Danno parentale per la perdita del fratello: negato dalla Corte di Appello, ammesso in via presuntiva dalla Cassazione

Cass. sez. III, 24/10/2025 n. 28.255, rel. Simone:

<<La Corte d’Appello dà atto che Mo.An. aveva allegato di essere l’unica sorella sopravvissuta, che il fratello era un riferimento costante e che tra i due vi era una frequentazione assidua. Allegazioni, queste ultime, valutate come generiche.

Tale statuizione non è in linea con il costante orientamento espresso da questa Corte in materia di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. È stato ripetutamente sostenuto da questa Corte, con orientamento stabile e ribadito ancora di recente, il principio secondo il quale la morte di una persona causata da un illecito fa presumere da sola, ex art. 2727 cod. civ., una conseguente sofferenza morale in capo, oltre che ai membri della famiglia nucleare “successiva” (coniuge e figli della vittima), anche ai membri della famiglia “originaria” (genitori e fratelli), a nulla rilevando né che la vittima e il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur); in tali casi, grava sul convenuto l’onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo (v., Cass. 15 febbraio 2018, n. 3767; Cass. 28 febbraio 2020, n. 5452; Cass. 15 luglio 2022, n. 22397; Cass. 30 agosto 2022, n. 25541; Cass. 4 marzo 2024, n. 5769; Cass. 16 febbraio 2025, n. 3904. In senso conforme, v., inoltre, Cass. 16 marzo 2012, n. 4253). Cass. 5769/2024, nel dare continuità all’indicato principio di diritto e declinandolo con riferimento alle due polarità delle possibili conseguenze non patrimoniali risarcibili per la lesione di interessi costituzionalmente protetti (v., Cass. 17 gennaio 2018, n. 901), ha osservato che “che la presunzione iuris tantum (che onera il convenuto della prova contraria dell’indifferenza affettiva o, persino, dell’odio) concerne l’aspetto interiore del danno risarcibile (c.d. sofferenza morale) derivante dalla perdita del rapporto parentale, mentre non si estende all’aspetto esteriore (c.d. danno dinamico-relazionale), sulla cui liquidazione incide la dimostrazione dell’effettività, della consistenza e dell’intensità della relazione affettiva (desumibili, oltre che dall’eventuale convivenza – o, all’opposto, dalla distanza – da qualsiasi allegazione, comunque provata, del danneggiato), delle quali il giudice del merito deve tenere conto, ai fini della quantificazione complessiva delle conseguenze risarcibili derivanti dalla lesione estrema del vincolo familiare”.

1.4. L’affermazione fatta dalla Corte d’Appello a proposito degli indici esposti dalla ricorrente – Mo.An. era l’unica sorella sopravvissuta, il fratello era un riferimento costante e che tra i due vi era una frequentazione assidua – nel senso che essi fossero generici “in assenza di altre più puntuali allegazioni”, è errata e confligge con i già indicati principi di diritto. Infatti, la riferita genericità non attiene all’individuazione del danno, ma alla sua quantificazione, ed ha portato a negare, quantomeno limitatamente alla componente interiore della sofferenza morale connessa alla perdita del congiunto, la presunzione, sia pure iuris tantum, della sua sussistenza, in base alla quale gravava sul danneggiante l’onere di fornire la prova contraria>>.

Rsponsabilità dei medici in caso di morte del feto: va equiparata a quella da perdita del rapporto parentale

I principi di diritto ex art. 364 cpc enunciati da Cass. sez. III, 06/10/2025 n. 26.826, rel. Cricenti:

1)  In tema di responsabilità sanitaria, il danno da perdita del feto imputabile ad omissioni e ritardi dei medici è morfologicamente assimilabile al danno da perdita del rapporto parentale, che rileva tanto nella sua dimensione di sofferenza interiore patita sul piano morale soggettivo, quanto nella sua attitudine a riflettersi sugli aspetti dinamico-relazionali della vita quotidiana dei genitori e degli altri eventuali soggetti aventi diritto al risarcimento del danno.

2) In tema di responsabilità sanitaria, la perdita del frutto del concepimento prima della sua venuta in vita, imputabile a omissioni e ritardi dei medici, determina la risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale, che si manifesta prevalentemente in termini di intensa sofferenza interiore tanto del padre, quanto (e soprattutto) della madre.

3) In tema da risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, il giudice di merito è tenuto ad applicare le tabelle milanesi, utilizzandone i singoli parametri alla luce dei principi in tema di morfologia del danno da perdita del frutto del concepimento, tenuto conto di tutte le circostanze di fatto portate al suo esame, procedendo altresì, tutte le volte in cui sia possibile, all’interrogatorio libero delle parti ex art. 117 c.p.c.

(Il tema era stato già esaminato da Cass. 26301/2021, rel. Travaglino, ampiamente cit. in sentenza)

Il danno non patrimoniale da illecito endofamiliare

Cass. sez. I, 07/09/2025 n. 24.719, rel. Casadonte:

<<17. Com’è noto, la nozione di illecito endofamiliare si riferisce alle violazioni che intervengono nell’ambito del nucleo familiare ad opera di un membro dei confronti di uno o più degli altri componenti.

18. Con specifico riguardo al rapporto di filiazione e stato più volte affermato da questa Corte (vedi Cass. n. 5652/2012; conf. Cass. n. 3079/2015; id. 34986/2022; id. 375/2025) che la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto, può dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità.

19.In relazione alla individuazione di tale danno, conseguenza della violazione del doveri di cui agli artt. 147 e 148 cod. civ. , è stato chiarito che esso consiste nella lesione di diritti costituzionalmente protetti, e fra questi indubbiamente rientra il diritto alla bigenitorialità, il diritto di natura costituzionale riconosciuto e protetto dagli artt. 2 e 30 Cost., così come rafforzato dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dalle Convenzioni di New York del 20.11.89 ratificata con legge n. 176 del 1991, posta a tutela dell’interesse del minore e della responsabilità genitoriale>>.

22.La seconda [ nds: Cass. n.10527/2011] ha affermato oltre al principio che “il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi “in re ipsa”, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici” l’ulteriore principio che “la morte di una persona cara costituisce di per sé un fatto noto dal quale il giudice può desumere, ex art. 2727 cod. civ., che i congiunti dello scomparso abbiano patito una sofferenza interiore tale da determinare un’alterazione della loro vita di relazione e da indurli a scelte di vita diverse da quelle che avrebbero altrimenti compiuto, sicché nel giudizio di risarcimento del relativo danno non patrimoniale incombe al danneggiante dimostrare l’inesistenza di tali pregiudizi” >>.

E poi:

<<25. Va al contrario di quanto sostenuto dalla Corte territoriale, segnalata l’importanza del doveroso bilanciamento tra il principio che richiede anche per il danno non patrimoniale la necessità di debita allegazione e prova anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici ex artt. 2727-2729 cod. civ., con la notoria circostanza che la lesione da perdita della bigenitorialità costituisce di per sé un fatto noto, dal quale poter desumere un’alterazione della vita del figlio, che comporta scelte ed opportunità diverse da quelle altrimenti compiute.

26.In tale prospettiva non può dubitarsi, con riferimento al caso di specie, come il consapevole disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini notoriamente un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche, purtroppo, ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costituzionale (in part., artt. 2 e 30 Cost.), e altre norme sopra ricordate un elevato grado di riconoscimento e di tutela.

27.Tutto ciò non è stato correttamente considerato dalla Corte territoriale e per questo occorre rinnovare l’accertamento, considerando altresì la giurisprudenza di questa Corte che ai fini della liquidazione del danno da illecito endofamiliare ha già spiegato che i parametri adottati nel distretto per la perdita parentale costituiscono indici da assumere in via meramente analogica e con l’applicazione di correttivi che ne giustificano la liquidazione in via meramente equitativa. Pertanto, il criterio tabellare “può rappresentare un punto di riferimento” nella liquidazione del danno in via analogica ed essere assunto nella soglia minima peraltro non attualizzata al momento della decisione (cfr. Cass. 26205/2013; id.34982/2022).>>

La personalizzazione del danno da perdita del rapporto parentale è lecittima solo se eccede la determinazione già operata dal CTU (più il riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale anche al compagno della madre)

Cass. sez. III, 06/03/2025 n. 5.984, rel. Positano sul primo tema:

<<l motivo ha per oggetto la liquidazione del danno non patrimoniale da morte disposta in favore della madre della piccola Ho.An., Ho.So., alla quale la Corte territoriale ha riconosciuto una personalizzazione della componente biologica del danno in misura pari al 30%, sostanzialmente sulla scorta della sola considerazione delle “modalità di verificazione del sinistro” e della successiva insorgenza della patologia psichica di origine post-traumatica, senza dare in alcun modo conto delle eventuali “conseguenze anomale o del tutto peculiari”>>.

Risposta della SC:

<<Come rilevato correttamente anche dalla Corte territoriale, la liquidazione può essere incrementata dal giudice, in sede di personalizzazione del danno biologico, con motivazione analitica e non stereotipata, ma solo in presenza di conseguenze anomale e del tutto eccezionali (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato).

In particolare, la Corte territoriale dopo avere dato atto della stima fatta dal c.t.u. di un danno psichico pari al 18%, fa presente che per fondare la richiesta di personalizzare il risarcimento del danno biologico (diverso da quello parentale) la danneggiata ha allegato: “tanto la tragicità della perdita dell’unica figlia, non avendone l’attrice, all’epoca del sinistro, altri dei quali occuparsi e sui quali riversare il proprio amore di madre, quanto la circostanza che il decesso sia avvenuto in maniera cruenta, con il corpo della piccola Ho.An. strascinato sul selciato per diversi metri dopo il violento impatto” (cfr. p. 3 dell’atto di citazione del 04.07.2017).

Il c.t.u. ha spiegato che la sintomatologia depressiva dell’attrice corrisponde ad almeno sette criteri di un Episodio Depressivo Maggiore quali sono: umore depresso, marcata diminuzione di interesse, perdita di peso (nel primo anno), insonnia/disturbi del sonno, rallentamento psicomotorio, mancanza di energia, pensieri di morte/ideazione suicidaria (nei primi mesi).

Questi sintomi tendenzialmente stabilizzati travalicano dal danno da perdita del rapporto parentale a quello psichico permanente “e vanno riferiti ad un episodio assolutamente traumatico rappresentato dalla perdita della figlia, e dal fatto di “vedere il corpicino pieno di sangue nell’elicottero, notare gli impegni dei sanitari durante il volo verso l’ospedale”, ciò determina un Disturbo post -traumatico da stress (DPTS) notevole”

Argomentando sui presupposti della personalizzazione e, quindi, della eccezionalità ed anomalia del danno, rispetto ad altro analogo pregiudizio di natura biologica, la Corte àncora l’incremento del 30% “all’intensità del dolore sofferto dalla madre, non solo per aver perduto la figlia di soli quattro anni, ma soprattutto per le modalità repentine e cruente con cui è avvenuto il suo decesso….Particolarmente significativi sono i tormenti che le procurano i reiterati incubi notturni durante i quali essa ripete l’esperienza dolorosa dell’agonia della figlia; dunque, l’evento tragico durato circa un’ora in cui dopo aver saputo che era stata investita da un’auto, l’ha assistita mentre, gravemente ferita, veniva elitrasportata in ospedale e, poco dopo l’arrivo, ha appreso che era spirata perché erano incurabili le lesioni provocate dall’incidente.

Tali circostanze e in particolare, dunque, l’intensità del dolore procurato dalle cruente e repentine modalità di accadimento dell’illecito giustificano il riconoscimento della personalizzazione del risarcimento. Tenuto conto delle descritte modalità che hanno contraddistinto il sinistro”.

Alla luce di quanto precede è evidente che la rilevanza psicogena del fatto è stata ricondotta dal giudice di appello proprio alle modalità traumatiche, improvvise e drammatiche.

Al contrario, soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali allegate dalla danneggiata, che rendano il danno più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione.

Orbene, il nucleo motivazionale della personalizzazione è ricondotto dalla Corte territoriale al seguente dato fattuale: “l’ha assistita mentre, gravemente ferita, veniva elitrasportata in ospedale e, poco dopo l’arrivo, ha appreso che era spirata perché’ erano incurabili le lesioni provocate dall’incidente. Tali circostanze e in particolare, dunque, l’intensità’ del dolore procurato dalle cruente e repentine modalità’ di accadimento dell’illecito giustificano il riconoscimento della personalizzazione del risarcimento…”.

Nel caso di specie i profili che la Corte territoriale individua quali “gravi sofferenze” patite dalla madre per la perdita della figlioletta consistono si sovrappongono agli stessi profili ritenuti rilevanti nella valutazione fatta dal CTU al fine di giungere al riconoscimento della patologia psichica post traumatica in capo al soggetto.

Da ciò una duplicazione delle conseguenze risarcitorie in quanto, nonostante la oggettiva gravità della vicenda, le conseguenze descritte dal consulente e valorizzate dalla Corte territoriale, sono proprio quelle fisiologicamente e tristemente derivanti da pregiudizi dello stesso (elevato) grado, sofferte da persone della stessa età e con il medesimo ruolo genitoriale rispetto alla vittima primaria.

Pertanto, le allegazioni del presente giudizio non giustificano la “personalizzazione” in aumento.>>

Sul secondo tema, riguardante il riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale anche al compagno della madre:

<< Il motivo ha per oggetto la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale disposta in favore del compagno della madre, per la morte della figlia di quest’ultima, in assenza di convivenza e della prova della effettiva assunzione, da parte dell’istante, del “ruolo morale e materiale di genitore”.

Il motivo è inammissibile perché consiste in una critica alla idoneità e sufficienza delle prove acquisite e si traduce in una richiesta di rivalutazione del materiale istruttorio inibita al giudice di legittimità.

Il motivo tende ad una nuova valutazione delle espletate prove testimoniali e di quanto emerso in sede di c.t.u., relativamente alle quali la Corte d’Appello ha reso una motivazione ragionevole e giuridicamente coerente, affermando che “… sia le assunte deposizioni testimoniali, sia l’indagine medicolegale convergono, dunque, nel confermare l’allegata connotazione che ha contraddistinto il rapporto intercorso tra l’appellante e la vittima primaria del sinistro.

La Corte d’Appello ha accertato cioè, sulla base delle evidenze processuali raccolte, che il signor Ga.Th. aveva assunto un vero e proprio ruolo di “padre vicario” nei confronti della piccola, venendo in tutto e per tutto a ricoprire questo ruolo in sostituzione del genitore biologico del tutto eclissatosi dalla breve esistenza della figlia…” (pag. 40 sentenza impugnata), venendo di conseguenza a subire, per la morte della bambina, un danno da perdita del rapporto parentale.

La statuizione si pone sul solco del principio giurisprudenziale secondo cui la convivenza more uxorio non è da sola sufficiente a dimostrare il pregiudizio subito, “dovendosi rinvenire, al fine di liquidare il danno parentale, quegli indici che il controricorrente Ga.Th. ha allegato e la Corte ha ritenuto provati e cioè la sua dedizione e l’assistenza morale e materiale alla piccola Ho.An. per oltre 3 dei 4 anni. Dedizione ed assistenza da padre putativo, considerata l’assenza di quello biologico”.

Questa Corte ha, infatti, affermato che “il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale, dovendo esso essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale, ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini, e che infonda nel danneggiato quel sentimento di protezione e di sicurezza insito nel rapporto padre figlio” (Cassazione civile sez. III, 15.11.2023, n. 31867)>>.

Ancora sulla determinazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale

Cass. sez. III, sent. 06/02/2025 n. 2.957 rel. Graziosi:

<<6.1 È ben noto che il sistema tabellare, in relazione al danno da perdita parentale, è stato di recente oggetto di una impostazione modificativa, “spostandolo” dalle tabelle romane nella quantificazione a punti, mentre per un certo periodo le tabelle milanesi, ancora riconosciute come frutto concreto di equità da questa Suprema Corte, hanno continuato ad avvalersi del sistema della cosiddetta forbice tra un minimo e un massimo. Tuttavia, quando il giudice d’appello nella presente causa ha esaminato il gravame relativo proprio alla quantificazione del risarcimento di tale danno, la giurisprudenza di legittimità aveva già chiuso questo spazio di contraddizione, attribuendo la funzionalità migliore al sistema a punti.

Oltre alla giurisprudenza richiamata dallo stesso giudice d’appello (Cass. Sez. 3, 21 aprile 2021 n. 10579 – “In tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul ‘sistema a punti’, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella” (caso, questo, in cui è stata cassata una pronuncia che aveva applicato il sistema a forbice delle tabelle milanesi) -), si deve rammentare che, sempre prima della sentenza qui in esame, tale linea era stata confermata, tra gli arresti massimati, pure da Cass. Sez. 3, ord. 29 settembre 2021 n. 26300 (cfr. peraltro la posteriore Cass. Sez. 3, ord. 22 marzo 2023 n. 8265, per cui nella liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale i criteri delle tabelle milanesi anteriori al 2022 devono intendersi nel senso che non indicano una forbice tra il minimo e il massimo, bensì tra “un valore monetario base”, espressione di una valutazione media uniforme del danno, e una personalizzazione massima, applicabile soltanto per circostanze peculiari specificamente allegate).

Linea, questa, che viene tuttora seguita, senza reali oscillazioni ma comunque emergendovi pure gli ineludibili approfondimenti suscitati dal caso specifico (tra gli arresti massimati si vedano ancora, in particolare, Cass. Sez. 3, ord. 28 febbraio 2023 n. 5948 – “Il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul ‘sistema a punti’, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, ferma restando la possibilità che la valutazione equitativa si traduca nell’utilizzo di un sistema di liquidazione diverso (il quale attinga, ove reputato utile, anche alla fonte rappresentata dall’intervallo di valori numerici offerto dalla versione della tabella milanese anteriore a quella del giugno 2022), purché sorretto da un’adeguata motivazione che dia conto delle circostanze prese in considerazione dal giudice per la quantificazione del danno risarcibile nel caso concreto” – e Cass. Sez. 3, ord. 27 dicembre 2023 n. 35998 – per cui la morte anteriore rispetto a quando sarebbe avvenuta per causa non imputabile al responsabile non integra danno risarcibile per chi la subisce ma può costituire danno da perdita del rapporto parentale, risarcibile ai congiunti iure proprio, e rispetto al quale la presumibile durata della residua sopravvivenza del de cuius costituisce parametro per la liquidazione equitativa, così confermando la sentenza di merito che aveva liquidato il danno da perdita del rapporto parentale ai congiunti avvalendosi delle tabelle milanesi ma decurtandole del 30% per la minore durata dell’aspettativa della vita del de cuius rispetto a un coetaneo -.

Frattanto, va rilevato per completezza, si è adeguato a questo input il sistema ambrosiano, come espressamente rimarca Cass. Sez. 3, ord. 16 dicembre 2022 n. 37009, per cui le tabelle milanesi del giugno 2022 “costituiscono idoneo criterio per la liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale, in quanto fondate su un sistema ‘a punto variabile’ (il cui valore base è stato ricavato muovendo da quelli previsti dalla precedente formulazione ‘a forbice’) che prevede l’attribuzione dei punti in funzione dei cinque parametri corrispondenti all’età della vittima primaria e secondaria, alla convivenza tra le stesse, alla sopravvivenza di altri congiunti e alla qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta, ferma restando la possibilità, per il giudice di merito, di discostarsene procedendo a una valutazione equitativa ‘pura’, purché sorretta da adeguata motivazione”  >>.

Il che applicato al caso de quo porta alla seguente censura:

<<6.2 È dunque evidente la fondatezza della censura veicolata dai ricorrenti: il giudice d’appello, qualora semmai avesse ritenuto nel caso specifico di doversi discostare da quella che ben conosceva essere la modalità di quantificazione già indicata dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte per confermare la quantificazione del Tribunale assunta con diverso criterio, avrebbe dovuto fornire un’approfondita e specifica motivazione per spiegare tanto l’eccezionalità nella quale ormai la quantificazione operata dal primo giudice era incorsa, quanto l’adeguatezza peculiare di tale quantificazione che ne consentisse la permanenza in un contesto nomofilattico ormai chiaramente divergente.

La specificità, invero, può sempre verificarsi nelle fattispecie del danno non patrimoniale, la quantificazione del cui risarcimento venendo infatti affidata all’equità del giudice di merito. E l’equità, istituto giuridico diretto a integrare e dunque adeguare la struttura normativa in cui si inserisce (da ultimo, nel presente settore cfr. Cass. Sez. 3, ord. 26 luglio 2024 n. 20894, Cass. Sez. L., ord. 16 maggio 2024 n. 13701 e Cass. Sez. 3, ord. 29 aprile 2022 n. 13515), da sistemi tabellari adottati da determinati tribunali – e, quindi, non normativi – non viene certo soppressa, ma soltanto agevolata nel suo esercizio, trattandosi di meri strumenti pratici (in tema, cfr. Cass. Sez. 6 – 3, ord. 13 dicembre 2022 n. 36297: “In tema di danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, è ammissibile la liquidazione equitativa ‘pura’ (che si discosti, cioè, dai valori astrattamente predisposti dalle tabelle in uso), sempreché ricorrano circostanze peculiari, delle quali sia fornita logica e congrua motivazione”), in sostanza attenuando l’onere accertatorio e quindi motivazionale del giudicante tramite una valutazione predeterminata in base a dati ordinariamente sussistenti>>.

<<7. Ne consegue che la sentenza impugnata non si è adeguata alla giurisprudenza di legittimità da essa stessa richiamata, e lo ha fatto senza evidenziare la sussistenza di peculiari ragioni che avrebbero semmai consentito di divergerne nella modalità di quantificazione risarcitoria del riconosciuto danno da perdita del rapporto parentale. La sentenza deve pertanto venire cassata per l’accoglimento dei primi due motivi, assorbito l’ultimo, rinviando la causa, perché sia compiuta la quantificazione del danno nella qui evidenziata modalità corretta, alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa sezione e diversa composizione, cui si rimette anche la decisione sulle spese processuali del giudizio di legittimità>>

Obbligo di analicità motivatoria per il giudice nel liquidare il danno da perdita del rapporto parentale

Cass. sez. III, ord. 12/01/2025 n. 761:

<<A prescindere dall’improprio riferimento agli artt. 115 e 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., nonché all’art. 1256 cod. civ., la ricorrente enuncia correttamente la violazione dell’art. 1226 cod. civ. in tema di liquidazione del danno di cui non sia possibile effettuare con esattezza la computazione, così da rispettare l’onere della specificità ex art. 366, comma primo, n. 4 c.p.c. basato sulla chiara esposizione delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta (v. Cass., sez. un., 17931/2013 cit.).

La Corte d’Appello ha ridotto l’importo liquidato alla Ri.An. a titolo di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale nei limiti del “valore medio di tariffa”, senza quindi precisare a quale edizione della tabella approntata dall’Osservatorio della Giustizia civile di Milano si sia fatto riferimento e senza spiegare la ragione valorizzata per la disposta riduzione. Dato, quest’ultimo, che stride con la riconosciuta intensità del legame familiare tra il defunto, la moglie ed i nuclei familiari dei figli.

In altri termini, la Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione del potere di valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ., perché non ha spiegato adeguatamente il modo di impiego del parametro prescelto in relazione alle due poste di danno incluse nel lemma “perdita del rapporto parentale”. La Corte d’Appello di Bari, pertanto, una volta individuato il corretto parametro tabellare per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale (v. Cass. 21 aprile 2021, n. 10579; 10 novembre 2021, n. 33005, n. 33005; 23 giugno 2022, n. 20292; 16 dicembre 2022, n. 37009), provvederà alla riliquidazione della voce di danno in questione in favore della Ri.An. sulla base degli elementi di prova, anche di natura presuntiva, emersi nel corso del giudizio, esplicando nella motivazione gli elementi di calcolo.

2.2. In relazione al secondo motivo del ricorso deve essere enunciato il seguente principio di diritto: “Nella liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, al cui interno sono compresi il danno morale e la compromissione sul piano relazionale derivanti dalla morte del congiunto, il giudice nel ricorrere al potere di valutazione equitativa, quando fa uso dello strumento tabellare, deve indicare gli elementi di calcolo impiegati, al fine di rendere palese il percorso fatto per rendere la liquidazione aderente agli elementi di prova, anche di natura presuntiva, emersi nel corso del giudizio” >>.

Danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale: è un concetto unitario oppure no?

Cass. sez. III, ord. 21/01/2025 n. 1.473, rel. Condello, dice di no, dovendosi distinguere secondo che sia o meno qualificabile come danno cd biologico:

<<3.4. Con riguardo al primo profilo, è incontestato, e neppure disconosciuto dalla odierna ricorrente, che il danno da perdita parentale, che è il danno subito iure proprio dai congiunti per la venuta meno della relazione parentale che li legava rispettivamente al defunto, ha natura autonoma e si differenzia dai pregiudizi dai congiunti superstiti subiti iure hereditatis.

Come questa Corte ha avuto più volte modo di sottolineare (in particolare Cass., sez. 3, 19/10/2016, n. 21059; Cass., sez. 3, 17/01/2018, n. 901; Cass, sez. 3, 13/04/2018, n. 9196), le voci di danno non patrimoniale non rientranti nell’ambito del danno biologico, in quanto non conseguenti a lesione psico-fisica, ben possono essere definiti come danno parentale, attenendo alla sfera relazionale della persona, autonomamente e specificamente configurabile allorquando la sofferenza e il dolore non rimangano più allo stato intimo ma evolvano, seppure non in “degenerazioni patologiche” integranti il danno biologico, in pregiudizi concernenti aspetti relazionali della vita, ovvero lo sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di un congiunto, poiché il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2,29 e 30 Cost.). Il danno da perdita del rapporto parentale, infatti, viene definito come quel danno che va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti (così Cass. civ., sez. 3, 09/05/2011, n. 10107).

L’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, favorita dagli spunti ricostruttivi offerti dalla dottrina, ha dimostrato la fallacia della nozione di danno riflesso o “da rimbalzo”, evidenziando come la genesi dei pregiudizi, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dai congiunti della vittima non si configuri come propagazione alle vittime secondarie delle conseguenze dell’illecito e, dunque, del primo e unico evento lesivo, ma, piuttosto, come causazione di una pluralità di eventi dannosi coincidenti con la lesione di altrettanti interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico in titolarità di diversi soggetti; come osservato in dottrina, l’illecito plurioffensivo è il risultato di un’indagine condotta in punto di rapporto di causalità: non è una prima lesione a riflettersi sulla persona di altri, ma un unico illecito che colpisce più soggetti (in questo senso si esprime Cass., sez. 3, 08/04/2020, n. 7748).

Ne discende, come ben rilevato dalla Corte d’Appello, che impropriamente la ricorrente, a supporto delle censure, fa leva sul concetto di danno riflesso e sulla distinzione fra vittima primaria e vittima secondaria>>.

In tema si v. ora: – Rossetti, La liquidazione equitativa del danno, vol. 1, art. 1226, in Il cod. civ. Comm. coord. da Busnelli-Ponzanelli, Giuffrè, 2025, 297 ss, spt. sub E) a p. 307 ss; – Spera, Responsabilità civile e danno alla persona, Giuffrè, 2025, 909 ss.

Sul danno da perdita del rapporto parentale

Cass. sez. III, ord. 22/04/2024  n. 10.765, rel. Vincenti:

sulla responsabilità contrattuale medica:

<<6.1.2. – Quanto al primo e al secondo motivo, giova premettere che è principio consolidato quello secondo cui, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria (come nel caso in esame), incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di una nuova malattia (e ciò, come detto, in base alla regola del “più probabile che non”) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza (tra le molte: Cass. n. 26700/2018; Cass. n. 27606/2019; Cass. n. 28991/2019; Cass. n. 26907/2020).

Va, altresì, ricordato che le linee guida, in ambito di attività medico-chirurgica, non hanno rilevanza normativa o “parascriminante”, non essendo né tassative, né vincolanti; conseguentemente, pur rappresentando un parametro utile nell’accertamento dei profili di colpa medica, esse non valgono ad eliminare la discrezionalità del giudice di valutare se le circostanze del caso concreto esigano una condotta diversa da quella prescritta nelle medesime linee guida (tra le altre: Cass. n. 34516/2023).

La Corte territoriale si è attenuta ai principi anzidetti, reputando (cfr. sintesi al par. 2 del “Ritenuto che”, cui si rinvia), sulla scorta del compendio probatorio acquisito agli atti (e, segnatamente, della CTU espletata in primo grado), sussistente, in applicazione della predetta regola probatoria, il nesso causale tra la condotta dei medici (operanti come ausiliari della struttura sanitaria) che hanno eseguito l’intervento chirurgico di sutura del tendine d’Achille su Fa.Mi. (intervento pur “di chirurgia ortopedica minore”, ma in concreto comportante un elevato rischio di complicanza tromboembolica per la lunga immobilizzazione dell’arto) e il decesso del paziente per arresto cardiocircolatorio in seguito a trombosi venosa profonda, individuando nella mancata somministrazione di eparina postoperatoria (suggerita dalla stessa letteratura medica specialistica precedente all’intervento chirurgico, avvenuto nell’ottobre 2000) e nella carenza di adeguate indagini preoperatorie sulle patologie cardiache a carico del Fa.Mi. (oltre alla trascuratezza dell’ulteriore fattore di rischio “incrementativo” costituito dal sovrappeso pur non elevato) l’inadempimento, come detto eziologicamente rilevante, della prestazione sanitaria>>.

Sulla determinazinedel danno da perdita del rapporto parentale:_

<<6.1.3.1. – Avuto, poi, riguardo alla liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale, occorre premettere che l’orientamento di questa Corte si è andato consolidando nel senso che, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno anzidetto deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella (Cass. n. 10579/2021; Cass. n. 26300/2021; Cass. n. 37009/2022; Cass. n. 5948/2023; Cass. n. 8265/2023; Cass. n. 13540/2023; Cass. n. 36560/2023).

In siffatti termini, si è, quindi, ritenuto che a tanto potessero soddisfare le tabelle di liquidazione predisposte dal Tribunale di Roma e, quindi, anche quelle del Tribunale di Milano predisposte nel 2022 (così, segnatamente, le citate Cass. n. 37009/2022, Cass. n. 5948/2023 e Cass. n. 8265/2023).

Quanto, poi, alla rilevanza processuale del criterio tabellare ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, l’onere del danneggiato è quello di chiedere che la liquidazione avvenga in base alle tabelle, ma non anche quello di produrle in giudizio, in quanto esse, pur non costituendo fonte del diritto, integrano il diritto vivente nella determinazione del danno non patrimoniale conforme a diritto (Cass. n. 33005/2021; Cass. n. 20292/2022).

La Corte territoriale ha liquidato il danno da perdita del rapporto parentale subito dagli attori facendo riferimento alle tabelle romane e indicando le circostanze di fatto in concreto rilevanti per determinare l’importo risarcitorio, ossia quelle dell’età, del grado di parentela e della convivenza della vittima, così da fornire contezza dei parametri legati alla concreta vicenda processuale sui quali operare la determinazione del quantum debeatur.

In tale contesto, la mancata indicazione dei coefficienti monetari contemplati dalle tabelle anzidette non è circostanza tale da rendere la motivazione che sorregge l’impugnata sentenza “apparente” (e, dunque, al di sotto del c.d. “minimo costituzionale”), né tale da ledere il diritto di difesa dell’appellante, non avendo la stessa lamentato che di dette tabelle – di cui il giudice di appello fa espresso riferimento – non si sia discusso nei giudizi di merito e che, quindi, la relativa applicazione non sia stata fatta oggetto di previa allegazione e richiesta di applicazione e, quindi, conosciute dalla stessa ASL Roma 2>>.

Responsabilità aquiliana da lesione del rapporto parentale è aquiliana, prescrizione e potere del giudice di qualificare la domanda

Cass. sez. III, sent. 05/02/2024 n. 3.267, rel. Rubino:

<<Le figlie della vittima, sig. Bo.Ma., agiscono per il risarcimento del danno iure proprio patito a causa della perdita del rapporto parentale col padre. La loro azione è stata correttamente inquadrata dal giudice di merito nell’ambito della responsabilità extracontrattuale fatta valere nei confronti della struttura sanitaria.

Non è invocabile in riferimento all’azione proposta, contrariamente a quanto auspicato dalle ricorrenti, la figura del contratto con effetti protettivi anche nei confronti del terzo, al fine di ricondurla nell’alveo della responsabilità contrattuale, in quanto è giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte l’affermazione secondo la quale il rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura sanitaria o il medico non produce, di regola, effetti protettivi in favore dei terzi, fatta eccezione per il peculiare e circoscritto campo delle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione, in cui il contratto concluso dalla gestante con la struttura sanitaria, avente ad oggetto le prestazioni sanitarie correlate alla nascita del bambino, per la peculiarità dell’oggetto, è idoneo ad incidere in modo diretto anche sulla posizione di quei soggetti diversi dalla gestante, ma ad essa inscindibilmente legati nel comune interesse al miglior andamento del parto, ovvero del nascituro e del padre, sì da farne scaturire una tutela estesa a tali soggetti (Cass. n. 14615 2020, in cui la Corte ha escluso la spettanza dell’azione contrattuale “iure proprio” agli eredi di un soggetto ammalatosi e poi deceduto a causa di infezione da HCV contratta a seguito di emotrasfusioni eseguite presso un ospedale, precisando che essi avrebbero potuto eventualmente beneficiare della tutela aquiliana per i danni da loro stessi subiti; v. anche Cass. n. 11320 del 2022).

Al di fuori di questa peculiare situazione trova invece applicazione, in relazione al contratto stipulato dal paziente col medico con o la struttura sanitaria, il principio generale di cui all’art. 1372, comma 2, c.c., secondo il quale il contratto non produce effetti nei confronti dei terzi se non nei casi previsti dalla legge, con la conseguenza che l’autonoma pretesa risarcitoria vantata dai congiunti del paziente per i danni ad essi derivati dall’inadempimento dell’obbligazione contratta dalla struttura sanitaria nei confronti del loro congiunto rileva nei loro confronti come illecito aquiliano e si colloca nell’ambito della responsabilità extracontrattuale (da ultimo, in questo senso, Cass. n. 14258 del 2020, Cass. n. 21404 del 2021; Cass. n. 11320 del 2022; Cass. n. 28959 del 2023).

La responsabilità della struttura sanitaria per i danni da perdita del rapporto parentale, invocati iure proprio dai congiunti di un paziente deceduto, è dunque qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e dall’altro i parenti di quest’ultimo non rientrano nella categoria dei “terzi protetti dal contratto”, potendo postularsi l’efficacia protettiva verso i terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l’interesse, del quale tali terzi siano portatori, risulti anch’esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale>>.

E poi sulla regola iura novit curia:

<<Deve ritenersi che la domanda, nel suo nucleo immodificabile, va identificata non in relazione al diritto sostanziale eventualmente indicato dalla parte e considerato alla stregua dei fatti costitutivi della fattispecie normativa (che costituisce oggetto dell’attività qualificatoria rimessa al giudice), ma esclusivamente in base al bene della vita (sia esso la res o l’utilità ritraibile come effetto della pronuncia giudiziale) ed ai fatti storici-materiali che delineano la genesi e lo svolgimento della fattispecie concreta, così come descritta dalle parti e portata a conoscenza del Giudice.

Con la conseguenza che se i “fatti materiali”, come ritualmente allegati hinc et inde, rimangono immutati, è compito del giudice individuare quali tra essi assumano rilevanza giuridica, in relazione alla individuazione della fattispecie normativa astratta in cui tali fatti debbono essere sussunti, indipendentemente dal tipo di diritto indicato dalla parte. In tal senso si giustificano, del resto, le ipotesi di “cumulabilità” della domanda di risarcimento danni, là dove, a tutela del medesimo bene della vita, vengono a “concorrere” sia l’azione contrattuale che quella extracontrattuale, in quanto la modifica della azione non comporta il mutamento del quadro fattuale mediante allegazione di una diversa “condotta materiale”, lesiva dell’interesse giuridico protetto (in questo senso Cass. n. 10049 del 2022, che richiama a sua volta, ex aliis, Cass. 25/09/2018, n. 22540, secondo cui non immuta la “vicenda sostanziale” oggetto del giudizio, la sostituzione dell’originaria domanda del terzo trasportato, tesa a far valere la responsabilità del proprietario del veicolo fondata sul contratto di trasporto concluso tra le parti, con un’altra basata sulla presunzione di responsabilità del proprietario medesimo, ex art. 2054 cod. civ.).

Seguendo tale impostazione ci si allontana dal momento qualificativo astratto ex ante degli elementi giuridici identificativi della domanda, come riferibili ad una determinata fattispecie legale, dovendo invece procedersi progressivamente — secondo la evoluzione della attività allegatoria e deduttiva delle parti — alla esatta configurazione giuridica della pretesa, una volta che risultino compiutamente definiti ed immutati i fatti storici allegati dalla parte a sostegno della richiesta di tutela del bene della vita, elementi che vengono quindi a costituire il nucleo essenziale della domanda (v. Cass. 15/09/2020, n. 19186). L’esatta qualificazione della domanda proposta è quindi compito del giudice, che deve muoversi beninteso nel perimetro delle allegazioni dalle parti per non alterare il contraddittorio.

6.4. – Calando il discorso nel concreto, le signore Bo.Si. e Bo.Ba. hanno chiesto il risarcimento del danno subito, prospettando una responsabilità (contrattuale o extracontrattuale che essa fosse) della struttura sanitaria per aver dato causa alla morte del padre: in senso ampio sono formulate infatti le conclusioni originariamente contenute nell’atto di citazione, riportate a pag. 4 del ricorso. Hanno introdotto il fatto, di possibile rilevanza anche penalistica, della morte del padre in conseguenza del negligente operato dei medici. Hanno poi privilegiato la ricostruzione, a sé più favorevole, in termini di responsabilità contrattuale, ma la domanda è stata proposta ad ampio raggio.

Nel caso di specie, dunque, i fatti storici materiali posti a fondamento della dedotta responsabilità dell’azienda convenuta sono rimasti inalterati nel corso del giudizio (contatto del paziente con il pronto soccorso dell’ospedale – omessa diagnosi di infarto – dimissioni del paziente senza avvia di alcuna terapia, cui faceva seguito a due giorni di distanza la morte) e non sono incompatibili con una qualificazione dell’azione in termini di responsabilità extracontrattuale.

Sul punto non può ritenersi si fosse formato alcun giudicato interno: come rappresentato dal Pubblico Ministero, in appello era ancora in gioco la questione, dirimente, se la responsabilità fosse contrattuale o extracontrattuale. Il gravame era volto a contestare la riconduzione dell’illecito nell’area della responsabilità aquiliana piuttosto che nell’area della responsabilità contrattuale. Di conseguenza, entrambi i titoli di responsabilità erano, e sono restati, in discussione, nel corso del giudizio di impugnazione. Parallelamente, la discussione verteva sulla durata e sulla decorrenza della prescrizione.

L’illecito ipotizzato a carico dell’ospedale, il cui reparto di Pronto Soccorso non avrebbe individuato tempestivamente la patologia infartuale miocardica in atto, dimettendo il paziente senza ulteriori accertamenti e determinandone la morte nell’arco di due giorni, sarebbe riconducibile, ove positivamente accertato nel suo elemento materiale e nel nesso causale tra la condotta dei sanitari e l’evento infausto, alla ipotesi di rilevanza penale, astrattamente configurabile, dell’omicidio colposo. Così qualificato l’illecito, e ricondotto alla fattispecie di astratta rilevanza penalistica, il termine di prescrizione applicabile per l’azione di danni proposta iure proprio è quindi non il termine ordinario quinquennale, ritenuto applicabile dalla corte d’appello, ma il più lungo termine di prescrizione decennale previsto per il reato, applicabile ratione temporis (in quanto solo con la legge n. 251 del 2005, entrata in vigore l’8 dicembre 2005, e quindi non applicabile al caso di specie, che ha modificato, tra l’altro, il regime della prescrizione, è stata ridotta la durata del termine di prescrizione previsto per l’omicidio colposo a sei anni).

Si tratta peraltro di un principio più volte già affermato da questa Corte in relazione all’ipotesi dell’azione proposta iure proprio dai congiunti in dipendenza della morte di un componente della famiglia provocata da trasfusione di sangue infetto: “La responsabilità del Ministero della Salute per i danni da trasfusione di sangue infetto ha natura extracontrattuale, sicché il diritto al risarcimento è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2947, comma 1, c.c., non essendo ipotizzabili figure di reato (epidemia colposa o lesioni colpose plurime) tali da innalzare il termine ai sensi dell’art. 2947, comma 3, c.c.. ne consegue che in caso di decesso del danneggiato a causa del contagio, la prescrizione rimane quinquennale per il danno subito da quel soggetto in vita, del quale il congiunto chieda il risarcimento “iure hereditatis”, trattandosi pur sempre di un danno da lesione colposa, reato a prescrizione quinquennale (alla data del fatto), mentre la prescrizione è decennale per il danno subito dai congiunti della vittima “iure proprio”, in quanto, da tale punto di vista, il decesso del congiunto emotrasfuso integra omicidio colposo, reato a prescrizione decennale (alla data del fatto)” (Cass. n. 20882 del 2018; Cass. n.7553 del 2012)>>.

Sulla (non) risarcibilità del c.d. danno tanalogico e del danno non patrimoniale: sintesi del diritto vivente

Quasi una lectio magistralis in Cass. sez. 3 del 27.12.2023 n. 35.998, rel. Porreca, sul tema in oggetto:

<< – in ipotesi di condotta colpevole del sanitario cui sia conseguita la perdita anticipata della vita, perdita che si sarebbe comunque verificata, sia pur in epoca successiva, per la pregressa patologia del paziente, non è concepibile, né logicamente né giuridicamente, un danno da “perdita anticipata della vita” trasmissibile “iure successionis”, non essendo predicabile, nell’attuale sistema della responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico (Cass., 19/09/2023, n. 26851);

– è possibile, dunque, discorrere (risarcendolo) di “danno da perdita anticipata della vita”, con riferimento al diritto “iure proprio” degli eredi, rappresentato dal pregiudizio da minor tempo vissuto dal congiunto (Cass., n. 26851 del 2023, cit.);

– in ipotesi di morte del paziente dipendente (anche) dall’errore medico, qualora l’evento risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, tale ultima dovendosi ritenere lo stato patologico non riferibile alla prima, l’autore del fatto illecito risponde “in toto” dell’evento eziologicamente riconducibile alla sua condotta, in base ai criteri di equivalenza della causalità materiale, potendo l’eventuale efficienza concausale dei suddetti eventi naturali rilevare esclusivamente sul piano della causalità giuridica, ex art. 1223 c.c., ai fini della liquidazione, in chiave complessivamente equitativa, dei pregiudizi conseguenti, ascrivendo all’autore della condotta un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose da rapportare, invece, all’autonoma e pregressa situazione patologica del danneggiato (Cass., n. 26851 del 2023, cit., in cui si richiama l’ormai costante giurisprudenza sul punto);

e’ stato sottolineato (Cass., n. 26851 del 2023, pag. 17) che quando la vittima è già deceduta al momento dell’introduzione del giudizio da parte degli eredi “non è concepibile, né logicamente né giuridicamente, un “danno da perdita anticipata della vita” trasmissibile iure successionis (Cass., 04/03/2004, n. 4400, Cass. n. 5641 del 2018, … e Cass., Sez. U., n. 15350 del 2015,…), non essendo predicabile, nell’attuale sistema della responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico.

Esemplificando, causare la morte d’un ottantenne sano, che ha dinanzi a sé cinque anni di vita sperata, non diverge, ontologicamente, dal causare la morte d’un ventenne malato che, se correttamente curato, avrebbe avuto dinanzi a sé ancora cinque anni di vita.

L’unica differenza tra le due ipotesi sta nel fatto che, nel primo caso, la vittima muore prima del tempo che gli assegnava la statistica demografica, mentre, nel secondo caso, muore prima del tempo che gli assegnava la statistica e la scienza clinica: ma tale differenza non consente di pervenire ad una distinzione “morfologica” tra le due vicende, così da affermare la risarcibilità soltanto della seconda ipotesi di danno.

E’ possibile, dunque, discorrere (risarcendolo) di “danno da perdita anticipata della vita”, con riferimento al diritto iure proprio degli eredi, solo definendolo il pregiudizio da minor tempo vissuto ovvero da valore biologico relazionale residuo di cui non si è fruito, correlato al periodo di tempo effettivamente vissuto….

In conclusione, nell’ipotesi di un paziente che, al momento dell’introduzione della lite, sia già deceduto, sono, di regola, alternativamente concepibili e risarcibili iure hereditario, se allegati e provati, i danni conseguenti:

a) alla condotta del medico che abbia causato la perdita anticipata della vita del paziente (determinata nell’an e nel quantum), come danno biologico differenziale (peggiore qualità della vita effettivamente vissuta), considerato nella sua oggettività, e come danno morale da lucida consapevolezza della anticipazione della propria morte, eventualmente predicabile soltanto a far data dall’altrettanto eventuale acquisizione di tale consapevolezza in vita;

b) alla condotta del medico che abbia causato la perdita della possibilità di vivere più a lungo (non determinata né nell’an né nel quantum), come danno da perdita di chances di sopravvivenza.

In nessun caso sarà risarcibile iure hereditario, e tanto meno cumulabile con i pregiudizi di cui sopra, un danno da “perdita anticipata della vita” con riferimento al periodo di vita non vissuta dal paziente”;

pertanto, “quando sia certo che la condotta del medico abbia provocato (o provocherà) la morte anticipata del paziente, la morte stessa diviene, di regola, evento assorbente di qualsiasi considerazione sulla risarcibilità di chance future, salvo quanto si dirà…

Nell’esigenza di pervenire ad una terminologia chiara e condivisa, va pertanto chiarito che:

a) vivere in modo peggiore, sul piano dinamico-relazionale, la propria malattia negli ultimi tempi della propria vita a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, rappresenta un danno biologico (differenziale);

b) nel contempo, trascorrere quegli ultimi tempi della propria vita con l’acquisita consapevolezza delle conseguenze sulla (ridotta) durata della vita stessa a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, costituisce un danno morale, inteso come sofferenza interiore e come privazione della capacità di battersi ancora contro il male;

c) perdere la possibilità, seria apprezzabile e concreta, ma incerta nell’an e nel quantum, di vivere più a lungo a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, è un danno da perdita di chance;

d) la perdita anticipata della vita per un tempo determinato a causa di un errore medico in relazione al segmento di vita non vissuta, è un danno risarcibile non per la vittima, ma per i suoi congiunti, nei termini prima chiariti, quale che sia la durata del “segmento” di esistenza cui la vittima ha dovuto rinunciare.

…deve concludersi che non vi è spazio, in linea generale, per sovrapposizioni concettuali tra istituti speculari (chance e perdita anticipata della vita), salvo che si chiariscano e si accertino, motivando rispetto alla concreta fattispecie, le differenze come sinora ricostruite. Ne consegue, pertanto, che:

a) nel caso di perdita anticipata della vita (una vita che sarebbe comunque stata perduta per effetto della malattia) sarà risarcibile il danno biologico differenziale (nelle sue due componenti, morale e relazionale: art. 138 nuovo testo c.a.p.), sulla base del criterio causale del “più probabile che non”: l’evento morte della paziente, verificatasi in data X, si sarebbe verificata, in assenza dell’errore medico, dopo il tempo (certo) X+Y, dove Y rappresenta lo spazio temporale di vita non vissuta: il risarcimento sarà riconosciuto, con riferimento al tempo di vita effettivamente vissuto – e non a quello non vissuto, che rappresenterebbe un risarcimento del danno da morte (riconoscibile, viceversa, iure proprio, ai congiunti) stante l’irrisarcibilità del danno tanatologico – in tutti i suoi aspetti, morali e dinamico-relazionali, intesi tanto sotto il profilo della (eventuale) consapevolezza che una tempestiva diagnosi e una corretta terapia avrebbero consentito un prolungamento (temporalmente determinabile) della vita che va a spegnersi, quanto sotto quello della invalidità permanente “differenziale” (la differenza, cioè, tra le condizioni di malattia effettivamente sopportate e quelle, migliori, che sarebbero state consentite da una tempestiva diagnosi e da una corretta terapia);

b) il danno da perdita di chance di sopravvivenza sarà invece risarcito, equitativamente, volta che, da un lato, vi sia incertezza sull’efficienza causale della condotta illecita quoad mortem, ma, al contempo, vi sia certezza eziologica che la condotta colpevole abbia cagionato la perdita della (come detto apprezzabile) possibilità di vivere più a lungo (possibilità non concretamente accertabile nel quantum né predicabile quale certezza nell’an, a differenza che nell’ipotesi sub a). La valutazione equitativa di tale risarcimento non sarà, dunque, parametrabile, sia pur con le eventuali decurtazioni, né ai valori tabellari previsti per la perdita della vita, né a quelli del danno biologico temporaneo;

c) il danno da perdita anticipata della vita e il danno da perdita di chance di sopravvivenza, di regola, non saranno né sovrapponibili né congiuntamente risarcibili, pur potendo eccezionalmente costituire oggetto di separata ed autonoma valutazione qualora l’accertamento si sia concluso nel senso dell’esistenza di un danno tanto da perdita anticipata della vita, quanto dalla possibilità di vivere ancora più a lungo, qualora questa possibilità non sia quantificabile temporalmente, ma risulti seria, concreta e apprezzabile, e sempre che entrambi i danni siano riconducibili eziologicamente (secondo i criteri rispettivamente precisati) alla condotta colpevole dell’agente.

…fermo il generale principio, come sopra espresso, della generale irrisarcibilità dell’ulteriore danno da perdita di chance in presenza di un danno da perdita anticipata della vita, in via eccezionale possono darsi ipotesi in cui il Giudice di merito ritenga, anche sulla base della prova scientifica acquisita, che, oltre al tempo determinato di vita anticipatamente perduta, esista, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, la seria, concreta e apprezzabile possibilità (sulla base dell’eziologica certezza della sua riconducibilità all’errore medico) che, oltre quel tempo, il paziente avrebbe potuto sopravvivere ancora più a lungo. In tal caso, sempre che e soltanto se tale possibilità non si risolva in una mera speranza, ovvero si collochi in una dimensione di assoluta incertezza eventistica, che non attinga la soglia di quella seria, concreta, apprezzabile possibilità (come lascerebbe intendere, in via di presunzione semplice, l’avvenuta morte, benché anticipata, del paziente), tale ulteriore e diversa voce di danno risulterà concretamente e limitatamente risarcibile, in via equitativa, al di là e a prescindere dai parametri (sia pur diminuiti percentualmente) relativi al danno biologico e al quello da premorienza”;

nel caso di specie, è stato accertato in fatto che, senza l’omissione del sanitario, colposamente causale, la vittima, deceduta per infarto due giorni dopo, avrebbe “più probabilmente che non” vissuto un periodo di vita determinato, di sette anni, come tale risarcibile “iure proprio” non “iure successionis”, in linea con quanto osservato anche dal Pubblico Ministero;

si osserva che quanto alla sussistenza della domanda di risarcimento del danno “non patrimoniale, “iure proprio”, in conseguenza della perdita di una persona cara”, essa, da correlare ai principî appena riaffermati, risulta da ciò che lo stesso ricorso, nella corretta cornice di specificità regolata dall’art. 366 c.p.c., n. 6, riporta alle pagine 15 e 16;

per quanto appena detto, non viene invece in discussione la domanda di danno “iure proprio” da perdita di “chance”;>>