RAtio delll’amministrazione di sostegno

Cass. sez. I,  ord. 27/05/2024  n.14.681, rel. Tricomi, impartisce ampia lectio sull’amm. di sostegno:

<<4.2.1.- L’amministrazione di sostegno, introdotta dalla L. n. 6 del 2004, art. 3, innovando il sistema delle tutele previste in favore dei soggetti deboli, persegue la finalità di offrire, a chi si trovi – all’attualità – nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica” non necessariamente di ordine mentale (Cass. n. 12998/2019), uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la “capacità di agire” e che -a differenze dell’interdizione e dell’inabilitazione – sostenga la libertà decisionale delle persone deboli, aiutandole a svolgere i compiti quotidiani senza sostituire la loro volontà, sulla base di un decreto adottato da un giudice, e sia idoneo a adeguarsi alle esigenze del beneficiario, in ragione della sua flessibilità e della maggiore agilità della relativa procedura applicativa.

Infatti, si è affermato (Cass. n.8247/2022; Cass. n. 9146/2002) che l’amministrazione di sostegno è un istituto a tutela e protezione del beneficiario, ed ha un contenuto meno afflittivo dell’interdizione, in quanto è volto a preservare, per quanto è possibile, l’autonomia e la libera autodeterminazione del beneficiario, ex art.409 c.c. (effetti dell’amministrazione di sostegno).

L’amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere autonomamente in tutto o in parte ai propri interessi, mentre è escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all’attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido (Cass. n. 29981/2020; Cass. n. 36176/2023, in motivazione).

Invero, come è stato già affermato da questa Corte, la valutazione della congruità e conformità del contenuto dell’amministrazione di sostegno alle specifiche esigenze del beneficiario, riservata all’apprezzamento del giudice di merito, richiede che questi tenga essenzialmente conto, secondo criteri di proporzionalità e di funzionalità, del tipo di attività che deve essere compiuta per conto dell’interessato, della gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno in cui versa l’interessato, nonché di tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie, in modo da assicurare che il concreto supporto sia adeguato alle esigenze del beneficiario senza essere eccessivamente penalizzante (v. Cass. n. 13584/2006; Cass. n. 22332/2011; Cass. n. 18171/2013; Cass. n. 6079/2020; nel senso che l’ambito dei poteri dell’amministratore debba puntualmente correlarsi alle caratteristiche del caso concreto, v. Corte Cost. n. 4 del 2007).

4.2.3.- Costituiscono punti di forza dell’istituto, l’intrinseco dinamismo e la strumentale flessibilità che lo connotano, desumibili dalla previsione normativa, non formale, del dovere dell’amministratore di sostegno di riferire periodicamente al giudice tutelare non solo in ordine alle attività svolte con riguardo alla gestione del patrimonio, ma anche in ordine ad ogni mutamento delle condizioni di salute e delle condizioni di vita personale e sociale dell’amministrato (art. 405 c.c., comma quinto, n. 6) e, soprattutto, dalla possibilità che il provvedimento che ha dichiarato aperta la procedura sia sempre suscettibile di adeguamento e modifiche anche d’ufficio (art. 407 c.c., comma quarto; art. 411 c.c., comma quarto). Questo strumentario, sintonico all’obiettivo di una individualizzata rispondenza tra il provvedimento e la sua effettiva e perdurante adeguatezza alle esigenze di assistenza del beneficiario, merita di essere valorizzato, anche nei sensi indicati dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite.

4.2.4. – Le caratteristiche proprie dell’amministrazione di sostegno impongono, quindi, in linea con le indicazioni rivenienti dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica, circostanziata e focalizzata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario – da accertare anche mediante CTU, ove necessario -, sia rispetto alla incidenza della stesse sulla capacità del beneficiario di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, anche eventualmente avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe dallo stesso approntato; inoltre, il perimetro dei poteri gestori ordinari attribuibili all’amministratore di sostegno va delineato in termini direttamente proporzionati ad entrambi gli anzidetti elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona (Cass. n. 10483/2022).

In questo quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione, soprattutto laddove la disabilità si palesi solo di tipo fisico, pur non vincolanti, devono essere opportunamente considerate, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza.

4.2.5. – Come ben chiarito in Cass n. 32845/2022, per tale ragione, il decreto di nomina del giudice tutelare deve essere specifico ed individualizzato, sia mediante l’indicazione dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto del beneficiario (art. 405 c.c., quinto comma, n. 3), sia degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno (art. 405 c.c., quinto comma, n.4).

L’art. 411 c.c., poi, prevede che “si applicano all’amministratore di sostegno, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. da 349 e 353 e da 374 a 388.”. Diviene, quindi, applicabile l’art. 374 c.c., che elenca gli atti per il compimento dei quali il tutore necessita dell’autorizzazione del giudice tutelare e, tra questi, è indicato, al n. 9, il promovimento di giudizi, tranne che per poche eccezioni (art. 374 c.c., primo comma, n. 9, “promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzia di nuova opera o di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi”).

L’esistenza di una clausola di “compatibilità” evidenzia, dunque, in modo chiaro le profonde differenze che intercorrono tra gli istituti della interdizione e dell’amministrazione di sostegno. Infatti, l’amministrazione di sostegno si distingue dall’interdizione (ed è questa la ratio del nuovo istituto) per non produrre come “effetto automatico” la perdita della capacità di agire e per conservare e preservare, nei limiti del deficit psico-fisico riscontrato, la capacità di autodeterminarsi dell’amministrato. Tanto è vero che l’art. 404 c.c., primo comma, prevede che la persona sottoposta ad amministrazione di sostegno “può” essere assistita, mentre non c’è la previsione di un potere-dovere sostitutivo dell’amministratore di sostegno.

Il giudice tutelare, quindi, ha un ampio potere “conformativo” dei poteri dell’amministratore di sostegno, quasi “sartoriale”: può espandersi alle decisioni sulla salute (o ad alcune di esse) oppure all’amministrazione del patrimonio, ma il provvedimento “si modella” e “si plasma” sulle esigenze dell’amministrato. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato costantemente che la “flessibilità” e la “modellazione” sulle esigenze dell’amministrato e sulla sua capacità di autodeterminarsi, rappresentano il tratto caratteristico e distintivo dell’amministrazione di sostegno, rispetto alla rigidità, oltre che alla forte invasività, dell’interdizione (Cass. n. 12460/2018; Cass. n. 18320/2012).

4.2.6. – Con specifico riferimento alla tematica delle azioni giudiziarie, che assume posizione centrale nel presente giudizio, questa Corte ha ritenuto che l’assistenza dell’amministratore di sostegno non esclude che il beneficiario possa promuovere personalmente un giudizio, se ciò non è espressamente escluso dal decreto di nomina; tuttavia, anche questa facoltà può essere esclusa, oppure è possibile stabilire che, quando l’amministratore di sostegno ritenga necessario promuovere un giudizio, anche in dissenso dal beneficiario, l’amministratore non può procedervi a meno che non sia autorizzato dal giudice tutelare ex artt. 374 e 410 c.c., perché il decreto di nomina non può prevedere un’autorizzazione generale a promuovere giudizi in favore dell’amministratore di sostegno; di qui, la conclusione secondo cui, per “promuovere” procedimenti giudiziari ex novo che siano successivi all’apertura dell’amministrazione di sostegno, ove il beneficiario non possa procedere in proprio per le specifiche limitazioni impostegli, l’amministratore deve munirsi dell’autorizzazione rivolgendosi al giudice tutelare>>

La non collaborazione processuale dell’allegato incapace non è indice di sua incapacità di gestirsi ai fini della decisione sulla domanda di amministrazione di sostegno

Cass.  Sez. I, Ord. 27/05/2024, n. 14.689,  rel. Caiazzo:

<<La Corte territoriale, premesso che la ricorrente non si era sottoposta alla visita del c.t.u. e che la stessa aveva tenuto una condotta ingiustificatamente oppositiva, anche in ordine alle iniziative intraprese per acquisire riscontri in ordine al suo stato di salute, ha anzitutto, escluso che la documentazione fornita dalla ricorrente dimostrasse buone condizioni di salute, emergendo dalla stessa varie patologie (gastropatia cronica; poliartrosi ad incidenza funzionale) tra cui una condizione di iperosmia la cui origine si supponeva fosse psicologica. Inoltre, la Corte d’appello, muovendo dal rilievo che la ricorrente manifestava una ideazione in più punti priva di linearità e con chiare tendenze ricorsive, ne deduceva che la stessa fosse affetta da patologie psichiatriche e che, i manifestati rifiuti di sottoporsi all’attività diagnostica e ad eventuali percorsi terapeutici, giustificassero le fondate preoccupazioni per l’evoluzione dello stato di salute della ricorrente.

Tale situazione ha dunque indotto la Corte di merito a ritenere sussistenti i presupposti per la nomina dell’amministratore di sostegno, al fine di garantire la salute della A.A. e di preservarne il patrimonio, alla luce dello stato di degrado dell’immobile di sua proprietà.

Ora, se la mancata collaborazione alla visita del c.t.u. costituisce condotta valutabile, ex art. 116 c.p.c. e applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa; nel caso concreto, non è conclusione inequivocabile quella secondo cui la condotta non collaborativa della ricorrente e il suo rifiuto aprioristico di sottoporsi alle visite prescritte costituisse un indice significativo di una condizione di salute tale da rendere necessaria la nomina contestata.

Al riguardo, va rilevato che la decisione impugnata si è fondata su una serie di elementi di natura indiziaria circa lo stato di salute della ricorrente, ritenuta tale da richiedere l’intervento di sostegno in questione, che però, nell’ambito di una valutazione complessiva, non può dirsi costituisca prova sufficiente dei presupposti della misura stessa.

La procedura di nomina dell’amministratore di sostegno presuppone una condizione attuale, se non d’incapacità, quantomeno di seria difficoltà in cui versi la persona, il che esclude la legittimazione a richiedere l’amministrazione di sostegno per quella che si trovi nella piena capacità psico-fisica o tenga condotte di vita solo apparentemente anomale, poiché non occorre che la stessa versi in uno stato d’incapacità d’intendere o di volere, essendo sufficiente che sia priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, anche parziale o temporanea e non necessariamente mentale, che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi o nella condizione di gravemente lederli; in tale ipotesi, il giudice è tenuto, in ogni caso, a nominare un amministratore di sostegno, poiché la discrezionalità attribuitagli dall’art. 404 c.c. ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione dei suoi interessi, ivi compresa quella meno invasiva (Cass., n. 12998/19).

In tema di amministrazione di sostegno, l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge, in linea con le indicazioni contenute nell’art.12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità, deve essere compiuto in maniera specifica e circostanziata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario – la cui volontà contraria, ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuta in considerazione dal giudice – sia rispetto all’incidenza della stesse sulla sua capacità di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, verificando la possibilità, in concreto, che tali esigenze possano essere attuate anche con strumenti diversi come, ad esempio, avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe o di un’adeguata rete familiare (Cass., n. 21877/22). Nella specie, ai fini della decisione, la Corte ha valorizzato alcune forme di disagio prive, di per sé, di una sufficiente valenza in ordine ai presupposti dell’amministratore di sostegno, come d’altra parte adombrato in motivazione. La Corte d’appello non ha infatti chiaramente statuito riguardo al fatto che la ricorrente fosse persona priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, tale che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, avendo in realtà fatto riferimento a patologie di origine psichica, a un non chiaro trattamento (somministrato da privati sin dall’età di 20 anni) e relativo a un quadro clinico di disturbo istrionico di personalità, senza in nessun modo chiarire se le patologie menzionate avessero determinato una tale menomazione, fisica o psichica, tal da rendere necessario disporre – in contrasto con la volontà della persona – la misura in questione, e tale da giustificare l’ampiezza di poteri conferiti all’amministratore, comprensivi della possibilità di riscuotere la pensione della medesima beneficiaria della misura.

Né, come detto, la condotta non collaborativa della ricorrente può lasciar presumere una menomazione o difficoltà di vita significativa tale da porla nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi. Né tale condotta oppositiva esclude che la ricorrente sia in realtà una persona lucida, per quanto conducente una forma di vita apparentemente inconsueta, non potendosi escludere che tali anomalie siano da considerare la manifestazione di asprezze o forme caratteriali, seppure esacerbate dall’età della ricorrente.

In definitiva, emerge dagli atti che la nomina dell’amministratore di sostegno sia stato il frutto di un’opzione previsionale calibrata sull’ipotesi di una condotta futura della ricorrente, non sorretta da chiari ed univoci accertamenti clinici e diagnostici; ciò risulta avvalorato dal fatto che non sono stati accertati, né allegati, i fatti di prodigalità (sicuramente rilevanti, ove accertati, come passibili di arrecarle danno e conseguenze pregiudizievoli), ai quali i ricorrenti, prossimi congiunti della A.A., avrebbero fatto riferimento.

Inoltre, il decreto impugnato è altresì censurabile nella parte nella quale ha sottratto all’amministrata anche la possibilità di riscuotere la pensione, emergendo la sproporzione tra il potere conferito all’amministratore di sostegno e le effettive condizioni di salute della ricorrente, come risultanti dalle motivazioni della Corte d’appello. Invero, in tema di amministrazione di sostegno, le caratteristiche dell’istituto impongono, in linea con le indicazioni provenienti dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica e focalizzata rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario ed anche rispetto all’incidenza di tali condizioni sulla capacità del medesimo di provvedere ai propri interessi, perimetrando i poteri gestori dell’amministratore in termini direttamente proporzionati ad entrambi i menzionati elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona. In tale quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione, soprattutto laddove la disabilità si palesi solo di tipo fisico, devono essere opportunamente considerate, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza (Cass., n. 10483/22).

Ora, dal decreto impugnato si desume che aver conferito tale ampiezza di poteri all’amministratore di sostegno non sia misura proporzionata alle condizioni di salute riscontrate, né funzionale agli obiettivi specifici di tutela della ricorrente, emergendo piuttosto un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona. In definitiva, può essere enunciato il seguente principio di diritto: “Ai fini della nomina dell’amministratore di sostegno, la condotta non collaborativa del soggetto beneficiario della misura non può, di per sé, costituire un indizio significativo della menomazione della salute, fisica o psichica, in mancanza di accertamenti clinici certi ed univoci. L’ambito dei poteri da conferire all’amministratore di sostegno deve rispondere alle specifiche finalità di tutela del soggetto amministrato e non può prescindere da risultanze espressive di un chiaro e significativo stato di menomazione o difficoltà della persona che s’ipotizza bisognevole di tutela“>>.

Amministrazione di sostegno: presupposti e scelta dell’amministratore anche al di fuori della cerchia dei familiari

Cass.  Sez. I, Ord. 16/05/2024 n. 13.612, rel. Caiazzo, sull’oggetto (artt.404 e 408 cc):

<<Nella specie, il motivo in esame non coglie la ratio decidendi, concretizzata nell’esigenza di realizzare un’idonea rete protettiva a favore dell’amministrata, che le varie condotte dei figli hanno impedito attraverso il conflitto insorto tra gli stessi, che aveva provocato un forte stress alla madre.

Invero, la Corte d’appello ha tenuto conto delle argomentazioni della ricorrente e della sua volontà di non essere sottoposta alla misura in questione, in ragione della procura conferita al figlio, pervenendo alla decisione contestata attraverso una valutazione complessiva delle varie situazioni di fatto e delle conclusioni del c.t.u., esprimendo una dettagliata ed adeguata motivazione che soddisfa l’onere della motivazione rafforzata, diretta a garantire il benessere della ricorrente, e non semplicemente la migliore amministrazione dei suoi beni.

Ne consegue che non è plausibile lamentare che la mancata nomina del figlio B.B. quale amministratore di sostegno di A.A. abbia costituito una violazione del diritto all’autodeterminazione della beneficiaria della misura circa la designazione di una persona di fiducia nella cura dei propri interessi, personali e patrimoniali.

La nomina di persona estranea alla famiglia non contrasta, dunque, con la ratio dell’art. 408 c.c., dato che il decreto impugnato ha motivato nel senso di apprestare la migliore tutela all’amministrata, sulla scorta di un accertamento di fatto insindacabile in questa sede.

Nel procedimento relativo alla nomina dell’amministratore di sostegno, l’elenco delle persone indicate dall’art. 408 cod. civ. come quelle sulle quali dovrebbe ricadere, ove possibile, la scelta del giudice non contiene alcun criterio preferenziale in ordine di elencazione, perché ciò contrasterebbe con l’ampio margine di discrezionalità, riconosciuto dalla legge al giudice di merito, finalizzata esclusivamente alla cura degli interessi del beneficiario (Cass., n. 19596/2011).

In conclusione, va formulato il seguente principio di diritto: “In tema di nomina dell’amministratore di sostegno, qualora sia accertato che sussista un conflitto endo-familiare che, in quanto fonte di stress e di disagi, non garantisca un’adeguata rete protettiva per il beneficiario, diretta a preservarne gli interessi personali e patrimoniali, trova fondamento la nomina, quale amministratore, di un estraneo al nucleo familiare il cui compito primario consisterà nella ricostituzione della necessaria rete protettiva, in funzione della migliore cura degli interessi del beneficiario” >>.

E sui presupposti di nomina:

<<I ricorrenti lamentano che la Corte d’appello abbia disposto la misura in esame, esorbitando dal perimetro applicativo delineato dagli artt. 404, ss., c.c., perché – come anche emerso dalla c.t.u. – la A.A. non era incapace d’intendere e di volere, né soffriva di un disturbo cognitivo tale da compromettere l’effettiva capacità di poter gestire il suo patrimonio adeguatamente, come peraltro avvalorato dal fatto di aver designato il figlio B.B. quale suo procuratore generale, revocando la precedente procura al figlio maggiore C.C. (con il quale i rapporti si erano gravemente lacerati, come espressamente dichiarato dalla stessa ricorrente al c.t.u.). (…)

La procedura di nomina dell’amministratore di sostegno presuppone -tra le varie ipotesi – anche una condizione attuale d’incapacità, il che esclude la legittimazione a richiedere l’amministrazione di sostegno della persona che si trovi nella piena capacità psico-fisica; ma l’istituto non esige che la persona versi in uno stato d’incapacità d’intendere o di volere, essendo sufficiente che sia priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, anche parziale o temporanea e non necessariamente mentale, che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi;

in tale ipotesi, il giudice è tenuto a nominare un amministratore di sostegno, poiché la discrezionalità attribuitagli dall’art. 404 c.c. ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione sua e dei suoi interessi (Si veda Cass., n. 12998/19Cass., n. 13929/14).

In tema di amministrazione di sostegno da disabilità psichica, le caratteristiche dell’istituto impongono, in linea con le indicazioni provenienti dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica e focalizzata rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario ed anche rispetto all’incidenza di tali condizioni sulla capacità del medesimo di provvedere ai propri interessi, perimetrando i poteri gestori dell’amministratore in termini direttamente proporzionati ad entrambi i menzionati elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona.

In tale quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione, soprattutto laddove la disabilità si palesi solo di tipo fisico, devono essere opportunamente considerate, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza (Cass., n. 10483/22).

È stato altresì affermato che l’amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che si versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone che la persona, per effetto di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, mentre è escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale.

Ne consegue che, salvo che non sia provocata da una grava patologia psichica, tale da rendere l’interessato inconsapevole del bisogno di assistenza, la sua opposizione alla nomina costituisce espressione di autodeterminazione, che deve essere opportunamente considerata (Cass., n. 32542/22).

Nella specie, va osservato che non è censurabile il decreto impugnato nell’aver ravvisato i presupposti della nomina dell’amministrazione di sostegno. Invero, premesso che tale misura non esige, come detto, che il destinatario versi in uno stato d’incapacità d’intendere o di volere, essendo sufficiente che sia privo, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, anche parziale o temporanea e non necessariamente mentale, che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, dalla c.t.u. non è emersa una compromissione delle facoltà cognitive della ricorrente, bensì un deficit della memoria semantica e di parte della memoria dichiarativa, che però rendono la stessa bisognosa di una qualche tutela, seppure con diretto riferimento all’ambito indicato nel provvedimento impugnato.

Pertanto, le doglianze in esame tendono al riesame dei fatti, risolvendosi in un’acritica censura delle conclusioni del c.t.u. e del suo apprezzamento da parte dei giudici di merito>>