Sulla compensabilità lucri cum damno nel rapporto tra risarcimento del danno da emotrasfusione e indennizzo ex L. 210/1992

La compensabilità opera solo per il risarcimento da invalidità permanente, non per quello da temporanea, dice Cass. sez. III, ord. 19/02/2024 n. 4.415, rel. Scoditti:

<<Il Collegio intende dare continuità all’indirizzo di questa Corte secondo cui in caso di responsabilità per contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, opera la “compensatio lucri cum damno” fra l’indennizzo ex l. n. 210 del 1992 e il risarcimento del danno anche laddove solo in apparenza non sussista coincidenza fra il danneggiante e il soggetto che eroga la provvidenza, allorquando possa comunque escludersi che, per effetto del diffalco, si determini un ingiustificato vantaggio per il responsabile, benché la l. n. 210 del 1992 non preveda un meccanismo di surroga e rivalsa sul danneggiante in favore di chi abbia erogato l’indennizzo. (…)

Come affermato dalla prima pronuncia che ha inaugurato l’indirizzo in discorso, “l’erogazione dell’indennizzo, originariamente gravante sul Ministero della Salute, è stata successivamente demandata alle Regioni, per effetto del D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 114 (e dei D.P.C.M. 26 maggio 2000, D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e D.P.C.M. 24 luglio 2003, sia pur fatta salva la persistente legittimazione passiva del Ministero nelle controversie volte al riconoscimento dell’indennizzo, ai sensi dell’art. 123 medesimo D.Lgs.: cfr. Cass., S.U. n. 12538/2011; cfr. anche Cass. n. 6336/2014 e Cass. n. 8957/2018): nella materia sussiste, pertanto, una legittimazione processuale passiva soltanto formale del Ministero, attesa l’attribuzione delle relative funzioni amministrative alle Regioni, che godono (e dispongono in via autonoma), allo scopo, di trasferimenti di risorse dal bilancio statale e che risultano, conseguentemente, i soggetti materialmente obbligati all’erogazione della prestazione indennitaria;  le Regioni, in particolare, operano nell’ambito delle funzioni di tutela pubblica della salute che sono proprie del Servizio Sanitario Nazionale, di cui costituiscono articolazioni anche le aziende sanitarie locali, alimentate in massima parte con finanziamenti che, dallo Stato, vengono trasferiti in parte qua alle singole Regioni stesse; alla pluralità dei soggetti operanti in campo sanitario (Regioni e Aziende) corrispondono la comunanza delle finalità, la convergenza delle attività e una commistione delle risorse finanziarie che consentono di individuare – sul piano sostanziale – un’unica “parte pubblica”, pur variamente articolata sul piano delle strutture e delle soggettività giuridiche, che è chiamata a rapportarsi con chi sia stato danneggiato da emotrasfusioni, provvedendo all’erogazione dell’indennizzo e all’eventuale risarcimento del danno >>.

Manandando al punto:

<<Benché aventi la stessa natura giuridica, il danno per invalidità temporanea e quello per invalidità permanente hanno presupposti di fatto diversi (Cass. n. 16788 del 2015). Devono, in particolare, formare oggetto di autonoma valutazione il pregiudizio da invalidità permanente – con decorrenza dal momento della cessazione della malattia e della relativa stabilizzazione dei postumi – e quello da invalidità temporanea – da riconoscersi come danno da inabilità temporanea totale o parziale ove il danneggiato si sia sottoposto a periodi di cure necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidità residuato al fatto lesivo o impedirne l’aumento, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto – (Cass. n. 7126 del 2021). Più precisamente, l’invalidità temporanea perdura in relazione alla durata della patologia e viene a cessare o con la guarigione, con il pieno recupero delle capacità anatomo-funzionali dell’organismo, o, al contrario, con la morte, ovvero ancora con l’adattamento dell’organismo alle mutate e degradate condizioni di salute (cd. stabilizzazione); in tale ultimo caso, il danno biologico subito dalla vittima dev’essere liquidato alla stregua di invalidità permanente (Cass. n. 35416 del 2022).

L’indennizzo di cui all’art. 2 legge n. 210 del 1992, che è stato scomputato dall’importo liquidato dal Tribunale, è riconosciuto a “chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica”. Esso è pertanto correlato all’invalidità permanente. Il danno che è stato riconosciuto dalla sentenza del Tribunale è invece quello relativo all’invalidità temporanea. I presupposti di fatto delle due attribuzioni patrimoniali, pur accomunate dalla medesima condotta lesiva e dal medesimo evento di danno, sono diversi, posto che l’una risarcisce l’inabilità temporanea, l’altra indennizza la menomazione permanente. L’eterogeneità del presupposto di fatto impedisce di configurare l’ingiustificato arricchimento che presiede all’istituto della compensatio lucri cum damno>>.

Pertanto il pricnipio di diritto: : “nel giudizio promosso per il risarcimento dei danni conseguenti al contagio a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l’indennizzo previsto dall’art. 2, comma 3, della l. n. 210 del 1992, non deve essere scomputato, in applicazione del principio della “compensatio lucri cum damno”, dalle somme liquidabili a titolo risarcitorio per l’invalidità temporanea”.

Risarcimento del danno alla persona da fatto illecito e già erogato indennizzo INAIL: come coordinarli?

Risponde con ordinanza, assai utile a fini pratici, Cass. 31.10.2023 n. 30.293, rel. Iannello, sez. 3:

<<Secondo il principio affermato, in tema di compensatio lucri cum damno, da Cass. Sez. U. n. 12566 del 22/05/2018, i pagamenti effettuati dall’assicuratore sociale riducono il credito risarcitorio vantato dalla vittima del fatto illecito nei confronti del responsabile, quando l’indennizzo abbia lo scopo di ristorare il medesimo pregiudizio del quale il danneggiato chiede di essere risarcito.

Ciò posto, e considerata la diversità strutturale e funzionale dell’indennizzo corrisposto dall’assicuratore sociale (Inail) nel caso di infortunio rispetto al risarcimento civilistico del danno da lesione della salute, il criterio più coerente al detto principio per calcolare il credito risarcitorio residuo del danneggiato nei confronti del terzo responsabile (e cioè il c.d. danno differenziale) non è certo quello – che di fatto risulta applicato dai giudici di merito – di sottrarre tout court per intero l’indennizzo Inail dal credito risarcitorio che sia stato “a monte” calcolato e non è nemmeno quello di operare tale sottrazione secondo “poste omogenee” (vale a dire distinguendo all’interno dell’indennizzo Inail le soli due grandi poste del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale e sottraendo tout court l’importo complessivamente liquidato per quest’ultima categoria di danno), ma è piuttosto quello di sottrarre l’indennizzo Inail dal credito risarcitorio solo quando l’uno e l’altro siano stati destinati a ristorare pregiudizi identici (criterio per “poste identiche” e non per “poste omogenee”: v. Cass. Sez. 3 n. 26117 del 27/09/2021)><.

Assai commendevolmente la SC si pone il problema dell’applicazione conseguente:

<<Per meglio comprendere l’importanza di tale operazione sarà utile ricordare quali pregiudizi sono indennizzati dall’Inail, per poi esaminare in che conto debbano essere tenuti i relativi indennizzi al momento della liquidazione del danno differenziale>>.

E subito dopo dettaglia :

<<5. Nel caso di infortunio non mortale, l’Inail esegue in favore della vittima quattro prestazioni principali:

a) eroga una somma di denaro a titolo di ristoro del danno biologico permanente (D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13); tale importo viene liquidato in forma di capitale per le invalidità comprese tra il 6 e il 16%, ed in forma di rendita per le invalidità superiori;

b) eroga una somma di denaro a titolo di ristoro del danno (patrimoniale) da perdita della capacità di lavoro; tale danno è presunto juris et de jure nel caso di invalidità eccedenti il 16% e viene indennizzato attraverso una maggiorazione della rendita dovuta per il danno biologico permanente (art. 13, comma 2, lett. b), D.Lgs. cit., a tenore del quale: “le menomazioni di grado pari o superiore al 16 per cento danno diritto all’erogazione di un’ulteriore quota di rendita… commisurata… alla retribuzione dell’assicurato… per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali”); tale maggiorazione è calcolata moltiplicando la retribuzione del danneggiato per un coefficiente stabilito dall’Allegato 6 al D.M. 12 luglio 2000;

c) eroga una indennità giornaliera per il periodo di assenza dal lavoro, commisurata alla retribuzione e decorrente dal quarto giorno di assenza (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 68);

d) si accolla le spese di cura, di riabilitazione e per gli apparecchi protesici (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 66).

L’Inail, dunque, non indennizza il danno biologico temporaneo, non accorda alcuna “personalizzazione” dell’indennizzo per tenere conto delle specificità del caso concreto, non indennizza i pregiudizi non patrimoniali non aventi fondamento medico-legale (ovvero i pregiudizi morali).>>

Utilissima precisaizone :

<<Ne discende che:

a) se l’Inail ha pagato al danneggiato un capitale a titolo di indennizzo del danno biologico, il relativo importo va detratto dal credito risarcitorio vantato dalla vittima per danno biologico permanente, al netto della personalizzazione e del danno morale (Cass. n. 26117 del 2021, cit.; n. 9112 del 02/04/2019; n. 13222 del 26/06/2015);

b) se l’Inail ha costituito in favore del danneggiato una rendita, occorrerà innanzitutto determinare la quota di essa destinata al ristoro del danno biologico, separandola da quella destinata al ristoro del danno patrimoniale da incapacità lavorativa; la prima andrà detratta dal credito per danno biologico permanente, al netto della personalizzazione e del danno morale, la seconda dal credito per danno patrimoniale da incapacità di lavoro, se esistente;

c) poiché il credito scaturente da una rendita matura de mense in mensem, il diffalco di cui al punto b) che precede dovrà avvenire, con riferimento al danno biologico:

c’) sommando e rivalutando i ratei di rendita già riscossi dalla vittima prima della liquidazione;

c”) capitalizzando il valore della rendita non ancora erogata, in base ai coefficienti per il calcolo dei valori capitali attuali delle rendite Inail, di cui al D.M. 22 novembre 2016 (in Gazz. Uff. 19 dicembre 2016, n. 295, Suppl. Ord.) (Cass. n. 26117 del 2021, cit.; Cass. n. 25618 del 15/10/2018; n. 5607 del 07/03/2017; n. 26913 del 23/12/2016; n. 17407 del 30/08/2016);

ovviamente l’una e l’altra di tali operazioni andranno compiute sulla quota-parte della rendita omogenea al danno che si intende liquidare: e dunque la quota-parte destinata all’indennizzo del danno biologico o quella destinata all’indennizzo del danno patrimoniale, a seconda che si tratti di liquidare l’uno o l’altro;

d) il risarcimento del danno biologico temporaneo, del danno morale e della c.d. “personalizzazione” del danno biologico permanente in nessun caso potranno essere ridotti per effetto dell’intervento dell’assicuratore sociale;

e) il credito per inabilità temporanea al lavoro e quello per spese mediche di norma non porranno problemi di calcolo del danno differenziale, essendo i suddetti pregiudizi integralmente ristorati dall’Inail, salvo ovviamente che la vittima deduca e dimostri la sussistenza di pregiudizi eccedenti quelli indennizzati dall’Inail (ad esempio, per la perduta possibilità di svolgere lavoro straordinario, o per spese mediche non indennizzate dall’Inail)>>.

Così deve essere lo ius dicere: aiutare e immaginare l’applicazione reale delle regole proposte, non creare riflessioni astratte.

Tribunale di Milano con sentenza dettagliatissima sulla (non operatività della) compensatio lucri cum damno tra risarcimento del danno e indennizzo da polizza infortuni

Sull’oggetto v. l’ampio esame condotto da Trib. Milano 11/04/2023, n. 2894, Rg 4337/2020, giudice D. Spera, che esclude la compensazione, dopo accurto esame della disciplina delle polizze infrotunui, non espressamente regolate dal cc.

L’assicurtore aveva ricnuncviato alla rivalsa.

sulla polizza sub iudice. <<In definitiva, ritiene il Tribunale che la polizza stipulata dalle parti, per come in concreto articolata, risponda ad una finalità previdenziale: il sig. P.B. ha inteso cautelarsi contro il rischio di morte o invalidità permanente, sopportando il pagamento di una serie di premi e assicurandosi la possibilità di poter celermente disporre, in caso di verificazione di un evento traumatico, di una somma di denaro certa nel suo ammontare e proporzionata – in quanto ancorata ad un prescelto capitale assicurato – non già al danno effettivamente patito, ma alla propria capacità di spesa e alla propria propensione all’investimento previdenziale.
Il contratto assicurativo stipulato dal sig. P.B., quindi, lungi dall’assolvere una funzione di neutralizzazione di un pregiudizio subito, intende precipuamente garantire all’assicurato (o ai suoi familiari in caso di decesso) una provvidenza dallo stesso stimata come idonea. E ciò dovrebbe valere sia nel caso di infortunio letale, sia nel caso di trauma solo invalidante: non si vede del resto per quale ragione la finalità previdenziale (riconosciuta dalleSezioni Unite n. 5119/2002 solo per gli esiti mortali) dovrebbe mutare a seconda dell’evento – letale o non letale – che in concreto si verifica …   Sulla base delle considerazioni che precedono, si può dunque ritenere che la polizza “Fortuna” non possa essere ricondotta al genus delle assicurazioni contro i danni, stante l’ontologica diversità tra la res e la persona.
La stessa polizza però non può neppure essere ricondotta tout court al ramo delle assicurazioni sulla vita, sebbene con essa condivida la medesima finalità previdenziale, non trattandosi di assicurazione stipulata sulla “vita propria o su quella di un terzo” come prevede l’art. 1919 c.c.
Deve piuttosto ritenersi che trattasi di un contratto assicurativo dal contenuto atipico, ma riconducibile al modello generale di cui all’art. 1882, seconda parte, c.c., essendo evidente che – come affermato dalla dottrina e come ritenuto da pronunce giurisprudenziali antecedenti alla sentenza delle Sezioni Unite n. 5119/2002 – un infortunio è certamente “un evento attinente alla vita umana”..>>

<<Sulla base delle considerazioni che precedono, si può dunque ritenere che la polizza “Fortuna” non possa essere ricondotta al genus delle assicurazioni contro i danni, stante l’ontologica diversità tra la res e la persona.
La stessa polizza però non può neppure essere ricondotta tout court al ramo delle assicurazioni sulla vita, sebbene con essa condivida la medesima finalità previdenziale, non trattandosi di assicurazione stipulata sulla “vita propria o su quella di un terzo” come prevede l’art. 1919 c.c.
Deve piuttosto ritenersi che trattasi di un contratto assicurativo dal contenuto atipico, ma riconducibile al modello generale di cui all’art. 1882, seconda parte, c.c., essendo evidente che – come affermato dalla dottrina e come ritenuto da pronunce giurisprudenziali antecedenti alla sentenza delle Sezioni Unite n. 5119/2002 – un infortunio è certamente “un evento attinente alla vita umana” . (…)Alla luce delle esposte considerazioni, la polizza “Fortuna”, pur non rientrando nei due genera assicurativi disciplinati dal codice (rispettivamente agli artt. 1904 e ss. agli artt. 1919 e ss. c.c.), cionondimeno, condivide con l’assicurazione sulla vita la stessa natura previdenziale, trovando
tale contratto assicurativo ragione – per com’è articolato dalle parti attraverso la previsione della rinuncia alla rivalsa – nella precauzione di introdurre una forma di provvidenza, volta non tanto ad elidere il danno, ma a garantire all’assicurato una maggiore tranquillità economica al verificarsi di un evento avverso.       Per l’effetto, si deve ritenere che la polizza “Fortuna” stipulata dal sig. Bassi, stante la sua natura sostanzialmente previdenziale, soggiace prevalentemente alle norme dettate per l’assicurazione sulla vita, giustificandosi così l’inoperatività del principio indennitario, con la conseguenza che dalla somma liquidata a titolo di risarcimento in favore dell’attore non dev’essere scomputato l’indennizzo corrisposto dalla Zurich Insurance PL >>

Sulla liquidazione del danno da violazione brevettuale, giunge una messa a punto della Corte d’Appello ambrosiana

Appello Milano del 14 maggio 2020, Rg 2667/2018 n. 1094/2020,  Caimi 1 spa contro Ima spa e Gima spa, decide l’impugnazione su una questione di violazioni brevettuali.

Qui non esamino il merito relativo alla validità e violazione del brevetto, ma solo quello su altre domande (risarcimento del danno spt.)

La sentenza è molto lunga e il relatore ha trovato una modalità grafico-espositiva chiara e comprensibile , nonostante la complessità delle questioni trattate e dei punti di vista da esporre (Tribunale, parte,  controparte, Corte d’Appello -in seguito anche solo <CdA>-)

La questione risarcitoria è trattata nella parte seconda, pagine 41 ss

i fatti di causaCama 1 produce macchine imballatrici e nel caso specifico macchine astucciatrici per cialde di caffè.   Viene contattata da una certa Mother Parkers (poi: MP) per una vendita sul mercato nordamericano. Cama 1  è però già legata contrattualmente ad una concorrente di MP , per cui declina la proposta commerciale. MP si rivolge quindi a Gima/Ima (l’una è la società operativa, l’altra la capogruppo) la quale fornisce le 5 linee complete di imballaggio contenenti la macchina astucciatrice su cui c’era il brevetto di Cama 1.

Ecco dunque alcuni passaggi interessanti

la royalty – Secondo il tribunale il tasso di royalty medio del settore machine tools è circa il 5% dei ricavi , p. 42 ss. Poi aggiunge (secondo quanto riferito dalla CdA):

<Il  criterio  della royalty media, ai fini dell’applicazione dell’art. 125 c. 2 D.Lvo 30/2005, in quanto criterio di risarcimento solo minimale, nel caso di violazione brevettuale, può e deve essere integrato al fine di garantire un’equa riparazione della violazione e di indennizzare tutte le perdite,  effettivamente subite  dalla  parte  lesa,  al  fine  di  evitare  che  il  risultato  del  calcolo  non  sia  economicamente  premiale per l’autore della contraffazione del brevetto. Pertanto  in  via  equitativa  la royalty, applicabile  al  caso  di  specie,doveva  essere determinata  nella misura dell’ 8% anziché  del  5%  dei  ricavi  complessivi  derivati  dalla  vendita  delle  astucciatrici,  così determinando il danno risarcibile a tale proposito nella misura di € 231.652>, p.42/3

Questo il Tribunale in primo grado

Interviene su ciò la CdA, sub B pagina 49

Secondo la Cda , Cama 1 non ha subito perdite di guadagno, visto che era comunque impegnata in esclusiva con un concorrente e non avrebbe potuto vendere la sua macchina astucciatrice a MP in quanto concorrente della sua controparte  nel Nord America.

Pertanto la vendita illecita ha procurato sì un utile a Gima/Ima ma non ha sottratto guadagni a Cama 1.

Sul recupero dei profitti   –   la Corte , ricordati l’articolo 125 CPI e la Direttiva, chiosa: <Con  riguardo  al  contraffattore  inconsapevole  il  risarcimento  può  essere  determinato solo in  misura pari al recupero dei profitti o ai danni che possono essere predeterminati;pare evidente, però,che tale risarcimento non può mai essere superiore a quello posto a carico del contraffattore consapevole>, p. 51 in fondo.

Subito dopo aggiunge:

<Pare altresì evidente  che anche l’ipotesi di risarcimento di cui alla lettera a) del  suddetto  art.  13  c.  1 della  Direttiva 2004/48/CE per  il  caso  di  violazione  commessa  dal  contraffattore  consapevole possa avere ad oggetto anche i profitti realizzati dall’autore della violazione (visto il riferimento a “i benefici realizzati  illegalmente  dall’autore  della  violazione”) senza  alcuna specifica limitazione;  pertanto, secondo   la   disciplina   contenuta   nella direttiva   europea, il   profitto   realizzato   dal   contraffattore consapevole (che  costituirebbe  il  danno  da  risarcire  al  titolare  del  diritto  leso)  potrebbe  anche  essere maggiore rispetto al lucro cessante effettivo (cioè al mancato guadagno subito dalla parte lesa)> p.52

Secondo Gima/IMA invece la dir. consente il trasferirmento dei profitti solo se il contrattaffattore è incolpevole,  p. 52.

La Corte non è d’accordo e sostiene che è fruibile anche da parte del contraffattore consapevole: <il comma 3 dell’art. 125 D.Lvo 30/2005 introduce, come detto, la possibilità, per il titolare del diritto leso, di  ottenere, a  sua  esplicita  richiesta, a  carico  del  contraffattore  anche  consapevole, anziché  il risarcimento  commisurato  al  lucro  cessante  (determinato  in  misura  pari  alla royalty ragionevole, previsto  dal  comma  2  dello  stesso  articolo,  ovvero in  misura  pari al  suo  mancato  guadagno  effettivo, previsto dal comma 1), il risarcimento  commisurato all’importo dei profitti realizzati dall’autore della violazione, quand’anche superiore all’importo del suo mancato guadagno>,  p. 52

Qui la CdA non brilla per chiarezza concettuale (parzialmente scusabile per l’opacità del dettato normativo). Innantitutto dovremmo distinguere tra interpetazione della direttiva e intereptazione della norma nazionale, per vedere se la seconda ha attuato correttamente la prima.

Soprattutto la Corte equivoca tra risarcimento del danno (funzione compensativa)  e trasferimenot dei profitti (funzione restitutoria, se non -come pare- punitiva).

Secondo l’art. 13 dir. al c. 1 sub a)  (autore consapevole) , dir., i profitti son considerati si ma solo per determinare il lucro cessante, cioè come uno dei possibili parametri di liquidazione del danno cagionato. Non si esce dalla compensazione.

Invece secondo il c. 2 (autore inconsapebole) gli Stati possono disporre il trasferimento dei profitti (o danni predeterminati).

Ogni tentativo, di dire quale sia misura più gravosa tra il risarcimento del danno e il traswferimento dei profitti, non andrà a buon fine: dipende dalle circostanze del caso e  in particolare dal ruolo di vittima o di aggressore della parte economicamente più forte.

in ogni caso per la Corte che il trasferimento dei profitti è chiedibile anche da parte del contraffattore consapevole e ciò anche se superiori al mancato guadagno (dato che il colpevole non può reicevere un trattamento migliore del non colpevole, parrebbe di capire) .

Effettivamente il c. 3 del nostro art. 125 c.p.i. è muto sul profilo soggettivo (grave difetto del legislatore nazionale!) per cui la tesi della Cda è in prima battuta sostenibile.

Recupero dei profitti totali o solo di una loro parte (apportionment)?  –  Inoltre dice la Corte che Cama 1 avrebbe  avuto  diritto  al  trasferimento  degli  utili  complessivi  conseguiti  da  Gima/IMA dall’intera commessa (cioè dalla vendita per tutte e cinque le linee di imballaggio di tutti i macchinari e i servizi che ne facevano parte) <solo nel caso in cui fosse risultato provato che i contratti di vendita in questione  erano  stati  conclusi  esclusivamente  perché  Gima/IMA  aveva  promesso  di  fornire  a  Mother Parkers anche le macchine astucciatrici, incorporanti i trovati oggetto dei brevetti di Cama1> p. 53.

Toccava però a Cama1 dare la prova di ciò ma non lo ha fatto.

<in conclusione, resta del tutto escluso che Gima/IMA avesse ottenuto la  commessa solo perché aveva offerto anche la fornitura della macchina astucciatrice, dotata dei trovati oggetto dei brevetti di Cama 1. Pertanto Cama 1 ha diritto alla retroversione degli utili, ma solo di quelli conseguiti da Gima/IMA dalla vendita a Mother Parkers delle cinque macchine astucciatrici contraffattori> p. 57

Calcolo degli utili – Secondo la corte gli utili vanno identificati nel margine operativo lordo, p. 57 ss

In particolare, <l’utile conseguito  dal contraffattore(oggetto  quindi  del  diritto  di  restituzione  del titolare del diritto leso) sia “rappresentato dal  confronto  fra  i  soli  ricavi  e  i  soli  costi incrementali”relativi alle  macchine  astucciatrici,“escludendo  dal  calcolo  gli  eventuali costi  comuni  ad  altre  produzioni  (in  prevalenza  costi  fissi)che l’azienda  avrebbe  comunque  sostenuto;la  grandezza  da  ricercare  ha  natura incrementale  rispetto  al MOL (margine  operativo  lordo) complessivo  aziendale  ed  è  il risultato  algebrico  della  somma  dei ricavi realizzati dalla vendita dei prodotti oggetto di contraffazione, dedotti i solicosti diretti sostenuti per  la  specifica produzione/commercializzazione  di  quei  prodotti,  ed  esclusi quindi  tutti  i  costi  di struttura,  di  servizi,  gli  oneri finanziari  e  i  costi  del  personale,non  specificamente  imputabili alla produzione/commercializzazione dei prodotti contenenti l’oggetto della contraffazion>, p.58.

Anzi, nel caso specifico , <“l’indagine….deve  essere  condotta….riferendone  i risultati  alle tre  società  indicate coinvolte (Gimas.p.a.,  I.M.A.  Industria  Macchine  Automatiche s.p.a.e  I.M.A.Industries s.r.l.,  ora  incorporata  in  IMA)  e  quindi procedendo  alla stima  di  una  figura  speciale  di “MOL di Gruppo”, in ragione della posizione di capogruppo della società I.M.A. Industria Macchine Automatiche  SpA,  cui  “risalgono”  in  tale  sua  qualità tutti  i  risultati  economici  delle  società appartenenti al Gruppo.”>, p. 58

Il danno emergente: la domanda è rigettata –  <il  danno  emergente  non  può  che  consistere  nella  perdita  di  valore, provocata dal fatto illecito del contraffattore, di un bene materiale o immateriale, posseduto dal titolare del diritto leso. Cama 1, con argomentazioni in verità piuttosto confuse, ha sostenuto, come sopra esposto, che, a causa della contraffazione oggetto della presente controversia, dell’esposizione della macchina contraffattoria a un’importante  fiera di  settore  e  della  pubblicazione della  stessa,  da  parte  di  Gima, sul  proprio  sito Internet, i  brevetti  violati  avrebbero  subito  una  perdita  di  valore  e  conseguentemente  sarebbero  stati, almeno  in  parte, vanificati  i  relativi  investimenti;  in  particolare, la  somma  spesa  per  la  ricerca  e  lo sviluppo dei trovati per € 328.882, la somma spesa per la tutela brevettuale per € 74.883 e le spese sostenute per la promozione pubblicitaria della macchina con i relativi brevetti per non meno di € 9.000.00>, p. 63

Contraria la CdA: <Nella  fattispecie  in  esame, peraltro,  risulta  provata  una  serie  di  circostanze da  cui  può invece ragionevolmente presumersi che nessun danno emergente abbia subito Cama 1:

– il CTU ha accertato che, anche dopo l’episodio di contraffazione in questione,Cama 1 non ha subito nessuna diminuzione di fatturato;. 

– il  fatto  illecito,  pur  certamente  commesso  in  Italia,  si  è  concretizzato  in  Canada, mercato in  cui  non hanno efficacia i brevetti azionati da Cama 1 nella presente  controversia e in cui, a causa del patto di esclusiva che la legava a Keurig, Cama 1 non avrebbe potuto vendere la sua macchina astucciatrice;

– Cama  1,  come  accertato  dal  CTU,  non  ha  ritenuto  di  ricorrere  ad  alcuna  azione  pubblicitaria riparatoria;

– l’investimento per la ricerca e lo sviluppo dei trovati poi brevettati è stato avviato al fine di effettuare la fornitura della macchina a Caffita s.p.a., quindi è presumibile che fosse stato già, se non totalmente almeno in parte, ammortizzato dalla vendita conclusa con tale cliente°> p. 63

il danno morale  –   <Premesso che il danno morale, per una persona giuridica che svolge attività di impresa, si identifica con il  danno  alla  sua  reputazione  commerciale,  di  persé  considerata,  a  prescindere  cioè  dalle  eventuali conseguenze economiche che ne siano derivate, nella fattispecie in esame Cama 1 non ha fornito alcuna prova  dell’esistenza di un dannodi  tale  natura,  tanto  più  che  la  violazione  del  suo  diritto  si  è concretizzata  con  la  vendita  della  macchina  contraffattoria  a  un  unico  cliente,  estraneo  al  mercato europeo  (dove  hanno  efficacia  i  brevetti  contraffatti),  esi  è  immediatamente  esauritain  seguito  alla reazione  di  Cama  1,  con  la  promozione  del  ricorso  perdescrizione  del  24.1.2013,  e  alla  conclusione dell’accordo  con  Mother  Parkers  del  10.3.2013 (con cui Cama 1 ha acconsentito a quest’ultima di ottenere la consegna di quanto già ordinato); pertanto apparecomunque verosimile che nessuna lesione della reputazione commerciale di Cama 1 si sia verificata>,  p. 64

L’effetto sulla lite della transazione conclusa da Cama1 con MP –  il quantum percepito da Cama1 va detratto dalla condanna inbase al principio della compensatio lucri cum damno:

<come  sopra  esposto, il  diritto  di  Cama  1  ad  ottenere  una  somma  commisurata  agli  utili  conseguiti  da Gima/IMA  trova  il  suo fondamento nel fatto che quest’ultima ha prodotto, venduto e si  apprestava  a consegnare a Mother Parkers le cinque macchine astucciatrici FTB 549-C, incorporanti i trovati di cui ai brevetti EP ‘612 e EP ‘151 di cui era titolare Cama 1; ebbene quest’ultima ha acquisito il diritto di ottenere il  pagamento  da  Mother  Parkers della somma di € 288.000 proprio con  la  stipulazione  della transazione del 10.3.2013, che trova il suo fondamento esclusivamente nel fatto che Gima/IMA aveva prodotto,  venduto  e  si  apprestava a  consegnare  a  Mother  Parkers  le  suddette  cinque  macchine astucciatrici FTB 549-C. Pertanto dal medesimo fatto, l’avvenuta vendita da parte di Gima/IMA a Mothers Parkers di cinque macchine astucciatrici, incorporanti i trovati di cui ai brevetti violati, sono derivati, da un lato, il danno che deve essere risarcito da Gima/IMA (che Cama1 ha chiesto venisse commisurato agli utili da quella conseguiti  dalla  vendita  illecita),  e, dall’altro lato,  il  guadagno,  consistente  nella  somma pagatada Mother  Parkers,  guadagno  che  Cama  1  non  avrebbe  mai  potuto  conseguire,  in  assenza  dell’attività illecita  posta  in  essere  da  Gima/IMAper  aver  venduto  a  Mother  Parkers  le  macchine  contraffattorie,  che Cama1 non avrebbe mai potuto vendere (per i motivi più volte richiamati>, p. 68.

Qui il concetto decisivo per procedere alla compensazione  è naturalmente quello di <medesimo fatto> , che da solo richiederebbe esame ad hoc.

Concorrenza sleale  –  <In ordine agli asseriti atti di concorrenza sleale, di cui all’art. 2598 n. 3 c.c. (secondo cui “compie atti di concorrenza sleale chiunque…. si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”),  il  fatto della contraffazione dei  brevetti, di  cui  è  causa, non  costituisce  di  per  sé  un  atto  di  concorrenza  sleale,   in assenza  della  prova  di  una sua specifica e  autonoma rilevanza in  tal  senso,   tanto  più  che  nella  fattispecie in esame, per  tutte le ragioni sopra esposte (vale a dire la sussistenza del patto di esclusiva con Keurig, che impediva a Cama1 di vendere le proprie macchine nel mercato nordamericano), Cama 1, non avrebbe in ogni caso potuto lecitamente svolgere l’attività svolta da Gima/IMA, che quindi non può essere considerata quale attività concorrenziale con la sua. In  ordine  agli  asseriti atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 n. 2 c.c., il fatto che  Gima/IMA abbia pubblicato  nel  proprio  sito  web  la  macchina astucciatrice  FTB  549-C,  incorporante  anche  i ritrovati  dei  brevetti  di  cui  è  causa,  non  costituisce  di  per  sé,  come  già  rilevato  dal  Tribunale, appropriazione  di  pregidei  prodotti  di  un  concorrente,  essendo  del  tutto  mancata  la  prova  della sussistenza  di  una  qualunque  attività  concreta,  svolta  da  Gima/IMA,  diretta  ad  attribuireal  proprio prodotto, dinanzi al mercato di riferimento, le caratteristiche innovative del prodotto della concorrente>,  p. 70/1

Pubblicazione della sentenza –  <La  pubblicazione  della  sentenza,  che, per quanto riguarda l’accertamento della validità dei brevetti azionati e la loro contraffazione, conferma quella pronunciata dal Tribunale di Milano, non è necessaria e  neppuredi  alcuna concreta utilità  riparatoria  del  danno  subito  da  Cama  1 in  conseguenza  della contraffazione accertata, in considerazione del fatto che la contraffazionerisulta attuata da Gima/IMA con riguardo al mercato nordamericano (in cui i brevetti contraffatti, azionati nel presente giudizio, non avevano alcuna efficacia), del  fatto che con l’accordo transattivo del 10.3.2013 Cama 1 ha  comunque autorizzato Mother Parkers a ricevere (e quindi ad utilizzare) le macchine contraffattorie edel fatto che, una volta eseguita la commessa in questione, la contraffazione non ha più avuto alcunulteriore seguito>, p. 73