RAtio delll’amministrazione di sostegno

Cass. sez. I,  ord. 27/05/2024  n.14.681, rel. Tricomi, impartisce ampia lectio sull’amm. di sostegno:

<<4.2.1.- L’amministrazione di sostegno, introdotta dalla L. n. 6 del 2004, art. 3, innovando il sistema delle tutele previste in favore dei soggetti deboli, persegue la finalità di offrire, a chi si trovi – all’attualità – nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica” non necessariamente di ordine mentale (Cass. n. 12998/2019), uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la “capacità di agire” e che -a differenze dell’interdizione e dell’inabilitazione – sostenga la libertà decisionale delle persone deboli, aiutandole a svolgere i compiti quotidiani senza sostituire la loro volontà, sulla base di un decreto adottato da un giudice, e sia idoneo a adeguarsi alle esigenze del beneficiario, in ragione della sua flessibilità e della maggiore agilità della relativa procedura applicativa.

Infatti, si è affermato (Cass. n.8247/2022; Cass. n. 9146/2002) che l’amministrazione di sostegno è un istituto a tutela e protezione del beneficiario, ed ha un contenuto meno afflittivo dell’interdizione, in quanto è volto a preservare, per quanto è possibile, l’autonomia e la libera autodeterminazione del beneficiario, ex art.409 c.c. (effetti dell’amministrazione di sostegno).

L’amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere autonomamente in tutto o in parte ai propri interessi, mentre è escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all’attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido (Cass. n. 29981/2020; Cass. n. 36176/2023, in motivazione).

Invero, come è stato già affermato da questa Corte, la valutazione della congruità e conformità del contenuto dell’amministrazione di sostegno alle specifiche esigenze del beneficiario, riservata all’apprezzamento del giudice di merito, richiede che questi tenga essenzialmente conto, secondo criteri di proporzionalità e di funzionalità, del tipo di attività che deve essere compiuta per conto dell’interessato, della gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno in cui versa l’interessato, nonché di tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie, in modo da assicurare che il concreto supporto sia adeguato alle esigenze del beneficiario senza essere eccessivamente penalizzante (v. Cass. n. 13584/2006; Cass. n. 22332/2011; Cass. n. 18171/2013; Cass. n. 6079/2020; nel senso che l’ambito dei poteri dell’amministratore debba puntualmente correlarsi alle caratteristiche del caso concreto, v. Corte Cost. n. 4 del 2007).

4.2.3.- Costituiscono punti di forza dell’istituto, l’intrinseco dinamismo e la strumentale flessibilità che lo connotano, desumibili dalla previsione normativa, non formale, del dovere dell’amministratore di sostegno di riferire periodicamente al giudice tutelare non solo in ordine alle attività svolte con riguardo alla gestione del patrimonio, ma anche in ordine ad ogni mutamento delle condizioni di salute e delle condizioni di vita personale e sociale dell’amministrato (art. 405 c.c., comma quinto, n. 6) e, soprattutto, dalla possibilità che il provvedimento che ha dichiarato aperta la procedura sia sempre suscettibile di adeguamento e modifiche anche d’ufficio (art. 407 c.c., comma quarto; art. 411 c.c., comma quarto). Questo strumentario, sintonico all’obiettivo di una individualizzata rispondenza tra il provvedimento e la sua effettiva e perdurante adeguatezza alle esigenze di assistenza del beneficiario, merita di essere valorizzato, anche nei sensi indicati dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite.

4.2.4. – Le caratteristiche proprie dell’amministrazione di sostegno impongono, quindi, in linea con le indicazioni rivenienti dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica, circostanziata e focalizzata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario – da accertare anche mediante CTU, ove necessario -, sia rispetto alla incidenza della stesse sulla capacità del beneficiario di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, anche eventualmente avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe dallo stesso approntato; inoltre, il perimetro dei poteri gestori ordinari attribuibili all’amministratore di sostegno va delineato in termini direttamente proporzionati ad entrambi gli anzidetti elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona (Cass. n. 10483/2022).

In questo quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione, soprattutto laddove la disabilità si palesi solo di tipo fisico, pur non vincolanti, devono essere opportunamente considerate, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza.

4.2.5. – Come ben chiarito in Cass n. 32845/2022, per tale ragione, il decreto di nomina del giudice tutelare deve essere specifico ed individualizzato, sia mediante l’indicazione dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto del beneficiario (art. 405 c.c., quinto comma, n. 3), sia degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno (art. 405 c.c., quinto comma, n.4).

L’art. 411 c.c., poi, prevede che “si applicano all’amministratore di sostegno, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. da 349 e 353 e da 374 a 388.”. Diviene, quindi, applicabile l’art. 374 c.c., che elenca gli atti per il compimento dei quali il tutore necessita dell’autorizzazione del giudice tutelare e, tra questi, è indicato, al n. 9, il promovimento di giudizi, tranne che per poche eccezioni (art. 374 c.c., primo comma, n. 9, “promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzia di nuova opera o di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi”).

L’esistenza di una clausola di “compatibilità” evidenzia, dunque, in modo chiaro le profonde differenze che intercorrono tra gli istituti della interdizione e dell’amministrazione di sostegno. Infatti, l’amministrazione di sostegno si distingue dall’interdizione (ed è questa la ratio del nuovo istituto) per non produrre come “effetto automatico” la perdita della capacità di agire e per conservare e preservare, nei limiti del deficit psico-fisico riscontrato, la capacità di autodeterminarsi dell’amministrato. Tanto è vero che l’art. 404 c.c., primo comma, prevede che la persona sottoposta ad amministrazione di sostegno “può” essere assistita, mentre non c’è la previsione di un potere-dovere sostitutivo dell’amministratore di sostegno.

Il giudice tutelare, quindi, ha un ampio potere “conformativo” dei poteri dell’amministratore di sostegno, quasi “sartoriale”: può espandersi alle decisioni sulla salute (o ad alcune di esse) oppure all’amministrazione del patrimonio, ma il provvedimento “si modella” e “si plasma” sulle esigenze dell’amministrato. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato costantemente che la “flessibilità” e la “modellazione” sulle esigenze dell’amministrato e sulla sua capacità di autodeterminarsi, rappresentano il tratto caratteristico e distintivo dell’amministrazione di sostegno, rispetto alla rigidità, oltre che alla forte invasività, dell’interdizione (Cass. n. 12460/2018; Cass. n. 18320/2012).

4.2.6. – Con specifico riferimento alla tematica delle azioni giudiziarie, che assume posizione centrale nel presente giudizio, questa Corte ha ritenuto che l’assistenza dell’amministratore di sostegno non esclude che il beneficiario possa promuovere personalmente un giudizio, se ciò non è espressamente escluso dal decreto di nomina; tuttavia, anche questa facoltà può essere esclusa, oppure è possibile stabilire che, quando l’amministratore di sostegno ritenga necessario promuovere un giudizio, anche in dissenso dal beneficiario, l’amministratore non può procedervi a meno che non sia autorizzato dal giudice tutelare ex artt. 374 e 410 c.c., perché il decreto di nomina non può prevedere un’autorizzazione generale a promuovere giudizi in favore dell’amministratore di sostegno; di qui, la conclusione secondo cui, per “promuovere” procedimenti giudiziari ex novo che siano successivi all’apertura dell’amministrazione di sostegno, ove il beneficiario non possa procedere in proprio per le specifiche limitazioni impostegli, l’amministratore deve munirsi dell’autorizzazione rivolgendosi al giudice tutelare>>