Amministrazione di sostegno: presupposti e scelta dell’amministratore anche al di fuori della cerchia dei familiari

Cass.  Sez. I, Ord. 16/05/2024 n. 13.612, rel. Caiazzo, sull’oggetto (artt.404 e 408 cc):

<<Nella specie, il motivo in esame non coglie la ratio decidendi, concretizzata nell’esigenza di realizzare un’idonea rete protettiva a favore dell’amministrata, che le varie condotte dei figli hanno impedito attraverso il conflitto insorto tra gli stessi, che aveva provocato un forte stress alla madre.

Invero, la Corte d’appello ha tenuto conto delle argomentazioni della ricorrente e della sua volontà di non essere sottoposta alla misura in questione, in ragione della procura conferita al figlio, pervenendo alla decisione contestata attraverso una valutazione complessiva delle varie situazioni di fatto e delle conclusioni del c.t.u., esprimendo una dettagliata ed adeguata motivazione che soddisfa l’onere della motivazione rafforzata, diretta a garantire il benessere della ricorrente, e non semplicemente la migliore amministrazione dei suoi beni.

Ne consegue che non è plausibile lamentare che la mancata nomina del figlio B.B. quale amministratore di sostegno di A.A. abbia costituito una violazione del diritto all’autodeterminazione della beneficiaria della misura circa la designazione di una persona di fiducia nella cura dei propri interessi, personali e patrimoniali.

La nomina di persona estranea alla famiglia non contrasta, dunque, con la ratio dell’art. 408 c.c., dato che il decreto impugnato ha motivato nel senso di apprestare la migliore tutela all’amministrata, sulla scorta di un accertamento di fatto insindacabile in questa sede.

Nel procedimento relativo alla nomina dell’amministratore di sostegno, l’elenco delle persone indicate dall’art. 408 cod. civ. come quelle sulle quali dovrebbe ricadere, ove possibile, la scelta del giudice non contiene alcun criterio preferenziale in ordine di elencazione, perché ciò contrasterebbe con l’ampio margine di discrezionalità, riconosciuto dalla legge al giudice di merito, finalizzata esclusivamente alla cura degli interessi del beneficiario (Cass., n. 19596/2011).

In conclusione, va formulato il seguente principio di diritto: “In tema di nomina dell’amministratore di sostegno, qualora sia accertato che sussista un conflitto endo-familiare che, in quanto fonte di stress e di disagi, non garantisca un’adeguata rete protettiva per il beneficiario, diretta a preservarne gli interessi personali e patrimoniali, trova fondamento la nomina, quale amministratore, di un estraneo al nucleo familiare il cui compito primario consisterà nella ricostituzione della necessaria rete protettiva, in funzione della migliore cura degli interessi del beneficiario” >>.

E sui presupposti di nomina:

<<I ricorrenti lamentano che la Corte d’appello abbia disposto la misura in esame, esorbitando dal perimetro applicativo delineato dagli artt. 404, ss., c.c., perché – come anche emerso dalla c.t.u. – la A.A. non era incapace d’intendere e di volere, né soffriva di un disturbo cognitivo tale da compromettere l’effettiva capacità di poter gestire il suo patrimonio adeguatamente, come peraltro avvalorato dal fatto di aver designato il figlio B.B. quale suo procuratore generale, revocando la precedente procura al figlio maggiore C.C. (con il quale i rapporti si erano gravemente lacerati, come espressamente dichiarato dalla stessa ricorrente al c.t.u.). (…)

La procedura di nomina dell’amministratore di sostegno presuppone -tra le varie ipotesi – anche una condizione attuale d’incapacità, il che esclude la legittimazione a richiedere l’amministrazione di sostegno della persona che si trovi nella piena capacità psico-fisica; ma l’istituto non esige che la persona versi in uno stato d’incapacità d’intendere o di volere, essendo sufficiente che sia priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, anche parziale o temporanea e non necessariamente mentale, che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi;

in tale ipotesi, il giudice è tenuto a nominare un amministratore di sostegno, poiché la discrezionalità attribuitagli dall’art. 404 c.c. ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione sua e dei suoi interessi (Si veda Cass., n. 12998/19Cass., n. 13929/14).

In tema di amministrazione di sostegno da disabilità psichica, le caratteristiche dell’istituto impongono, in linea con le indicazioni provenienti dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica e focalizzata rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario ed anche rispetto all’incidenza di tali condizioni sulla capacità del medesimo di provvedere ai propri interessi, perimetrando i poteri gestori dell’amministratore in termini direttamente proporzionati ad entrambi i menzionati elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona.

In tale quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione, soprattutto laddove la disabilità si palesi solo di tipo fisico, devono essere opportunamente considerate, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza (Cass., n. 10483/22).

È stato altresì affermato che l’amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che si versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone che la persona, per effetto di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, mentre è escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale.

Ne consegue che, salvo che non sia provocata da una grava patologia psichica, tale da rendere l’interessato inconsapevole del bisogno di assistenza, la sua opposizione alla nomina costituisce espressione di autodeterminazione, che deve essere opportunamente considerata (Cass., n. 32542/22).

Nella specie, va osservato che non è censurabile il decreto impugnato nell’aver ravvisato i presupposti della nomina dell’amministrazione di sostegno. Invero, premesso che tale misura non esige, come detto, che il destinatario versi in uno stato d’incapacità d’intendere o di volere, essendo sufficiente che sia privo, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, anche parziale o temporanea e non necessariamente mentale, che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, dalla c.t.u. non è emersa una compromissione delle facoltà cognitive della ricorrente, bensì un deficit della memoria semantica e di parte della memoria dichiarativa, che però rendono la stessa bisognosa di una qualche tutela, seppure con diretto riferimento all’ambito indicato nel provvedimento impugnato.

Pertanto, le doglianze in esame tendono al riesame dei fatti, risolvendosi in un’acritica censura delle conclusioni del c.t.u. e del suo apprezzamento da parte dei giudici di merito>>

Le limitazioni alla capacità di agire disposte nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno

Cass. Civ., Sez. I, ord. 12 febbraio 2024 n. 3.751, rel. Russo R.E.A.:

<<Il provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno, nella parte in cui estende al beneficiario limitazioni previste per l’interdetto e l’inabilitato, deve essere sorretto da una specifica motivazione che giustifichi la ragione per la quale si sia limitata la sfera di autodeterminazione del soggetto e della misura di tali limitazioni.
Il provvedimento non rispondente a tali principi deve essere cassato, laddove pur dando atto che la persona è stata ritenuta capace di gestire il proprio patrimonio personale, anche per gli atti di straordinaria amministrazione, non spiega per quale ragione si esclude la capacità di gestire le partecipazioni societarie che fanno parte pur sempre del patrimonio personale del soggetto e di esercitare il diritto di voto in assemblea; né la Corte distrettuale si sofferma sulla possibile adozione di strumenti alternativi, compatibili con la volontà espressa da un beneficiario, che viene però ritenuto sufficientemente lucido e consapevole per adottare ogni altra decisione riguardante il proprio patrimonio, e ciononostante totalmente escluso dalla gestione dei suoi interessi nella società>>.

(massima di Valeria Cianciolo in Ondif)

Dalla motivazione:

<<Questa Corte ha più volte affermato che in tema di amministrazione di sostegno, le caratteristiche dell’istituto impongono, in linea con le indicazioni provenienti dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica e focalizzata rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario ed anche rispetto all’incidenza di tali condizioni sulla capacità del medesimo di provvedere ai propri interessi, perimetrando i poteri gestori dell’amministratore in termini direttamente proporzionati ad entrambi i menzionati elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona. In tale quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione, soprattutto laddove la disabilità si palesi solo di tipo fisico, devono essere opportunamente considerate, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza (Cass. n. 10483 del 31/03/2022; Cass. n. 32542 del 04/11/2022; Cass. n. 21887 del 11/07/2022).

Si deve inoltre osservare che l’art. 410 c.c. — nella parte in cui impone all’amministratore di sostegno di informare il beneficiario circa gli atti da compiere e, in caso di dissenso, anche il giudice tutelare — dimostra come, in ogni caso, l’opinione del beneficiario debba essere tenuta in considerazione, pur se ne venga limitata la capacità. Limitare la capacità nella minor misura possibile significa pertanto non soltanto selezionare specificamente gli atti che il beneficiario non può compiere o non può compiere da solo, ma altresì preservare, anche con riferimento a questi atti, il diritto del beneficiario di esprimere la propria opinione e di partecipare, nella misura in cui lo consenta la sua condizione, alla formazione delle decisioni che lo riguardano.

5.- Da ciò discende che il provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno, nella parte in cui estende al beneficiario limitazioni previste per l’interdetto e l’inabilitato, deve essere sorretto da una specifica motivazione che giustifichi la ragione per la quale si sia limitata la sfera di autodeterminazione del soggetto e della misura di tali limitazioni; e le decisioni che non rispettano i desiderata del beneficiario devono fondarsi non solo sulla rigorosa valutazione che egli non sia capace di adeguatamente gestire i propri interessi e di assumere decisioni adeguatamente protettive, ma anche sulla valutazione della possibilità di ricorrere a strumenti alternativi di supporto e non limitativi della capacità, in modo da proteggere gli interessi della persona senza mortificarla, preservandone la dignità; in questi termini se ne apprezza la compatibilità con il sistema costituzionale (v. Corte Cost 114/2019)>>.