaiblità rigurda l’omissione solo a partire dalla diffida.

Nulla accerta come danno patriminiale.

Liquida però euro 25.000,00 per danno morale così argomentando: <<Deve valutarsi   il   disagio   subito   da   parte   ricorrente,   e   dalla   medesima allegato,   dovuto   alla preoccupazione  conseguente  al  protrarsi  della  permanenza  in  rete  dell’abbinamento  del  proprio nominativo  alle  URL  riportanti  le  notizie  diffamatorie  in  esito  al  rifiuto  opposto  da  Google  LLC. L’assenza di puntualizzazioni difensive in ordine ad un eventuale scarto qualitativo differenziante la sofferenza patita sin dall’origine della diffusione in rete dell’associazione diffamatoria dei propri dati da  quella  sopportata  in  progressione  in  esito  al  rifiuto  ricevuto,  impone  al  giudicante  di  attenersi,  nel computi di base, ad una liquidazione per equivalente attestata su valori contenuti. D’altro  canto,  non  può  il  Tribunale  non  tenere  conto  nella  liquidazione  del  danno  della  risposta derisoria opposta da Google LLC alle richieste di cancellazione dell’interessato; la società aveva infatti motivato il proprio rifiuto affermando che le notizie attingevano la vita professionale del richiedente e che oggetto di esse era un “reato”, con ciò incorrendo in una (voluta?) confusione tra autore e vittima del delitto di diffamazione, ovvero pretermettendo la sussistenza di un provvedimento della A.G. con la quale si affermava la falsità delle notizie attribuenti il coinvolgimento di XX  in gravi fatti di reato; si legge, infatti,  nella nota del 13.12.2017 inviata al difensore dalla odierna resistente che “In merito  alle  seguenti  URL” –e compariva l’elenco di cui al ricorso –“si  riferiscono  al  contenuto riguardante  la  vita  professionale  del  suo  cliente  di  sostanziale  interesse  pubblico…  potrebbero interessare  potenziali  e  attuali  consumatori,  utenti  o  fruitori  dei  servizi  del  suo  cliente… Pertanto la presenza di questo contenuto nei nostri risultati di ricerca … è giustificato dall’interesse pubblico ad averne accesso” (cfr doc. 6 ric.).>> p. 24-25

diritto all’oblio vs. diritto di cronaca: norma di riferimento

la norma di riferimento sul tema è l’art. 17 del GDPR ( REGOLAMENTO (UE)  2016/679 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)) , secondo cui:

<< Articolo 17
Diritto alla cancellazione («diritto all’oblio»)
1. L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i
dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti:
a) i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;
b) l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), o all’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento;
c) l’interessato si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento, oppure si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2;
d) i dati personali sono stati trattati illecitamente;
e) i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento;
f) i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione di cui all’articolo 8, paragrafo 1.

  1. Il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbligato, ai sensi del paragrafo 1, a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione adotta le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali.
  2. I paragrafi 1 e 2 non si applicano nella misura in cui il trattamento sia necessario:
    a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;
    b) per l’adempimento di un obbligo legale che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento;
    c) per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica in conformità dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere h) e i), e dell’articolo 9, paragrafo 3;
    d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento; o
    e) per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.>>

diritto all’oblio vs. diritto di cronaca: rimessione alle sezioni unite della Corte di Cassazione

La Cassazione ora rimette la questione alle sezioni unite (Cass. 05/11/2018, n. 28084), in quanto  questione di massima di particolare importanza (art. 374/2 cpc), così concludendo  :

<< 9.  Il bilanciamento tra il diritto di cronaca ed il diritto all’oblio incide sul modo di intendere la democrazia nella nostra attuale società civile, che, da un lato fa del pluralismo delle informazioni e della loro conoscenza critica un suo pilastro fondamentale; e, dall’altro, non può prescindere dalla tutela della personalità della singola persona umana nelle sue diverse espressioni.

Sembra al Collegio che, soltanto partendo dal caso concreto, sia possibile definire: quando possa effettivamente configurarsi un interesse pubblico alla conoscenza di fatti (tali non essendo le insinuazioni di dubbi e le voci incontrollate); quando, nonostante il tempo trascorso dai fatti, detto interesse possa essere considerato attuale; in che termini, sulla sussistenza di detto interesse, possa incidere la gravità e la rilevanza penale del fatto, la completezza (o la incompletezza) della notizia del fatto, la finalità di trattamento del dato (se, ad es., per fini di ricerca scientifica o storica, per fini statistici, per fini di informazione o per altri motivi, ad es. di marketing), la notorietà (o la mancanza di notorietà) della persona interessata, la chiarezza della forma espositiva utilizzata (anche evitando l’accorpamento e l’accostamento di notizie false a notizie vere).

Il delicato assetto dei rapporti tra diritto all’oblio e diritto di cronaca o di manifestazione del pensiero assume così – alla luce del vigente quadro normativo e giurisprudenziale, nazionale ed Europeo, il primo dei quali come di recente innovato, a garanzia del generale principio della certezza del diritto – i contorni della questione di massima di particolare importanza, parendo ormai indifferibile l’individuazione di univoci criteri di riferimento che consentano agli operatori del diritto (ed ai consociati) di conoscere preventivamente i presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto di chiedere che una notizia, a sè relativa, pur legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di nuova divulgazione; e, in particolare, precisare in che termini sussiste l’interesse pubblico a che vicende personali siano oggetto di (ri)pubblicazione, facendo così recedere il diritto all’oblio dell’interessato in favore del diritto di cronaca.

Si rimettono pertanto gli atti al Primo Presidente della Corte per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza, concernente il bilanciamento del diritto di cronaca – posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione – e del c.d. diritto all’oblio – posto a tutela della riservatezza della persona – alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale negli ordinamenti interno e sovranazionale.>>

Si badi la cronologia: fatti storici del 1982, articolo giornalistico del 2009.

diritto all’oblio vs. diritto di cronaca: caso Venditti c. RAI

Secondo Cass. civ. 20/03/2018 n. 6919. Est. Valitutti, Venditti Antonio c. RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.a, § 3:

<<Da tale quadro normativo – desumibile da un reticolo di norme nazionali (art. 2 Cost., art. 10 c.c., L. n. 633 del 1941, art. 97) ed Europee (artt. 8 e 10, comma 2 CEDU, artt. 7 e 8 della Carta di Nizza – e giurisprudenziale di riferimento deve, pertanto, inferirsi che il diritto fondamentale all’oblio può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza di specifici e determinati presupposti:

1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico;

2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine;

3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese;

4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera (poichè attinta da fonti affidabili, e con un diligente lavoro di ricerca), diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione;

5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al grande pubblico.

In assenza di tali presupposti, la pubblicazione di una informazione concernente una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare, pertanto, la violazione del fondamentale diritto all’oblio, come configurato dalle disposizioni normative e dai principi giurisprudenziali suesposti.>>