Abuso di dominanza di Google nel mercato della pubblicià digitale: partita azione di alcuni stati USA

V. la notizia ad es. in Bloomberg law “US Sues Google to Break Up Ad Unit in Escalating Antitrust Fight” e qui il link diretto al pdf dell’atto introduttivo.

Spicca al IX. REQUEST FOR RELIEF, p 139-140, la richiestga di cessione forzosa del ramo di azienda:

<<Order the divestiture of, at minimum, the Google Ad Manager suite, including both Google’s publisher ad server, DFP, and Google’s ad
exchange, AdX, along with any additional structural relief as needed to
cure any anticompetitive harm;>>.

Vedremo.

Qui breve intervista trascritta a Luigi Zingales sul punto in npr.org 26.01.2023 .

sentenza milanese sul diritto all’oblio verso Google

Trib. Milano 24.01.2020, sent. 4911/2019-RG 12255/2018 , decide una domanda di deindicizzazione verso Google.

Nel caso specifico l’istante, ottenuta una sentenza penale di diffamazione a carico di un terzo che l’aveva diffamato con post su internet, chiede a Google (G.) la deindicizzazione dal motore di ricerca di tali materiali.

La cronologia:

  • l’attore si accorge delle notizie lesive nel giugno 2011;
  • ottiene sentenza di condanna per diffamazione nel febbraio 2017;
  • fa istanza a G. di deindicizzazione nel maggioo 2016 e poi tramite legale nel febbraio 2017;
  • adisce il trib. MI nel febbraio 2018.

Adisce citando sia Google italy che Google LLC. Il primo però  è ritenuto privo di legittimazione passiva, <<poichè il titolare del trattamento dei dati personali di cui parte attrice si duole è unicamente Google LLC>>, p. 5

Il Trib elenca le norme regolanti il caso, p. 9-10, tra cui figura la dir. 2016/680 del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio.

Non figura direttamente il GDPR.

Il Trib. qualifica i motori di ricerca come banche dati di pagine reperite tramite i software c.d spiders, p. 13.

Non si applica la normativa sul safeharbour: <<Ritiene  il  Tribunale  che  la  presente  vicenda  non  possa  trovare  regolazione  dalla  normativa  contenuta nel  D.  Lgs.  n.70/03,  che  inerisce  esclusivamente  l’attività  di  memorizzazione  di  informazioni commerciali fornite daaltri. Oggetto del presente ricorso,  invero, non è l’attività di host  provider di  Google  in  relazione  alla formazione  dei  contenuti  delle  singole  pagine  web  sorgente,  ma la  condotta  posta  in  essere  dal motore di ricerca in qualità di titolare del trattamento dei dati sottesa all’evocazione attraverso la semplice digitazione del nome e cognome dell’interessatodi  tutti  i  siti  in  cui  viene  in  risalto  il  preteso  ruolo  criminale  del  ricorrente attraverso  un software messo  a  punto    da  Google  e  di  cui quest’ultima  si avvale per facilitare la ricerca degli utenti attraverso il suo motore di ricerca>> p. 14-15.

Il Trib. ribadisce che <<l’abbinamento dei siti al nome del ricorrente è frutto del sistema adottato da  Google  per  scandagliare  il  web,  copiare  e  immagazzinare  i  contenuti  pubblicati  dai  siti sorgente,  aggiornandoli,  organizzare  il  materiale  secondo  chiavi  di  lettura  in  modo  da  rendere fruibile “worldwide” in tempo reale i contenuti relativi ad un soggetto, ad una data vicenda o ad argomento assegnati dall’utente nella stringa di ricerca; condotta da  intendersi,  dunque,  comeprodotto di un’attività direttamente ed esclusivamente riconducibile, come tale,  alla resistente.  Ed è proprio questo il meccanismo di operatività del software messo a punto da Google che determina il   risultato   rappresentato   dai   possibili   percorsi   di   ricerca, rendendo   disponibili   informazioni aggregate  in  grado  di  fornire  agli  utenti  una  profilazione  dell’intera  storia  personale dell’interessato e  che appaiono all’utente che inizia la ricerca digitando le parole chiave anche  in relazione a settori potenzialmente differenti od estranei a quello oggetto della ricerca. Soprattutto, la capillarità della raccolta, la capacità di padroneggiare un numero potenzialmente illimitato  di  dati  e  notizie,  la  diffusività  della  propagazione  del  dato  e  delle  notizie  ad  esso correlate  costituiscono  il  valore  aggiunto,  autonomo  da  quello  offerto  dai  siti  sorgente,  operato dal motore generale di ricerca>> p. 16

D’altro  canto,  il T. sottolinea  che   la   rimozione   a   posteriori   mediante   de-indicizzazione dell’associazione dato personale/contenuti dei siti sorgente Google <<non impedisce la visualizzazione  di contenuti immessi  dagli utenti  e non costituisce  intromissione dell’hosting provider nei  contenuti immessi   nel   sito   dai   siti   sorgente   (i   cui   titolari   non   venivano   evocati   nel   presente   giudizio), considerazione che consente di superare l’eccezione mossa da parte convenuta circa l’impossibilità (giuridica, non certo tecnica) di accedere e cancellare il testo veicolato in rete dal soggetto titolare del singolo sito informatico.

Va  dunque  ribadito  che  la  deindicizzazione  non  comprime  in  alcun  modo  la  libertà    degli  utenti  di accedere alle ricerche offerte dal motore di ricerca Google-alla stessa maniera di quanto accade per gli altri motori di ricerca-attingendo la notizia dai singoli siti sorgente.

Infatti -come  si  è  descritto  in  precedenza-il  servizio  indicato  non  compie  alcun  intervento  diretto  sui contenuti  memorizzati  nel  web,  ma  svolge  su  di  essi  una  rilevazione  in  ambito  mondiale  non  solo meramente quantitativa e statistica (e dunque “esterna” rispetto al contenuto)  dei dati oggettivi, ma provvede  altresì  alla  estrapolazione  dei  dati  organizzandoli  in rankingsulla  base  diparametri  non divulgati (non comprimibili nella sola, notoria, frequenza,  c.d. popolarità, dei termini  usati dagli utenti nelle ricerche  e dei siti visitati), trasfusi nel  grande algoritmo segreto  che  regola il  funzionamento  del sistema>>, p.17.

Nel  web  i  dati  assai  sovente  risultino  <<inseriti  in  contenuti  non comprimibili  nella  mera  categoria  delle  aggregazioni  di  nudi  dati,  ma  siano  piuttosto  inclusi  in testi più ampi, ascrivibili all’area dell’esercizio della liberta di stampa o di espressione (come nel caso  di  specie),  di  talchè  la  cancellazione  della  pagina  web  dall’archivio  del  titolare  del trattamento  finirebbe  per  incidere  su  un’area  ben  più  ampia  del  singolo  dato  che  si  vuole trattare.  Occorre  poi  puntualizzare  che,  come  più  volte  ribadito,  la  deindicizzazione  non  incide  sui  contenuti; nondimeno, limitando l’accessibilità alla pagina web, attingibile solo attraverso l’attivazione diretta del singolo sito sorgente,  essa finisce per incidere sull’ampiezza e quindi sul concreto esercizio dei diritti di libertà ad esso connessi.  Non ci si può infatti nascondere che la mancata comparsa sulla pagina web del motore generalista della pagina  sorgente alla digitazione delle generalità dell’interessato sia in grado di incidere in maniera significativa  -in ipotesi anche potenzialmente assorbente-sulla capacità diffusiva della notizia da parte del sito sorgente.    Occorre dunque effettuare un attento bilanciamento dei contrapposti diritti>> p. 18

l  diritto  in  esame [identità personale e riservatezza] , dice il T.,  <<piuttosto  che  un  autonomo diritto  della personalità  costituisce  un  aspetto  del  diritto  all’identità  personale,  segnatamente  il  diritto  alla  dis-associazione  del  proprio  nome  da  un  dato  risultato  di  ricerca.  Il  c.d.  ridimensionamento  della  propria visibilità  telematica,  difatti,  rappresenta  un  aspetto  “funzionale”  del  diritto  all’identità  personale, diverso  dal  diritto  ad  essere  dimenticato,  che  coinvolge  e  richiede  una  valutazione  di  contrapposti interessi: quello dell’individuo a non essere (più) trovato on  linee  quello  del  motore  di  ricerca  (nel senso poco sopra specificato).

Orbene,  se  tutto  ciò  vale  per  il  caso  in  cui  un  dato  sia  vero,  ma  la  sua  conoscenza  abbia  perso  di interesse  per  la  collettività  per  la  risalenza  di  esso,  a  maggior  ragione    dovrà  porsi  nel  giudizio  di bilanciamento  una  valutazione  di supravalenza della falsità del dato in tutti i casi in cui l’interessato offra una  ragionevole (sensible) rappresentazione della  falsità allegata; bilanciamento sottratto, infine, alla  disponibilità  del  titolare  del  trattamento in tutti i casi in cui dall’interessato sia allegata prova dell’accertamento giudiziario della falsità del dato. Nelle pagine web ricorrono entrambe le fattispecie menzionate>>,  p. 21.

Poi passa ad applicare questi principi al caso de quo.

Ritiene che il trattamento di G. sia illecito a partire dalla diffida inotrata dall’ineressato, tra l’altro allegando la sentenza di condanna per diffamazione: <<la convenuta avrebbe, tuttavia, dovuto procedere a trattare lecitamente i dati del ricorrente, evitando che le ricerche effettuate dagli utenti partendo dalla stringa contenente le generalità di XX dessero luogo all’elencazione dei siti sorgente contenenti le notizie la cui diffamatorietà era stata giudizialmente accertata. IL  motore di ricerca avrebbe quindi dovuto procedere in allora alla deindicizzazione dei risultati>> p. 22

Anche sul danno, naturalmente la responsaiblità rigurda l’omissione solo a partire dalla diffida.

Nulla accerta come danno patriminiale.

Liquida però euro 25.000,00 per danno morale così argomentando: <<Deve valutarsi   il   disagio   subito   da   parte   ricorrente,   e   dalla   medesima allegato,   dovuto   alla preoccupazione  conseguente  al  protrarsi  della  permanenza  in  rete  dell’abbinamento  del  proprio nominativo  alle  URL  riportanti  le  notizie  diffamatorie  in  esito  al  rifiuto  opposto  da  Google  LLC. L’assenza di puntualizzazioni difensive in ordine ad un eventuale scarto qualitativo differenziante la sofferenza patita sin dall’origine della diffusione in rete dell’associazione diffamatoria dei propri dati da  quella  sopportata  in  progressione  in  esito  al  rifiuto  ricevuto,  impone  al  giudicante  di  attenersi,  nel computi di base, ad una liquidazione per equivalente attestata su valori contenuti. D’altro  canto,  non  può  il  Tribunale  non  tenere  conto  nella  liquidazione  del  danno  della  risposta derisoria opposta da Google LLC alle richieste di cancellazione dell’interessato; la società aveva infatti motivato il proprio rifiuto affermando che le notizie attingevano la vita professionale del richiedente e che oggetto di esse era un “reato”, con ciò incorrendo in una (voluta?) confusione tra autore e vittima del delitto di diffamazione, ovvero pretermettendo la sussistenza di un provvedimento della A.G. con la quale si affermava la falsità delle notizie attribuenti il coinvolgimento di XX  in gravi fatti di reato; si legge, infatti,  nella nota del 13.12.2017 inviata al difensore dalla odierna resistente che “In merito  alle  seguenti  URL” –e compariva l’elenco di cui al ricorso –“si  riferiscono  al  contenuto riguardante  la  vita  professionale  del  suo  cliente  di  sostanziale  interesse  pubblico…  potrebbero interessare  potenziali  e  attuali  consumatori,  utenti  o  fruitori  dei  servizi  del  suo  cliente… Pertanto la presenza di questo contenuto nei nostri risultati di ricerca … è giustificato dall’interesse pubblico ad averne accesso” (cfr doc. 6 ric.).>> p. 24-25

Altra azione antitrust USA contro Google

Per chi desidera approfondire il meccanismo di funzionamento della pubblicità su internet, un ottimo approfondimento si trova nell’atto di citazione della nuova lite antitrust contro Google, depositata il 16.12.2020 da dieci stati (Texas capofila), civil action n° 4:20cv957.

Si può ad es. leggerlo qui .

Si allegano fatti diversi da quelli già dedotti nella precedente azione di ottobre, come osservano due giornalisti del Wall Street Journal, Ten States Sue Google, Alleging Deal With Facebook to Rig Online Ad Market, 16.12.2020 .

Sull’azione di ottobre scorso  v. mio post 28.10.2020 .

L’indice sommario iniziale è dettagliato e chiaro , ma purtroppo non è navigabile, come sarebbe stato opportuno date le dimensioni del file.

Altro “purtroppo”: diverse parti sono oscurate, il che toglie particolari probabilmente interessanti. Del resto non è una sentenza ma un atto introduttivo.

Il funzionameto del business dell’online advertiting sta  spt. al cap. V Industrial bacgounrd (ma inevitabilmente anche altrove, un pò dovunque anzi: ad es. all’esame del marcato rilevante, cap. VI).

Per una proficua lettura del documento , si dovrà familiarizzare con i termini  peculiari del settore., anche se nell’atto sono via via spiegati bene (ma magari non la prima volta, bensì dopo).

Le condotte in violazione sono esaminate al cap. VII.

Gli effetti lesivi sono esaminati al cap. VIII: <<Evidence of the anticompetitive effects from Google’s conduct includes the exit of rival firms and limited and declining entry rates in these markets (despite significant profits enjoyed by Google in those same markets). The harm to competition deprives advertisers, publishers and consumers of improved quality, greater transparency, increased output and/or lower prices>>, § 250 p. 92.

Precisamente le modalità di lesione alla concorrenza sono le seguenti:

  1. Denying rivals in the exchange market access to the necessary scale to compete effectively by denying rivals’ access to inventory and to advertiser demand;
  2. Substantially foreclosing competition in the market for exchanges and using market power in the exchange market to harm competition in the publisher ad server market;
  3. Substantially foreclosing competition in the market for publisher ad servers and using market power in the publisher ad server market to harm competition in the exchange market, the market for display ad buying tools for small advertisers, and the market for display ad buying tools for large advertisers;
  4. Substantially foreclosing competition in the markets for display ad buying tools for small advertisers and display ad buying tools for large advertisers by creating information asymmetry and unfair auctions by virtue of Google’s market dominance in the publisher ad serving tools and exchange markets;
  5. Increasing barriers to entry in the markets for publisher ad servers, exchanges, display ad buying tools for small advertisers, and display ad buying tools for large advertisers;
  6. Harming innovation, which would otherwise benefit publishers, advertisers and consumers;
  7. Harming publishers’ ability to effectively monetize their content, reducing publishers’ revenues, and thereby reducing output;
  8. Maintaining opacity on margins and selling processes, harming competition in the exchange and display ad buying tools markets;
  9. Increasing advertisers’ costs to advertise and reducing the effectiveness of their advertising, thereby harming businesses’ ability to deliver their products and services, and reducing output;
  10. Improperly shielding Google’s products from competitive pressures, thereby allowing it to continue to extract high margins while shielded from significant pressure to innovate.

(§ 251, P. 93-94)

La causae petendi sono al cap. IX (Claims) , e son per lo più basate sullo Sherman Act.

Le richieste (petita) sono al cap-. X PRAYER FOR RELIEF, § 357, pp. 114-116.

Sono molti i saggi dottrinali sul tema. Tra i più recenti e completi v.:

  1. Dina Srinivasan, Why Google Dominates Advertising Markets Competition Policy Should Lean on the Principles of Financial Market Regulation, 24 STAN. TECH. L. REV. 55 (2020), e qui sub II ELECTRONIC TRADING MARKETS nonchè – quanto al dominoi di Google- sub III GOOGLE DOMINATES ONLINE ADVERTISING MARKETS BY ENGAGING IN CONDUCT LAWMAKERS PROHIBIT IN OTHER ELECTRONIC TRADING MARKETS;
  2. il molto interessante (l’a. è un’autorità in materia) Hovenkamp, Herbert, Antitrust and Platform Monopoly (November 14, 2020). Yale Law Journal, Vol. 130, 2021, U of Penn, Inst for Law & Econ Research Paper No. 20-43 (leggibile in ssrn.com) : il saggio riguarda l’intero business delle piattaforme  e dà ampio spazio ai rimedi antitrust possibili (v. cap. III ANTITRUST REMEDIES AGAINST DOMINANT PLATFORMS).

Altra procedura antitrust contro Google: questa volta nazionale e per il mercato della pubblicità online

Anche l’Autorità nazionale (AGCM) apre un istruttoria contro Google (poi G.) per abuso di posizione dominante (dopo quela statunitente, v. mio post  28.10.2020 US contro Google: partita l’azione antitrust). E’ il provvedimento di cui al Comunicato stampa A542 del 28.10.2020 ove anche il link al provvedimento .

Questa volta ex art. 102 TFUE e per il mercato della pubblicità on line.

Il provvedimento di apertura fa luce sul funzionamento del digital advertising, poco conosciuto ai più. In breve il business sotto esame è nel senso per cui G. mette in collegamento gli inserzionisti, da una parte, e i publisher/editori che nei loro siti web hanno spazi utilizzabili per la pubblicità, dall’altro (cioè la domanda e offerta di spazi pubblicitari). Sono menzionate due piattaforme, demand side platform e, rispettivamente, supply side platform, § 5 (si v.no i §§ 3-4 per l’introduzione alla pubblicità on line).

Il succo  è che l’ccupoazione degl ispazi è decisa in base ad aste che avvengono in secondi o millisecondi. Infatti <<ogni volta che un utente clicca su un indirizzo Internetdi una pagina con spazi pubblicitari disponibili nell’ad exchange (mercato virtuale, incontro tra DSP e SSP), l’editore proprietario di quella pagina, tramite la SSP, avverte gli inserzionisti o le media agency che un utente con determinate caratteristiche sta per accedere alla sua pagina web. La SSP mette al l’asta lo spazio pubblicitario a tutte le DSP interconnesse, con un processo di negoziazione (che ha luogo in pochissimi millisecondi). Le DSP raccolgono tutte le offerte che rispondono ai requisiti definiti dal publishere le inseriscono nel meccanismo ad asta tramite il quale si forma il prezzo. L’ad serveresegue la transazione, inviando istantaneamente all’utente la pubblicità dell’inserzionista che si aggiudica lo spazio pubblicitario>>, § 9 (non mi è chiaro come sia possibile rispondere all’offerta in asta nel giro di millisecondI: sarà certametne automatizzato e forse ci sono software con range di prezzo condizionati a certe variabili predisposte).

Naturalmente l’efficacia della intermediazione di G. consiste nella enorme quantità di dati raccolti dalla sua profilazione, per cui può offrire agli inserzionisti spazi assai mirati per colpire l’attenzioni degli utenti. Infatti <il processo di vendita di pubblicità on-line display si basa su un elemento cruciale: la disponibilità del più ampio numero di dati di profilazione dei soggetti destinatari della pubblicità e la rilevanza degli stessi per determinare gli orientamenti di consumo dei potenziali destinatari. Tali elementi consentono di pianificare una campagna pubblicitaria on-line displaye devono essere disponibili in tempo reale agli operatori interessati, connotando tale forma di pubblicità di caratteristiche differenti rispetto alla tradizionale pubblicità sugli altri mezzi informativi>, § 10.

I mercati rilevanti sono indicati ai §§ 23 ss: <Secondo consolidati orientamenti nazionali ed europei17, la pubblicità on-linepuò essere innanzitutto suddivisa in (i) pubblicità search on-linee (ii) pubblicità non-search on-line.Nell’ambito di tale ultima categoria, si potrebbero individuare distinte categorie merceologiche consistenti in: a) e-mail advertising, b) classified advertising, c) display advertising, d) social network advertisinge) e-commerce advertising.>, § 28,.

La quota di mercato di G. è indicata ai §§  37 ss (oscilla tra l’ 80 e il 90%)

Ai §§ 42 sono invece indicati i mercati che rilevano per la profilazione e l’acquisizione dei dati personali, fase cruciale, come detto sopra. Si legge: <gli ulteriori mercati che rilevano ai fini del presente procedimento, nella misura in cui consentono l’accesso a dati di profilazione, consentendo di avere una identificazione quasi perfetta dei soggetti che visualizzano la pubblicità,sono: (i) il mercato dei sistemi operativi per dispositivi mobili smart disponibili su licenza24; (ii) il mercato dei browser per la navigazione su Internetsu pc25; (iii) il mercato dei browser per la navigazione su Internetsu dispositivi mobili non dipendenti da specifici sistemi operativi26. I suddetti mercati hanno ambito geografico sovranazionale27. In particolare, tali mercati rilevano ai fini dell’acquisizione dei dati degli utenti/audience>, § 42.

La posizione dominante è esaminata ai §§ 49-51. Del resto non ci sono solo i Big Data a far la differenza: <la disponibilità di Big Data è solo uno dei diversi fattori che contribuiscono cumulativamente all’elevato grado di concentrazione e all’esistenza di barriere all’entrata nei mercati digitali. Infatti, altri fattori (oltre agli investimenti per sviluppare le capacità di analisi ed elaborazione dei dati), come le economie di scala e di scopo e le esternalità di rete, continuano a svolgere un ruolo importante nello spiegare il potere di mercato. Si tratta di aspetti che, pur non essendo nuovi nell’ambito dell’analisi antitrust, acquisiscono un particolare rilievo nei mercati digitali, per il condizionamento significativo che il loro effetto cumulato è in grado di esercitare sulle dinamiche concorrenziali>, § 51.

La condotta abusiva è spiegata ai §§ 72 ss. In breve G. avrebbe impedito a terze parti di tracciare i pixel e di avere l’IP degli utenti che passano per G.: così privandole della possibilità di cogliere in proprio dati degli utenti, che invece essa coglie, e così mantenendo una loro dipendenza da essa stessa (o, il che è uguale, impedendo una loro maggior indipendenza nel profilare l’utenza). Non a caso, direi: è proprio questa la differenza tra G. e ipotetici concorrenti: l’enorme massa di dati che solo la prima è in grado di raccogliere.

Ne consegue che, se un inserzionista volesse utilizzare un servizio DSP e Ad server di Google, <<tale impossibilità di interoperabilità nel tracciamento rende il servizio concorrente più costoso, in quanto non in grado di ridurre le inserzioni ridondanti. Poiché il mancato rilascio di ID decriptati e il rifiuto di accesso ai pixel di terzi non permettono di comprendere se un’inserzione sia stata visualizzata da un generico utente nel sistema Google, sarà necessario un numero maggiore di inserzioni per ottenere una determinata copertura pubblicitaria, creando così uno svantaggio concorrenziale per i servizi concorrenti consistente nella necessità di dovere richiedere maggiori passaggi pubblicitari al fine di raggiungere un determinato target.79.Al contrario, Google – facendo leva sui dispositivi Android, sui servizi legati all’ID Google e sui browser Chrome per PC e dispositivi mobili – è in grado di acquisire dati da diverse fonti non replicabili e associare ilcomportamento dell’utente all’interno del Sistema Google e quello all’esterno di esso. Ciò si realizza in ragione del fatto che Google può monitorare l’attività al di fuori del Sistema Google tramite i dati estratti dall’utilizzo di servizi e dispositivi diversi. Tale condotta si riflette, altresì, lato SSP e Ad server di vendita, in quanto le capacità di tracciamento influiscono anche sulla probabilità di vendita dello spazio pubblicitario e sul suo valore, favorendo quindi i servizi di Google>>, §§ 78-79.

Tale condotta permette a G. <<di mantenere una capacità di offerta di servizi di intermediazione nei suddetti mercati della pubblicità a condizioni e con modalità non replicabili dai concorrenti, tali da rappresentare un vantaggio competitivo ingiustificato. Facendo leva sui dati ottenuti attraverso tali strumenti, non accessibili a terzi, Google consente alla propria Google Marketing Platform (ovvero la sua DSP) e al proprio Google Ad Manager (SSP) di avere prestazioni in termini di capacità di targhettizzazione e di identificazione degli utenti che visualizzano inserzioni pubblicitarie che non sono altrimenti raggiungibili da altri operatori del mercato.84.Infatti, le divisioni interne di Google – mediante l’acquisizione di dati tramite diversi e molteplici servizi – possono sapere se un utente ha visualizzato una determinata inserzione pubblicitaria e, pertanto, incrementano la capacità di tracciamento. L’ottimizzazione del processo di intermediazione nella compravendita di inserzioni nel mercato del di splay advertising è preclusa ai concorrenti altrettanto efficienti in quanto Google non consente – rifiutando di fornire l’ID decriptato e rifiutando di permettere l’utilizzo di pixel di tracciamento – di associare l’attività di un determinato utente (in termini di visualizzazione di un determinato messaggio pubblicitario) all’interno del Sistema Google e all’esterno del Sistema Google.Si tratta di un comportamento discriminatorio tra divisioni interne, da un lato,e concorrenti, dall’altro, consistente nella combinazione delle informazioni degli utenti tramite servizi e prodotti nei quali Google detiene una posizione dominante e nel concomitante rifiuto di fornire ai concorrenti gli strumenti (ID e pixel) che potrebbero permettere a questi ultimi di utilizzare le proprie capacità di targhettizzazione e di competere in tal modo, sulla base dei propri meriti, con Google.>, §§ 83-84.

Ed ecco l’illiceità. La circostanza che Google utilizzi <<i servizi nei quali detiene una posizione dominante e i dati non replicabili per ottenere una capacità di tracciamento preclusa ai concorrenti a seguito della condotta di rifiuto, appare essere contraria alle regole poste a tutela della concorrenza basate sul merito.Infatti, i concorrenti altrettanto efficienti rispetto a Google non sono in grado di fornire servizi di intermediazione della pubblicità on-line con le medesime capacità di targhettizzazione e di identificazione. Ciò in ragione della combinazione che Google attua tra dati che sono acquisiti in ambiti del tutto estranei alle attività di fornitura di contenuti sul web e di compravendita pubblicitaria, associata alla contestuale condotta discriminatoria che impedisce ai concorrenti di competere sulla base dei loro meriti. 86.Pertanto, le condotte in esame consistono nella discriminazione interna ed esterna e, in particolare, nella combinazione di dati acquisiti con servizi in cui Google è in posizione dominante (quali, ad esempio, Android/Google Play, il connesso Google ID, Maps e Chrome) e nel contestuale rifiuto di fornire ai concorrenti attivi nel display advertising l’ID decriptato e di consentire l’utilizzo dei pixel. La combinazione di dati, raccolti per fini diversi rispetto a quelli per cui sono utilizzati da Google nelle predette applicazioni, sembra avere l’effetto di favorire le SSP e DSP di Google. Tali dati, per espresso rifiuto di Google, non possono esseredisponibili alle medesime condizioni agli operatori SSP e DSP concorrenti.87.Anche alla luce degli orientamenti della Commissione in tema di abuso di posizione dominante di tipo escludente41, si rileva che le condotte in esame sono idonee ad ostacolare lo svolgimento di una concorrenza effettiva nel display advertising e negli altri mercati interessati, con preclusione dei concorrenti e con conseguenti effetti negativi per il benessere dei consumatori. In particolare, da un lato, l’assenza di concorrenza tra SSP potrebbe alterare i flussi economici verso i soggetti che offrono spazi pubblicitari, come ad esempio gli editori, con conseguente peggioramento della qualità dei contenuti offerti ai consumatori finali. D’altro lato, le condotte in esame, riducendo la concorrenza in tutta la filiera pubblicitaria del display adevrtising, potrebbe ridurre gli incentivi allo sviluppo tecnologico dei messaggi pubblicitari (come ad esempio, tecnologie meno invasive per i consumatori) influendo negativamente sull’esperienza di fruizione dei messaggi pubblicitari da parte degli utenti>, §§ 85-88.

US contro Google: partita l’azione antitrust

Il 20 ottobre è stata depositata la domanda giudiziale degli Stati Uniti d’America contro Google (poi: G.)  per violazione antitrust: v. la notizia in Brandom R. in pari data su The Verge , The US government has filed antitrust charges against Google .

Qui trovi il link al testo dell’atto giudiziario , presente su Scribd e cioè questo.

L’inizio suona così : gli Stati uniti di America (e altri stati: Arkansas, Florida etc.) << bring this action under Section 2 of the Sherman Act, 15 U.S.C. § 2, to restrain Google LLC (Google) from unlawfully maintaining monopolies in the markets for general search services, search advertising, and general search text advertising in the United States through anticompetitive and exclusionary practices, and to remedy the effects of this conduct>>, p. 1

Si legge che le pratiche di G. sono particolarmente dannose <because they deny rivals scale to compete effectively. General search services, search advertising, and general search text advertising require complex algorithms that are constantly learning which organic results and ads best respond to user queries; the volume, variety, and velocity of data accelerates the automated learning of search and search advertising algorithms. When asked to name Google’s biggest strength in search, Google’s former CEO explained: “Scale is the key. We just have so much scale in terms of the data we can bring to bear.” By using distribution agreements to lock up scale for itself and deny it to others, Google unlawfully maintains its monopolies>, § 8.

Inibisce, poi, possibili innovazioni la presa di G. sulla distribuzione, § 9.

V. il cenno difensivo di G. richiamentesi a Microsoft nel caso US v. Microsoft di venti anni fa, § 10-11.

Per descrizione del business dei motori di ricerca si v. sub III. A , § 19 ss,  e sub III.B B, § 35 ss. sulla importanza del profilo dimensionale. V. sub D, § 52 ss per l’esame della fase distributiva (forse poco conosciuta dal pubblico).

Trovi nella Parte IV, § 28 ss, l’individuazione del mercato rilevante:  – quello dei general search services, sub A.1;  – quello del search advertising, sub B.1 (e al suo interno, quello del genral search text advertising, § 101; assieme considerati al § 108 ss)

Affermato ciò , gli attori dicono: < Google is a monopolist in the general search services, search advertising, and general search text advertising markets. Google aggressively uses its monopoly positions, and the money that flows from them, to continuously foreclose rivals and protect its monopolies>, § 111 .

Segue l’esame delle singole condotte cnsurate:

Al § 112: G. ha illecitamente mantenuto il monopolio <by implementing and enforcing a series of exclusionary agreements with distributors over at least the last decade. Particularly when taken together, Google’s exclusionary agreements have denied rivals access to the most important distribution channels. In fact, Google’s exclusionary contracts cover almost 60 percent of U.S. search queries. Almost half the remaining searches are funneled through properties owned and operated directly by Google. As a result, the large majority of searches are covered by Google’s exclusionary contracts and own properties, leaving only a small fraction for competitors>.

Al § 113 : G. ha continuato ad usare <the exclusionary agreements over many years, long after there was any real competition in general search, has denied its rivals access to the scale that would allow rivals to increase quality. By depriving them of scale, Google also hinders its rivals’ ability to secure distribution going forward, insulating Google from competition>.

Al § 114 : <Google’s exclusionary motives influence its negotiations with distributors. Some of these exclusionary agreements have been described by Google as an “[i]nsurance policy that preserves our search and assistant usage.” To preserve its dominance, Google has developed economic models to measure the “defensive value” of foreclosing search rivals from effective distribution, search access points, and ultimately competition. Google recognized it could pay search distributors to “protect [its] market share from erosion.” Google continues to focus on the exclusionary defensive value of its distribution contracts as it tries to expand its search dominance into new distribution channels, such as smart home speakers. Here, Google’s defensive value “is attributable to protecting access to Search and other Google services that may otherwise be blocked in a given household” if a user chooses a rival.>.

Complessivamente, G. priva i concorrenti <of the quality, reach, and financial position necessary to mount any meaningful competition to Google’s longstanding monopolies. By foreclosing competition from rivals, Google harms consumers and advertisers.>, § 115.

Segue esame analitico, sub V.A-B, §§ 116-165.

In sintesi gli effetti inibitori della concorrenza sono:  < a.   Substantially foreclosing competition in general search services and protecting a large majority of search queries in the United States against any meaningful competition;    b.   Excluding general search services rivals from effective distribution channels, thereby denying rivals the necessary scale to compete effectively in the general search services, search advertising, and general search text advertising markets;     c.   Impeding other potential distribution paths for general search services rivals;    d.   Increasing barriers to entry and excluding competition at emerging search access points from nascent competitors on both computers and mobile devices;    e.   Stunting innovation in new products that could serve as alternative search access points or disruptors to the traditional Google search model;   and    f.    Insulating Google from significant competitive pressure to improve its general search, search advertising, and general search text advertising products and services.>, § 166.

Le violazioni processualmetne dedotte sono indicate sub VII, § 173 ss

Al capo VIII , § 194, v. i provvedimenti richiesti, tra cui le lettere b)-c) :

<< b.   Enter structural relief as needed to cure any anticompetitive harm;   c.  Enjoin Google from continuing to engage in the anticompetitive practices described herein and from engaging in any other practices with the same purpose and effect as the challenged practices; >>.