Sull’azione di riduzione a tutela del legittimario: onere della prova e (soprattutto) modalità di calcolo per valutare l’allegata lesione

Altra importante lezione di diritto pratico successorio da parte del rel. Criscuolo in Cass Sez. II  del 21/12/2023, n. 35.738 (da Onelegale).

Dei tre passi qui riportati, è il terzo quello realmente interessante, il primo essendo scontato. L’irrilevanza processuale della domanda implicita , di cui al  secondo, potrebbe pure essere di qualche intersse praticio

1)   << A tal fine va richiamato l’orientamento di questa Corte secondo cui la dichiarazione del testatore di avere già soddisfatto il legittimario con antecedenti donazioni non è idonea a sottrarre allo stesso la quota di riserva, garantita dalla legge anche contro la volontà del “de cuius” [ovvio]; nè tale dichiarazione può essere assimilata ad una confessione stragiudiziale opponibile al legittimario, essendo egli, nell’azione di riduzione, terzo rispetto al testatore (Cass. n. 11737/2013; conf. Cass. n. 27066/2022; Cass. n. 18550/2022, entrambe non massimate).[ovvio]

In presenza di una tale dichiarazione, una volta esclusa la natura confessoria della stessa nei confronti del legittimario, è onere di chi invece ne sostenga la veridicità offrire la corrispondente prova, così che al fine di pervenire al rigetto della domanda di riduzione, la convenuta non poteva limitarsi ad invocare il testamento, ma ne avrebbe dovuto corroborare il contenuto sul piano probatorio.[pure ovvio]

Quanto invece alla ulteriore contestazione circa il riparto dell’onere della prova in tema di azione di riduzione, le critiche del ricorrente, sebbene esulanti dal novero di mere contestazioni tardive, appaiono comunque destituite di fondamento, occorrendo anche su tale questione provvedere ad una correzione della motivazione.

La più recente giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, delineato le regole di riparto dell’onere probatorio in caso di esercizio dell’azione di riduzione, affermando che, in tema di azione di riduzione, l’omessa allegazione nell’atto introduttivo di beni costituenti il “relictum” e di donazioni poste in essere in vita dal “de cuius”, anche in vista dell’imputazione “ex se”, ove la loro esistenza emerga dagli atti di causa ovvero costituisca oggetto di specifica contestazione delle controparti, non preclude la decisione sulla domanda di riduzione,[già più interssante] dovendo il giudice procedere alle operazioni di riunione fittizia prodromiche al riscontro della lesione, avuto riguardo alle indicazioni complessivamente provenienti dalle parti, nei limiti processuali segnati dal regime delle preclusioni per l’attività di allegazione e di prova. Ne consegue che, ove il silenzio serbato in citazione sull’esistenza di altri beni relitti ovvero di donazioni sia dovuto al convincimento della parte dell’inesistenza di altre componenti patrimoniali da prendere in esame ai fini del riscontro della lesione della quota di riserva, il giudice non può solo per questo addivenire al rigetto della domanda, che è invece consentito se, all’esito dell’istruttoria, e nei limiti segnati dalle preclusioni istruttorie, risulti indimostrata l’esistenza della dedotta lesione (Cass. n. 18199/2020, che ha altresì chiarito che il legittimario ha l’onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonchè, di conseguenza, quello della quota di legittima violata, senza che sia necessaria all’uopo l’indicazione in termini numerici del valore dei beni interessati dalla riunione fittizia e della conseguente lesione; conf. Cass. n. 348/2023)>>.

2)   <<In primo luogo rileva il Collegio che la Corte d’Appello, conformemente al Tribunale (che aveva fatto riferimento al difetto di prova della simulazione della donazione relativa a tale immobile, rectius, donazione indiretta, solo come motivazione ad abundantiam), ha ritenuto che all’accoglimento della richiesta della convenuta ostasse il profilo processuale della formale proposizione di una specifica domanda di simulazione o comunque di accertamento della donazione indiretta, avendo in tal modo mostrato di aderire alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in caso di donazione indiretta, è pregiudiziale all’obbligo di collazione la proposizione della domanda di accertamento dell’esistenza della stessa (Cass. n. 23403/2022; Cass. n. 19833/2019, con specifico riferimento alle donazioni indirette).

La regola che appare suscettibile di applicazione anche nel caso in cui della donazione voglia tenersi conto ai fini della riunione fittizia ovvero dell’imputazione ex se, avrebbe quindi imposto che vi fosse stata una specifica domanda della convenuta, che i giudici di merito hanno escluso fosse stata proposta.

Tale affermazione non è stata oggetto di specifica censura da parte del ricorrente, che ritiene di poter superare il problema, assumendo che anche la Corte d’Appello avesse aderito alla tesi, alla quale faceva riferimento il Tribunale, della sufficienza di una proposizione della domanda de qua anche ab implicito>>.

[perchèp mai non dovrebbe ammettersi la domanda giudiziale implicita, se non lede i diritti difensivi di controparte?]

3)    <<L’art. 556 c.c. impone che la riunione fittizia, necessaria per individuare la porzione disponibile, e di riflesso l’ammontare della quota di legittima, debba avvenire sulla base dei criteri dettati in tema di collazione, e precisamente l’art. 747 c.c. dispone che debba aversi riguardo al valore dell’immobile al tempo dell’aperta successione.

La giurisprudenza di questa Corte ha conseguentemente affermato che, nel procedimento per la reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario, il momento di apertura della successione rileva per calcolare il valore dell’asse ereditario (mediante la cd. riunione fittizia), stabilire l’esistenza e l’entità della lesione della legittima, nonchè determinare il valore dell’integrazione spettante al legittimario leso, sicchè quest’ultima, ove avvenga mediante conguagli in denaro nonostante l’esistenza, nell’asse, di beni in natura, va adeguata, mediante rivalutazione monetaria, al mutato valore del bene – riferito al momento dell’ultimazione giudiziaria delle operazioni divisionali – cui il legittimario avrebbe diritto affinchè ne costituisca l’esatto equivalente (Cass. n. 5320/2016; Cass. n. 6709/2010).

Infatti, per accertare la lesione della quota di riserva va determinato il valore della massa ereditaria, quello della quota disponibile e della quota di legittima. A tal fine, occorre procedere alla formazione del compendio dei beni relitti ed alla determinazione del loro valore al momento dell’apertura della successione; quindi, alla detrazione dal “relictum” dei debiti, da valutare con riferimento alla stessa data; e, ancora, alla riunione fittizia, cioè meramente contabile, tra attivo netto e “donatum”, costituito dai beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, da stimare, in relazione ai beni immobili ed ai beni mobili, secondo il loro valore al momento dell’apertura della successione (artt. 747 e 750 c.c.) e, con riferimento al valore nominale, quanto alle donazioni in denaro (art. 751 c.c.). Devono calcolarsi, poi, la quota disponibile e la quota indisponibile sulla massa risultante dalla somma tra il valore del “relictum” al netto ed il valore del “donatum” ed imputarsi, infine, le liberalità fatte al legittimario, con conseguente diminuzione, in concreto, della quota ad esso spettante (cfr. ex multis Cass. n. 12919/2012).

E’ poi evidente che, qualora la lesione derivi da una disposizione a titolo universale che abbia del tutto pretermesso il legittimario, l’effetto dell’accoglimento dell’azione di riduzione, è il riconoscimento della titolarità di una quota ereditaria a favore del legittimario vittorioso su tutti i beni relitti, quota la cui entità va determinata in misura percentuale secondo il criterio di calcolo seguito dai giudici di merito onde permettere al legittimario stesso di avere una partecipazione alla massa che assicuri l’utile netto della riserva, ma con un incremento che gli permetta altresì di fare fronte in percentuale alla quota di riserva anche ai debiti ereditari.

Se appare corretto il criterio matematico per determinare la quota di riserva, è però vero che l’esito del calcolo è destinato ad essere inciso in maniera significativa dal valore che si attribuisca alle componenti prese in esame per le corrispondenti operazioni.

Si potrebbe, infatti, obiettare che la percentuale di riduzione sia destinata a rimanere immutata quale che sia il valore degli immobili, posto che anche la quota di riserva è determinata in una misura fissa destinata proporzionalmente a variare a seconda del mutamento della base di calcolo (sarebbe a dire che se la quota di riserva è pari ad un terzo, la percentuale di riduzione sarà sempre la stessa, quale che sia il valore dei beni da includere nella riunione fittizia).

Tuttavia, tale affermazione non è condivisibile, occorrendo tenere conto, da un lato, della possibilità che possa esservi un mutamento della stima tra la data di apertura della successione e quella della divisione, differenziato in relazione alla diversa tipologia dei beni caduti in successione, e ciò rileva in particolare nella fattispecie, poichè sono da prendere in considerazione delle donazioni mobiliari di beni aventi un mercato peculiare (come gli oggetti da collezione), che possono significativamente mutare nel tempo.

Ma soprattutto, poichè la riunione fittizia presuppone la detrazione dei debiti dal relictum, e poichè la misura dei debiti è espressa da una somma insuscettibile di mutamento nel tempo, trattandosi di un importo da prendere in esame nel suo valore nominale, è evidente che, se la stima dei beni immobili è minore, maggiore sarà anche l’incidenza dei debiti e minore sarà l’ammontare della quota di riserva da soddisfare in percentuale sui beni relitti.

Ad esempio, si consideri una quota di riserva pari al 50% ed un relictum composto da un unico bene immobile attribuito ad un terzo con testamento, con dei debiti di importo pari a 20 ed una donazione da imputare a carico del legittimario di valore sempre pari a 20: se alla data dell’apertura della successione il bene relitto vale 100, la quota di legittima è pari a 50 (100 – 20 + 20 = 100/2), ma la quota che va riconosciuta sul bene per l’effettiva reintegra è pari al 37,5%, occorrendo tenere conto dell’imputazione ex se e del fatto che al legittimario occorre ancora attribuire beni per un valore di netto di 30, che è quindi la sua partecipazione alla comproprietà del bene caduto in successione, in proporzione al valore del bene relitto (secondo il seguente calcolo 30 – legittima da recuperare -: 80 – valore del relictum al netto dei debiti = X – percentuale da riconoscere al legittimario sul bene relitto -: 100 – valore del bene relitto-, calcolo che permette di far rispondere il legittimario ed il terzo dei debiti in proporzione delle quote ricevute sul bene relitto).

In tal modo il bene relitto sarà attribuito al legittimario per una quota pari a 37,5 ed al terzo per la quota di 62,5, in modo tale che il legittimario risponderà del debito ereditario per 7,5 (che è pari al 37,5 % di 20) percependo 30 al netto dei debiti, ed il terzo per 12,5, (che è pari al 62,5 % di 20) percependo il valore di 50 che è pari alla disponibile.

Se il bene invece, alla data della divisione ovvero della stima nel corso del giudizio, dovesse valere 120, la quota di riserva risulterebbe pari a 60 (120-20+20=120/2), ed al legittimario andrebbe assegnata una contitolarità sul bene relitto di una quota pari al 40%, dovendosi detrarre dalla quota di riserva di 60, l’importo di 20 per effetto dell’imputazione ex se della donazione, spettando quindi a titolo di integrazione della riserva un valore sul bene ancora di 48 (sempre determinato secondo il seguente calcolo 40 – legittima da recuperare: 100 – valore del relictum al netto dei debiti = X – percentuale da riconoscere al legittimario sul bene relitto -: 120 – valore del bene relitto-). In questa ipotesi il legittimario risponderà del debito ereditario per 8 (pari al 40% di 20), mentre al terzo beneficiario sarà attribuita una quota pari a 72, rispondendo dei debiti per 12 (pari al 60% di 20), assicurandosi così che al legittimario vada la quota di 40 al netto dei debiti – da cumulare ai 20 già ricevuti a titolo di donazione – ed al terzo la quota di 60 al netto dei debiti, pari appunto alla disponibile).

E’, quindi, evidente come la corretta individuazione dell’epoca cui far risalire la stima dei beni interessati dalla riunione fittizia non è indifferente e si riflette perciò anche sulla percentuale di comproprietà che spetta al legittimario sui beni relitti.

Nel motivo il ricorrente ha evidenziato a pag. 41 come la stima sulla scorta della quale il Tribunale ha determinato la percentuale di partecipazione alla comunione dell’attore è stata operata sulla base di valori determinati in una data prossima a quella del deposito della CTU, eseguita a circa sei anni dalla data del decesso della E.E..

Il motivo è, quindi, fondato e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, dovendo il giudice di rinvio rinnovare le operazioni di stima ai fini del calcolo della legittima e della percentuale nella quale devono essere ridotte le disposizioni testamentarie, sulla scorta dei valori dei beni interessati dalla riunione fittizia, calcolati alla data d’apertura della successione>>.

Azione di riduzione da parte dell’legittimario pretermesso, acquisto della qualità ereditaria ed azione per la divisione dei beni caduti in successione

Cass. sez. II del 08/11/2023 n. 31.125, rel. Criscuolo, ci fa ripassare alcuni principi  consolidati in materia:

<<Rileva a tal fine la circostanza che oggetto dell’azione di riduzione, in quanto lesiva dei diritti di legittimaria dell’attrice, è una disposizione testamentaria del de cuius, con la quale, pretermettendo A., il testatore aveva istituto erede universale il solo figlio maschio.

Tenuto, quindi, conto della massa ereditaria, per effetto delle operazioni di riunione fittizia (queste sì da compiere sulla base della stima dei beni alla data di apertura della successione), si è escluso che la lesione derivasse dalle donazioni pur compiute in vita in favore del convenuto (trattandosi di donazioni che per il loro ammontare gravavano sulla disponibile), ed è stato invece appurato che a risultare lesiva era proprio l’istituzione di erede universale, che andava ridotta, e quindi resa inefficace nei confronti dell’attrice, nei limiti in cui era necessario assicurarle quanto dovuto a titolo di quota di riserva (in quanto ancora insoddisfatta all’esito dell’imputazione delle liberalità a sua volta ricevute in vita dall’attrice).

In presenza di un’istituzione di erede universale ovvero per quote astratte dell’intero patrimonio, il legittimario pretermesso non è erede al momento di apertura della successione, ma lo diviene solo una volta esperita vittoriosamente l’azione di riduzione.

Inoltre, se ai sensi dell’art. 560 c.c., nel caso in cui la riduzione abbia ad oggetto disposizioni a titolo di legato ovvero donazioni (ed in via estensiva istituzioni ex certa re), l’effetto della riduzione è quello di rendere efficace solo la disposizione che abbia avuto ad oggetto il singolo bene, attribuendolo per intero al legittimario (ove la lesione travolga per intero l’attribuzione) ovvero rendendolo comune fra beneficiario e legittimario, nei limiti necessari ad assicurare la reintegra dei diritti del secondo, nel diverso caso in cui la lesione derivi da una disposizione di erede a titolo universale, l’effetto dell’accoglimento dell’azione di riduzione è quello di far acquisire al legittimario la qualità di erede su tutti i beni caduti in successione, ovvero a creare una comunione su quelli oggetto di liberalità ove a loro volta idonei a determinare la lesione, con il riconoscimento sui primi di una quota indivisa pari all’ammontare della legittima ancora insoddisfatta, ragguagliata al valore del relictum.

Già in passato questa Corte ha ricordato come le disposizioni testamentarie lesive della legittima non siano nulle né annullabili ma, sino a quando esse non vengano impugnate con l’azione di riduzione, conservano la loro piena efficacia. Di conseguenza, ove il de cuius abbia distribuito, con il testamento alle persone in questo indicate, tutto il suo patrimonio, mediante disposizioni a titolo universale o particolare, pretermettendo alcuni legittimari, questi non partecipano, de iure, alla comunione per il semplice fatto che si è aperta la successione testamentaria, giacché il loro diritto sui beni ereditari può realizzarsi soltanto mediante l’esperimento dell’azione di riduzione. Il legittimario, pertanto, non può chiedere la divisione dei beni lasciati dal de cuius, senza aver prima esercitato l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie. Inoltre, per ragioni di economia processuale, è tuttavia consentito, in ipotesi del genere, che le azioni di riduzione e di divisione siano proposte cumulativamente nello stesso processo, con la seconda avanzata in subordine all’accoglimento della prima, la quale ha carattere pregiudiziale (Cass. n. 1206/1962; Cass. n. 1077/1964; Cass. n. 160/1970; Cass. n. 2367/1970).

Il principio è stato anche di recente ribadito, essendosi confermato che l’azione di riduzione e quella di divisione, pur presentando una netta differenza sostanziale, possono essere fatte valere nel medesimo processo, in quanto – per evidenti ragioni di economia processuale – è consentito al legittimario di chiedere, anzitutto, la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che assume lesive della legittima e, successivamente, nell’eventualità che la domanda di riduzione sia accolta, l’azione di divisione, estesa anche a quei beni che, a seguito dell’accoglimento dell’azione di riduzione, rientrano a far parte del patrimonio ereditario divisibile (Cass. n. 19284/2019; Cass. n. 4140/1992).

Alla base di tale principio si pone la premessa che il legittimario pretermesso non è erede al momento dell’apertura della successione, ma lo diviene per effetto dell’esercizio vittorioso dell’azione di riduzione e concorre poi alla comunione dei beni relitti, secondo una quota di entità corrispondente al valore della quota di riserva non soddisfatta, così che, ove i beni relitti, assegnati per testamento in maniera universale ad altri soggetti, siano di entità superiore alla quota di riserva, sugli stessi si instaura una comunione secondo le quote da determinare in base ai criteri esposti, comunione che può essere sciolta subito dopo l’accoglimento dell’azione di riduzione e nello stesso giudizio, alla luce delle esigenze di economia processuale, alle quali i precedenti richiamati fanno riferimento.

In ipotesi, peraltro, il legittimario ben potrebbe accontentarsi solo di esercitare l’azione di riduzione, al fine di conseguire il riconoscimento della titolarità pro quota dei beni caduti in successione ed assegnati ad altri per testamento, salvo poi decidere in un secondo momento di chiederne la divisione.

Ne consegue che, tenuto conto di quanto statuito dal Tribunale di Termini Imerese nella sentenza appellata, a fronte di una massa di beni relitti (e quindi con esclusione di quelli donati), pari ad Euro 1.980.062,99 (cfr. pag. 23), essendo la quota di legittima ancora non soddisfatta dell’attrice pari ad Euro 409.078,82 (cfr. pag. 25), sui beni relitti l’attrice ha acquisito una quota ideale pari al 20,66% (409.078,82: 1.980.062,99 = x: 100; x = 409.078,82-100/1.980.062,99= 20,66).

Risulta quindi pertinente rispetto all’ipotesi oggetto di causa il richiamo effettuato dalla difesa della ricorrente a quanto affermato da Cass. n. 2975/1991, secondo cui, ai fini della determinazione della quota di legittima e della quota disponibile, deve aversi riguardo, ai sensi degli artt. 556 e 564 c.c., esclusivamente al valore dell’asse ereditario al tempo dell’apertura della successione, differentemente dalla stima dei beni per la formazione delle quote per la divisione ereditaria, che a norma dell’art. 726 c.c., deve farsi con riferimento al loro stato e valore venale al tempo della divisione anche quando si provveda alla reintegrazione della legittima (conf. Cass. n. 739/1977).

Infatti, una volta appurata l’entità della lesione e la necessità quindi di ridurre la disposizione testamentaria a titolo universale, insorge, per effetto proprio dell’accoglimento della riduzione, una comunione tra erede istituito e legittimario, secondo le quote come sopra individuate, comunione per il cui scioglimento valgono le regole ordinariamente dettate, tra cui proprio la previsione di cui all’art. 726 c.c., in ordine alla necessità di attualizzazione della stima dei beni alla data dell’effettivo scioglimento>>.

E poi:

<<La logica che sottende la soluzione alla quale il Collegio intende aderire è sostanzialmente la medesima che è alla base dell’altrettanto pacifico orientamento secondo cui, nel procedimento per la reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario, il momento di apertura della successione rileva per calcolare il valore dell’asse ereditario (mediante la cd. riunione fittizia), stabilire l’esistenza e l’entità della lesione della legittima, nonché determinare il valore dell’integrazione spettante al legittimario leso, sicché quest’ultima, ove avvenga mediante conguagli in denaro nonostante l’esistenza, nell’asse, di beni in natura, va adeguata, mediante rivalutazione monetaria, al mutato valore del bene – riferito al momento dell’ultimazione giudiziaria delle operazioni divisionali – cui il legittimario avrebbe diritto affinché ne costituisca l’esatto equivalente (Cass. n. 5320/2016; Cass. n. 7478/2000).

Una volta acquisita la qualità di erede, o meglio di coerede, per effetto dell’esercizio dell’azione di riduzione, tale qualità reca con sé anche la necessità di poter avvantaggiarsi degli eventuali incrementi di valore dei beni in relazione ai quali è stata riconosciuta la contitolarità, in vista del soddisfacimento della quota di riserva, ovvero, ed è caso non infrequente nei periodi in cui il mercato immobiliare subisca delle crisi, di subire le conseguenze del deprezzamento dei beni stessi>>.

Principio di diritto:

<<In caso di pretermissione del legittimario per effetto di istituzione di erede a titolo universale, a seguito dell’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione sui beni relitti ovvero recuperati per effetto sempre dell’azione di riduzione, viene a determinarsi una situazione di comunione tra l’erede istituito ed il legittimario nella quale la quota del primo è corrispondente al valore della quota di legittima non soddisfatta determinata in proporzione al valore dell’intera massa, il tutto secondo la stima compiuta alla data di apertura della successione; tuttavia ove debba procedersi alla divisione della comunione così insorta, la stima dei beni in vista delle operazioni divisionali deve essere aggiornata alla luce del mutato valore dei beni tra la data di apertura della successione e quella di effettivo scioglimento della comunione>>.

Azione di reintegrazione della legittima o della quota ab intestato? Differenze a livello di prova della simulazione donativa

Sempre interessanti le consideraizoni di diritto successorio del dr. Criscuolo della 2 sezione Cass. civ., qui nella ordinanza 27.10.2023 n. 29.281.

<<La Corte ritiene che debba darsi continuità al principio di diritto recentemente affermato da Cass. n. 16535/2020, secondo cui quando la successione legittima si apre su un “relictum” insufficiente a soddisfare i diritti dei legittimari alla quota di riserva, avendo il “de cuius” fatto in vita donazioni che eccedono la disponibile, la riduzione delle donazioni pronunciata su istanza del legittimario ha funzione integrativa del contenuto economico della quota ereditaria di cui il legittimario stesso è già investito “ex lege”, determinando il concorso della successione legittima con la successione necessaria. Pertanto, la circostanza che il legittimario, nel chiedere l’accertamento della simulazione di atti compiuti dal “de cuius”, abbia fatto riferimento alla quota di successione “ab intestato” non implica che egli abbia inteso far valere i suoi diritti di erede piuttosto che quelli di legittimario, qualora dall’esame complessivo della domanda risulti che l’accertamento sia stato comunque richiesto per il recupero o la reintegrazione della quota di legittima lesa.

La vicenda nella quale risulta essere stato formulato il principio ora riportato risulta per molti versi sovrapponibile a quella in esame, posto che anche in quel caso ad agire per la simulazione era la figlia del de cuius, nata al di fuori del matrimonio, e nei confronti di una donazione che aveva gravemente ridotto la consistenza del patrimonio relitto, sul quale la figlia, erede legittima, ma anche legittimaria, avrebbe potuto soddisfare i propri diritti successori.

Analogamente a quanto accaduto nella fattispecie, i giudici di appello avevano reputato che l’attrice, agendo quale erede legittima del de cuius, avesse chiesto l’accertamento della simulazione degli atti indicati prospettando la simulazione per interposizione fittizia di persona e, incidentalmente, accennando anche a simulazioni relative, dissimulanti donazioni indirette, al fine di acquisire i beni all’asse ereditario e conseguire anche la quota disponibile senza integrazione della quota di riserva, escludendo che la domanda di reintegrazione della quota di riserva fosse stata compiutamente proposta dall’attrice con il richiamo alla “lesione dei diritti riservati ad essa dalla legge”, nonché con la generica richiesta di “reintegrazione della quota di sua spettanza previa riduzione di quanto pervenuto ai figli legittimi dal coniuge nella misura che sarà accertata e dovuta rispetto al patrimonio complessivamente ricostruito”.

Questa Corte ha però ritenuto non condivisibile tale conclusione, rilevando che la quota di riserva continua a rimanere oggetto di un diritto proprio del legittimario ancorché egli, chiamato all’eredità per legge o per testamento (Cass. n. 4991/1978), abbia acquistato la qualità di erede con l’accettazione, così che, anche quando il legittimario agisce per la reintegrazione della quota riservata, sebbene erede di una delle parti contraenti, sono a lui inapplicabili le limitazioni probatorie previste per le parti originarie in materia di prova della simulazione (Cass. n. 5515/1984), posto che in tal caso si pone in una posizione antagonista rispetto al de cuius, opponendosi alla volontà negoziale manifestata dal dante causa come qualsiasi altro terzo, con ciò giovandosi del più favorevole regime probatorio in ordine alla simulazione previsto dall’art. 1417 c.c. (Cass. n. 6315/2003), sottraendosi alle limitazioni probatorie in tema di prova della simulazione, operanti in linea di principio anche per l’erede della parte contraente (Cass. n. 6507/1980).

L’atto compiuto dal de cuius assume l’idoneità a ledere i diritti del legittimario e quindi il legittimario nutre interesse ad accertare che un bene, alienato sotto l’apparenza del negozio oneroso, è in realtà una donazione soggetta a riunione fittizia ed eventualmente a riduzione. Ha altresì interesse, come nella vicenda in esame, a far valere la simulazione assoluta del negozio, al fine di fare accertare che un bene oggetto di alienazione fa parte del relictum ereditario (Cass. n. 4100/1980), essendo stato altresì chiarito che “Il legittimario è ammesso a provare, nella veste di terzo, la simulazione di una vendita fatta dal de cuius per testimoni e presunzioni, senza soggiacere ai limiti fissati dagli artt. 2721 e 2729 c.c., a condizione che la simulazione sia fatta valere per un’esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva tramite la riunione fittizia” (Cass. n. 12317/2019).

Ciò non vuol dire però che l’erede, solo perché legittimario, quando impugni per simulazione un atto compiuto dal de cuius, venga a trovarsi sempre e comunque nella veste di terzo e non in quella del contraente (Cass. n. 7134/2001), ma è pur sempre necessario che l’accertamento della simulazione sia richiesto dal legittimario in tale specifica veste, per rimediare a una lesione di legittima, intesa l’espressione in senso ampio, in modo da comprendere non solo la reintegrazione in senso proprio, tramite la riduzione della donazione dissimulata, ma anche il recupero all’asse ereditario del bene oggetto di alienazione simulata ovvero di donazione dissimulata nulla per difetto di forma (Cass. n. 8215/2013; n. 19468/2005).

Risulta ormai in massima parte superato l’indirizzo che restringeva la facoltà del legittimario di valersi della prova testimoniale e di prove indiziarie al caso in cui l’azione di simulazione mirasse solo alla reintegrazione della quota di riserva e non si estendesse anche alla disponibile (Cass. n. 167/1972; n. 1361/1969). Viceversa, subentra invece al defunto il legittimario che non esercita un diritto proprio, contro la volontà del defunto, ma si vale di un titolo che lo pone nella identica situazione giuridica del dante causa (Cass. n. 8684/1986), dovendo quindi soggiacere a tutti i limiti per lui costituiti, fra i quali il limite delle alienazioni simulate, la cui rilevanza formale può essere rimossa solo con i mezzi di prova di cui disponeva il dante causa (Cass. n. 7134/2001). Così come il legittimario trae dal defunto anche il diritto di richiedere la collazione (Cass. n. 3932/2016), posto che in tal caso si trova nella medesima posizione del de cuius, sia ai fini della prova, sia ai fini della prescrizione dell’azione di simulazione (Cass. n. 536/2018; n. 4021/2007; n. 2092/2000).

Secondo la corte di merito le deduzioni operate dall’attrice con la domanda non consentivano di ritenere proposta l’azione di riduzione e ciò perché non vi era un riferimento all’azione di riduzione e non era dedotta la lesione della quota di legittima, ma nel compiere tale affermazione ha obliterato completamente il fatto che l’attrice aveva denunciato la mancanza del relictum, determinata dagli atti di disposizione compiuti in vita del genitore, sicché in ipotesi di insufficienza del relictum è gioco forza che i diritti riconosciuti dalla legge al legittimario non potrebbero essere soddisfatti altrimenti se non a scapito dei simulati acquirenti donatari, una volta fornita la prova della simulazione. La situazione non poteva ingenerare alcun equivoco in ordine al fatto che la domanda di simulazione era preordinata alla reintegrazione della quota di riserva (Cass. n. 19527/2005), come peraltro ricavabile dalla richiesta, parimenti contenuta nelle conclusioni dell’atto di citazione, di disporre la reintegra in favore dell’unica erede legittima, nonché legittimaria . Cass. n. 16535/2020 citata ha altresì chiarito come sia erroneo l’assunto secondo cui il richiamo alla qualità di erede legittima sia una enunciazione incompatibile con la intenzione dell’attrice di far valere il proprio diritto di legittimaria. Il legittimario erede ab intestato, il quale agisce in riduzione contro i donatari (o i legatari), non abdica né al titolo di erede legittimo in favore del titolo di legittimario, né alla quota ereditaria conseguita in virtù della successione intestata in favore della quota riservata. Il legittimario, piuttosto, fa valere tale sua qualità, concorrente con quella di erede legittimo, per far sì che la quota di successione intestata si adegui, in valore, alla quota di riserva tramite la riduzione delle donazioni e dei legati, ovvero che possa espandersi tramite il recupero con l’accertamento della nullità di atti dissimulati, di beni all’apparenza fuoriusciti dal patrimonio, avvalendosi però a tal fine del più agevole regime probatorio riservato al legittimario. La sentenza gravata non risulta essersi adeguata ai suesposti principi e deve pertanto essere cassata, con rinvio per nuovo esame, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma>>.