Se il condomino si allontana prima del voto, egli diventa “assente”, per cui il termine per l’impugnazjne non decorrerà dal dì della delibera ma da quello della sua comunicaizone

Utile precisazione in Cass.  Sez. II, Ord.  15/02/2024, n. 4.191, rel. Carrato:

<<pacifico – in punto di fatto – che il delegato (B.B.) dell’odierna ricorrente, pur avendo partecipato all’assemblea condominiale in data 15 ottobre 2013, prima dell’adozione della delibera assembleare sugli specifici punti fissati all’ordine del giorno indicati con i nn. 2 e 4, oggetto dell’impugnativa, si era allontanato dal locale in cui si stava svolgendo l’assemblea, manifestando tale sua volontà e non partecipando alla conseguente votazione.

Pertanto, detto delegato andava considerato propriamente “assente” all’atto dell’adozione della delibera concernente i due richiamati punti previsti all’ordine del giorno, ragion per cui il termine per impugnarla non si sarebbe potuto considerare decorrente dallo stesso giorno di assunzione della delibera, come invece erroneamente rilevato dalla Corte di appello.

Infatti, diversamente da quanto opinato dal giudice di secondo grado (oltretutto in conformità all’avviso di quello di prime cure), non avrebbe dovuto attribuirsi alcun rilievo all’avvenuta possibile percezione di quanto deliberato da parte del suddetto delegato dalla condomina A.A. che si era portato fuori dal luogo in cui si stava tenendo l’assemblea, essendosi dallo stesso volontariamente allontanato e facendo prendere atto di ciò con annotazione a verbale, non intendendo partecipare alla votazione, ragion per cui avrebbe dovuto essere considerato legittimamente come assente, senza che, in virtù di tale situazione, potesse venirsi a configurarsi – come creativamente sostenuto dalla Corte di appello – un fenomeno di “sostanziale astensione” del medesimo delegato rispetto alla intervenuta delibera assembleare (e, quindi, ritenerlo, illogicamente, presente “fittiziamente” e partecipante alla votazione, considerandolo come astenuto).

La giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 1208/1999) ha, anzi, stabilito che, in tema di condominio di edifici, ai fini del calcolo delle maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c. per l’approvazione delle delibere assembleari, non si può neanche tener conto dell’adesione espressa dal condomino che si sia allontanato prima della votazione dichiarando di accettare la decisione della maggioranza, perché solo il momento della votazione determina la fusione delle volontà dei singoli condomini formative dell’atto collegiale (precisandosi che nemmeno la eventuale conferma dell’adesione alla deliberazione, data dal condomino successivamente all’adozione della stessa, può valere, nella predetta ipotesi, come sanatoria della eventuale invalidità della delibera, dovuta al venir meno, per le predette ragioni, del richiesto ” quorum deliberativo “, potendo, se mai, tale conferma avere solo il valore di rinuncia a dedurre la invalidità, senza che sia, peraltro, preclusa agli altri condomini la possibilità di impugnazione).

Insomma, qualora un condomino ad un certo punto – nel corso della celebrazione di un’assemblea condominiale – si allontani e tale circostanza viene fatta annotare sul verbale, [NB l’interessante precisazione: è condizione necessaria?] se è incontrovertibile che l’allontanamento non incide sui “quorum costitutivi” (che devono sussistere al momento iniziale), tale circostanza incide, altrettanto indiscutibilmente, su quelli deliberativi relativamente ai singoli punti all’ordine del giorno (nonché sui diritti dei distinti condomini) rispetto ai quali il singolo o più condomini abbiano deciso di non prendere parte alla discussione e alla conseguente delibera, e, quindi, di non partecipare alla votazione, rimanendo del tutto irrilevante la possibile udibilità dall’esterno, da parte dei condomini preventivamente allontanatisi del locale di svolgimento dell’assemblea delle determinazioni che la stessa ha inteso adottare in proposito.

Di conseguenza, il termine di 30 giorni previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c. per l’impugnazione delle delibere assembleari annullabili non può farsi coincidere come “dies a quo” – per il condomino (nel caso di specie rappresentato dal delegato) allontanatosi volontariamente dal luogo di svolgimento dell’assemblea, con relativa presa d’atto a verbale, senza partecipare quindi alla votazione – con quello del giorno di adozione della delibera stessa sui punti all’ordine del giorno rispetto alla cui discussione e deliberazione il condomino allontanatosi non ha voluto partecipare, dovendosi, a tutti gli effetti, quest’ultimo considerarsi assente (rimanendo, per quanto in precedenza evidenziato, irrilevante la possibile “udibilità” da parte di detto condomino, postosi all’esterno dei locali in cui si tiene la riunione, della delibera presa dall’assemblea sui relativi argomenti).

A tale principio di diritto dovrà uniformarsi il giudice di rinvio, per effetto del quale – nel caso di specie – la Corte di appello avrebbe dovuto far legittimamente decorrere il suddetto termine, nei confronti della condomina A.A. rimasta – a mezzo del suo delegato – “assente”, da quello successivo della ricevuta comunicazione, da parte della stessa, del verbale contenente la delibera eventualmente annullabile, ove eseguita, non potendo – in mancanza – nemmeno considerarsi iniziato a decorrere (da cui deriverebbe la tempestività, in ogni caso, dell’impugnativa effettuata dall’A.A. con la proposizione dell’atto di citazione notificato il 29 novembre 2013, restando, comunque, demandato al giudice di rinvio – se, eventualmente, si fosse provveduto a tale comunicazione – rivalutare, di conseguenza, la tempestività o meno dell’impugnativa della delibera assembleare, con riferimento all’individuazione del “dies a quo” in rapporto al momento di introduzione del giudizio e, in caso di accertato avvenuto rispetto, decidere sul merito dell’impugnativa stessa)>>.

Chi è responsabile per i danni (da infiltraizoni) derivanti da terrazza condominiale ma ad uso esclusivo? Sia il Condominio che l’usuario esclusivo (come custode ex art. 2051 cc)

Cass. sez. 2 ord. del 9 ottobre 2023 n. 28.253, rel. Scarpa:

<<5.3. Uniformandosi al principio di diritto enunciato da Cass. Sez. Unite 10 maggio 2016, n. 9449, deve ribadirsi che in tema di condominio negli edifici, qualora l’uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l’usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull’amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull’assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n.4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria, regolandosi il concorso di tali responsabilità, secondo i criteri di cui all’art. 1126 c.c., a meno che non risulti la prova della riconducibilità del danno a fatto esclusivo del titolare del diritto di uso esclusivo del lastrico solare>>.

Poi :

<<5.5. Ora, con riguardo ai danni che una porzione di proprietà esclusiva, compresa in un edificio condominiale, subisca, come accertato nella specie, per effetto dell’inadempimento dell’obbligo gravante sul condominio di deliberare e di eseguire le necessarie opere di riparazione e di manutenzione, deve riconoscersi al titolare di detta porzione la possibilità di esperire azione risarcitoria contro il medesimo condominio, in base all’art. 2051 c.c., e cioè in relazione alla ricollegabilità di tali danni all’inosservanza da parte del condominio medesimo di provvedere, quale custode, ad eliminare le caratteristiche dannose della cosa. Peraltro, ove, come ancora nella specie, i danni subiti dal singolo condomino derivino dalle condizioni di degrado delle parti comuni imputabili già all’originario venditore, unico proprietario pro indiviso dell’edificio, che ha poi proceduto al frazionamento e dato luogo alla costituzione del condominio, non è di ostacolo a ravvisare la responsabilità del condominio ex art. 2051 c.c., per il protrarsi della omessa riparazione, la transazione intercorsa tra i condomini e il medesimo venditore, avente ad oggetto i lavori da eseguire sulle medesime parti comuni dell’edificio per eliminarne i difetti in esse riscontrati, con esclusione della garanzia contrattuale ai sensi dell’art. 1490, comma 2, c.c., in quanto il condominio non subentra quale successore a titolo particolare nella responsabilità posta a carico del venditore (o costruttore), ma assume dal momento della sua costituzione il distinto obbligo, quale custode dei beni e dei servizi comuni, di adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno (arg. da Cass. n. 3209 del 1991; n. 6856 del 1993; n. 3753 del 1999; n. 1994 del 1980)>>.

Enuncia il seg. principio di diritto:

il titolare di una unità immobiliare compresa in un edificio condominiale può esperire azione risarcitoria contro il condominio, in base all’art. 2051 c.c., per i danni derivanti dalle condizioni di degrado di un lastrico solare di uso esclusivo, ancorché tali difetti siano imputabili già all’originario venditore, unico proprietario pro indiviso dell’edificio, e siano stati oggetto di transazione con i condomini acquirenti al momento della costituzione del condominio, con esclusione della garanzia contrattuale ai sensi dell’art. 1490, comma 2, c.c., in quanto il condominio non subentra quale successore a titolo particolare nella responsabilità posta a carico del venditore, ma assume dal momento della sua costituzione l’obbligo, quale custode dei beni e dei servizi comuni, di adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno.

Irrilevante il conflitto di interessi nelle delibere condominali (e poi: precisiazioni sul concetto di “innovazione” ex art. 1120 cc)

Circa il conflitto di interessi , Cass. sez 2 n° 5642 del 23.02.2023, rel. Giannaccari, dice:

<3.12.Tutto ciò si riflette, anzitutto, sul conflitto di interessi, posto che per il sorgere del conflitto tra il condominio ed il singolo condomino è necessario che questi sia portatore, allo stesso tempo, di un duplice interesse: uno come condomino ed uno come estraneo al condominio e che i due interessi non possano soddisfarsi contemporaneamente, ma che il soddisfacimento dell’uno comporti il sacrificio dell’altro.

3.13.Inoltre, nel condominio degli edifici, il quorum deliberativo – come quello costitutivo – è determinato con riferimento sia all’elemento personale (i condomini partecipanti all’assemblea), sia all’elemento reale (il valore di ciascun piano o porzione di piano rispetto all’intero edificio, espresso in millesimi).

3.14.Da nessuna norma si prevede che, ai fini della costituzione dell’assemblea o delle deliberazioni, non si tenga conto di alcuni dei partecipanti al condominio e dei relativi millesimi.

3.15.In materia di società di capitali, oltre l’ipotesi disciplinata dall’art. 2373 cit., si prevedono altri casi nei quali il socio non può esercitare il diritto di voto (art. 2344 comma 4 c.c.); peraltro, si prevedono anche casi in cui le azioni, per le quali il diritto di voto è sospeso, sono computate nel capitale ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea (art. 2357 ter comma 2 c.c.).

3.16. Per contro, in tema di condominio negli edifici – posto che, in caso di conflitto di interessi, al condomino sia vietato esercitare il diritto di voto – non si contempla nessuna ipotesi nelle quali, ai fini dei quorum costitutivo e deliberativo, non si debba tener conto di tutti i partecipanti e di tutte le quote e nelle quali le maggioranze possano modificarsi in meno.

3.17.Al contrario, avuto riguardo alla funzione strumentale del principio maggioritario, in ragione della tutela dei diritti dei singoli sulle parti comuni e della garanzia del godimento delle unità immobiliari in proprietà solitaria, non sembra corretto applicare i principi elaborato in tema di società di capitali.

3.18.Ne consegue che, alla stregua dei principi sopra enunciati, non è corretta l’affermazione della Corte di merito secondo cui il voto della delegata T. non andava computato, per essere stato espresso in una situazione di conflitto di interessi, né, conseguentemente, che fosse necessaria la prova di resistenza della delibera senza il calcolo di quel voto>.

Sul cocnetto di  innovazione:

<<2.2.In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c. non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l’entità’ materiale del bene operandone la trasformazione ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione delle opere (Cass. Civ., Sez. II, Sez. 2 -, 04/09/2017, n. 20712; Cass. Civ., Sez. II, 29.8.1998, n. 8622)

2.3.Le modificazioni che invece mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune o ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto.

2.4.Secondo l’accertamento della corte di merito, non costituiva innovazione la sostituzione delle gronde consdominiali in cemento, demolite e sostituite con gronde in lamiera a sbalzo di identica dimensione ed il rifacimento del muro di confine>.

Il Condominio è consumatore? Risposta (non chiara) dalla Corte di Giustizia

Corte di Giustizia 27.10.2022 , C-485/21, affronta il tema in oggetto con risposta non molto chiara o meglio  utile

Il rapporto de quo è quello di amministrazione cioè tra condomini e società amministratrice delle parti comuni.

Distingue a seconda che si esamini il caso del singolo condomino o l’intero condominio che -previa delibera- abbia stipulato detto contrtto.

Dice la CG : <<Nel caso di specie, occorre rilevare che dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che E. Ts. D. è una persona fisica e che il contratto di cui al punto 12 della presente sentenza ha per oggetto la gestione e la manutenzione delle parti comuni dell’immobile in regime di condominio nel quale E. Ts. D. è proprietaria di un appartamento. Pertanto, nell’ipotesi in cui detta persona sia parte di tale contratto e purché non utilizzi detto appartamento per scopi che rientrano esclusivamente nella sua attività professionale, occorre, in linea di principio, ritenere che essa agisca in qualità di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, in tale contratto.>>

Risposta ovvvia tranne che per l’ambiguo “esclusivamente”: che significa? Se l’uso è professionale solo “prevalentemente” (prevalenza ratio temporis oppure ratio spatii, id est per metri quadri) rimane consumatore?  Che l’uso concorrente non precluda tale qualfica, lo si desume dal seguente § 32 (v. dopo) : ma resta il criterio distintivo: basta la prevalenza o serve appunto l’esclusività?

Nel secondo caso (delibera assembelare) :

<< 32   In secondo luogo, nell’ipotesi in cui un contratto relativo alla gestione e alla manutenzione delle parti comuni di un immobile in condominio sia stipulato tra l’amministratore di condominio e l’assemblea generale dei condòmini o l’associazione di proprietari di tale immobile, il proprietario di un appartamento facente parte di detto immobile è considerato un «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, purché tale proprietario, innanzitutto, possa essere qualificato come «parte» di detto contratto; inoltre, sia una persona fisica e, infine, non utilizzi tale appartamento esclusivamente per scopi che rientrano nella sua attività professionale. A quest’ultimo proposito, occorre precisare che non può essere esclusa dal campo di intervento della nozione di «consumatore» la fattispecie in cui una persona fisica utilizzi l’appartamento che costituisce il suo domicilio personale anche a fini professionali, come nell’ambito di un telelavoro subordinato o dell’esercizio di una libera professione.

33      Per contro, quando un siffatto proprietario di appartamento non può essere qualificato come «parte» di detto contratto, e poiché l’assemblea generale dei condòmini o l’associazione di proprietari di un immobile non è, per definizione, una «persona fisica», ai sensi di tale articolo 2, lettera b) e, pertanto, non può essere qualificata come «consumatore» ai sensi di tale disposizione, un siffatto contratto è escluso dall’ambito di applicazione della direttiva 93/13 (v., per analogia, sentenza del 2 aprile 2020, Condominio di Milano, via Meda, C‑329/19, EU:C:2020:263, punto 29)>>.

Passaggiio poco chiaro sun un tema praticamente importante.

Forse la CG intende che se -in base al diritto nazionale- il rapporto instaurato dalla assemblea è ricostruibile in termini unitari, non può essere consumatore. Se invece va ricostruito come fascio di rapporti tra ogni condomino e la società amminsitratrice, allora il singolo può essere consumatore ma si esminerà caso per caso.

Che l’assemblea automaticamente non sia persona fisica e quindi non possa essere consumatore ci pare detto frettolosamente. Se infatti tutti i condomini sono tali,  il loro agire collettivo non gli fa perdere tale  qualità.

Risposte finali , § 35:

–     una persona fisica, proprietaria di un appartamento in un immobile in regime di condominio, deve essere considerata un «consumatore», ai sensi di tale direttiva, qualora essa stipuli un contratto con un amministratore di condominio ai fini della gestione e della manutenzione delle parti comuni di tale immobile, purché non utilizzi tale appartamento per scopi che rientrano esclusivamente nella sua attività professionale. La circostanza che una parte delle prestazioni fornite da tale amministratore di condominio in base a detto contratto risulti dalla necessità di rispettare specifici requisiti in materia di sicurezza e di pianificazione territoriale, previsti dalla legislazione nazionale, non è idonea a sottrarre detto contratto dal campo di applicazione di tale direttiva,

–        nell’ipotesi in cui sia stipulato un contratto relativo alla gestione e alla manutenzione delle parti comuni di un immobile in regime di condominio tra l’amministratore di condominio e l’assemblea generale dei condòmini o l’associazione di proprietari di tale immobile, una persona fisica, proprietaria di un appartamento situato in quest’ultimo, può essere considerata un «consumatore», ai sensi della direttiva 93/13, purché essa possa essere qualificata come «parte» di detto contratto e non utilizzi tale appartamento esclusivamente per scopi rientranti nella sua attività professionale.

Invalidità della delibera condominiale e riparto delle spese comuni

Cass. sez. un. 9.839 del 14.04.2021, rel. Lombardo Luigi G. ,  sull’oggetto così enuncia i principi di diritto, § 6.5 (erano state sollevate anche altre questioni):

<<– “In tema di condominio negli edifici, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico – dando luogo, in questo secondo caso, ad un “difetto assoluto di attribuzioni” – e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all’ordine pubblico” o al “buon costume”; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all’art. 1137 c.c.”;

– “In tema di deliberazioni dell’assemblea condominiale, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicchè la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137 c.c., comma 2″>>.