Diffamazione e obbligo per il diffamante di far rimuovere il dato anche presso terzi

Cass. sez. I, ord. 05/04/2024, (ud. 01/02/2024, dep. 05/04/2024), n. 9.068, rel. Caiazzo, pone un importante regola comportamentale a carico del diffamante, che può essere impartita dal giudice:

<<In tema di responsabilità civile per diffamazione, il pregiudizio all’onore ed alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa, identificandosi il danno risarcibile non con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima(Cass., n. 8861/21; n. 25420/17; n, 13153/17). [acquisito]

Nella specie, il risarcimento dei danni non patrimoniali è stato richiesto e liquidato, sulla scorta delle allegate presunzioni afferenti alla diffusione nazionale del servizio televisivo, alla rilevanza dell’offesa e alla posizione sociale dell’offeso (professore universitario). Il terzo motivo è parimenti infondato, anche se la motivazione su tale capo del provvedimento impugnato va corretta. Invero, la Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha statuito la condanna della ricorrente anche alla rimozione del servizio e delle notizie che lo riproducevano dal canale youtube e dai motori di ricerca, mentre in primo grado tale ordine era stato contenuto nei limiti della disponibilità della ricorrente (con rigetto dell’istanza ex art. 614-bis, c.p.c., proprio perché la misura non dipendeva solo dalla volontà della società convenuta).

La Corte territoriale ha respinto il motivo d’appello con il quale era stato censurato il suddetto ordine poiché illegittimo – concretizzatosi nell’imposizione di un facere inattuabile senza la collaborazione dei terzi – in quanto l’art. 17, c.2, GDPR contempla un obbligo del titolare del trattamento che è non solo quello di cancellare i dati personali ma anche di adottare tutte le misure ragionevoli, anche tecniche – tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione – per informare i titolari (che stanno trattando i dati personali) della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei propri dati.

Anzitutto, va ribadito, come affermato nella sentenza impugnata, l’obbligo del titolare del trattamento dei dati personali di attivarsi per la loro cancellazione, attraverso ogni attività volta alla rimozione del servizio e delle notizie che lo riproducono dai motori di ricerca (e dal canale youtube).

Circa l’eccezione d’inapplicabilità del citato art. 17, c.2, GDPR, giova rilevare che i principi affermati dai giudici di merito trovano la loro fonte nell’ordinamento europeo, sebbene il predetto art. 17 del Regolamento 2016/679 sia entrato in vigore successivamente ai fatti di causa. Al riguardo, va innanzitutto menzionata la sentenza 13 maggio 2014 della Corte di giustizia dell’Unione Europea (in causa C-131/12 Google Spain). Si tratta di una vicenda che aveva ad oggetto il problema dell’accesso ai dati esistenti sulla rete internet alla luce dell’allora vigente direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, poi abrogata dal Regolamento 2016/679/UE; in particolare, la terza questione esaminata (punti 89 e ss.) riguardava il diritto dell’interessato a ottenere che il motore di ricerca sopprimesse determinati dati dall’elenco dei risultati reperibili sulla rete. Circa gli importanti principi enunciati, la Corte di giustizia ha premesso (punto 92) che il trattamento dei dati personali può risultare incompatibile con l’art. 12, lett. b), della direttiva non soltanto se i dati sono inesatti, ma anche se essi sono inadeguati, non pertinenti o eccessivi in rapporto alle finalità del trattamento, oppure non aggiornati o conservati per un arco di tempo superiore a quello necessario, “a meno che la loro conservazione non si imponga per motivi storici, statistici o scientifici”. La Corte ha altresì affermato che il diritto dell’interessato, derivante dagli artt. 7 e 8 della Carta, di chiedere “che l’informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico”, mediante la sua inclusione in un elenco accessibile tramite internet, prevale – in linea di massima – sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca e anche su quello del pubblico a reperire tale informazione in rete; a meno che non risultino ragioni particolari, “come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica”, tali da rendere preponderante e giustificato l’interesse generale ad avere accesso a tale informazione (punto 97).

Pertanto, può affermarsi che i principi sanciti dal suddetto art. 17 abbiano recepito quelli in precedenza già applicati dalla Corte CEDU, che trovavano la loro fonte nella Convenzione CEDU, nell’ambito di un’organica disciplina della materia.

Nel caso concreto, in particolare, circa la doglianza afferente all’inesigibilità di tale obbligo con riferimento alla rimozione del servizio televisivo per cui è causa dal canale youtube e dai motori di ricerca, il collegio ritiene che l’ambito del dovere concretamente esigibile ed applicabile nei confronti della R.T.I. Spa consista nell’attivarsi e dimostrare di averlo fatto con i responsabili dei portali che hanno fatto e fanno uso del filmato divulgato in sede televisiva. [importante]

Invero, limitarsi, da parte della società ricorrente, ad eccepire l’inapplicabilità e l’inesigibilità dell’obbligo statuito dalla Corte d’appello, perché rientrante nella disponibilità di terzi, esprime una difesa che prescinde dalla necessaria attività collaborativa intesa a impedire – per quanto possibile e nei suoi obblighi di diligenza riparativa – l’illegittimo uso, da parte di terzi, dei dati personali reputati come eccedenti.

Nella specie, la ricorrente non ha allegato di aver adottato quelle cautele e svolto quelle iniziative nei confronti dei terzi operatori, finalizzate – per quanto possibile – a limitare il danno lamentato per il carattere eccedente del “girato”; ne consegue, come detto, che la statuizione della sentenza impugnata va confermata, attraverso una parziale correzione della motivazione, nel senso che va affermato il principio secondo cui, in casi siffatti grava sulla responsabile del prodotto televisivo-informativo, eccedente i limiti della critica giornalistica, la dimostrazione di aver posto in pratica ogni iniziativa volta a rendere edotti (e persuadere) i terzi che se ne siano appropriati circa l’illegittima diffusione di filmati televisivi e “girati filmici”, già negativamente valutati sul piano della offesa alla dignità delle persone coinvolte nel prodotto veicolato.

Né può obiettarsi, al riguardo, che tale attività verso i terzi costituisca una forma di risarcimento in forma specifica eccessivamente onerosa, ex art. 2058, c. 2, c.c., in quanto essa ovviamente non implica la certezza dell’adempimento richiesto ai terzi, ma presuppone la doverosa attività volta a ottenere la cessazione dell’illegittimo trattamento dei dati personali da parte dei terzi, venendo cioè in rilievo solo un’obbligazione di mezzi, non certo di risultato. Parimenti infondata è la doglianza relativa al fatto che la Corte d’appello non avrebbe potuto statuire l’obbligo della R.T.I. Spa oltre i limiti della propria disponibilità – come invece pronunciato dal Tribunale – in mancanza dell’appello incidentale da parte del Ca.Sa., in quanto la sentenza impugnata non ha condannato la ricorrente ad una prestazione diversa da quella oggetto della sentenza di primo grado – incorrendo in un’asserita pronuncia ultra petita – ma ha solo specificato le modalità dell’obbligo gravante sul titolare del trattamento dei dati personali, in piena conformità del petitum dedotto nell’atto introduttivo del giudizio.

D’altra parte, la stessa ricorrente ha inteso attivarsi per richiedere la tutela delle opere televisive dall’uso improprio del diritto d’autore e di produttore, mentre avrebbe anche potuto e dovuto richiedere le prestazioni necessarie per tutelare i dati del controricorrente. In tal senso, la cooperazione del creditore potrebbe rendersi necessaria attraverso l’indicazione, alla R.T.I. Spa, dei motori di ricerca che avevano e hanno fatto uso del filmato in questione. Sul punto, viene in rilievo il principio di correttezza e buona fede il quale, già secondo la Relazione ministeriale al codice civile, “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore”, ma che deve essere inteso in senso oggettivo, in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 della Costituzione che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile (Cass., SU, n. 28056/08; Cass., n. 22819/10; n. 9200/21; n. 16743/21)>>.