La non collaborazione processuale dell’allegato incapace non è indice di sua incapacità di gestirsi ai fini della decisione sulla domanda di amministrazione di sostegno

Cass.  Sez. I, Ord. 27/05/2024, n. 14.689,  rel. Caiazzo:

<<La Corte territoriale, premesso che la ricorrente non si era sottoposta alla visita del c.t.u. e che la stessa aveva tenuto una condotta ingiustificatamente oppositiva, anche in ordine alle iniziative intraprese per acquisire riscontri in ordine al suo stato di salute, ha anzitutto, escluso che la documentazione fornita dalla ricorrente dimostrasse buone condizioni di salute, emergendo dalla stessa varie patologie (gastropatia cronica; poliartrosi ad incidenza funzionale) tra cui una condizione di iperosmia la cui origine si supponeva fosse psicologica. Inoltre, la Corte d’appello, muovendo dal rilievo che la ricorrente manifestava una ideazione in più punti priva di linearità e con chiare tendenze ricorsive, ne deduceva che la stessa fosse affetta da patologie psichiatriche e che, i manifestati rifiuti di sottoporsi all’attività diagnostica e ad eventuali percorsi terapeutici, giustificassero le fondate preoccupazioni per l’evoluzione dello stato di salute della ricorrente.

Tale situazione ha dunque indotto la Corte di merito a ritenere sussistenti i presupposti per la nomina dell’amministratore di sostegno, al fine di garantire la salute della A.A. e di preservarne il patrimonio, alla luce dello stato di degrado dell’immobile di sua proprietà.

Ora, se la mancata collaborazione alla visita del c.t.u. costituisce condotta valutabile, ex art. 116 c.p.c. e applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa; nel caso concreto, non è conclusione inequivocabile quella secondo cui la condotta non collaborativa della ricorrente e il suo rifiuto aprioristico di sottoporsi alle visite prescritte costituisse un indice significativo di una condizione di salute tale da rendere necessaria la nomina contestata.

Al riguardo, va rilevato che la decisione impugnata si è fondata su una serie di elementi di natura indiziaria circa lo stato di salute della ricorrente, ritenuta tale da richiedere l’intervento di sostegno in questione, che però, nell’ambito di una valutazione complessiva, non può dirsi costituisca prova sufficiente dei presupposti della misura stessa.

La procedura di nomina dell’amministratore di sostegno presuppone una condizione attuale, se non d’incapacità, quantomeno di seria difficoltà in cui versi la persona, il che esclude la legittimazione a richiedere l’amministrazione di sostegno per quella che si trovi nella piena capacità psico-fisica o tenga condotte di vita solo apparentemente anomale, poiché non occorre che la stessa versi in uno stato d’incapacità d’intendere o di volere, essendo sufficiente che sia priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, anche parziale o temporanea e non necessariamente mentale, che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi o nella condizione di gravemente lederli; in tale ipotesi, il giudice è tenuto, in ogni caso, a nominare un amministratore di sostegno, poiché la discrezionalità attribuitagli dall’art. 404 c.c. ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione dei suoi interessi, ivi compresa quella meno invasiva (Cass., n. 12998/19).

In tema di amministrazione di sostegno, l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge, in linea con le indicazioni contenute nell’art.12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità, deve essere compiuto in maniera specifica e circostanziata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario – la cui volontà contraria, ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuta in considerazione dal giudice – sia rispetto all’incidenza della stesse sulla sua capacità di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, verificando la possibilità, in concreto, che tali esigenze possano essere attuate anche con strumenti diversi come, ad esempio, avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe o di un’adeguata rete familiare (Cass., n. 21877/22). Nella specie, ai fini della decisione, la Corte ha valorizzato alcune forme di disagio prive, di per sé, di una sufficiente valenza in ordine ai presupposti dell’amministratore di sostegno, come d’altra parte adombrato in motivazione. La Corte d’appello non ha infatti chiaramente statuito riguardo al fatto che la ricorrente fosse persona priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, tale che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, avendo in realtà fatto riferimento a patologie di origine psichica, a un non chiaro trattamento (somministrato da privati sin dall’età di 20 anni) e relativo a un quadro clinico di disturbo istrionico di personalità, senza in nessun modo chiarire se le patologie menzionate avessero determinato una tale menomazione, fisica o psichica, tal da rendere necessario disporre – in contrasto con la volontà della persona – la misura in questione, e tale da giustificare l’ampiezza di poteri conferiti all’amministratore, comprensivi della possibilità di riscuotere la pensione della medesima beneficiaria della misura.

Né, come detto, la condotta non collaborativa della ricorrente può lasciar presumere una menomazione o difficoltà di vita significativa tale da porla nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi. Né tale condotta oppositiva esclude che la ricorrente sia in realtà una persona lucida, per quanto conducente una forma di vita apparentemente inconsueta, non potendosi escludere che tali anomalie siano da considerare la manifestazione di asprezze o forme caratteriali, seppure esacerbate dall’età della ricorrente.

In definitiva, emerge dagli atti che la nomina dell’amministratore di sostegno sia stato il frutto di un’opzione previsionale calibrata sull’ipotesi di una condotta futura della ricorrente, non sorretta da chiari ed univoci accertamenti clinici e diagnostici; ciò risulta avvalorato dal fatto che non sono stati accertati, né allegati, i fatti di prodigalità (sicuramente rilevanti, ove accertati, come passibili di arrecarle danno e conseguenze pregiudizievoli), ai quali i ricorrenti, prossimi congiunti della A.A., avrebbero fatto riferimento.

Inoltre, il decreto impugnato è altresì censurabile nella parte nella quale ha sottratto all’amministrata anche la possibilità di riscuotere la pensione, emergendo la sproporzione tra il potere conferito all’amministratore di sostegno e le effettive condizioni di salute della ricorrente, come risultanti dalle motivazioni della Corte d’appello. Invero, in tema di amministrazione di sostegno, le caratteristiche dell’istituto impongono, in linea con le indicazioni provenienti dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica e focalizzata rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario ed anche rispetto all’incidenza di tali condizioni sulla capacità del medesimo di provvedere ai propri interessi, perimetrando i poteri gestori dell’amministratore in termini direttamente proporzionati ad entrambi i menzionati elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona. In tale quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione, soprattutto laddove la disabilità si palesi solo di tipo fisico, devono essere opportunamente considerate, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza (Cass., n. 10483/22).

Ora, dal decreto impugnato si desume che aver conferito tale ampiezza di poteri all’amministratore di sostegno non sia misura proporzionata alle condizioni di salute riscontrate, né funzionale agli obiettivi specifici di tutela della ricorrente, emergendo piuttosto un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona. In definitiva, può essere enunciato il seguente principio di diritto: “Ai fini della nomina dell’amministratore di sostegno, la condotta non collaborativa del soggetto beneficiario della misura non può, di per sé, costituire un indizio significativo della menomazione della salute, fisica o psichica, in mancanza di accertamenti clinici certi ed univoci. L’ambito dei poteri da conferire all’amministratore di sostegno deve rispondere alle specifiche finalità di tutela del soggetto amministrato e non può prescindere da risultanze espressive di un chiaro e significativo stato di menomazione o difficoltà della persona che s’ipotizza bisognevole di tutela“>>.