Summa in tema di responsabilitàò dei singolo condomini verso il creditore condominiale (art. 1123 cc – art. 63 disp. att. cc)

Cass. sez. III, ord. 06/12/2023  n. 34.220, rel. Tatangelo:

<<1.2.1 L’esame del primo motivo di ricorso impone a questa Corte di affrontare le seguenti questioni di diritto: a) in quale misura il singolo condomino è assoggettato all’azione esecutiva del creditore che abbia ottenuto, nei confronti dell’ente di gestione, un titolo di condanna per il saldo di un debito condominiale; b) quali eccezioni egli può opporre al creditore, in base all’art. 63 disp. att. c.p.c., in particolare con riguardo alla individuazione della esatta quota dell’obbligazione condominiale su di lui gravante. (…)

1.2.3 Tale norma [art. 63 c. 1-2 disp. att. cc] è già stata interpretata da questa Corte (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 5043 del 17/02/2023, Rv. 667152 – 01) nel senso che, ferma restando la natura parziaria delle obbligazioni condominiali:

a) i condomini “in regola coi pagamenti” possono essere aggrediti esecutivamente, in caso di insolvenza dei condomini “morosi”, anche per la quota dell’obbligazione condominiale gravante su questi ultimi: sui primi, pertanto, grava una obbligazione sussidiaria di garanzia per le obbligazioni dei secondi, modellata come una sorta di fideiussione ex lege;

b) i condomini in regola coi pagamenti vantano, però, nei confronti del creditore del condominio, un beneficio di preventiva escussione dei condomini morosi.

(…)

a) se il singolo condomino adempie direttamente nei confronti del creditore del condominio, l’obbligazione (parziaria) di quel condomino nei confronti di quest’ultimo sarà ovviamente estinta; dunque, il creditore non potrà affatto procedere ulteriormente nei suoi confronti;

b) se uno o più singoli condomini versano il relativo importo all’amministratore, ma non altrettanto facciano tutti gli altri condomini, fermo restando che le obbligazioni dei primi nei confronti del creditore potranno dirsi estinte solo a seguito del versamento della provvista in favore di quest’ultimo da parte dell’amministratore, sorge l’esigenza di non pregiudicare i condomini che abbiano regolarmente provveduto a versare i contributi dovuti, rispetto a quelli che non lo abbiano fatto (rendendosi, così, “morosi” sia nei confronti del creditore che nei confronti dello stesso amministratore del condominio).

(….)

In ogni caso, la Corte ritiene che, in base agli attuali indirizzi interpretativi in ordine alla natura parziaria della responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni condominiali, le quali si dividono e gravano, pertanto, pro parte, sui singoli condomini, deve necessariamente ammettersi che ciascuno di questi, così come è soggetto all’azione di cognizione del creditore, nonché all’azione esecutiva dello stesso, anche sulla base di un titolo esecutivo formatosi nei confronti del solo ente di gestione, per il recupero della quota dell’obbligazione condominiale che grava su di lui, è del pari legittimato ad estinguere tale sua obbligazione (parziaria) direttamente nei confronti del creditore, anche al fine di evitare di essere assoggettato a tali azioni (e ai relativi maggiori costi).

(…)

E’ peraltro evidente che, nella ricostruzione sin qui esposta, sia per coerenza logica che sulla base della piana applicazione dei principi di diritto che regolano le modalità di estinzione delle obbligazioni parziarie, dovrebbe escludersi che il singolo condomino che abbia già estinto la propria obbligazione parziaria, pagando direttamente al creditore del condominio quanto dovuto, possa poi essere tenuto a versare nuovamente all’amministratore quello stesso importo: tale ultimo versamento e’, infatti, da ritenersi comunque finalizzato alla formazione della provvista necessaria all’estinzione della complessiva obbligazione condominiale da parte dell’amministratore, quale rappresentate dei condomini e nell’interesse di questi ultimi; onde, se quell’obbligazione è stata già estinta nella parte gravante sul singolo condomino, e fermo restando l’obbligo di garanzia dovuto da quest’ultimo per le quote dei condomini morosi insolventi, non avrebbe più fondamento la pretesa dell’amministratore del condominio al versamento dell’intera provvista da parte di tutti i condomini, anche quelli da ritenersi in regola con i pagamenti per avere già estinto la propria obbligazione parziaria.

1.2.5 Sulla base delle premesse sin qui esposte, deve ritenersi che l’espressione “condomini morosi” di cui all’art. 63 disp. att. c.p.c. indica i condomini che non hanno versato all’amministratore del condominio la loro quota della provvista necessaria al pagamento del terzo creditore e che, d’altra parte, non abbiano neanche estinto autonomamente la propria quota dell’obbliga-zione condominiale, pagando direttamente a quest’ultimo, mentre l’espressione “condomini in regola con i pagamenti” indica quelli che abbiano estinto la propria quota dell’obbligazione condominiale, mediante pagamento diretto del relativo importo al creditore, ovvero mediante pagamento in favore di quest’ultimo effettuato dall’amministratore con la provvista da loro fornita.

In tale ottica, la comunicazione dell’amministratore al creditore relativa ai dati dei condomini “morosi”, prevista dal comma 1 dell’art. 63 disp. att. c.c., consente di imputare il pagamento effettuato dall’amministratore stesso ad estinzione delle sole quote dell’obbligazione condominiale dei condomini che hanno regolarmente contribuito alla formazione della relativa provvista, i quali possono così definirsi “in regola con i pagamenti”, lasciando invece insolute le quote dell’obbligazione condominiale dei condomini che non abbiano versato i contributi dovuti.  (…)

La tutela del creditore è adeguatamente assicurata, potendo egli agire sempre liberamente, senza vincoli, nei confronti di tutti i condomini (abbiano essi o meno versato all’amministratore la loro quota di contributi dovuti), per l’adempimento delle relative quote dell’obbligazione condominiale ancora insoddisfatte (quindi, complessivamente, per il suo intero credito); egli non potrà, invece, agire affatto, a tale titolo, nei confronti dei condomini che abbiano estinto la loro posizione obbligatoria (pagando direttamente a lui o tramite il pagamento dell’amministratore con la provvista da loro fornita), contro i quali potrà esperire esclusivamente l’azione sussidiaria di garanzia di cui all’art. 63 disp. att. c.c., previa escussione dei condomini insolventi.

La tutela dei condomini “diligenti” è altrettanto adeguatamente assicurata dalla possibilità di pagare direttamente al creditore la loro quota dell’obbligazione condominiale e di ottenere, altresì, l’imputazione a tale titolo di tutti i pagamenti effettuati dall’amministratore con la provvista da loro versata, mediante la comunicazione di cui all’art. 63, comma 1, disp. att. c.c., in modo da rimanere esposti ad eventuale responsabilità per importi superiori a quelli effettivamente dovuti solo in virtù dell’obbligo sussidiario di garanzia introdotto dal comma 2 della medesima norma, che però è condizionato alla previa vana escussione dei condomini morosi.

D’altra parte, è ragionevole escludere che possano risolversi in un oggettivo pregiudizio per le giuste ragioni di credito del terzo estraneo al condominio, specie se consacrate in un titolo esecutivo, le eventuali vicende, certamente non fisiologiche (ma ciò nonostante in astratto sempre possibili), in virtù delle quali i contributi versati dai condomini all’amministratore, cioè al proprio rappresentante comune, al fine di estinguere l’obbligazione condominiale, possano essere distratti dal loro scopo. La finale tutela dei condomini, in tali ipotesi patologiche, che sono comunque riconducibili ai loro rapporti interni ovvero ai rapporti con il loro rappresentante (ed ai quali è del tutto estraneo il terzo creditore), è del resto adeguatamente garantita attraverso l’esperimento delle eventuali possibili azioni risarcitorie o, in ultima analisi, delle appropriate azioni di rivalsa interna tra gli stessi partecipanti al condominio.

1.2.6 Alla ricostruzione sistematica appena esposta, consegue che l’onere di preventiva escussione dei condomini “morosi” di cui all’art. 63 disp. att. c.c. non può che riguardare l’intero importo della loro “morosità”, nel senso fin qui chiarito.

(…)

La ripartizione interna della spesa tra i condomini attiene al piano dei rapporti interni tra questi ultimi: le relative questioni non possono pregiudicare, oltre un ragionevole limite, il diritto del creditore, che abbia già conseguito un titolo esecutivo nei confronti del condominio, di vedere soddisfatto integralmente il proprio credito (naturalmente nel rispetto delle modalità previste dalla legge).

Deve, quindi, in primo luogo escludersi che l’annullamento (o la mancata adozione) della deliberazione condominiale di approvazione della spesa e di ripartizione di essa tra i condomini, laddove esista un titolo esecutivo contro il condominio, impedisca in radice al creditore di porre in esecuzione detto titolo nei confronti dei singoli condomini (ferma la natura parziaria dell’obbligazione condominiale).

In tal caso, dovranno ritenersi applicabili i principi generali in ordine alle obbligazioni parziarie, nonché quelli in tema di distribuzione dei relativi oneri di allegazione e prova, come già chiarito da questa Corte in fattispecie analoga (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22856 del 29/09/2017, Rv. 645511 – 01), per cui spetterà al condomino intimato eventualmente allegare e provare, proponendo una opposizione all’esecuzione, che la quota dell’obbligazione condominiale gravante su di lui è diversa da quella indicata dal creditore procedente.

Poiché, peraltro, non può ammettersi che la soddisfazione delle ragioni di un creditore munito di titolo esecutivo nei confronti del condominio (e, quindi, nei confronti di tutti i condomini) sia impedita o ritardata fino alla definitiva risoluzione delle questioni interne al condominio in ordine ai criteri di ripartizione della relativa obbligazione (che, peraltro, richiederebbe l’estensione del contraddittorio a tutti i condomini o, almeno, all’amministratore, ai fini del giudicato), nei rapporti con il terzo creditore che agisca in via esecutiva contro un singolo condomino si potrà e dovrà effettuare, nel giudizio di opposizione all’esecuzione, una valutazione sommaria, [è il punto più interessante!]  ai soli fini dell’azione esecutiva in corso, tenendo conto delle indicazioni provenienti dall’amministratore, ovvero degli ulteriori elementi certi disponibili che inducano a ritenere corretto un determinato criterio di ripartizione della spesa, anche eventualmente, in mancanza, con riferimento alla quota millesimale generale di ciascun condomino (che costituisce l’indice generale della partecipazione del singolo al condominio e, dunque, alle relative obbligazioni), come è sostanzialmente avvenuto nel caso di specie. Resteranno salve, naturalmente, in tali ipotesi, tutte le eventuali successive appropriate azioni di rivalsa interna tra i condomini. Resta fermo anche in tal caso, peraltro, che i condomini “morosi” rispondono nei confronti del terzo creditore in misura corrispondente alla loro “morosità”, in relazione all’intera loro originaria quota dell’obbligazione condominiale, come precedentemente chiarito e come nella sostanza correttamente ritenuto nella sentenza impugnata>>.

Principi di diritto:

“l’onere di preventiva escussione dei condomini “morosi” gravante, ai sensi dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., sul creditore solo parzialmente soddisfatto e munito di titolo esecutivo, non ha ad oggetto la sola somma corrispondente alla quota millesimale del condomino moroso sull’importo residuo dell’obbligazione di cui al titolo esecutivo, ma l’intero importo della suddetta “morosità”, cioè l’intera originaria quota dell’obbligazione condominiale imputabile al singolo condomino, detratto quanto eventualmente già pagato al creditore dall’amministratore, in nome e per conto di detto condomino, in virtù dei versamenti dallo stesso effettuati nelle casse condominiali, secondo l’imputazione comunicata ai sensi dell’art. 63, comma 1, disp. att. c.c., e/o quanto versato direttamente dal singolo condomino al terzo”;

“la quota del debito condominiale gravante sul singolo condomino contro il quale il creditore abbia agito in via esecutiva in base all’art. 63 disp. att. c.p.c., in caso di contestazioni espresse in sede di opposizione all’esecuzione – e fermo restando che spetta al condomino intimato l’onere di allegare e provare che detta quota sia diversa da quella indicata dal creditore – va determinata: a) in base alla delibera condominiale di riparto della spesa; b) se una delibera manchi o sia venuta meno, all’esito di una valutazione sommaria del giudice dell’opposizione all’esecuzione, ai soli fini dell’azione esecutiva in corso, tenendo conto delle indicazioni dell’amministratore, degli elementi certi disponibili ed eventualmente, in mancanza, facendo ricorso alla tabella millesimale generale; in tali casi restano tuttavia salve le eventuali successive appropriate azioni di rivalsa interna tra condomini”.

(…)

<< la statuizione recante condanna del condominio per un credito vantato da chi abbia contrattato con l’amministratore equivale a sentenza di condanna e, quindi, a titolo esecutivo nei confronti di tutti i condomini, anche se essi non abbiano assunto le vesti di parti in senso formale del giudizio promosso dal terzo creditore nei confronti dell’amministratore, per non esser stati personalmente evocati in giudizio, e quindi neppure individuati nominativamente nel provvedimento di condanna (Cass. Sez. 2, 14/10/2004, n. 20304; Cass., Sez. U, 08/04/2008, n. 9148; Cass. Sez. 3, 29/09/2017, n. 22856; Cass. Sez. 3, 27/06/2022, n. 20590).

E’, d’altronde, altrettanto consolidato il principio (che le medesime ricorrenti riconoscono, senza contestarlo) secondo il quale l’autorità del giudicato (e, in generale, delle pronunzie giudiziarie, anche non ancora passate in giudicato) spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita oggetto della statuizione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico. (…)

Come si è già chiarito nell’esaminare il primo motivo del ricorso, le questioni relative ai rapporti interni tra i condomini e, quindi, la stessa validità delle deliberazioni condominiali di approvazione di determinate spese (rispetto alle quali il creditore del condominio resta ovviamente estraneo, anche in sede processuale), una volta che sia stato accertato in sede giudiziaria il credito di fonte contrattuale del terzo nei confronti del condominio stesso, non possono incidere sul diritto del creditore di ottenerne il pagamento, anche in via esecutiva, dal condominio e, quindi, dai singoli condomini, nel rispetto delle disposizioni dettate dall’art. 63 disp. att c.c..

Ne’ può ritenersi presupposto necessario per l’azione esecutiva contro i singoli condomini l’esistenza di una valida delibera condominiale di approvazione della ripartizione interna della spesa. Correttamente, quindi, la corte d’appello ha escluso che potesse essere invocato dalle ricorrenti, in sede di opposizione all’esecuzione, l’annullamento della deliberazione condominiale che aveva approvato il riparto delle spese straordinarie oggetto dell’appalto in base al quale la ICE S.n.c. aveva ottenuto il decreto ingiuntivo nei confronti del condominio, al fine di farne discendere la caducazione degli effetti dello stesso, nonché la dichiarazione di inefficacia degli atti di precetto sul medesimo fondati.

D’altra parte, deve altresì ritenersi conforme a diritto l’applicazione, da parte della corte d’appello, del criterio di ripartizione dell’obbligazione accertata nel titolo esecutivo fondato sulla tabella millesimale generale, in mancanza di elementi di prova certi che quanto meno in base ad una valutazione sommaria deponessero nel senso dell’applicabilità di un diverso criterio (fatta sempre salva la possibilità di rivalsa nei rapporti interni tra condomini, sulla base dei definitivi accertamenti in ordine alla corretta ripartizione della spesa in questione, operati nel contraddittorio con tutti gli interessati)>>

Le spese condominiali amministrative, concernenti non tutti ma solo determinati condomini, legittimamente sono poste a carico solo di questi ultimi

Cass. Sez. II, Ord. 16/01/2024, n. 1.704, rel. Mondini:

<<2.4. La Corte, con la sentenza n.12573 del 2019 dopo aver cassato la sentenza favorevole agli odierni ricorrente in quanto la stessa si era limitata a stabilire che le spese in contestazione dovevano essere ripartite secondo la legge con implicito riferimento al solo primo comma dell’art. 1223 c.c., aveva imposto al giudice del rinvio di svolgere accertamenti finalizzati a verificare se le attività i cui costi erano stati addebitati agli odierni ricorrenti fossero attività destinate a servire tutti i condomini o solo i ricorrenti cosicché, in questo secondo caso, i costi potessero essere posti a carico dei soli ricorrenti, in applicazione del secondo comma dell’art. 1123 c.c. Secondo i ricorrenti, il Tribunale non avrebbe adempiuto a quanto demandatogli dalla Corte perché avrebbe “accomunato in un unico calderone” tutti gli addebiti laddove invece, per adempiere, avrebbe dovuto esprimersi su ogni singolo addebito in relazione ad ogni singola missiva, tanto più che non tutte le missive erano state inviate da o a i ricorrenti.

In realtà il Tribunale ha preso in esame ciascuna missiva separatamente. Ne ha esaminato il contenuto. Ha individuato l’attività svolta dall’amministratore. Ha dato conto, anche attraverso il riferimento alle allegazioni delle parti, delle ragioni per cui le attività emergenti da ciascuna missiva dovevano essere ricondotte a richieste o all’iniziativa dei ricorrenti. Ha dato altresì conto in modo puntuale di mittenti e destinatari con la precisazione, ove diversi dall’amministratore e dagli odierni ricorrenti, del rapporto con l’uno o gli altri. Trattavasi -ha specificato il Tribunale- del legale dell’amministratore in relazione a richieste del legale dei ricorrenti e di un geometra che, richiesto direttamente dai ricorrenti di modificare un determinato preventivo, aveva effettuato la prestazione e si era poi rivolto all’amministratore il quale era stato conseguentemente costretto ad esaminare il documento inviatogli e a dare riscontro al geometra>>.

Tipi di tabelle millesimali condominiali e loro regime giuridico di modificabilità

Utili precisazioni in Cass. sez. II del 19/10/2023, rel. Chieca:

<< Da questi elementi la Corte territoriale ha tratto la conclusione che l’accordo di cui trattasi integra la “diversa convenzione” espressamente fatta salva dall’inciso finale dell’art. 1123 c.c., comma 1, non suscettibile di revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c..

A sostegno della soluzione accolta ha richiamato i principi di diritto enunciati da questa Corte con sentenza n. 7300/2010, rammentando che in subiecta materia si suole distinguere tre tipologie di tabelle millesimali:

1) le tabelle convenzionali c.d. “pure”, caratterizzate dall’accordo con il quale “i condomini, nell’esercizio della loro autonomia”, dichiarano espressamente “di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto dall’art. 1118 c.c. e art. 68 disp. att. c.c., dando vita alla “diversa convenzione” di cui all’art. 1123 c.c., comma 1, u.p.”: in questo caso, “la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c.”;

2) le tabelle convenzionali c.d. “dichiarative”, che si differenziano dalle prime perché, “tramite l’approvazione della tabella, anche in forma contrattuale (mediante la sua predisposizione da parte dell’unico originario proprietario e l’accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l’accordo unanime di tutti i condomini), i condomini stessi intendono… non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata (addivenendo, così, alla approvazione delle operazioni di calcolo documentate dalla tabella medesima)”: in detta ipotesi, “la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l’errore, il quale, in forza dell’art. 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l’errore vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 c.c. e segg., ma consiste, per l’appunto, nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito”; [si tratta di negozio determinativo]

3) le tabelle c.d. “assembleari”, cioè adottate dall’organo collegiale del condominio con la maggioranza qualificata all’uopo richiesta, le quali risultano “pacificamente soggette al procedimento di revisione di cui al più volte menzionato art. 69” >>.

Chi paga le spese condominiali per un appartamento di proprietà di un trust? Il trustee , dice la Cassazione

Cass.  n° 3.190 del 02.02.2023, sez. 2, rel. Scarpa:

<<l’unità immobiliare compresa nel Condominio di , alla quale si riferiscono i contributi oggetto del decreto ingiuntivo per cui è causa, è stata conferita in un “trust” traslativo, denominato “GP Trust”, sicché la “trustee” … s.r.l. è divenuta titolare della proprietà della stessa ed è tenuta, in quanto tale, a sostenerne le spese, non assumendo rilevanza, a tali fini, i limiti ai relativi poteri e doveri imposti dal disponente nell’atto istitutivo e l’effetto segregativo proprio dell’istituto, in vista del successivo ed eventuale trasferimento della titolarità dei beni vincolati ai soggetti beneficiari. Pur conferendo l’operazione al “trustee” una proprietà limitata nell’esercizio alla realizzazione del programma stabilito dal disponente nell’atto istitutivo a vantaggio del o dei beneficiari, i tre centri di imputazione della vicenda sono il disponente, il “trustee” e il beneficiario, mentre il “trust” non rileva quale soggetto giuridico dotato di una distinta individualità. A ciò consegue altresì che il “trustee” è il titolare dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato ed è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, operando non quale rappresentante del “trust” o del beneficiario, ma quale titolare della legittimazione dispositiva del diritto (ex multis, Cass. 26 maggio 2020, n. 9648; Cass. 20 giugno 2019, n. 16550; Cass. 30 maggio 2018, n. 13626; Cass. 19 maggio 2017, n. 12718; Cass. 27 gennaio 2017, n. 2043).
Questa interpretazione trae fondamento dall’art. 2 della Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1° luglio 1985 e ratificata dalla legge 16 ottobre 1989, n. 364, secondo la quale “per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico. Il trust presenta le seguenti caratteristiche: a) i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee; b) i beni del trust sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona per conto del trustee; c) il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge (…)”.
Del tutto diversa dal trust, e dunque estranea alla fattispecie per cui è causa, per come in fatto ricostruita dai giudici del merito, è la disciplina posta dalla legge 23 novembre 1939, n. 1966, la quale riguarda la mera amministrazione di beni per conto di terzi, conferita a società fiduciarie mediante mandato, salva rimanendo la proprietà effettiva di questi in capo ai mandanti (cfr. Cass. Sez. Unite 27 aprile 2022, n. 13143)>>.

Consenso alla modifica dei criteri di riparto spese condominiali e opponibilità della stessa ai terzi acquirenti

In materia condominiale, son sempre puntuali le precisazioni del rel. Scarpa della 2 sez. Cass. civ. sull’oggetto, qui con ord. 4 luglio 2022 n. 21.086.

Premessa generale: <<6.3. Ribadendo il principio da ultimo precisato in Cass. Sez. Unite, 14 aprile 2021, n. 9839, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari. Come anche precisato da Cass. Sez. Unite, 14 aprile 2021, n. 9839, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia però dedotta mediante apposita domanda riconvenzio-nale di annullamento.>>

Sull’opponibilità all’acquirente:

<< 6.4.2. Problema ulteriore – non affrontato nelle censure qui in esame – è quello dell’efficacia, ovvero dell’opponibilità, anche nei confronti dei successori dei condomini originari dell’eventuale clausola regolamentare contenente una convenzione sulla ripartizione delle spese in deroga ai criteri di cui all’art. 1123 c.c. (cfr. Cass. 9 agosto 1996, n. 7353; Cass. 16 dicembre 1988, n. 6844; Cass. 23 dicembre 1988, n. 7039).

La sostanza di una “diversa convenzione”, ex art. 1123 c.c., comma 1, è quella di una dichiarazione negoziale, espressione di autonomia privata, con cui i condomini programmano che la portata degli obblighi di contribuzione alle spese sia determinata in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118,1123 c.c. e ss., e art. 68 disp. att. c.c..

L’efficacia di una convenzione con la quale, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1, si deroga al regime legale di ripartizione delle spese è perciò soggetta alla regola della relatività degli effetti del contratto, di cui all’art. 1372 c.c., sicché essa è limitata alle parti che la stipulano e non si estende ai loro aventi causa a titolo particolare, se non attraverso uno degli strumenti negoziali all’uopo predisposti dall’ordinamento (delegazione, espromissione, accollo e cessione del contratto). Occorre, altrimenti, che gli aventi causa abbiano preso conoscenza della preesistente convenzione ex art. 1123 c.c., comma 1, al momento dell’acquisto ed abbiano manifestato il loro consenso nei confronti degli altri condomini (e non quindi soltanto nei confronti di chi abbia loro alienato la proprietà dell’immobile) (cfr. ancora Cass. 9 agosto 1996, n. 7353).

Non sovviene per la convenzione sul riparto delle spese la regola della vincolatività del regolamento nei confronti di eredi ed aventi causa dei condomini che siano stati direttamente chiamati ad approvarlo, alla stregua dell’art. 1107 c.c., comma 2, (che al condominio si applica in forza dell’art. 1139 c.c., e che viene espressamente richiamato dall’art. 1138 c.c., comma 3), trattandosi di clausola di contenuto contrattuale, eccentrica rispetto al contenuto normativo tipico del regolamento.

Nemmeno è ipotizzabile la trascrivibilità di una convenzione di deroga ai criteri legali delle spese condominiali: vi osta il principio di tassatività della trascrizione immobiliare, essendo l’opponibilità degli effetti conseguente alla trascrizione propria soltanto degli atti e delle sentenze specificamente indicati negli artt. 2643 e 2645 c.c.. Funzione della trascrizione, del resto, è quella non di fornire notizie sulle vicende riguardanti il patrimonio immobiliare, ma di risolvere eventuali conflitti fra più aventi causa; e la tipicità degli effetti della trascrizione e dei diritti reali non fa acquisire carattere reale ad un’obbligazione solo perché essa sia stata annotata nei registri immobiliari>>.

Sulla forma dell’espressione del consenso:

<<6.4.5. Siffatta unanime convenzione modificatrice è stata ritenuta perfezionata dalla Corte d’appello di Milano allorché C.R., unico condomino assente all’assemblea del 6 febbraio 1996 (che aveva approvato la modifica regolamentare con il voto favorevole dei nove restanti condomini, fra cui la dante causa della attuale ricorrente), aveva dichiarato di aderirvi con lettera del 20 settembre 2004. Ciò che rileva nella specie non è l’attività dell’assemblea, quanto alle operazioni di voto, all’esito delle stesse, alla verifica delle maggioranze, ma la formazione di un consenso negoziale, che ben può manifestarsi al di fuori della riunione, anche mediante successiva adesione di una parte al contratto con l’osservanza della forma prescritta per quest’ultimo.

6.4.6. Se una delibera di condominio deve assumersi all’unanimità ed è volta, in realtà, ad esprimere la volontà contrattuale nei reciproci rapporti tra i partecipanti, essa non è impugnabile secondo la disciplina delle delibere assembleari (art. 1137 c.c.), con la conseguente possibilità, da un lato, del successivo perfezionamento di essa al di fuori dell’assemblea (art. 1326 c.c. e segg.); dall’altro, della costituzione, modifica, estinzione di un rapporto giuridico in forma non vincolata, con il solo limite della sua riconoscibilità (arg. da Cass. 2 febbraio 1998, n. 982; Cass. 21 maggio 1976, n. 1830; Cass. 2 agosto 1969, n. 2916).>>

Principio di diritto : <<in tema di condominio negli edifici, la convenzione sulla ripartizione delle spese in deroga ai criteri legali, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1, – che deve essere approvata da tutti i condomini, ha efficacia obbligatoria soltanto tra le parti ed è modificabile unicamente tramite un rinnovato consenso unanime – presuppone una dichiarazione di accettazione avente valore negoziale, espressione di autonomia privata, la quale prescinde dalle formalità richieste per lo svolgimento del procedimento collegiale che regola l’assemblea e può perciò manifestarsi anche mediante successiva adesione al contratto con l’osservanza della forma prescritta per quest’ultimo.>>

Vessatorietà della clausola con cui il costruttore venditore si esenta dalle spese condominiali

Interessante il tema indagato da Cass. 21.06.2022 n. 20.007, rel. Scarpa: l’abusività ex art. 33 c. cons. della clausola (frequente nei condomini nuovi) con cui il venditore-costruttore viene esentato dal contribuire alle spese condominiali.

Mi limito a riprodurre il principio di diritto: “la clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell’edificio e richiamato nel contratto di vendita della unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, può considerarsi vessatoria, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 1, ove sia fatta valere dal consumatore o rilevata d’ufficio dal giudice nell’ambito di un giudizio di cui siano parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo e sempre che determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e dunque se incida sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall’alienante, o sull’obbligo di pagamento del prezzo gravante sull’acquirente, restando di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della compravendita del singolo appartamento l’obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano

Invalidità della delibera condominiale e riparto delle spese comuni

Cass. sez. un. 9.839 del 14.04.2021, rel. Lombardo Luigi G. ,  sull’oggetto così enuncia i principi di diritto, § 6.5 (erano state sollevate anche altre questioni):

<<– “In tema di condominio negli edifici, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico – dando luogo, in questo secondo caso, ad un “difetto assoluto di attribuzioni” – e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all’ordine pubblico” o al “buon costume”; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all’art. 1137 c.c.”;

– “In tema di deliberazioni dell’assemblea condominiale, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicchè la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137 c.c., comma 2″>>.

Spese condominiali e loro riparto tra venditore ed acquirente

Messa a punto sull’oggetto da parte di Cass. 11.199 del 28.04.2021, rel. Scarpa:

<<alla stregua dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c. (nella formulazione antecedente alla modificazione operata dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220), chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente. Come già ricordato, occorre a tal fine distinguere tra spese necessarie alla manutenzione ordinaria, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione di servizi nell’interesse comune, ovvero ad impedire o riparare un deterioramento, e spese attinenti a lavori che consistano in un’innovazione o che comunque comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere rilevante, superiore a quello inerente alla manutenzione ordinaria dell’edificio e cagionate da un evento non evitabile con quest’ultima. Nella prima ipotesi, l’obbligazione si ritiene sorta non appena si compia l’intervento ritenuto necessario dall’amministratore, e quindi in coincidenza con il compimento effettivo dell’attività gestionale. Nel caso, invece, delle opere di manutenzione straordinaria e delle innovazioni, la deliberazione dell’assemblea, chiamata a determinare quantità, qualità e costi dell’intervento, assume valore costitutivo della relativa obbligazione in capo a ciascun condomino. Da ciò si fa derivare che, verificandosi l’alienazione di una porzione esclusiva posta nel condominio in seguito all’adozione di una delibera assembleare, antecedente alla stipula dell’atto traslativo, volta all’esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione, ove non sia diversamente convenuto nei rapporti interni tra venditore e compratore, i relativi costi devono essere sopportati dal primo, anche se poi i lavori siano stati, in tutto o in parte, effettuati in epoca successiva, con conseguente diritto dell’acquirente a rivalersi nei confronti del proprio dante causa, per quanto pagato al condominio in forza del principio di solidarietà passiva ex art. 63 disp. att. c.c. Dunque, tale momento di insorgenza dell’obbligo di contribuzione condominiale rileva anche per imputare l’obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, ma sempre che gli stessi (come qui si assume avvenuto dalla ricorrente) non si fossero diversamente accordati, rimanendo, peraltro, inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro>>.