Chi è responsabile per i danni (da infiltraizoni) derivanti da terrazza condominiale ma ad uso esclusivo? Sia il Condominio che l’usuario esclusivo (come custode ex art. 2051 cc)

Cass. sez. 2 ord. del 9 ottobre 2023 n. 28.253, rel. Scarpa:

<<5.3. Uniformandosi al principio di diritto enunciato da Cass. Sez. Unite 10 maggio 2016, n. 9449, deve ribadirsi che in tema di condominio negli edifici, qualora l’uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l’usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull’amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull’assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n.4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria, regolandosi il concorso di tali responsabilità, secondo i criteri di cui all’art. 1126 c.c., a meno che non risulti la prova della riconducibilità del danno a fatto esclusivo del titolare del diritto di uso esclusivo del lastrico solare>>.

Poi :

<<5.5. Ora, con riguardo ai danni che una porzione di proprietà esclusiva, compresa in un edificio condominiale, subisca, come accertato nella specie, per effetto dell’inadempimento dell’obbligo gravante sul condominio di deliberare e di eseguire le necessarie opere di riparazione e di manutenzione, deve riconoscersi al titolare di detta porzione la possibilità di esperire azione risarcitoria contro il medesimo condominio, in base all’art. 2051 c.c., e cioè in relazione alla ricollegabilità di tali danni all’inosservanza da parte del condominio medesimo di provvedere, quale custode, ad eliminare le caratteristiche dannose della cosa. Peraltro, ove, come ancora nella specie, i danni subiti dal singolo condomino derivino dalle condizioni di degrado delle parti comuni imputabili già all’originario venditore, unico proprietario pro indiviso dell’edificio, che ha poi proceduto al frazionamento e dato luogo alla costituzione del condominio, non è di ostacolo a ravvisare la responsabilità del condominio ex art. 2051 c.c., per il protrarsi della omessa riparazione, la transazione intercorsa tra i condomini e il medesimo venditore, avente ad oggetto i lavori da eseguire sulle medesime parti comuni dell’edificio per eliminarne i difetti in esse riscontrati, con esclusione della garanzia contrattuale ai sensi dell’art. 1490, comma 2, c.c., in quanto il condominio non subentra quale successore a titolo particolare nella responsabilità posta a carico del venditore (o costruttore), ma assume dal momento della sua costituzione il distinto obbligo, quale custode dei beni e dei servizi comuni, di adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno (arg. da Cass. n. 3209 del 1991; n. 6856 del 1993; n. 3753 del 1999; n. 1994 del 1980)>>.

Enuncia il seg. principio di diritto:

il titolare di una unità immobiliare compresa in un edificio condominiale può esperire azione risarcitoria contro il condominio, in base all’art. 2051 c.c., per i danni derivanti dalle condizioni di degrado di un lastrico solare di uso esclusivo, ancorché tali difetti siano imputabili già all’originario venditore, unico proprietario pro indiviso dell’edificio, e siano stati oggetto di transazione con i condomini acquirenti al momento della costituzione del condominio, con esclusione della garanzia contrattuale ai sensi dell’art. 1490, comma 2, c.c., in quanto il condominio non subentra quale successore a titolo particolare nella responsabilità posta a carico del venditore, ma assume dal momento della sua costituzione l’obbligo, quale custode dei beni e dei servizi comuni, di adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno.

Sottosuolo condominiale presunto comune e potere/dovere dell’amministatore di compiere gli atti conservativi ex art. 1130 n. 4 cc

Sulle due questioni v. Cass . ord. 2.786 del 31.01.2023, rel. Trapuzzano.

sub 1 (potere/dovere dell’amministatore di compiere gli atti conservativi ex art. 1130 n. 4 cc) , tali atti non sono solo quelli urgenti. Punto importante.

<<E tanto perché ricadono nell’ambito degli atti conservativi che l’amministratore può compiere, ai sensi dell’art. 1130, n. 4, c.c., senza la previa delibera autorizzativa dell’assemblea (o la successiva ratifica), eventualmente attraverso la promozione di azioni processuali per la tutela delle parti comuni dell’edificio, anche le iniziative non connotate dal requisito dell’urgenza, purché volte a salvaguardare l’integrità di un bene comune.

Sussiste, infatti, la legitimatio ad causam e ad processum dell’amministratore del condominio, senza bisogno di alcuna autorizzazione, allorquando egli agisca a tutela di beni condominiali, giacché i poteri promanano direttamente dalla legge e precisamente dall’art. 1130, n. 4, c.c., che pone addirittura come dovere proprio del suo ufficio quello di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, potere-dovere da intendersi non limitato agli atti cautelativi ed urgenti, ma esteso a tutti gli atti miranti a mantenere l’esistenza e la pienezza o integrità di detti diritti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5772 del 23/03/2004; Sez. 2, Sentenza n. 6494 del 06/11/1986).

Siffatta conclusione è avvalorata dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte in ordine alla portata degli “atti conservativi” che il chiamato all’eredità può compiere prima di accettare, ai sensi dell’art. 460, comma 2, c.c.: essi si distinguono dalle azioni possessorie che possono essere intraprese ai sensi del comma 1 di tale disposizione e consistono in atti di gestione dei beni indirizzati ad assicurare il mantenimento dello stato di fatto quale esistente.

La natura conservativa dell’atto non e’, dunque, connotata dall’aspetto strumentale inerente all’indifferibilità del suo espletamento, bensì dal vincolo teleologico da cui è avvinto il suo compimento, essenzialmente indirizzato a preservare l’integrità fisica e giuridica nonché la consistenza materiale del bene comune (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6190 del 03/05/2001; Sez. 2, Sentenza n. 13611 del 12/10/2000; Sez. 2, Sentenza n. 6593 del 11/11/1986; Sez. 2, Sentenza n. 3510 del 28/05/1980).

Nella fattispecie, la rimessione in pristino dello stato del sottosuolo, di cui il condomino si è appropriato attraverso le opere di escavazione volte ad ingrandire il bene di sua proprietà esclusiva, costituisce azione propria diretta a far cessare la privazione di un bene comune, sicché il suo esperimento non era condizionato alla esclusiva formulazione di azioni possessorie o d’urgenza. Sono, infatti, atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, sia gli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) sia quelli giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi), necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile, indipendentemente dal momento in cui essi siano avviati rispetto all’epoca di realizzazione delle condotte lesive di beni comuni.

Ne’ la radicale privazione di tale bene può essere assimilata al mutamento della sua destinazione d’uso.

D’altronde, nessuna contraddizione è integrata per effetto della discriminazione tra tutela in forma specifica del bene comune mediante sua restitutio in integrum e azione risarcitoria connessa alla lesione di tale bene. Solo per quest’ultima è preclusa all’amministratore la proposizione, in difetto di mandato rappresentativo dei singoli condomini, delle azioni risarcitorie per i danni subiti dalle unità immobiliari di loro proprietà esclusiva (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3846 del 17/02/2020; Sez. 2, Sentenza n. 217 del 12/01/2015; Sez. 2, Sentenza n. 22656 del 08/11/2010).>>

Sub 2), proprietà del sottosuolo:

<<Al riguardo, l’istante osserva che, nel caso di specie, l’edificio si sviluppava su muri, pilastri e altri manufatti d’appoggio, sicché il suolo avrebbe potuto essere considerato proprietà comune solo per la parte necessaria al suo sostentamento, né la proprietà condominiale avrebbe potuto estendersi sino alla porzione oggetto dello scavo posta ad una quota superiore rispetto al livello delle fondazioni.>>

Censura incomrpesibile. Puntualmente la SC risponde:

<<E tanto perché la zona esistente in profondità, al di sotto dell’area superficiaria che è alla base dell’edificio, in mancanza di un titolo che attribuisca ad alcuno di essi la proprietà esclusiva, rientra per presunzione in quella comune tra i condomini, anche ai sensi del disposto dell’art. 1117 c.c. all’esito della novella di cui alla L. n. 220 del 2012. Nessuno di costoro, pertanto, può, senza il consenso degli altri, procedere all’escavazione del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, in quanto, attraendo la cosa comune nell’orbita della sua disponibilità esclusiva, limiterebbe l’altrui uso e godimento ad essa pertinenti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 33163 del 16/12/2019; Sez. 6-2, Ordinanza n. 29925 del 18/11/2019; Sez. 2, Sentenza n. 6154 del 30/03/2016; Sez. 3, Sentenza n. 15383 del 13/07/2011).

E ciò a prescindere dalla funzione portante in concreto dell’edificio esercitata dal suolo.

Nella fattispecie, è pacifico che il condomino proprietario del piano seminterrato non vanti alcun titolo dominicale sul suolo sottostante il suo immobile, sicché – in base alla predetta presunzione – deve ritenersi che il bene rientri tra quelli condominiali.>>

Il Condominio è consumatore? Risposta (non chiara) dalla Corte di Giustizia

Corte di Giustizia 27.10.2022 , C-485/21, affronta il tema in oggetto con risposta non molto chiara o meglio  utile

Il rapporto de quo è quello di amministrazione cioè tra condomini e società amministratrice delle parti comuni.

Distingue a seconda che si esamini il caso del singolo condomino o l’intero condominio che -previa delibera- abbia stipulato detto contrtto.

Dice la CG : <<Nel caso di specie, occorre rilevare che dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che E. Ts. D. è una persona fisica e che il contratto di cui al punto 12 della presente sentenza ha per oggetto la gestione e la manutenzione delle parti comuni dell’immobile in regime di condominio nel quale E. Ts. D. è proprietaria di un appartamento. Pertanto, nell’ipotesi in cui detta persona sia parte di tale contratto e purché non utilizzi detto appartamento per scopi che rientrano esclusivamente nella sua attività professionale, occorre, in linea di principio, ritenere che essa agisca in qualità di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, in tale contratto.>>

Risposta ovvvia tranne che per l’ambiguo “esclusivamente”: che significa? Se l’uso è professionale solo “prevalentemente” (prevalenza ratio temporis oppure ratio spatii, id est per metri quadri) rimane consumatore?  Che l’uso concorrente non precluda tale qualfica, lo si desume dal seguente § 32 (v. dopo) : ma resta il criterio distintivo: basta la prevalenza o serve appunto l’esclusività?

Nel secondo caso (delibera assembelare) :

<< 32   In secondo luogo, nell’ipotesi in cui un contratto relativo alla gestione e alla manutenzione delle parti comuni di un immobile in condominio sia stipulato tra l’amministratore di condominio e l’assemblea generale dei condòmini o l’associazione di proprietari di tale immobile, il proprietario di un appartamento facente parte di detto immobile è considerato un «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, purché tale proprietario, innanzitutto, possa essere qualificato come «parte» di detto contratto; inoltre, sia una persona fisica e, infine, non utilizzi tale appartamento esclusivamente per scopi che rientrano nella sua attività professionale. A quest’ultimo proposito, occorre precisare che non può essere esclusa dal campo di intervento della nozione di «consumatore» la fattispecie in cui una persona fisica utilizzi l’appartamento che costituisce il suo domicilio personale anche a fini professionali, come nell’ambito di un telelavoro subordinato o dell’esercizio di una libera professione.

33      Per contro, quando un siffatto proprietario di appartamento non può essere qualificato come «parte» di detto contratto, e poiché l’assemblea generale dei condòmini o l’associazione di proprietari di un immobile non è, per definizione, una «persona fisica», ai sensi di tale articolo 2, lettera b) e, pertanto, non può essere qualificata come «consumatore» ai sensi di tale disposizione, un siffatto contratto è escluso dall’ambito di applicazione della direttiva 93/13 (v., per analogia, sentenza del 2 aprile 2020, Condominio di Milano, via Meda, C‑329/19, EU:C:2020:263, punto 29)>>.

Passaggiio poco chiaro sun un tema praticamente importante.

Forse la CG intende che se -in base al diritto nazionale- il rapporto instaurato dalla assemblea è ricostruibile in termini unitari, non può essere consumatore. Se invece va ricostruito come fascio di rapporti tra ogni condomino e la società amminsitratrice, allora il singolo può essere consumatore ma si esminerà caso per caso.

Che l’assemblea automaticamente non sia persona fisica e quindi non possa essere consumatore ci pare detto frettolosamente. Se infatti tutti i condomini sono tali,  il loro agire collettivo non gli fa perdere tale  qualità.

Risposte finali , § 35:

–     una persona fisica, proprietaria di un appartamento in un immobile in regime di condominio, deve essere considerata un «consumatore», ai sensi di tale direttiva, qualora essa stipuli un contratto con un amministratore di condominio ai fini della gestione e della manutenzione delle parti comuni di tale immobile, purché non utilizzi tale appartamento per scopi che rientrano esclusivamente nella sua attività professionale. La circostanza che una parte delle prestazioni fornite da tale amministratore di condominio in base a detto contratto risulti dalla necessità di rispettare specifici requisiti in materia di sicurezza e di pianificazione territoriale, previsti dalla legislazione nazionale, non è idonea a sottrarre detto contratto dal campo di applicazione di tale direttiva,

–        nell’ipotesi in cui sia stipulato un contratto relativo alla gestione e alla manutenzione delle parti comuni di un immobile in regime di condominio tra l’amministratore di condominio e l’assemblea generale dei condòmini o l’associazione di proprietari di tale immobile, una persona fisica, proprietaria di un appartamento situato in quest’ultimo, può essere considerata un «consumatore», ai sensi della direttiva 93/13, purché essa possa essere qualificata come «parte» di detto contratto e non utilizzi tale appartamento esclusivamente per scopi rientranti nella sua attività professionale.

Sulla legittimazione passiva dell’amministratore condominiale

La domanda di risarcimento danni provnienti da negligente manutenzione delle cose comuini può essere rivolta verso l’amminstratore solamente? cioè costui ha legittimazione passiva (e dunque può eventualmente anche proporre impugnazione)?

La risposta è positiva per Cass. 29.01.2021 n. 2127, Finrami srl c. Cond. Monti Maggiò, est. Scarpa, visto che l’art. 1130 n. 4 gli attribuisce il compito di conservare le parti comuni .

<<Corretta è la statuizione della Corte d’appello secondo cui sussiste la legittimazione passiva dell’amministratore (e quindi anche quella a proporre impugnazione avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio), senza necessità di autorizzazione dell’assemblea a costituirsi nel giudizio, rispetto alla controversia relativa alla domanda di risarcimento dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione di un bene condominiale, essendo l’amministratore comunque tenuto a provvedere alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1130 c.c., n. 4>>.

Il Collegio intende, invero, dare seguito all’orientamento interpretativo secondo cui <<il potere – dovere di “compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio”, attribuito all’amministratore di condominio dall’art. 1130, n. 4, c.c., implica in capo allo stesso la correlata autonoma legittimazione processuale attiva e passiva, ex art. 1131 c.p.c., in ordine alle controversie in materia di risarcimento dei danni, qualora l’istanza appaia connessa o conseguenziale, appunto, alla conservazione delle cose comuni (Cass. Sez. 2, 22/10/1998, n. 10474; Cass. Sez. 2, 18/06/1996, n. 5613; Cass. Sez. 2, 23/03/1995, n. 3366; Cass. Sez. 2, 22/04/1974, n. 1154; cfr. anche Cass. Sez. 2, 15/07/2002, n. 10233; Cass. Sez. 3, 21/02/2006, n. 3676; Cass. Sez. 2, 21/12/2006, n. 27447; Cass. Sez. 3, 25/08/2014, n. 18168; Cass. Sez. U, 10/05/2016, n. 9449).>>.

Nulla da osservare: affermazione logica e persuasiva.

Di conseguenza la clausola difforme del regolamento condominiale, prosegue la SC, è inefficace.

Anche qui nulla da obiettare, se non che la SC poteva specificare il tipo di inefficacia: quella data dalla nullità per violazione di norma imperativa.