Diritto alla copia della cartella sanitaria, esercitato invocando il GDPR

Corte di giustizia 26.10.2023 , C-307/22, in una richiesta del cliente al dentista di copia della cartella sanitaria , per valutare l’esattezza della sua prestazione professionale :

<<1)    L’articolo 12, paragrafo 5, e l’articolo 15, paragrafi 1 e 3, del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati),

devono essere interpretati nel senso che

l’obbligo di fornire all’interessato, a titolo gratuito, una prima copia dei suoi dati personali oggetto di trattamento grava sul titolare del trattamento anche qualora tale richiesta sia motivata da uno scopo estraneo a quelli di cui al considerando 63, prima frase, di detto regolamento.

2) L’articolo 23, paragrafo 1, lettera i), del regolamento 2016/679

deve essere interpretato nel senso che:

una normativa nazionale adottata prima dell’entrata in vigore di tale regolamento può rientrare nell’ambito di applicazione di detta disposizione. Tuttavia, una siffatta facoltà non consente di adottare una normativa nazionale che, al fine di tutelare gli interessi economici del titolare del trattamento, ponga a carico dell’interessato le spese di una prima copia dei suoi dati personali oggetto di tale trattamento.

3) L’articolo 15, paragrafo 3, prima frase, del regolamento 2016/679

deve essere interpretato nel senso che:

nell’ambito di un rapporto medico/paziente, il diritto di ottenere una copia dei dati personali oggetto di trattamento implica che sia consegnata all’interessato una riproduzione fedele e intelligibile dell’insieme di tali dati. Tale diritto presuppone quello di ottenere la copia integrale dei documenti contenuti nella sua cartella medica che contengano, tra l’altro, detti dati, qualora la fornitura di una siffatta copia sia necessaria per consentire all’interessato di verificarne l’esattezza e la completezza nonché per garantirne l’intelligibilità. Per quanto riguarda i dati relativi alla salute dell’interessato, tale diritto include in ogni caso quello di ottenere una copia dei dati della sua cartella medica contenente informazioni quali diagnosi, risultati di esami, pareri di medici curanti o eventuali terapie o interventi praticati al medesimo>>.

L’ar. 15.3 (diritto all’accesso) dispone: << Il titolare del trattamento fornisce una copia dei dati personali oggetto di trattamento. In caso di ulteriori copie richieste dall’interessato, il titolare del trattamento può addebitare un contributo spese ragionevole basato sui costi amministrativi. Se l’interessato presenta la richiesta mediante mezzi elettronici, e salvo indicazione diversa dell’interessato, le informazioni sono fornite in un formato elettronico di uso comune>>.

Consenso informato circa trattamento algoritmico di dati reputazionali

Cass. 28.358 del 10.10.2023, rel. Nazzicone, sez. I, (link offerto da Il Sole 24 ore) esamina un caso di pretesa illegittimità di tratamento dati reptuaizonali da aprte di algoritmo (era un sito che offriva consulebza sulal reputaizone nel web).

Il focus è sul se sia valido il consenso (artt. 23 e 13 del d. lgs 196/2003, ora sostituiti dal GDPR) espresso enza conoscere esattamente il funzionamento dell’algoritmo.

O meglio, visto che la risposta deve essere negativa, bisogna capiure quando ricorra una conoscenza sufficiente per dare validità al consenso espresso. Il tema è assai interessante e si porrà sempre più spesso.

Premessa tecnica:

<<4.1. – Al giudice del merito era stato demandato di verificare,
sulla base delle regole dell’iniziativa de qua, se il trattamento svolto
con mezzi informatici fosse adeguatamente trasparente con
riguardo all’algoritmo di calcolo del c.d. rating reputazionale, fulcro
dell’intero sistema progettato al riguardo.
Secondo la sentenza rescindente, infatti, il necessario
accertamento in punto di fatto – al fine di reputare la validità del
consenso in ragione della sussistenza di una conoscenza effettiva
consapevolezza delle finalità e modalità di espletamento del
trattamento – riguardava la trasparenza e la conoscenza delle
caratteristiche funzionali dell’algoritmo.
Ciò che si richiedeva, cioè, non è che l’associato debba
conoscere ex ante con certezza l’esito finale delle valutazioni che il
sistema di intelligenza artificiale opera – perché altrimenti sarebbe
quanto meno inutile – ma il procedimento che conduce alle
medesime.
4.2. – In matematica, un procedimento da seguire viene
descritto sinteticamente da un’equazione, la quale si compone di
variabili e di funzioni che le collegano.
L’algoritmo è un procedimento di risoluzione di un problema: da
determinati dati di ingresso (input) derivano soluzioni (output).
Lo “schema esecutivo” di un algoritmo specifica, pertanto, i
passi da eseguire in sequenza, per giungere al risultato.
Gli studiosi della materia precisano che un algoritmo è
costruibile, se i dati ed il procedimento rispettano alcuni requisiti.

Li ricorda anche la ricorrente, nel primo motivo di ricorso:
richiedendosi che i passaggi siano elementari, univoci, di numero
finito, operabili in un tempo finito e con un risultato unico.
E, nel caso, in esame non è in questione se l’algoritmo, per
funzionare algebricamente e quindi per il processo informatico,
possedesse tali requisiti>>.

Poi passa a spiegare che il punctum dolens è la validità o meno del consenso espresso:

<<I requisiti del consenso sono, dunque, la prestazione libera e
specifica in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato
e le previe informazioni di cui all’art. 13, ossia, in particolare, circa
le finalità e le modalità del trattamento.
Quando, come nella specie, i dati personali sono destinati ad
essere “lavorati” da un algoritmo, dovrà dunque anche tale
modalità essere coperta dal consenso.
Pertanto, nella vicenda in esame, ad integrare i presupposti del
“libero e specifico” consenso, affinché esso sia legittimo e valido, è
richiesto che l’aspirante associato sia in grado di conoscere
l’algoritmo, inteso come procedimento affidabile per ottenere un
certo risultato o risolvere un certo problema, che venga descritto
all’utente in modo non ambiguo ed in maniera dettagliata, come
capace di condurre al risultato in un tempo finito.
Che, poi, il procedimento, come spiegato con i termini della
lingua comune, sia altresì idoneo ad essere tradotto in linguaggio
matematico è tanto necessario e certo, quanto irrilevante: ed
invero, non è richiesto né che tale linguaggio matematico sia
osteso agli utenti, né, tanto meno, che essi lo comprendano.
Ciò che rileva, invece, è che sia possibile tradurre in linguaggio
matematico/informatico i dati di partenza, cosicché il tutto divenga
opportunamente comprensibile alla macchina, grazie ai soggetti
esperti programmatori, secondo le sequenze e le istruzioni tratte
dai dati “in chiaro”, come descritti nel regolamento più volte citato.
4.3. – Ora, sulla base degli accertamenti compiuti dal giudice
del merito, tali parametri di riferimento erano tutti presenti nel
regolamento>>

Poi la SC erra vistosamente:

<<Mentre non si comprende la pretesa che fosse indicato il “peso
specifico” dei vari criteri – posto che si tratta di termine scientifico,
concernente il rapporto tra il peso e il volume di una materia, non
sempre essendo opportuno il travaso al diritto dei termini di altre
scienze – si potrà anche non concordare con la logica o con taluno
dei criteri sottesi al sistema illustrato nel regolamento, che il primo
motivo del ricorso riporta: ma non è questione ora rilevante,
richiedendosi, ai fini del trattamento dei dati personali su consenso
dell’interessato, soltanto che il sistema dei parametri ostesi fosse
sufficientemente determinato.
E proprio questa è la situazione di fatto, accertata dal giudice
del merito, onde la sua sussunzione nella fattispecie del valido
consenso era dovuta, secondo il controllo affidato a questa Corte in
sede di legittimità>>

I vari fattori concorrenti non è detto abbiano la medesima importanza per determinare l’output finale. Il peso specifico di ciascuno può variare, per  cui   l’interessato deve avere il diritto di conoscerlo. Non capisce il punto la SC.

Si veda l’art. 14.2.g) GDPR, che  impone al titolare del trattamento dare informazioni all’interessato circa <<l’esistenza di un processo decisionale automatizzato, compresa la profilazione di cui all’articolo 22, paragrafi 1 e 4, e, almeno in tali casi, informazioni significative sulla logica utilizzata, nonché l’importanza e le conseguenze previste di tale trattamento per l’interessato>>.

Restrittiva interpretazione delle facoltà di derogare alla pricacy elettronica ex art. 15 dir. 58 del 2002

corte giust. 7 settembre 2023 , C-162/22, in un caso di corruzione che usa dati raccolti ad altro fine:

art. 15 cit.: <<«Gli Stati membri possono adottare disposizioni legislative volte a limitare i diritti e gli obblighi di cui agli articoli 5 e 6, all’articolo 8, paragrafi da 1 a 4, e all’articolo 9 della presente direttiva, qualora tale restrizione costituisca, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 95/46/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31)], una misura necessaria, opportuna e proporzionata all’interno di una società democratica per la salvaguardia della sicurezza nazionale (cioè della sicurezza dello Stato), della difesa, della sicurezza pubblica; e la prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, ovvero dell’uso non autorizzato del sistema di comunicazione elettronica. A tal fine gli Stati membri possono tra l’altro adottare misure legislative le quali prevedano che i dati siano conservati per un periodo di tempo limitato per i motivi enunciati nel presente paragrafo. Tutte le misure di cui al presente paragrafo sono conformi ai principi generali del diritto comunitario, compresi quelli di cui all’articolo 6, paragrafi 1 e 2, [TUE]» >>.

Ebene, circa il secondo caso di legittima deroga (eprseguimento reati), <<Per quanto riguarda l’obiettivo di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, la Corte ha rilevato che, conformemente al principio di proporzionalità, solo la lotta alle forme gravi di criminalità e la prevenzione di minacce gravi alla sicurezza pubblica sono idonee a giustificare ingerenze gravi nei diritti fondamentali sanciti agli articoli 7 e 8 della Carta, come quelle che comporta la conservazione dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione. Pertanto, solo le ingerenze in tali diritti fondamentali che non presentano un carattere grave possono essere giustificate dall’obiettivo di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati in generale (sentenza del 5 aprile 2022, Commissioner of An Garda Síochána e a., C‑140/20, EU:C:2022:258, punto 59 e giurisprudenza ivi citata)>>, § 37.

e poi:

<<Orbene, tali considerazioni si applicano mutatis mutandis a un uso successivo dei dati relativi al traffico e a dati relativi all’ubicazione conservati da fornitori di servizi di comunicazione elettronica in applicazione di una misura adottata ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 ai fini della lotta alla criminalità grave. In effetti, tali dati non possono, dopo essere stati conservati e messi a disposizione delle autorità competenti ai fini della lotta alla criminalità grave, essere trasmessi ad altre autorità e utilizzati al fine di realizzare obiettivi, quali, come nel caso di specie, la lotta a una condotta illecita di natura corruttiva, che sono di importanza minore, nella gerarchia degli obiettivi di interesse generale, rispetto a quello della lotta alla criminalità grave e della prevenzione delle minacce gravi alla sicurezza pubblica. Infatti, autorizzare, in una situazione del genere, l’accesso ai dati conservati sarebbe contrario a tale gerarchia degli obiettivi di interesse generale richiamata ai punti 33, da 35 a 37 e 40 della presente sentenza (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2022, Commissioner of An Garda Síochána e a., C‑140/20, EU:C:2022:258, punto 99)>>, § 41.

Errore:  primo, la dir. non chiede che si tratti di reati “gravi”, essendo solo interpretazione non condivisibile; secondo, la corruzione di un  magistrato è assai grave e giustifica la deroga

Risarcimento del danno da violazione della data protection

Cass. sez. I  n. 13.073 Ord. 12.05.2023, rel. Terrusi:

<<III. – Dalla sentenza si apprende che il trattamento illecito era stato integrato nel seguente modo: il 12/8/2020 il comune di (Xxxx) aveva pubblicato sul proprio sito istituzionale una determina relativa pignoramento per un certo importo dello stipendio di una dipendente comunale, tale per cui l’ente si era assunto l’impegno di versare il quinto dello stipendio a favore della società creditrice; nella determina era stata omessa la pubblicazione dei dati della debitrice, ma nella nota contabile allegata l’espressa indicazione dei dati era stata invece mantenuta, e i dati erano così finiti, seppure per poco più di un giorno, nell’albo pretorio on line del comune medesimo>>.

Principi di diritto:

<<– in base alla disciplina generale del Regolamento (UE) 2016.679, cd. GDPR, il titolare del trattamento dei dati personali è sempre tenuto a risarcire il danno cagionato a una persona da un trattamento non conforme al regolamento stesso, e può essere esonerato dalla responsabilità non semplicemente se si è attivato (come suo dovere) per rimuovere il dato illecitamente esposto, ma solo “se dimostra che l’evento dannoso non gli è in alcun modo imputabile”;[meglio: come obbligazione ex lege, il regime è quello della’rt. 1218 cc]

– l’esclusione del principio del danno in re ipsa presuppone, in questi casi, la prova della serietà della lesione conseguente al trattamento; ciò vuol dire che può non determinare il danno la mera violazione delle prescrizioni formali in tema di trattamento del dato, mentre induce sempre al risarcimento quella violazione che concretamente offenda la portata effettiva del diritto alla riservatezza>>. [che possa esserci stata una violazione  senza aver provocato un danno, mi pare esatto ma anche quasi ovvio]

(segnalazione e link da post di Stefano Aterno/E-Lex  su Linkedin)

Sul tema v. SALANITRO U., ILLECITO TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI E RISARCIMENTO DEL DANNO NEL PRISMA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA, Riv. dir. civ., 3-2023

Responsbilità del solo direttore della testata on line e minimizzazione dei dati (rectius: del trattamento) in un caso di illecita pubblicazione dell’indirizzo di residenza

Cass. sez. III del 25/07/2023 n. 22.338, rel. Dell’Utri:

<<21. Osserva il Collegio come, conformemente a quanto rilevato in corrispondenza della decisione relativa ai primi due motivi del ricorso principale, secondo il più recente insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (che il Collegio condivide integralmente e fa proprio, al fine di assicurarne continuità), la responsabilità dei danni determinati dall’illecita divulgazione dei dati personali, ai sensi del d. lgs. n. 196 del 2003, art. 15, comma 1 (applicabile ratione temporis), dev’essere ascritta a carico di chiunque, con la propria condotta, li abbia provocati, indipendentemente dalla qualifica rivestita (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 11020 del 26/04/2021, Rv. 661185 – 01).

22. In breve, l’attribuzione della responsabilità per l’illecita divulgazione dei dati personali chiede d’essere declinata secondo il criterio della contribuzione causale (conformemente alla ratio che ispira la disciplina dell’art. 2050 c.c., richiamato dal d. lgs. n. 196 del 2003, art. 15, comma 1, applicabile ratione temporis, secondo cui “Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 del codice civile”), nel senso che ciascun soggetto che, con la propria condotta (in qualunque modo interferente con il trattamento di dati personali), abbia contribuito causalmente alla divulgazione illecita di tali dati, deve ritenersi responsabile (o corresponsabile) di detta divulgazione; e tanto, indipendentemente dalla qualifica formale eventualmente rivestita in relazione alla titolarità, alla responsabilità del trattamento, alla relativa conservazione o al relativo controllo concreto.

23. Nel caso di specie, rispetto al fatto dannoso dedotto in giudizio dal G. (consistito nell’illecita divulgazione online, nel dicembre del 2007, anche dei dati relativi alla relativa residenza personale, non giustificata dalla pubblicazione delle fonti informative contenenti tali dati), l’accertamento dell’eventuale contributo causale fornito da tutte le parti convenute in giudizio non avrebbe dovuto essere trascurata dai giudici del merito, non potendo certamente escludersi, in via di principio, che ciascuno di essi potesse avere, in qualche misura, concorso o contribuito, sul piano causale, a tale illecita divulgazione.

24. Ciò posto, l’avvenuta limitazione della condanna pronunciata dalla corte territoriale a carico del solo (ritenuto) responsabile della testata online per l’illecito trattamento dedotto in giudizio deve ritenersi in tal senso ingiustificata: da un lato, per essersi il giudice d’appello sottratto all’obbligo di pronunciare sulla domanda proposta nei confronti degli altri convenuti e, dall’altro, per avere il giudice d’appello escluso (sia pure implicitamente) la responsabilità di questi ultimi nell’operazione di divulgazione dei dati personali, limitandosi immotivatamente a pronunciare la condanna del solo Z.V. in ragione della mera qualifica formale rivestita.

25. Nel rimettere al giudice del rinvio il compito di procedere all’indagine concreta sull’eventuale responsabilità risarcitoria di ciascuno dei convenuti nei confronti del G., varrà peraltro ribadire come la statuizione di rigetto pronunciata dalla corte territoriale in relazione alla domanda risarcitoria proposta dal G. nei confronti di M.E. non sia stata specificamente contestata dall’odierno ricorrente principale, essendosi quest’ultimo limitato in questa sede a censurare in modo espresso la limitazione della pronuncia di condanna nei confronti del solo Z.V. per non averla estesa nei confronti della GEDI Gruppo Editoriale s.p.a.; ciò che impone di ritenere come sul rigetto della domanda risarcitoria avanzata dal G. nei confronti di M.E. si sia definitivamente formato il corrispondente giudicato interno, con definitiva preclusione di ogni ulteriore questione sul punto specifico.

26. Con il secondo motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 137 e 139, nonché del c.d. codice deontologico dei giornalisti, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto illecito il trattamento dei dati personali relativi al G., essendosi i giornalisti del sito Internet de ‘(Omissis)’ nella specie limitati alla mera trascrizione integrale dell’informativa di reato elaborata dalla polizia giudiziaria su delega della magistratura inquirente, senza alcun intervento correttivo, nella sua integralità, senza ritocchi, rimaneggiamenti o censure, con la conseguente insussistenza di alcuna lesività di detta pubblicazione, trattandosi di informazioni annotate dagli stessi inquirenti (poiché ritenuti di evidente rilevanza ai fini dell’indagine) e, conseguentemente, dell’informazione di interesse pubblico relativa ai fatti narrati.

27. Il motivo è infondato.

28. Osserva il Collegio come i principi di diritto che governano il giudizio di liceità del trattamento dei dati personali impongano che tale trattamento avvenga sul presupposto della responsabilizzazione dell’autore del trattamento (sia esso titolare o responsabile) in relazione alle modalità di esecuzione di tale trattamento.

29. Fra tali principi, assume carattere decisivo in questa sede quello stabilito dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 1, lett. d) (applicabile ratione temporis al caso di specie), ai sensi del quale “i dati personali oggetto di trattamento sono: pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati”.

30. In breve, il trattamento dei dati personali in tanto può ritenersi lecito, in quanto le informazioni divulgate siano limitate ai soli dati strettamente indispensabili rispetto alle finalità informative perseguite: si tratta del medesimo principio successivamente formulato nell’art. 5, comma 1, lett. c), del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016 (richiamato dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 1, così come riformulato dal D.Lgs. n. 101 del 2018), secondo cui “i dati personali sono: (…) adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati (“minimizzazione dei dati”)”; principio pacificamente fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte, là dove ha sottolineato come, in tema di tutela della riservatezza, il trattamento dei dati personali deve essere sempre effettuato nel rispetto del ‘criterio di minimizzazioné dell’uso degli stessi, dovendo cioè essere utilizzati solo se indispensabili, pertinenti e limitati a quanto necessario per il perseguimento delle finalità per cui sono raccolti e trattati (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 11020 del 26/04/2021, Rv. 661185 – 02).

31. Nel caso di specie, del tutto correttamente la corte territoriale ha rilevato come costituisse uno specifico dovere dell’autore dell’articolo intervenire sull’informativa di polizia giudiziaria ricevuta (e destinata alla pubblicazione) al fine di depurarla dei dati personali (nella specie dell’indirizzo della residenza del G.) che in nessun modo avrebbero sottratto o aggiunto alcunché di significativo al contenuto informativo dell’articolo.

32. Proprio la circostanza di aver trascurato tale dovere e di non aver provveduto alla divulgazione “responsabile” di quell’informativa di polizia giudiziaria (nella parte in cui riportava il dato della residenza personale del G.) ha determinato la manifesta eccedenza del trattamento, rispetto alle finalità della pubblicazione e, conseguentemente, la relativa illiceità>>.

sentenza esatta, anche tutto sommato relativa a questioni di facile soluzione

Sul diritto di accesso ai propri dati da parte dell’interessato

interessante pronuncia della Corte di Giustizia 22.06.2023, C-579/21, sul diritto dell’interssato di essere esattamente informato su chi e perchè ha chiesto l’accesso ai suoi dati.

L’art. 15 § 1 GDPR va interpretato nel senso che:

<<le informazioni relative a operazioni di consultazione dei dati personali di una persona, riguardanti le date e le finalità di tali operazioni, costituiscono informazioni che detta persona ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento in forza di tale disposizione.

Per contro, la suddetta disposizione non riconosce un siffatto diritto con riferimento alle informazioni relative all’identità dei dipendenti di detto titolare che hanno svolto tali operazioni sotto la sua autorità e conformemente alle sue istruzioni, a meno che tali informazioni siano indispensabili per consentire all’interessato di esercitare effettivamente i diritti che gli sono conferiti da tale regolamento e a condizione che si tenga conto dei diritti e delle libertà di tali dipendenti>>.

I fatti storici:

<< 20  Nel 2014, J.M., all’epoca dipendente e cliente della Pankki S, è venuto a conoscenza del fatto che i suoi dati di cliente erano stati consultati da membri del personale della banca, in più occasioni, nel periodo compreso tra il 1° novembre e il 31 dicembre 2013.

21      Nutrendo dubbi circa la liceità di tali consultazioni, J.M. che, nel frattempo, era stato licenziato dal suo impiego presso la Pankki S, ha chiesto a quest’ultima, il 29 maggio 2018, di comunicargli l’identità delle persone che avevano consultato i suoi dati di cliente, le date esatte delle consultazioni nonché le finalità del trattamento di detti dati.

22      Nella sua risposta del 30 agosto 2018, la Pankki S, in qualità di titolare del trattamento ai sensi dell’articolo 4, punto 7, del RGPD, ha rifiutato di comunicare l’identità dei dipendenti che avevano svolto le operazioni di consultazione, con la motivazione che tali informazioni costituivano dati personali di detti dipendenti.

23      Tuttavia, nella medesima risposta, la Pankki S ha fornito precisazioni in merito alle operazioni di consultazione svolte, conformemente alle sue istruzioni, dal servizio di audit interno di quest’ultima. Essa ha in tal modo chiarito che un cliente della banca di cui J.M. era il consulente alla clientela risultava creditore di una persona che aveva lo stesso cognome di J.M., cosicché essa aveva voluto chiarire se il ricorrente nel procedimento principale e detto debitore fossero la stessa persona e se vi fosse stato un eventuale rapporto di conflitto di interessi inappropriato. La Pankki S ha aggiunto che per chiarire tale questione era stato necessario procedere al trattamento dei dati di J.M. e che tutti i dipendenti della banca che avevano svolto il trattamento di tali dati avevano rilasciato al servizio di audit interno una dichiarazione sui motivi di detto trattamento di dati. Inoltre, la banca ha dichiarato che tali consultazioni avevano consentito di fugare qualsiasi sospetto di conflitto di interessi per quanto riguarda J.M>>.

Significativa precisazione: <<è pacifico che le operazioni di consultazione aventi ad oggetto i dati personali del ricorrente nel procedimento principale costituiscono un «trattamento» ai sensi dell’articolo 4, punto 2, del RGPD, con la conseguenza che esse conferiscono a quest’ultimo, in forza dell’articolo 15, paragrafo 1, di tale regolamento, non solo un diritto di accesso a tali dati personali, ma anche un diritto a che gli siano comunicate le informazioni relative a dette operazioni, quali menzionate da quest’ultima disposizione>>.

Sul risarcimento del danno da violazione della data protection (art. 82 GDPR)

Corte di Giustizia 04.05.2023, C-300/21, UI v. Österreichische Post AG sulla disciplina europea del risarcimento da violazione privacy (anzi, data protection…):

L’articolo 82 GDPR deve essere interpretato nel senso che:

1) la mera violazione delle disposizioni di tale regolamento non è sufficiente per conferire un diritto al risarcimento.
2) osta a una norma o una prassi nazionale che subordina il risarcimento di un danno immateriale, ai sensi di tale disposizione, alla condizione che il danno subito dall’interessato abbia raggiunto un certo grado di gravità.
3)  ai fini della determinazione dell’importo del risarcimento dovuto in base al diritto al risarcimento sancito da tale articolo, i giudici nazionali devono applicare le norme interne di ciascuno Stato membro relative all’entità del risarcimento pecuniario, purché siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività del diritto dell’Unione.

La regola sub 1) è scontata.

Quella sub 3) quasi (ma è utile la precisazione del limite del rispetto della effettività del diritto UE).

Più interessante è quella sub 2).

La profilazione alla base dello scoring, richiesto da una banca per decidere sulla concessione di credito, ricade nell’art. 22 GDPR?

Risposta positiva da parte dell’avvocato generale (AG) PRIIT PIKAMÄE nelle sue Conclusioni 16 marzo 2023, C-634/21, OQ c. Land Hessen +  interv. SCHUFA Holding sa.

fatto:

<< 82  La domanda di cui trattasi si inserisce nell’ambito di una controversia che oppone la ricorrente, OQ, una persona fisica, al Land Hessen (Land Assia, Germania), rappresentato dall’Hessischer Beauftragter für Datenschutz und Informationsfreiheit (Commissario per la protezione dei dati e la libertà d’informazione del Land Assia; in prosieguo: l’«HBDI»), in materia di protezione dei dati personali. La SCHUFA Holding AG (in prosieguo: la «SCHUFA»), un’agenzia di diritto privato, sostiene la posizione dell’HBDI in qualità di interveniente. Nell’ambito della sua attività economica, consistente nel fornire ai clienti informazioni sulla solvibilità di terzi, la SCHUFA ha fornito a un istituto di credito un punteggio di scoring relativo alla ricorrente, sulla cui base il credito da quest’ultima richiesto è stato negato. La ricorrente ha chiesto alla SCHUFA di procedere alla cancellazione della relativa registrazione e di consentirle di accedere ai dati corrispondenti; quest’ultima le ha tuttavia comunicato unicamente il punteggio di scoring pertinente e, in termini generali, i principi su cui si fonda il modello di calcolo di detto punteggio, senza informarla in merito ai dati specifici presi in considerazione e alla rilevanza loro attribuita in tale contesto, sostenendo che il metodo di calcolo sarebbe coperto da segreto industriale e aziendale.

3.        Posto che la ricorrente sostiene che il rifiuto opposto dalla SCHUFA alla sua richiesta contrasta con il regime della protezione dei dati, la Corte sarà chiamata a pronunciarsi sulle restrizioni che il RGPD prevede per l’attività economica delle agenzie di informazione nel settore finanziario, in particolare nella gestione dei dati, e sulla rilevanza da attribuire al segreto industriale e aziendale. Parimenti, la Corte dovrà precisare la portata dei poteri normativi che talune disposizioni del RGPD conferiscono al legislatore nazionale in deroga all’obiettivo generale di armonizzazione previsto da detto atto giuridico.

L?unico dubbio reale è l’avverbio “unicamente” presente nell’art. 22.1 (“L’interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona”): qualche itnervento uman infatti ci sarà.

Ebbene, l’AG da un lato rinvia al g. nazionale, § 45.

Dall’altro però dà anche indicazioni precise: pur se qualche intervento umano possa esservi, di fatto lo scoring da IA è decisivo. In particolare:  <<Fatta salva la valutazione dei fatti che compete ai giudici nazionali compiere in ciascun caso particolare, le considerazioni svolte supra mi sembrano indicare che il punteggio di scoring calcolato da un’agenzia di valutazione del credito e comunicato a un istituto finanziario tende generalmente a predeterminare la decisione di quest’ultimo quanto alla concessione o al diniego del credito all’interessato, cosicché si deve ritenere che detta presa di posizione rivesta un carattere puramente formale nel quadro del processo (20). Ne consegue che occorre riconoscere al punteggio di scoring stesso la natura di «decisione» ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 1, del RGPD.>>, § 47, v. ppoi i  segg.

Però la legge dice “unicamente”, che è diverso da “prevalentemente”.

E’ un pò come l’ <esclusivamente> dell’art. 7.1.e) nel reg. UE 2017/1001 o nell’art. 9 del ns cod. propr. ind. sui marchi di forma , intepretato in modo molto lasco, quasi fosse “prevalentemente”.

Nella seconda parte l’AG contesta che una disposizione della legge privacy tedesca possa fungere da base giuridica ex art. 22.1.b) GDPR.

Difficilmente la Corte si discosterà dalle Conclusioni. Vedremo.

Per obbligare la piattaforma l’editore al delisting (diritto all’oblio), basta una richiesta stragiudiziale

Altro caso (rischiano di diventare una valanga …) di richiesta di cancellazione di notizia infamante (apertura di procedimento penale) -in subordine di aggiornamento- , vera ma superata dai fatti successivi (assoluzione piena) .

La cancellazione era stata ottenuta solo a seguito dell’istanza cautelare.

L’interessato, nonstante la dichiarata cessazione della materia del contendere,  proseguì il processo cercando il risarcimento del danno,  perchè comunque la notizia era rimasta esposta medio temore (per 10 anni circa): presupponendo dunque che sarebbe dovuto bastare una richiesta stradiuziale o addirittura che l’editore dovesse per conto suo controllare costantemente l’aggiornamento delle notizie da lui pubblicate (non è chiara la causa petendI: parrebbe la seconda)

Così opina Cass. sez. 3 del 1 marzo 2023 n. 6116 , rel. Sestini:

<<Ritiene il Collegio che non si possa affermare tout court e in termini generali un obbligo di costante aggiornamento della notizia o di rimozione della stessa una volta che sia trascorso un determinato lasso di tempo (di cui non sarebbe neppure agevole una predeterminazione generalizzata), dato che ciò imporrebbe un onere estremamente gravoso e pressoché impossibile da rispettare a carico delle testate giornalistiche titolari dei siti web, al quale potrebbe non corrispondere un concreto interesse dei soggetti cui si riferiscono le notizie.

D’altra parte, deve riconoscersi alla persona interessata dalla persistenza di una pubblicazione che reputi a sé pregiudizievole il diritto di tutelare la propria reputazione e di richiedere l’aggiornamento del sito o la rimozione della notizia, con la conseguenza che, una volta che sia stata formulata una siffatta richiesta, il rifiuto ingiustificato di aggiornamento o rimozione risulta idoneo a integrare una condotta illecita tale da giustificare il risarcimento del danno prodottosi a partire dalla richiesta di aggiornamento/rimozione (danno che ovviamente va allegato e provato, anche in via presuntiva). [pare dunque bastare richiesta stragiudiziale]

Una soluzione siffatta realizza un ragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi e si pone in linea di continuità col rilievo già contenuto in Cass. n. 5505-2012 circa la possibilità/necessità di “compartecipazione dell’interessato nell’utilizzazione dei propri dati personali… ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l’aggiornamento, l’integrazione”.

In tal senso orientano il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 7 (secondo cui l’interessato “ha diritto di ottenere” l’aggiornamento o la cancellazione) e l’art. 17 Regolamento UE 679-2016 (che fa parimenti riferimento al diritto dell’interessato a ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati che lo riguardano, cui si correla il dovere del secondo di provvedervi senza ingiustificato ritardo): entrambi fanno dipendere dall’iniziativa dell’interessato il dovere del titolare del trattamento di attivarsi per la modifica del dato e mal si prestano a sostenere l’affermazione di un dovere dell’anzidetto titolare (sanzionato a livello risarcitorio) di procedere alla modifica di propria iniziativa.

Deve dunque ritenersi, con specifico riferimento al caso in esame, che la persistenza nel sito web di una testata giornalistica della risalente notizia del coinvolgimento di un soggetto in un procedimento penale – pubblicata nell’esercizio legittimo del diritto di cronaca, ma non aggiornatà con i dati relativi all’esito di tale procedimento – non integra, di per sé, un illecito idoneo a generare una pretesa risarcitoria; tuttavia, il soggetto cui la notizia si riferisce ha diritto ad attivarsi per chiederne l’aggiornamento o la rimozione, con la conseguenza che l’ingiustificato rifiuto o ritardo da parte del titolare del sito è idoneo a comportare il risarcimento del danno patito successivamente alla richiesta (fermo l’onere di allegazione e prova del pregiudizio da parte dell’interessato) >>.

Analoga soluzione in Cass. sez. 1 del 31.01.2023 n. 2983, rel. Scotti, con motivazione però più analitica (v. mio post).

Diritto all’oblio vs. diritto all’informazione: ragionevole composizione di un conflitto sempre più frequente

E’ sempre più frequente la richiesta di cancellazione di notizie passate (negative, spesso di indagini e/o codnanen penali) indirizzata al motore di ricerca e/o all’editore di quotidiano circa la sua banca dati web.

Cass. sez. 1 del 31.01.2023 n. 2983, rel. Scotti, propone (anzi: dispone) una persuiasiv asoluizione al conflitto di interessi de quo. Sta ai §§ 28/30.

<< 28. La Corte, come già anticipato, ritiene che l’equo contemperamento dei diritti in conflitto non possa essere raggiunto attraverso l’accoglimento della richiesta principale dei ricorrenti, ossia la cancellazione tout court degli articoli in questione dall’archivio on line del quotidiano, che annichilerebbe con l’iperprotezione dei diritti alla riservatezza degli interessati la funzione di memoria storica e documentale dell’archivio del giornale, che è oggetto di un rilevante interesse pubblico, di rilievo anch’esso costituzionale ex artt. 21 e 33 Cost., come rammenta esattamente la controricorrente.

In altri termini, non sarebbe più possibile accedere all’originario contenuto degli articoli ad uno studioso, storico o sociologo, intenzionato a ricostruire l’andamento dei processi per reati contro la pubblica amministrazione in quell’epoca, per esaminare il contenuto delle accuse e il loro esito; e ciò anche se, poniamo, l’obiettivo della sua inchiesta fosse rivolto a dimostrare gli eccessi di repressione giudiziaria o gli abusi della carcerazione preventiva in un certo contesto spazio-temporale oppure l’atteggiamento, più o meno “giustizialista” o “garantista”, della stampa e dell’opinione pubblica in quel contesto.

29. Una via adeguata di contemperamento non è neppure quella della manipolazione del testo con l’introduzione di pseudonimi sostitutivi o omissioni nominative, pur astrattamente contemplata dal GDPR.

Infatti, lo stesso art. 89 GDPR consente tali accorgimenti solo se le finalità in questione possano essere conseguite in tal modo e non è questo il caso.

La memoria storica dell’archivio diverrebbe incompleta e falsata e così se ne perderebbe la funzione.

30. Non è così per la richiesta di aggiornamento mediante la mera apposizione agli articoli, su istanza dell’interessato, di una nota informativa volta a dar conto del successivo esito dei procedimenti giudiziari con l’assoluzione degli interessati e il risarcimento del danno per ingiusta detenzione.

In tal modo l’identità dell’articolo, che in sé e per sé rimane intonso, è adeguatamente preservata a fini di ricerca storico-documentaristica, ma al contempo vengono rispettati i fondamentali principi di minimizzazione ed esattezza sopra illustrati.

La soluzione accolta è inoltre conforme al principio di contestualizzazione e aggiornamento dell’informazione.

Non paiono pertinenti rispetto a questo accorgimento le critiche sopra riassunte nel p. 15: non si richiede infatti al gestore dell’archivio di attivarsi in via generale per l’aggiornamento delle informazioni alla luce degli sviluppi giudiziari successivi, che genererebbe effettivamente costi ingenti e probabilmente insostenibili, incompatibili con la persistente economicità degli archivi, ma solo di corrispondere senza ritardo a puntuali e specifiche richieste degli interessati, documentalmente suffragate, non solo con la deindicizzazione ma anche con l’apposizione di una breve nota informativa sull’esito finale della vicenda giudiziaria, in calce o a margine della pagina ove figura l’articolo>>.

Che poi prosegue così:

<<31. La regola fondamentale per ogni bilanciamento di diritti richiede la valutazione comparativa della gravità del sacrificio imposto agli interessi in conflitto: la normale tollerabilità di una ingerenza nel diritto altrui, secondo una risalente ma autorevolissima dottrina, va accertata anche alla luce dei costi necessari per prevenirla.

E nel caso è sufficiente un costo modesto (l’inserzione di una breve nota in calce o a margine e solo su richiesta di parte, che non altera la funzione tipica dell’archivio) per la prevenzione di un pregiudizio ben più consistente per l’interessato.

Tale modesto sacrificio ben può essere accollato a chi gestisce l’impresa giornalistica, in logica di profitto, quale onere accessorio all’attività imprenditoriale, che scatta solo se ed in quanto l’interessato richieda la rettifica esplicativa del dato personale e l’inesattezza del dato viene dedotta sulla base di accertamenti obiettivi e incontrovertibili quali quelli provenienti da un documentato accertamento giudiziario passato in giudicato.

Naturalmente questa tutela si aggiunge a quella consistente nella deindicizzazione, nel caso accordata dalla attuale controricorrente tempestivamente secondo la sentenza del Tribunale, non impugnata al riguardo>>.

Dunque ecco il princuipoio di diritto

In tema di trattamento dei dati personali e di diritto all’oblio, è lecita la permanenza di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, nell’archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di una inchiesta giudiziaria, poi sfociata nell’assoluzione dell’imputato, purché, a richiesta dell’interessato, l’articolo sia deindicizzato e non sia reperibile attraverso i comuni motori di ricerca, ma solo attraverso l’archivio storico del quotidiano e purché, a richiesta documentata dell’interessato, all’articolo sia apposta una sintetica nota informativa, a margine o in calce, che dia conto dell’esito finale del procedimento giudiziario in forza di provvedimenti passati in giudicato, in tal modo contemperandosi in modo bilanciato il diritto ex art. 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita lesione della propria immagine sociale” (§ 32, anche se erroneamente numerato come § 31).

I passaggi chiave, naturalmente, sono i due sottolineati.