Diritto di critica e diffamazione: la verità putativa nel giornalismo d’inchiesta

Cass. civ., Sez. I, Ord. 03/11/2023, n. 30.522, rel. Ioffrida:

<<In tema di diffamazione a mezzo stampa, nel cd. giornalismo d’inchiesta – che ricorre allorquando il giornalista non si limiti alla divulgazione della notizia ma provveda egli stesso alla raccolta della stessa dalle fonti, attraverso un’opera personale di elaborazione, collegamento e valutazione critica, al fine di informare i cittadini su tematiche di interesse pubblico – il requisito della verità (anche putativa) va inteso in un’accezione meno rigorosa, implicando una valutazione non tanto dell’attendibilità e della veridicità della notizia, quanto piuttosto il rispetto dei doveri deontologici di lealtà e buona fede gravanti sul giornalista. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, in relazione a un articolo contenente un’inchiesta giornalistica sulla gestione dei voli di Stato, aveva ritenuto diffamatorie le notizie divulgate in merito all’alto ufficiale posto a capo della relativa organizzazione – definito, tra l’altro “dominus” e “boiardo dei cieli” -, omettendo di considerare che le suddette notizie erano state autonomamente acquisite dall’autore, attraverso fonti riservate ed ufficiali e riesaminando documenti pubblici o già noti, e che i relativi elementi di indagine erano stati, poi, posti a base di provvedimenti giurisdizionali successivi)>>

Questa la massima di Onelegale.

Il principio di diritto enuniciato in sentenza: “In tema di diffamazione a mezzo stampa, il c.d. giornalismo d’inchiesta ricorre anche quando il giornalista non si limiti alla divulgazione della notizia, come nel giornalismo ordinario di informazione, ma provveda egli stesso alla raccolta autonoma e diretta della notizia, tratta da fonti riservate e non, anche documentali e ufficiali, con un lavoro personale di organizzazione, collegamento e valutazione critica, al fine di informare i cittadini su tematiche di interesse pubblico. Esso, proprio per il suo ruolo civile e utile alla vita democratica di una collettività, implica la necessità di valutarne gli esiti, non tanto alla luce dell’attendibilità e della veridicità della notizia, quanto piuttosto dell’avvenuto rispetto da parte del suo autore dei doveri deontologici di lealtà e buona fede“.

Diffamzione negata nella lite Renzi c. RCS (Corriere della sera), direttore e articolista

Trib. Firenze n° 572/2023 del 27.02.2023, RG 8569/2020, rel. Zanda,  decide in modo sfavorevole a Matteo Renzi la lite da lui promossa contro i convenuti in oggetto per articolo sui soldi che egli avrebbe percepito dalla Fondazione Open di Carrai.

<<La domanda è risultata infondata.
Nell’articolo giornalistico del 4.12.2019 sotto il paragrafo “PRESTITI” viene riportato dal giornalista in modo fedele il contenuto del doc. 6 prodotto da parte convenuta, ovvero di quella segnalazione fatta dalla Guardia di Finanza alla Procura, sul giroconto disposto da Marco Carrai di euro 50.000,00 cui aveva fatto seguito poche settimane dopo, il bonifico a Matteo Renzi di un prestito infruttifero di euro 20.000,00.
L’articolo quindi rispetta il canone della verità in quanto l’articolo esprime esattamente il contenuto della nota informativa dell’ufficio di Intelligence finanziario.
La dicitura finale “regalo fatto a Renzi” non è diffamatoria perché nel titolo del paragrafo è chiaramente scritto “prestiti” ed in ogni caso un prestito infruttifero potrebbe essere ritenuto una forma di donazione per gli interessi mancati, interessi che normalmente si collegano ai prestiti, anche tra privati, per cui si ritiene che non risultino integrati gli elementi oggettivo e soggettivo della diffamazione aggravata.
Anche per quanto riguarda la prima e ultima parte dell’articolo non si rinviene alcuna notizia diffamatoria e falsa in danno dell’attore in quanto dagli atti penali è emerso che la Procura stava svolgendo all’epoca indagini sulla Fondazione Open, per l’ipotesi delittuosa di finanziamento illecito ai partiti; in particolare risultavano già emessi vari decreti di perquisizione sugli immobili dell’indagato rapp.te legale Open avv.to Alberto Bianchi di Pistoia, sulla base della ipotesi investigativa che la Fondazione Open fosse non già un organismo avente gli scopi dichiarati, ma fosse un’articolazione politica destinata a supportare la campagna politica di Renzi Matteo, sia per la sua attività di sindaco di Firenze che per quella successiva, compresa la campagna del SI referendario.
In particolare l’articolo giornalistico risulta recepire fedelmente il contenuto di alcuni atti di indagine di poco anteriori quali ad es. il decreto di perquisizione emesso in data 25.11.19 dalla Procura della Repubblica di Firenze, sullo studio e immobili dell’avv.to Bianchi (doc. 4 prodotto dai convenuti), dal quale si traggono tutte le notizie che il giornalista aveva riportato nel suo articolo senza falsificarne il contenuto, come infondatamente allegato da parte attrice.
Nello stesso doc. 4 a pag. 2 si rinviene anche la notizia che dagli atti di indagine era emerso, sempre dunque nella fase delle indagini preliminari e non a seguito di dibattimento penale, che la Fondazione Open rimborsava le spese dei parlamentari e metteva a loro disposizione carte di credito e bancomat; nel provvedimento sono indicate anche specificamente le segnalazioni della guardia di Finanza al riguardo.
Dunque, il giornalista ha fatto affidamento su una fonte particolarmente qualificata e non aveva alcun ulteriore onere di controllo>>.

<<D’altra parte il giornalista aveva giustificatamente ravvisato anche un interesse pubblico alla diffusione, perché il finanziamento di un partito, di una corrente partitica, o di un uomo politico, sono fatti di interesse pubblico, e ciò proprio per il controllo sociale e la trasparenza del funzionamento delle attività istituzionali democratiche.     Si ritiene poi che non sussista nemmeno quell’aspetto diffamatorio allegato dall’attore e connesso alla presunzione di innocenza, atteso che nell’articolo è chiaramente affermato che queste notizie non sono contenute in sentenze ma sono riferite agli sviluppi dell’indagine investigativa in corso, per cui il lettore è edotto del fatto che non c’è stata una sentenza di condanna dibattimentale; è poi da notare che in nessun punto dell’articolo Renzi Matteo viene rappresentato come soggetto imputato o indagato, ciò che non è stato nemmeno allegato>>

Precisazione del giudice: <<Sulla differenza tra Fonte-atti d’indagine e fonte-indiscrezioni su atti di indagine e comunque esimente in entrambi i casi si veda cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 39082 del 09/12/202>>

Diffamazione negata nella lite Osservatorio Giovani Editori – Ceccherini c. Repubblica e La Verità

Trib. Firenze sent. 617/2023 del 01 marzo 2023, rel. Zanda, Rg 2099/2019, rigetta la domanda risacitoria da diffamazione contro editore e giornalisti di Repubblica (articolista: Gatti) per un articolo di giornalismo investigativo ritenuto offensivo da Ceccherini , spt. circa l’inziativa “Il Quotidiano in Classe”.

<<È dunque di interesse collettivo sapere che dietro a questo progetto ci sono gli interessi dei grossi gruppi finanziari rappresentati dalle banche europee che hanno supportato il Ceccherini e la sua attività così delicata come quella mirata alle scuole e alla formazione scientifica economica dei ragazzi italiani; è di interesse collettivo conoscere anche la formazione pregressa di un uomo che pur senza titoli di studio particolari, si è rapportato correntemente con noti personaggi del mondo finanziario e della politica italiana, con cui viene ritratto nel pezzo, e ha mantenuto per 20 in piedi il suo progetto Quotidiano in Classe con l’indispensabile avallo della politica italiana; è di interesse pubblico conoscere le criticità sollevate nel brano, come ad esempio il fatto, non smentito in causa, che gli studenti che avevano letto i giornali proposti dal sig. Ceccherini come il Sole 24 ore, non potevano essere gli oltre due milioni millantati dal Ceccherini, dato che quel numero coincideva quasi col numero degli studenti totali; né il Ceccherini ha smentito che dopo l’inchiesta giornalistica quel numero è stato rettificato e dimezzato nei canali informativi di Andrea Ceccherini e del suo Osservatorio; tutto ciò diviene rilevante se si pensa che in quegli anni (2019) arrivavano a concludersi le indagini della Procura di Milano sui vertici del Sole 24 Ore e della Consob per aver amplificato in modo falso proprio i numeri delle vendite del giornale economico, mettendo a rischio l’affidamento dell’azionariato, ed era risultato che l’Osservatorio del Ceccherini era una delle agenzie di co-marketing del Sole 24 Ore>>.

<<Risultano quindi giustificati i dubbi e le perplessità mosse dal giornalista sul proseguire, nonostante questi risultati, dei finanziamenti e affidamenti da parte dei gruppi bancari e finanziari interessati e di società high tech, come Google che pacificamente ha collaborato pur dopo l’articolo assuntivamente diffamatorio, al recente nuovo progetto della lotta alla Fake News, fatto pacifico in causa ed evidenziato fondatamente da parte convenuta a supporto della sua eccezione di mancanza di lesività del fatto per cui è causa>>.

<<E’ evidente che trattandosi di temi così importanti e così delicati e di rilievo collettivo, il pezzo, non contestato specificamente nemmeno in questo giudizio per numeri e dati ivi riprodotti, attraverso, ad es. la produzione di documenti di segno contrario, era rilevante ed è stato pubblicato come inchiesta giornalistica del dott. Gatti per informare il pubblico sui gruppi economico finanziari anche internazionali e su politici di spicco che continuano a promuoverlo e a supportarlo nei progetti, sempre tesi alla formazione e informazione delle fasce giovani dei lettori italiani; appare dunque giustificata la critica del giornalista sul persistere dei suoi progetti per anni se non per decenni nonostante la perdita di interesse dei giovani lettori sul tipo di giornale economico proposto (il Sole 24 Ore), risultato anche coinvolto da inchieste Consob e penali.
In nessun punto del brano si dice che la colpa del crollo dei lettori sia da ascrivere al Ceccherini o all’Osservatorio, come infondatamente scritto dagli attori, e nemmeno viene scritto che il Ceccherini e l’Osservatorio siano iscritti nel registro indagati.
Il brano è stato dunque espressivo di inchiesta giornalistica e non si ritiene che abbia avuto carattere diffamatorio, né che abbia leso la reputazione degli attori; non contiene false notizie e quanto riportato è di indubbio interesse pubblico>>

Ricjhiama poi Cass. 16236/2010 sul bilanciamento e soprattutto Cass. ord. 4036 del 16.02.2021 sul difficile tema della liceità del giornalismo  di inchiesta.

Ma la parte più interssante è la condanna per abuso del processo ex art. 96.3 cpc ad euro 42.000 in totale (un mezzo al Gatti e l’altro da ripartire tra i restanti) così motivata:

<<Tutto ciò considerato, se ne ricava che l’odierna azione non mira a contrastare la diffusione di notizie false negative, ma mira solamente a censurare un giudizio critico e negativo espresso sull’agire degli attori, un agire che proprio perché riguardante le scuole pubbliche italiane e i personaggi pubblici promotori, riveste un’indubbia rilevanza pubblica; l’azione proposta contro i giornalisti, l’editore e il direttore di Repubblica è dunque risultata palesemente infondata e temeraria, come ripetutamente eccepito dai convenuti, ciò che determina l’applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c. con condanna dei convenuti al doppio delle spese legali a titolo di indennizzo per abuso del processo, trattandosi di un’azione che poteva essere evitata usando la normale diligenza;
inoltre si deve tener conto dell’eccessività della pretesa, tenuto conto che qualora la domanda fosse stata fondata, sarebbe spettato agli attori un importo massimo di euro 50 mila, e non le centinaia di migliaia di euro pretese in conclusioni, completamente al di fuori dei limiti del danno tabellato nelle tabelle milanesi; si pensi che per la morte di un figlio si giunge ad una liquidazione di circa 300 mila euro e per la diffamazione si prevede un massimo di 50 mila; quindi l’abuso dello strumento processuale viene in rilievo sia nell’an della domanda che nel quantum, assolutamente fuori tabella, (vd. Sez. 3 – , Ordinanza n. 26545 del 30/09/2021;cass.sez. U – , n. 25041 del 16/09/2021 “L’accertamento della responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., discende esclusivamente da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta, quali, ai sensi del comma 1, l’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o, per quanto riguarda il comma 3, l’aver abusato dello strumento processuale” >>.

Uguale esito sempre in Trib. Firenze n° 588/2023 del 28.02.2023, RG 2442/2019, rel. sempre Zanda. Riguarda due articoli pretesamente diffamatori del medesimo soggetto comparsi su La Verità di Belpietro.

Anche qui però la domanda è respinta: sono espressione del diritto costituzionale di liberà di stampa.

Spese di lite aumetnte del 50 % (in totale euro 30.600,00) per la complessità delle difese e per il numero degli articoli pretesamente diffamatori (solo due, però!) che ha comportato appesantimento della causa