Danno non patrimoniale e danno da perdita del rapporto parentale: ripasso generale

Cass. n° 26.140 del 7 settembre 2023, sez. 3, rel. Gianniti, sull’oggetto (segnalazione e link da avv. Flavi Zardo in linkedin), sui due concetti in oggetto (si v. anche Cass. 5 settembre 2023 n. 25.910 rel. Rubino).

Sub 1:

<<Sul piano del diritto positivo – come anche di recente precisato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 2788 del 2019; n. 901 e n. 7513 del 2018, n. 7766 del 2016, anche in relazione a Corte cost. n. 325/2014) – l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 cod. civ.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 cod. civ.; art. 185 cod. pen.).
Quanto al danno non patrimoniale, ne è stata originariamente affermata, su di un piano generale di ricostruzione analitica della fattispecie, la natura “unitaria” e “onnicomprensiva” dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 26972 del 2008). In particolare, l’unitarietà del danno non patrimoniale va intesa nel senso che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole ed ai medesimi criteri risarcitori (artt. 1223, 226, 2056, 2059 c.c.); mentre la onnicomprensività del danno non patrimoniale va intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative “in peius” della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, con il concorrente limite di evitare duplicazioni (attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici)><.

In tale prospettiva, egli [♦il g. di merito] <<deve tenere conto, oltre che di quanto statuito dalla Corte costituzionale (n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.), di quanto disposto dal legislatore nazionale in sede di riforma degli artt. 138 e 139 c.d.a., modificati dall’art. 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124, la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), e il cui contenuto letterale impongono al giudice di distinguere, su di un piano generale ed al di là della specifica sedes materiae, il danno dinamico-relazionale dal danno morale.
Conseguentemente, nella valutazione del danno alla salute, in particolare – ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto, giusta l’insegnamento della Corte costituzionale di cui alla sentenza 233/2003 – il giudice di merito deve valutare la fenomenologia della lesione non patrimoniale: sia nell’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale, che si colloca nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso), che nell’aspetto dinamico-relazionale della vita del danneggiato (c.d. danno relazionale, che si colloca nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sé”)>>.

<<Anche (ma non solo) alla luce della novella legislativa poc’anzi ricordata – novella di cristallina chiarezza anche sul piano strettamente lessicale – occorre pertanto riaffermare il principio per cui esiste (è sempre esistita, anche prima del ricordato intervento normativo) una ontologica differenza tra danno morale e danno dinamico-relazionale, in quanto il danno alla persona, nella sua dimensione umana ancor prima che giuridica, postula il riconoscimento, da un lato, della sofferenza interiore, dall’altro, delle mutate dinamiche relazionali di una vita che cambia a seguito dell’illecito (illuminante, in tal senso, è il disposto normativo di cui all’art. 612 bis del codice penale, in tema di presupposti palesemente alternativi del reato cd. di stalking). Si tratta di danni diversi e perciò entrambi autonomamente risarcibili, sempre che, e solo se, provati caso per caso, all’esito, si ribadisce, di articolata ed esaustiva istruttoria (c.d. comprovabilità del danno non patrimoniale), tenendo conto che il danno dinamico relazionale può formare oggetto di prova rappresentativa diretta, mentre il risarcimento del danno morale può rappresentare soltanto l’esito terminale di un ragionamento deduttivo, che tenga conto (oltre che delle presunzioni) del notorio e delle massime di esperienza.
Al riguardo, giova anche osservare che il c.d. danno presuntivo è concetto autonomo e distinto rispetto al c.d. danno in re ipsa – la cui giuridica predicabilità deve peraltro ritenersi del tutto esclusa in seno all’attuale sistema della responsabilità civile: Cass. s.u. 26972/2008, cit.
Se, infatti, per quest’ultimo non è richiesta alcuna allegazione da parte del danneggiato, sorgendo il diritto al risarcimento del danno per il sol fatto del ricorrere di una determinata condizione di fatto, il primo richiede un’allegazione ed una dimostrazione, seppur presuntiva, che è sempre suscettibile di essere superata da una eventuale prova contraria allegata da controparte>>

sub 2:

<<Come noto, a fronte della morte di un soggetto causata da un fatto illecito di un terzo, il nostro ordinamento riconosce ai parenti del danneggiato un risarcimento iure proprio, di carattere patrimoniale e non patrimoniale, per la sofferenza patita e per le modificate consuetudini di vita, in conseguenza dell’irreversibile venir meno del godimento del rapporto parentale con il congiunto. Tale forma risarcitoria intende ristorare il familiare del pregiudizio subito sotto il duplice profilo, morale, consistente nella sofferenza psichica che questi è costretto a sopportare a causa dell’impossibilità di proseguire il proprio rapporto di comunanza familiare, e relazionale, inteso come significativa modificazione delle abitudini di vita – destinate, a volte, ad accompagnare l’intera esistenza del soggetto che l’ha subita.
Quanto alla prova del danno, non v’è dubbio che, in linea generale, spetti alla vittima dell’illecito altrui dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa e, dunque, l’esistenza del pregiudizio subito: onere di allegazione che potrà essere soddisfatto anche ricorrendo a presunzioni semplici e massime di comune esperienza (Cass. s.u. 26792/2008, cit.).
Ebbene, nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello), è orientamento unanime di questa Corte (Cass. n. 11212 del 2019; n. 31950 del 2018; n. 12146 del 14 giugno 2016) che l’esistenza stessa del rapporto di parentela faccia presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è, per comune esperienza, connaturale all’essere umano. Naturalmente, trattandosi di una praesumptio hominis, sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite (Cass. n. 3767 del 2018)>>

In paricolare:

<<In tale quadro emergerà il significato e il valore dimostrativo dei meccanismi presuntivi che, al fine di apprezzare la gravità o l’entità effettiva del danno, richiamano il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figlio, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino) secondo una progressione che, se da un lato, trova un limite ragionevole (sul piano presuntivo e salva la prova contraria) nell’ambito delle tradizionali figure parentali nominate, dall’altro non può che rimanere aperta, di volta in volta, alla libera dimostrazione della qualità di rapporti e legami parentali che, benché di più lontana configurazione formale (o financo di assente configurazione formale: si pensi, a mero titolo di esempio, all’eventuale intenso rapporto affettivo che abbia a consolidarsi nel tempo con i figli del coniuge o del convivente), si qualifichino (ove rigorosamente dimostrati) per la loro consistente e apprezzabile dimensione affettiva e/o relazionale>>.

Element concreti per stabilire  presunzioni di danno parentale:
<<Così come ragionevole apparirà la considerazione, in via presuntiva, della gravità del danno in rapporto alla sopravvivenza di altri congiunti o, al contrario, al venir meno dell’intero nucleo familiare del danneggiato; ovvero, ancora, dell’effettiva convivenza o meno del congiunto colpito con il danneggiato (cfr., in tema di rapporto tra nonno e nipote, Cass. n. 21230 e n. 12146 del 2016), o, infine, di ogni altra evenienza o circostanza della vita – come l’età della vittima, l’età dei superstiti (e la correlata eventuale presenza di famiglie autonome), il grado di parentela, le abitudini ed il grado rapporto di frequentazione (e, in particolare, le visite quotidiane e le vacanze trascorse insieme), i pranzi domenicali e festivi ed i momenti celebrativi passati insieme, l’eventuale abitazione in immobili contigui, il ruolo in concreto svolto dal de cuius nelle dinamiche della storia familiare dei parenti superstiti (tenuto anche conto del loro modello di famiglia di riferimento), gli eventuali atti di liberalità – che il prudente apprezzamento del giudice di merito sarà in grado di cogliere>>.

<<Tali principi hanno trovato conferma nella motivazione della sentenza di cui a Cass. n. 28989 del 2019 (che richiama sua volta quelli già espressi in Cass. nn. 901, 7513 e 23469 del 2018), collocata all’interno del cd. “progetto sanità” della terza sezione civile della Corte di legittimità, ove si afferma che, in tema di danno non patrimoniale, se costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di un risarcimento per danno biologico (o per danno parentale) e per danno cd. esistenziale, non costituisce, per converso, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del risarcimento per danno morale e per danno da perdita del rapporto parentale inteso nel suo aspetto dinamico-relazionale.
3.4. Rimangono, in ogni caso, fermi i principi (affermati da Cass. n. 21060 del 2016 e n. 16992 del 2015) che presiedono all’identificazione delle condizioni di apprezzabilità minima del danno, nel senso di una rigorosa dimostrazione (come detto, anche in via presuntiva) della gravità e della serietà del pregiudizio e della sofferenza patita dal danneggiato, tanto sul piano morale-soggettivo, quanto su quello dinamico-relazionale, senza che tale serietà e apprezzabilità, peraltro, sconfini necessariamente in un vero e proprio radicale ed eccezionale sconvolgimento delle proprie abitudini di vita, che inciderà, se del caso, sulla personalizzazione del risarcimento, e che costituisce a sua volta onere dell’attore allegare e provare, in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche.
Come d’altronde rimane altresì ferma la netta distinzione (affermata ad es. da Cass. n. 21084 del 2015) tra il descritto danno da perdita, o lesione, del rapporto parentale e l’eventuale danno biologico che detta perdita o lesione abbiano ulteriormente cagionato al danneggiato, atteso che la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti, oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di una effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca (Corte cost. 372/1994), l’uno e l’altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma nondimeno suscettibili – in virtù del principio della cd. “onnicomprensività” della liquidazione – di liquidazione finale unitaria>>

Per il danno da perdita del rapporto parentale, bisogna provarne l’effettività e la consistenza

Sul punto Cass., sez. VI, n° 36.297 del 13.12.2022, rel.  Scrima:

<<La Corte territoriale ha espressamente richiamato l’orientamento di questa Corte in tema di danno da perdita del rapporto parentale (Cass. 21230/16 e 7743/20), secondo cui è onere dei congiunti provare l’effettività e la consistenza della relazione parentale rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ha, altresì, richiamato il principio giurisprudenziale secondo cui il giudice può discostarsi dalla-misura minima prevista dalle Tabelle di Milano purché dia conto nella motivazione della specifica situazione che giustifica la decurtazione (Cass. n. 29495/19).

Dei richiamati principi la Corte di merito ha fatto corretta applicazione e, in particolare, contrariamente a quanto dedotto dal C., ha correttamente motivato il lamentato discostamento dai valori tabellari con riferimento alla situazione specifica.

Nel ritenere non provata l’effettività del rapporto parentale, con riguardo alla relazione padre figlia, la Corte territoriale ha in primis valutato la travagliata storia familiare di C.L. e, stante l’assenza di una stabile convivenza – per quanto qui rileva – con entrambi i suoi genitori, ha ancorato tale valutazione a quanto complessivamente risultante agli atti. Tale disamina è stata effettuata disgiuntamente e con ampiezza di argomentazioni in relazione ai rapporti con ognuno dei genitori, risultando così evidente la diversa consistenza di tali rapporti; non può, pertanto, essere condivisa l’argomentazione del ricorrente, il quale ha rilevato come il rapporto parentale di C.L. con la madre sia stato considerato effettivo ed abbia condotto ad un risarcimento determinato sulla base dei valori tabellari, nonostante il “trascorso di vita del tutto simile al padre”.

La Corte di appello ha concluso per la non effettività del rapporto parentale con il padre, non limitando il suo convincimento alle dichiarazioni tenute da C.L. innanzi al Tribunale per i Minorenni in data 27 settembre 2011, bensì considerando anche che, per stessa ammissione del padre, il rapporto con la figlia constava in contatti telefonici e manifestava la sua fragilità nella non partecipazione del C. agli incontri organizzati dai Servizi Sociali e nel fatto che non si fosse mai posto il problema del mantenimento della figlia.

Peraltro, va evidenziato che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto.

Stante la chiarezza e la logicità della motivazione in merito al discostamento tra il danno liquidato in favore di C.L., per la perdita della relazione parentale con la figlia C.L., e quanto astrattamente previsto dalle Tabelle di Milano, non può considerarsi violata la disciplina della liquidazione del danno in via equitativa né risultano sussistenti gli ulteriori vizi dedotti sicché il primo motivo di ricorso è infondato.>>

Danno non patrimoniale da omessa diagnosi tempestiva: non valgono le tabelle giurisprudenziali

Si legge in Cass. sez 3, del 3 ottobre 2022 n. 28.632, rel. Scarano:

<<Atteso che nella liquidazione equitativa (financo nella sua forma c.d. “pura”) non può prescindersi dalla considerazione che – come detto – essa consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, si è da questa Corte posto in rilievo come pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale il giudice sia chiamato a dare in motivazione conto della operata valutazione di ciascuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento, con la conseguenza che laddove non risultino indicate le ragioni dell’operato apprezzamento né richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre nel vizio di nullità per difetto di motivazione (v. Cass., 13/9/2018, n. 22272), non potendo al riguardo valorizzarsi del tutto generiche ed apodittiche indicazioni.>.

E poi, soprattutto:

<<Dopo aver dato atto che “contrariamente a quanto avviene per il caso di danno non patrimoniale per lesione all’integrità fisica” per il “danno per omessa tempestiva diagnosi” non soccorrono “le note tabelle di elaborazione giurisprudenziale”, ha espressamente affermato di dover al riguardo valutare “tutte le circostanze del caso concreto ed, in particolare, l’età del paziente al momento della morte (anni 58), il periodo di ritardo intercorso fra il primo accertamento diagnostico (30.10.1997), la diagnosi di tumore (6.10.1998) e l’intervenuto decesso (17.12.1998), le condizioni generali di salute del paziente nei mesi intercorsi tra il primo accertamento e l’effettiva corretta diagnosi, come risultanti dalla documentazione medica esaminata dal CTU”, da cui “in particolare emerge… che il de cuius, di professione tassista, nel periodo sopra considerato avvertiva dolori al torace, dispnea da sforzo, tosse scarsa, che… mai lo hanno costretto ad un blocco totale della sua attività”, come confermato “dalla relazione clinica del 19.11.1998… a riprova del fatto che, nei mesi precedenti ben avrebbe potuto il D., ove avesse avuto piena contezza delle proprie effettive condizioni di salute, gestire in modo autonomo e con piena consapevolezza esistenziale la propria vita, in vista dell’inevitabile esito finale”.

Elementi che questa Corte ha invero ritenuto da prendersi correttamente in considerazione nella liquidazione del danno in via equitativa ex art. 1226 c.c., anche in altra ipotesi del pari non contemplata – diversamente che da quelle di Roma- dalle Tabelle di Milano (cfr., con riferimento al danno da perdita del rapporto parentale, Cass., 29/9/2021, n. 26300; Cass., 21/4/2021, n. 10579).>>

Lesione del rapporto parentale da errore medico

Cass. 30 agosto 2022 n. 25.541, sez. 3, rel. Pellecchia così ragiona.

Censura in ricorso: <Sostiene che la Corte d’Appello avrebbe errato nel riconoscere agli attori il diritto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale per la sola esistenza del legame di parentela con il G.. Osserva in particolare che, per consolidata giurisprudenza, detto danno, lungi dal poter essere considerato in re ipsa, richiede una puntuale allegazione>.

Risposta dells SC , § 4.3:  <Come noto, a fronte della morte o di una gravissima menomazione dell’integrità psicofisica di un soggetto causata da un fatto illecito di un terzo, il nostro ordinamento riconosce ai parenti del danneggiato un danno iure proprio, di carattere patrimoniale e non patrimoniale, per la sofferenza patita in conseguenza all’irreversibile venir meno del godimento del rapporto parentale con il congiunto.

Tale voce risarcitoria intende ristorare il familiare dal pregiudizio subito sotto il duplice profilo morale, consistente nella sofferenza psichica che questi è costretto a sopportare a causa dell’impossibilità di proseguire il proprio rapporto di comunanza familiare, e dinamico-relazionale, quale sconvolgimento di vita destinato ad accompagnare l’intera esistenza del soggetto che l’ha subita (Cass. civ. sez. III n. 28989 dell’11 novembre 2019).

Quanto alla prova del danno, non v’e’ dubbio che, in linea generale, spetti alla vittima dell’illecito altrui dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa e, dunque, l’esistenza del pregiudizio subito: onere di allegazione che in alcuni casi potrà essere soddisfatto anche ricorrendo a presunzioni semplici e massime di comune esperienza.>>.

Ebbene, nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello), è orientamento unanime di questa Corte che <<l’esistenza stessa del rapporto di parentela faccia presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è per comune esperienza e, di norma, connaturale all’essere umano (Cass. civ. sez. III n. 11212 del 24 aprile 2019; Cass. civ. sez. III n. 31950 dell’11 dicembre 2018; Cass. civ. sez. III n. 12146 del 14 giugno 2016).

Naturalmente, trattandosi di una praesumptio hominis sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite (Cass. civ. sez. VI – 3 n. 3767 del 15 febbraio 2.018).

La Corte d’appello, dunque, ha correttamente richiamato ed applicato l’insegnamento di questa Corte ritenendo che il fatto illecito costituito dalla uccisione del congiunto abbia dato luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché ha colpito soggetti (i figli del G.), legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare.

Giova a tal proposito osservare che il c.d. danno presuntivo è concetto autonomo e distinto rispetto al c.d. danno in re ipsa: se, infatti, per quest’ultimo non è richiesta alcuna allegazione da parte del danneggiato, sorgendo il diritto al risarcimento del danno per il sol fatto del ricorrere di una determinata condizione, il primo richiede un’allegazione, seppur presuntiva, che è sempre suscettibile di essere superata da una eventuale prova contraria allegata da controparte. [NOTA: sostituirei allegazione con prova]

In altri termini, affermare, come ha fatto la Corte d’Appello, che la presenza di un legame di parentela qualificato sia elemento idoneo a fondare la presunzione, secondo l’id quod plerumque accidit, dell’esistenza del danno in capo ai familiari del defunto, è cosa distinta dal riconoscere a quest’ultimi la risarcibilità del danno in re ipsa, per il sol fatto della sussistenza di un legame familiare.>

Sulla determinazione del danno :

<diversa è la questione allorquando si passi alla determinazione equitativa del danno, in quanto, al fine di consentire una personalizzazione dello stesso, è necessario che il danneggiato fornisca la prova di circostanze concrete che consentano di aumentare il valore tabellare rilevante ai fini della quantificazione del danno.

Sebbene, infatti, sia stato affermato che “ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale mediante il criterio tabellare il danneggiato ha esclusivamente l’onere di fare istanza di applicazione del detto criterio, spettando poi al giudice di merito di liquidare il danno non patrimoniale mediante la tabella conforme a diritto” è altrettanto vero che eventuali correttivi saranno ammissibili solo in ragione della particolarità della situazione di cui sia stata fornita adeguata motivazione (Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 05-05-2021) 10-11-2021, n. 33005).

Nel caso di specie, non avendo i familiari allegato alcuna circostanza ulteriore, il giudice ha correttamente liquidato il danno, alla luce di una valutazione equitativa che ha tenuto adeguatamente in considerazione la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, l’età della vittima, l’età dei superstiti, il grado di parentela>

la sentenza più importante della Cassazione sul risarcimento del danno alla persona secondo il giudice dr. Travaglino

Il giudice Travaglino ha di recente segnalato che la più significativa sentenza di Cass. sull’oggetto , a suo parere, è Cass. 2.788 del 31.01.2019, rel. Porreca

In essa si pone in modo netto : i) la distinzione tra danno morale e danno biologico , alla luce dei nuovi art. 138 e 139 cod. ass.; ii) la non distinguibilità tra danno biologico e danno esistenziale

Circa i) : << 2.2. Sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.).

La natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Corte cost. n. 233 del 2003; Cass., Sez. U., 11/11/2008, n. 26972) dev’essere interpretata, parte qua, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso:

a) di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;

b) di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative “in peius” della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di compiuta istruttoria, a un accertamento concreto e non astratto del danno, a tal fine dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.

Nel procedere all’accertamento e alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito deve dunque tenere conto, da una parte, dell’insegnamento della Corte costituzionale (Corte cost. n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e, dall’altra, del recente intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 c.d.a. come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), e il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale da quello morale.

Ne deriva che il giudice deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la compiuta fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioè tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale) quanto quello dinamico-relazione (destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).

2.3 … Va, in particolare, osservato, quanto all’interpretazione del dictum del giudice delle leggi di cui a Corte cost. n. 235 del 2014, che una piana lettura del punto 10.1. della sentenza non consente (diversamente da quanto sostenuto recentemente da autorevole dottrina, che discorre, in proposito, “di lettura antiletterale”) soluzione diversa da quella che predichi l’ontologica differenza tra danno morale e danno biologico (i.e., il danno dinamico-relazionale).

Una diversa lettura della decisione, che ne ipotizzi l’assorbimento del danno morale in quello biologico difatti, ometterebbe del tutto di considerare che la premessa secondo cui “la norma denunciata di incostituzionalità non è chiusa al risarcimento anche del danno morale” evidenzia con cristallina chiarezza la differenza tra qualificazione della fattispecie e liquidazione del danno.

Se, sul piano strutturale, la qualificazione della fattispecie “danno non patrimoniale”, in assoluta consonanza con i suoi stessi precedenti, viene espressamente ricondotta dal giudice delle leggi, giusta il consapevole uso dell’avverbio “anche”, alla duplice, diversa dimensione del danno morale e del danno alla salute, sul piano funzionale la liquidazione del danno conseguente alla lesione viene poi circoscritta (si badi, per il “solo, specifico e limitato caso delle micro permanenti conseguenti alla circolazione stradale”) entro i limiti di un generalizzato aumento del 20% rispetto ai valori tabellari.

Ogni incertezza sul tema del danno alla persona risulta, comunque, si ripete, definitivamente fugata ad opera dello stesso legislatore, con la riforma degli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni>>

Circa ii): <<In tale quadro ricostruttivo, costituisce quindi duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali – e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali “categorie” o “voci” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (art. 32 Cost.), mentre una differente ed autonoma valutazione andrà compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 del c.d.a., alla lettera e>>

Il danno non patrimoniale per il decesso del familiare (perdita del rapporto parentale) va determinato in base alle circostanze del caso

Così in sintesi Cass. 11.04.2022 n. 11.689 che riforma Appello Venezia per non aver tenuto conto della gravità delle circostanze in cuji maturò un danno non patrimoniale (iure proprio) per gli attori.

Si tratta della lite relativa segujita al disastro del 13.12.1995 presso l’aeroporti di Verona Villafranca riguardante l’aereo Antonov sulla rotta per Timisoara.

Così osservano i giudici:

<<5.1. Con riguardo alla famiglia A., la corte territoriale ha totalmente trascurato di apprezzare il significato del contemporaneo decesso di tre componenti (tra cui entrambi i genitori) del medesimo nucleo familiare come fatto destinato a incidere in modo significativo, irreparabile e determinante sul carattere della perdita dei singoli rapporti parentali astrattamente considerati, si dà pervenire a una liquidazione del corrispondente danno di ciascun ricorrente in modo apodittico, incompleto e parziale.

5.2. Quanto alla motivazione dettata dal giudice d’appello in relazione alla famiglia M., effettivamente la irrilevante laconicità della relatio cui la corte territoriale si è affidata per giustificare la congruità del danno liquidato dal primo giudice si è tradotta in una strategia argomentativi totalmente inidonea a dar conto, in modo completo ed esauriente (e quindi logicamente congruo), delle censure avanzate in ordine alla corretta considerazione del danno per la perdita del rapporto parentale; un danno che, per sua natura, richiede la specifica considerazione delle singole occorrenze dei rapporti parentali individualmente considerati, senza che possa soddisfare, a tal fine, il mero richiamo a considerazioni che attengono all’esame di altre realtà familiari, inevitabilmente caratterizzate da esperienze non altrove esportabili.

5.3. Varrà ribadire, in questa sede, la necessità che il giudice di merito che procede alla liquidazione del danno derivante dalla perdita di un rapporto parentale provveda a valutare analiticamente – senza ricorrere ad apodittiche affermazioni che riducono la motivazione ad una sostanziale dimensione di apparenza – tutte le singole circostanze di fatto che risultino effettivamente specifiche e individualizzanti, allo scopo di non ricadere nel vizio consistente in quella surrettizia liquidazione del danno non patrimoniale in un danno forfettario o (peggio) in re ipsa che caratterizza tanta parte dello stile c.d. “gabellare” in tema di perdita del rapporto parentale.

5.4. In sede di rinvio, il giudice lagunare, all’esito della contestazione formulata dai ricorrenti in ordine alla immotivata applicazione delle tabelle locali, provvederà all’applicazione delle tabelle elaborate presso la Corte di appello di Roma (e non di quelle milanesi, pur invocate in ricorso), alla luce dei principi affermati dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 10579, 26300 e 26301 del 2021), a mente dei quali, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti e la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonchè l’indicazione dei relativi punteggi, da valutarsi, comunque, in ragione della particolarità e della eventuale eccezionalità del caso di specie.>>

Continua a destare perplessità che il potere nomofilattico della SC possa consistere anche nel dettare in anticipo al giudice del rinvio la tabella risarcitoria cui dovrà attenersi.

Risarcimento da mancarto guadagno in caso di violazione di marchio (oltre che danno non patrimoniale per le società commerciali)

Trib. Milano  n. 1989/2021 del 09.03.2021, RG 49780/2016, rel. Barbieri, BTicino spa c. ABS sas e altri, accerta la contraffazione di marchi BTicino e determina il danno così:  << Ai fini della determinazione del lucro cessante subito dalla società attrice si è considerata  la  differenza  dei  flussi  di  vendita  che  il  titolare  della  privativa avrebbe avuto in assenza della contraffazione e quello che ha effettivamente avuto, intendendo il mancato guadagno quale utile netto determinato sottraendo  ai  ricavi  netti  di  vendita  i soli costi di produzione “incrementali” che,  nel  caso  di  specie,  sono  stati  identificati  nei  costi  di  acquisto  della materia  prima,  nei  costi  di  acquisto  dei  semilavorati,  nei  costi  energetici  di produzione  (forza  motrice)  e  nei  costi  dei  materiali  di  consumo  diretti.    Nessun  altro  costo  diretto  è  stato  preso  in  considerazione,  tenuto  conto  che, per  Bticino,  non  sarebbe  stato  necessario  incrementare la propria “capacità produttiva” al fine di produrre le quantità di beni di cui è stata accertata  la contraffazione (cfr. pag. 5 della relazione peritale).

Il margine non realizzato da Bticino è stato determinato confrontando i ricavi medi  di  vendita  che  Bticino  non  ha  realizzato,  con  riferimento  ai  codici prodotto di cui alle fatture di Nuova Quadrimpianti, negli anni 2013, 2014 e 2015  ed  i  costi  industriali  (incrementali)  non  sostenuti  riferiti  ai  medesimi prodotti. Il margine non realizzato da Bticino riferibile ai prodotti venduti da Nuova Quadrimpianti negli anni 2013, 2014 e 2015 somma Euro 210.655,49, a fronte di un numero di vendite di prodotti contrassegnati da codici prodotti Bticino  e  contraffatti  poste  in  essere,  negli  anni  2013,  2014  e  2015  dalla predetta convenuta di 147.389 (cfr. pag. 9 della CTU). Con  riferimento  alle  vendite  di  Gruppo  Elektra,  a  seguito  delle  elaborazioni eseguite  dal  CTU,  sono  state  individuate  le  seguenti  quantità  di  vendite  di prodotti  contraffatti  contrassegnati  con  i  codici  prodotti  Bticino:  696.488 nell’anno 2015 e 200.723 nel 2016.

L’utile netto  non  realizzato  da  Bticino  è  stato  determinato  confrontando  i ricavi medi di vendita che Bticino non ha realizzato, con riferimento ai codici prodotto  di  cui  alle  fatture  di  Gruppo  Elektra,  negli  anni  2015  e  2016  ed  i costi industriali (incrementali) non sostenuti riferiti ai medesimi prodotti. Il  margine  non  realizzato  da  Bticino riferibile  ai  prodotti  venduti da  Gruppo Elektra negli anni 2015 e 2016 somma Euro 1.068.937,74.

Ne consegue che, stante la riconosciuta responsabilità solidale dei convenuti, componenti una “rete commerciale alternativa” di prodotti contraffatti recanti i  marchi  di  titolarità  della  Bticino,  le  stesse  devono  essere  condannate  a corrispondere a parte attrice, a titolo di lucro cessante, la complessiva somma  di  denaro  euro  1.279.593,23,  corrispondenti  all’utile  netto  che  la  Bticino avrebbe  complessivamente ricavato  in  assenza  della complessa condotta contraffattiva.>>

Sul danno non patrimoniale: <<In  favore  di  parte  attrice  deve  poi  essere  liquidato  –  considerato  che  la condotta illecita posta in essere ai suoi danni integra il reato di cui all’art. 473 c.p.  e  tenuto  conto  della  portata  svilente  dei  prezzi  praticati  e,  soprattutto, dell’elevata pericolosità della merce illecitamente commercializzata dai convenuti, tali da ledere l’immagine commerciale del titolare delle privative – anche il danno non patrimoniale, equitativamente liquidato nella misura di un quarto  del  danno  patrimoniale,  dunque  nella  complessiva  somma  di  euro 320.000.>>.

Il collegio sorvola sulla questione del se sia realmente <danno non patriminale>, dato che l’otggetto sociale è la produzine d iutili tramite attività d iimpresa.

Infine non troppo chiaro è l’ultimo  comando , legato alla irrreperibilità di due convenuti: <<Dal momento che, come rilevato, i convenuti diversi da Nuova Quadrimpianti e da Gruppo Elektra si sono posti in condizione di irreperibilità, ovvero hanno adottato condotte di mancato adempimento dell’ordine  giudiziale  di  esibizione  al CTU delle scritture contabili, funzionale a permettere i disposti accertamenti peritali, la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale deve essere incrementata,  per  via  equitativa,  nella  misura  di  euro  200.000,  al  fine  di tenere  conto  dei  minori  flussi  di  vendita  che  il  titolare  ha  prodotto  a  causa delle  condotte  di  contraffazione,  accertate,  poste  in  essere  dai  convenuti  in parola>>.

Risarcimento del danno non patrimoniale cagionato da lesione della privacy

Così ha statuito Cass. 11.020 del 26.04.2021, rel. Fidanzia, su istanza ex art. 152 c. priv. (probabilmente ex art. 15 c. priv.) per pubblicazione non giustificata di notizie riservate (precedenti provedimenti disciplinati subiti quale dipendente pubblico di chi ora è sottoposto a procedimneto disciplinere come avvocato):

<<In ordine al risarcimento dei danni, va preliminarmente osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 17383 del 20/08/2020) ha già enunciato il principio di diritto secondo cui il danno non patrimoniale risarcibile, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 (codice della privacy), pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno”, in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., da cui deriva (come intrinseco precipitato) quello di tolleranza della lesione minima , sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del codice della privacy, ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva, restando comunque il relativo accertamento di fatto rimesso al giudice di merito.

Deve, inoltre, rilevarsi che il danno alla privacy, pur non essendo, come ogni danno non patrimoniale, in “re ipsa”, non identificandosi il danno risarcibile con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, può essere, tuttavia, provato anche attraverso presunzioni (vedi in materia di lesione del danno non patrimoniale dell’onore, Cass. n. 25420 del 26/10/2017, i cui principi, sotto il profilo della prova del danno, sono applicabili anche al caso in esame).>>

Quindi bene aveva deciso il Trib. a quo: <<Il Tribunale di Firenze ha avuto cura di verificare la “gravità della lesione” e la “serietà del danno”, evidenziando che la divulgazione di una pluralità di procedimenti disciplinari a carico dell’avv. M. – “peraltro generica e dunque maggiormente offensiva in quanto allusiva (aperta a qualunque interpretazione soggettiva) “- era stata effettivamente dannosa, determinando conseguenze inevitabilmente negative, oltre che sulla sfera emotiva dell’odierno controricorrente (già provato da procedimenti disciplinati infondati), sulla sua immagine e sulla sua reputazione sociale nel ristretto ambiente lavorativo in cui era da breve tempo entrato (due anni). In particolare, il giudice di merito ha messo in luce la condizione di particolare fragilità in cui si trova un avvocato iscritto all’Ordine forense solo da un paio d’anni, il quale è soprattutto impegnato nella costruzione di una propria immagine e credibilità professionale non solo in relazione ai potenziali clienti, ma anche rispetto a quei colleghi che possono così sensibilmente incidere sulla sua attività, anche per il futuro.>>

Riproduzione non autorizzata di opera fotografica in una collezione di vestiti (Antonio Marras c. Daniel J. Cox)

Il tribunale di Milano decide sulla lite promossa dal fotografo naturalista Daniel J Cox nei confronti un’impresa da abbigliamento e del suo distributore per riproduzione non autorizzata di una suo scatto nella collezione autunno-inverno 2014-2015 e commercializzazione su piattaforma on-line di abbigliamento di lusso.

Si tratta della sentenza 2539/2020 del 23.04.2020, RG 14054/2018, pres. rel. Marangoni, scaricabile da questo link offerto da ipkat.com / darts-IP.

La fotografia è la seguente:

© Daniel J. Cox-NaturalExposures.com

(tratta da qui).

L’abito è il seguente:

(qui la foto del lupo è meno nitida).

Ma l’immagine dell’abito più significativa (perchè a sfondo blu, come nella fotografia dell’animale)  è quella presente in ipkat.com :

Nella sentenza il nome dell’attore è oscurato ma in molti siti internet il nome viene invece diffuso: v. ad es. qui e qui.  In ogni caso la diffusione integrale è ammessa dalla legge, non ricorrendo le eccezionali ipotesi contrarie previste dall’art. 52 cod. priv.

L’attore aveva chiesto la condanna in solido delle due convenute.

IDENTITà O DIVERSITà DI FOTOGRADIA?  La prima difesa di Antonio Marras è quella per cui non si tratterebbe della stessa fotografia.

L’impresa aveva peraltro  ammesso <<di avere effettivamente, nel corso dell’attività di studio e progettazione della collezione donna 2014/2015, reperito sul web la fotografia scattata dall’attore (peraltro priva di indicazioni circa il titolare dello scatto e resistenza di privativa autorale), ma di non averla poi direttamente utilizzata, limitandosi a inserirla nel moodboard della collezione, quale fonte di ispirazione per la successiva creazione dei capi da parte dello stilista.>>, p. 7

Ammissione che ricorda la condotta di Jimmy Page nella lite Skidmore v. Led Zeppelin circa le canzoni Taurus (degli Spirit) e Stairway to heaven. Pure il chitarrista inglese aveva infatti ammesso di possedere nella propria collezione privata una copia del disco degli Spirit contenente Taurus,  in un ordinamento come quello americano in cui è decisiva la prova dell’accesso all’opera.

V. il mio post sulla sentenza statunitense 9 marzo 2020.

Il giudice milanese però rigetta questa difesa e afferma che l’immagine è la stessa. Qui è interessante a livello probatorio il ragionamento condotto per giungere alla conclusione:

<<tale convincimento è suffragato innanzitutto dall’oggettiva sovrapponibilità tra l’immagine riprodotta sul lato sinistro dell’abito femminile realizzato dalla convenuta e lo scatto rivendicato dal fotografo, come fedelmente rappresentato nel doc. 26 di parte attrice, reperto non contestato dalle convenute. Segnatamente, dall’attento esame della predetta immagine si percepisce chiaramente la perfetta coincidenza tra le due figure, e, in particolare, di alcuni loro elementi caratterizzanti, quali: la posizione del cranio del lupo, avente la medesima rotazione e inclinazione rispetto all’asse del corpo; le fauci del canide, che mostrano la medesima apertura e dalle quali spunta un canino avente uguale posizione e dimensione in entrambe le immagini; la perfetta sovrapponibilità dell’occhio del lupo; le identiche cromature, macchie e pieghe del pelo presente sul collo dell’animale.

Tali riscontri obiettivi assumono particolare significato anche alla luce della fotografia sub doc. 25 prodotta da parte attrice – anch’essa non contestata dalle convenute – nella quale è ritratto lo stilista Antonio Marras intento a studiare il mainboard della collezione, dove risulta ben visibile, tra le altre immagini, anche lo scatto in questione>>, p. 8.

Non è chiaro come l’attore sia riuscito a procurarsi una fotografia dello stilista mentre esamina la propria collezione

Non inficia il ragionamento , dice il Tribunale, il fatto che la Antonio Marras abbia maldestramente tentato di sviare la percezione del giudice, riproducendo negli atti di causa solo un lato dell’abito, in modo che l’immagine del lupo fosse diversamente orientata (pagina 8/9). Il tribunale poi ritiene che questo tentativo, di dare una diversa rappresentazione della realtà, sia contrario ai doveri di lealtà processuale e irroga la sanzione ex articolo 96/1 CPC, pagina 9

PATERNITA’ –  la paternità dell’Opera non viene contestata e comunque dal tribunale viene affermata anche sulla base del certificato di protezione, concesso dall’ufficio statunitense e dalla pubblicazione in una monografia nella quale la paternità viene appunto attribuita a Daniel Cox. Quest’ultimo andrà inteso come fatto indiziario, anche se ultroneo, visto che nel caso specifico -come detto-  non ce ne era bisogno, stante la non contestazione.

TIPO DI TUTELA – Circa l’oggetto della tutela il dubbio è tra la tutela piena come opera dell’ingegno (art. 2 n. 7 l. aut.) e la tutela “dimezzata” come diritto connesso ex articolo 87 seguenti l. aut. (v. paragrafo 3).

Secondo i giudici milanesi, è esatta la prima alternativa (§ 3.1) e spiega perchè.

Premesse alcune considerazioni consuete circa i criteri  astratti per avvisare opera fotografica, il tribunale procede ad applicarli al caso specifico: anche qui, si tratta della parte più interessante  dell’iter motivatorio, perché si capisce cosa sta in mente iudicis per arrivare a formulare il giudizio:

<<orbene, nel caso di specie, l’attore ha innanzitutto dedotto in giudizio come la [1] scelta del soggetto da rappresentare (nello specifico, un lupo nel suo ambiente naturale), sia stata frutto di studio e d’attenta analisi del campo fotografico. professionista ha altresì colto l’animale [2] mentre lo stesso era intento a ululare – indice sintomatico di una precisa volontà creativa – scegliendo di rappresentarlo in primo piano, attraverso una [3] sapiente sfocatura dell’ambiente circostante, esaltando così l’espressione del soggetto rappresentato, pur facendo emergere i fiocchi di neve che, copiosamente, cadevano nell’ambiente circostante ed evocando, in questo modo, peculiari suggestioni nell’osservatore tali da travalicare la mera rappresentazione grafica deH’animale. E altresì evidente [4] un sapiente uso del chiaroscuro e l’utilizzo, con finalità creative, dei giochi di luce e ombre distinguibili sullo sfondo blu dell’immagine e, soprattutto, [5] dal contrasto generato tra i fiocchi di neve rispetto alla cromatura del pelo del lupo.

Avvalorano inoltre la natura artistica della fotografia sia [6] lo specifico riconoscimento autorale in territorio statunitense (doc. 6 attore), sia [7] la sua collocazione all’intemo di un’opera monografica alla quale è stata data dignità di pubblicazione e stampa (docc. 2, 2a attore), nonché [8] la sostanziale identità, sul piano della qualità creativa, della predetta immagine rispetto ad altre rappresentazioni naturalistiche scattate dallo stesso apparse su prestigiose riviste di settore, quali «National Geographic» e «Nikon Leam&Explore» (docc. 3, 3a, 3b, 3c e 3d attore).

Infine, è significativo, in punto di qualificazione dei diritti connessi all’immagine, che essa sia stata [9] particolarmente apprezzata dagli operatori commerciali, a riprova dell’oggettiva e intrinseca capacità di evocare particolari suggestioni nei consumatori (docc. 33 e 34 attore). [10] Anche il noto motore di ricerca Google pone la fotografia oggetto di causa tra le prime immagini associate alla stringa «holwing wolj» o «lupo ululante» (cfr. docc. 22 – 24 attore).>> pp.10-11

Ho scomposto il ragionamento in unità logiche mimime, che tutte assieme portano a ravvisare la creatitivà nella fotografia de qua.  Si notino quelle sub 6 (riconoscimento autorale in USA) e sub 7-9-10 (riconoscimento sul mercato)

LA LICEITA’ PER ESSERE REPERIBILE SU GOOGLE IMAGES – Il tribunale affronta poi di eccezione di Marras secondo cui lo scatto era lì era legittimamente utilizzabili essendo reperibile sul motore di ricerca Google. Il tribunale ha buon gioco nel rispondere che, secondo lo stesso Google Images, l’immagine può essere oggetto di copyright.

Aggiunge poi la mera <<disponibilità sul web di una foto non costituisce presunzione di assenze di privative, gravando semmai sull’intemauta l’onere di accertare l’esistenza, o meno, di diritti in capo a soggetti terzi>>, p. 11. Infatti <<appartiene al bagaglio nozionistico del medio professionista, in particolar modo se operatore del c d. fashion business, il noto principio secondo il quale l’utilizzo di una fotografia senza richiedere la liberatoria dell’autore o senza comunque sincerarsi che l’immagine sia di libera riproduzione costituisce, pacificamente, ipotesi di contraffazione (Trib. Milano, 1.03.2004).>>p. 12.

In effetti anche se non ci fosse la dichiarazione cautelativa di Google Images, sarebbe comunque condotta colposo il non tentare di verificare la libera riproducibilità dell’immagine, potendo essere stata illecitamente messa on line da terzi.

RISARCIMENTO DEL DANNO – Circa il  risarcimento, il tribunale accetta il criterio del prezzo del consenso suggerito dall’attore, ma ne rigetta il quantum proposto.

 il tribunale si limita infatti a prendere per buono l’importo che lo stesso attore sembrava disposto a concedere in un tentativo stragiudiziale conciliativo, secondo un documento prodotto in causa dalla Antonio Marras: € 16.000,00.

Ll’attore aveva invece chiesto un prezzo molto più elevato, pari a € 188.000,00, sulla base di  precedenti atti dispositivi: questi però sono giudicati da un lato  mal documentati e dall’altro relativi ad utilizzi molto più ampi di quello per cui era causa.

Il tribunale concede anche il danno non patrimoniale che liquida in euro 9’000,00. Qui non è chiaro il cenno secondo cui in tal modo aderisce agli ordinari canoni di responsabilità civile <<informati a un criterio compensativo>>: in materia di danno non patrimoniale, parlare di <compensazione> richiederebbe qualche spiegazione. Ma l’affermazione non è ratio decidendi, essendo la lqiudaizione certgamente equitativa.

Sulla risarcibilità del danno non patrimoniale, sarebbe stato utile qualche passaggio argomentativo, data la sua tipicità e dato che l’art. 168 l. aut. si limita a rinviare ai diritti patromoniali col limite della compabilità, senza prevedere espressamente il risarci,mento. A parte ciò, la disciplina generale del risarcimento del danno non patrimonale (nelle sue due componenti del pretium doloris, danno morale, e della compromissione delle abitudini di vita: distinzione non menzionata dal giudice) prevede che vada allegato e provato, potendo l’equità solo servire alla traduzione monetaria.

LA POSIZIONE DELL’IMPRESA  DISTRIBUTRICE – Interessante poi è il giudizio sulla posizione del distributore Drexcode srl . Questa si era difesa dicendo di non aver potuto esercitare alcuna attività di controllo sul produttore.

Ma per il tribunale ciò non rileva, visto che <<non ha dato alcuna dimostrazione di avere ottenuto, da parte dell’ANTONIO MARRAS S.R.L., specifica attestazione circa la piena titolarità dei diritti di sfruttamento commerciale dei capi d’abbigliamento e delle immagini sugli stessi riprodotte, sussistendo pertanto evidenti profili di colpevolezza in capo al distributore, quantomeno sub specie di culpa in vigilando, rispetto all’attività posta in essere dalla casa di moda. Ritiene pertanto il Collegio di doversi conformare, nel caso di specie, al consolidato orientamento pretorio secondo il quale il distributore di merce contraffatta è chiamato a rispondere, in solido con il produttore secondo lo schema di cui all’art. 2055 c.c., dell’attività da quest’ultimo posta in essere, concorrendo sul piano causale alla commissione dell’illecito e all’aggravamento dello stesso (Trib. Milano, 1 luglio 2004), fatta salva la possibilità di agire in manleva per avere confidato nella liceità del comportamento altrui (Trib. Milano, 30 giugno 2004).>>, p. 14-15.

Per vero l’elemento soggettivo richiesto ai compartecipanti legati in solidarietà ex art. 2055 non è chiaramente desumibile dall’ordinamento e ci sono opinioni discordanti.

E’ poi importante l’affermazione per cui il distributore ha ogni volta l’onere di farsi consegnare dal cliente documentazione probatoria della legittimità di uso di tutti i segni presenti sul prodotto: pare che simili liberatorie, anche se diventassero dichairazioni di stile, varrebbero ad esentare dalla responabilità esterna ex art. 2055 cc.

Questo, appunto, nei rapporti esterni cioè verso i terzi (=le vittime dell’illecito).

Nei rapporti interni invece il tribunale accoglie la domanda di manleva, proposta dal distributore Drexcode nei confronti di Antonio Marras: condanna infatti quest’ultimo a rifondere al primo ogni somma che fosse costretto a pagare verso l’attore (vedi punto 5 del dispositivo)

SPESE – infine  il tribunale, come anticipato, condanna Antonio Marras ex articolo 96 comma 1 CPC a pagare all’attore una somma di euro 6000 sia per la accennata sleale condotta processuale sia perché ante causam aveva dimostrato un chiaro intento conciliativo e un’inclinazione a transigere ad una somma inferiore a quella riconosciuta dal tribunale in sentenza (p. 16).

Non è chiaro però quale sia la pertinenza di quest’ultimo ragionamento. La disponibilità a transigere non significa disponibilità riconoscere la propria violazione , dato che anzi il proprium della transazione è quello di prescindre da ogni accertamento sul diritto e sul torto intorno ai fatti di causa. E’ cioè solo prospettica, non retrospettiva. Per lo stesso motivo la somma a suo tempo ipotizzata ante causam e quella liquidata dal giudice non hanno alcuna relazione logico-cocnettuale: quindi non è traibile alcun elemenot di slealtà processuale, inmancanza di norma ad hoc (come avviene ad es. per la mediazione: art. 13 d. lgs. 28/2010).