Risarcimento del danno e violazione di software: interessante caso di “colosso” che copia il concorrente “piccolo”

Altro passo in avanti verso la definizione del rapporto processuale  nella lite Facebook c. Business Competence circa il software <<Faround>> (il primo: Fb; il secondo: Bc).

Mentre ancora pende (in Cassazione) l’impugnazione sulla sentenza non definitiva circa l’an della violazione (dopo due gradi di merito sfavorevoli a Fb), viene definita in appello la sentenza definitiva sul risarcimento del danno. Si tratta di Appello Milano 5 gennaio 2021 n. 9/2021, RG 3878/2019.

E’ appellante Bc poiché aveva ottenuto in primo grado un risarcimento di €350.000,00 capitali , ritenuto molto riduttivo. Csì stimò il tribunale sia per la fase iniziale di sviluppo software in cui si trovava Bc, sia perché il prodotto contraffattore di Facebook (Nearby) veniva concesso a titolo gratuito e quindi non era possibile valutare i benefici economici per Facebook stesso (nella sentenza d’appello è riportato il passaggio motivatorio centrali di quella di primo grado, v.  sub 4).

Trattandosi di sentenza sulla liquidazione del danno, la parte centrale e più interessante dell’iter motivatorio riguarda i metodi di liquidazione: è la questione tre. Vale la pena riproporre i passaggi dei CTU a cui la Corte aderisce:

<<il pregiudizio economico subito da parte attrice per effetto delle condotte illecite delle convenute ricomprende sia i danni correlati allo svilimento di valore dell’intangibile (Faround), sia i mancati guadagni relativi al periodo 2013-2016;

. sulla base dei dati disponibili (Investor Memorandum), è congruo, per la valutazione dei suddetti valori, l’utilizzo di un income approach, attraverso il metodo dell’attualizzazione delle royalties presunte con valore terminale a capitalizzazione perpetua;

. il metodo reddituale delle c.d. “royalties presunte”, che il titolare di un’app avrebbe richiesto per autorizzare dei terzi allo sfruttamento della stessa (detto anche metodo del “prezzo di consenso”) è, infatti, particolarmente indicato laddove si voglia arrivare alla determinazione di un valore di scambio della risorsa immateriale; il presumibile valore di mercato di una risorsa immateriale è pertanto stimabile come somma delle royalties presunte (che l’impresa licenziataria pagherebbe, se la risorsa immateriale non fosse di sua proprietà), attualizzate, in un orizzonte temporale tendenzialmente di 3-5 anni, oltre a un terminal value;

. questa metodologia di stima di un intangibile, ampiamente riconosciuta dalla prassi professionale e dalla dottrina, nel caso di specie consente di limitare i profili di incertezza insiti nella valutazione, in quanto non considera i costi previsti nel suddetto Investor Memorandum (come nel caso dei metodi finanziari o reddituali) o altri parametri non facilmente verificabili (come nel caso di metodi empirici basati sugli utenti giornalieri);

. per la determinazione della royalty equitativa è congrua una percentuale del 5% dei ricavi, percentuale che si colloca nei dintorni del limite superiore della royalty proposta da Facebook ed è sensibilmente inferiore a quanto indicato da Business Competence, con il richiamo alla c.d. regola del 25%, tenuto conto che anche la Circ. Min. del 22.9.1980, n. 32 (“Prezzo di trasferimento e valore normale nella determinazione dei redditi di imprese assoggettate a controllo estero”), in attuazione dei principi generali, da ultimo rivisti dall’OCSE nel luglio 2010, indica, come canoni congrui, percentuali fino al 5% del fatturato.>>

Sulla base di ciò , la stima del danno proposta dai CTU è articolata. A fronte di un minimo e un massimo, propongono una soluzione intermedia:

<<. l’ipotesi A), formulata sulla base dei ricavi, indicati da Business Competence nell’ipotesi più conservativa (c.d. “seconda stima”), portava alla individuazione del valore complessivo di € 18.805.000;

. l’ipotesi B), formulata sulla base dei correttivi, proposti a titolo esemplificativo dai C.T.P. di Facebook secondo “ipotesi ottimistiche”, ai ricavi indicati da parte attrice, portava all’individuazione del valore complessivo di € 1.614.000.

I CTU hanno evidenziato che l’intervallo considerato tra l’ipotesi massima A) e quella minima B) era ampio e ogni valore contenuto al suo interno poteva essere preso in considerazione per la stima del danno, graduando diversamente i parametri relativi ai ricavi; pertanto hanno ritenuto equo formulare l’ulteriore ipotesi C), ricompresa nel predetto intervallo, che portava all’individuazione del valore di € 3.831.000, avendo positivamente valutata l’attendibilità dei dati previsionali proposti da Business Competence, ancorché considerata con l’applicazione di scenari particolarmente conservativi, che tenevano conto di un profilo di rischio adeguato al caso di specie e della sostenibilità del modello di business, ed evidenziando che le rettifiche prudenziali adottate, che avevano fortemente ridotto il petitum di parte attrice, trovavano la loro ragione d’essere in un insieme di elementi e concause, in cui rilevava, in senso lato, anche la giovane età di Faround e il suo modello di business promettente, ma ancora in fieri.

Infatti, a parere dei CTU, in questa fase – in buona parte, peraltro, da ritenersi successiva a quella che nelle start up viene definita “valle della morte” – la trasformazione dell’idea in applicazione commerciale era già cominciata, ma non ancora consolidata attraverso una stabilità dei flussi reddituali/finanziari e quindi soggetta ad un rischio, che, anche in prospettiva, rimaneva elevato>>

La Corte aderisce alla soluzione intermedia.

E’ poi molto interessante esaminare le tre obiezioni di Fb e la replica della Corte. Ecco quanto eccepisce Fb:

<<1) I CTU hanno fondato la propria valutazione del lucro cessante su di un documento, l’Investor Memorandum, di provenienza di parte (essendo stato redatto da Business Competence) e quindi, come tale del tutto inattendibile.

2) I CTU hanno utilizzato per la determinazione dei ricavi presumibili, delle royalty richiedibili e del terminal value, dati e criteri ipotetici e del tutto irrealistici.

3) I CTU hanno errato nel ritenere che l’app Faround avrebbe avuto una vita utile, cioè produttiva di vantaggi economici, di durata indeterminata, circostanza che risulterebbe smentita:

. dal fatto che, se avessero considerato la struttura del mercato, i CTU avrebbero agevolmente concluso che Faround non poteva avere alcuna vita utile o che avrebbe avuto, al più, una vita utile molto ridotta, pari al massimo a qualche mese;

. dal fatto che, a partire da settembre 2016, dopo l’emanazione della sentenza non definitiva, Business Competence avrebbe potuto riavviare il progetto Faround e rendere l’app profittevole, ma non lo ha fatto, sebbene la “concorrente” di Faround, cioè Nearby Places, non fosse più attiva;

. dal fatto che eventuali e potenziali clienti non avrebbero avuto alcuna ragione per pagare per l’utilizzo di Faround, quando vi erano sul mercato altre e ben più consolidate realtà, come Yelp, che offrivano sostanzialmente lo stesso servizio gratuitamente.>>

Sarebbe istruttivo analizzarle partitamente, cosa qui non possibile. Vediamo solo la 1, cui la Corte così replica:

<<1) In ordine all’obiezione sub. 1), già formulata nelle osservazioni alla relazione preliminare della consulenza, la Corte ritiene condivisibile quanto evidenziato nella CTU: “In assenza di altri dati (che ben avrebbero potuto essere forniti dai convenuti, dotati di strutture organizzative intrinsecamente orientate alla raccolta e gestione capillare di dati sugli utenti, che per Facebook costituiscono l’essenza del vantaggio competitivo aziendale), la stima del pregiudizio economico subito dall’attore si è basata sull’Investor Memorandum di Business Competence; come già evidenziato infra nel par. 8.3., ‘l’attendibilità dei dati previsionali proposti da parte attrice è stata positivamente valutata (…) ancorché considerata con l’applicazione di scenari particolarmente conservativi, che tengano conto di un profilo di rischio adeguato al caso di specie e della sostenibilità del modello di business. Le rettifiche prudenziali adottate, che hanno fortemente ridotto il petitum di parte attrice, trovano la loro ragione d’essere in un insieme di elementi e concause in cui rileva, in senso lato, anche la giovane età di Faround e il suo modello di business promettente ma ancora in fieri’.

La stima dei ricavi può, in assenza di ulteriori elementi, essere basata su scenari probabilistici, che i C.T.U. ritengono nel caso di specie verosimili. Si noti come i convenuti rappresentino una delle più note società a livello mondiale per la produzione ed elaborazione di big data che, nel caso di specie (si vedano i due affidavit) solo in minima parte sono risultati ancora disponibili. Quanto alla lamentata assenza di dati storici, si rileva che essa non è certo imputabile a parte attrice, né che essa sia necessaria per confortare ipotesi, che comunque mantengono la loro validità e che sono tipiche di start up. Contrariamente a quanto affermato, l’Investor Memorandum è stato verificato da un soggetto terzo indipendente (i sottoscritti C.T.U.), che ha formulato numerosi rilievi critici, pervenendo a soluzioni, in termini di stima del quantum, ben diverse e assai più conservative rispetto a quelle prospettate dagli attori.”

Alla chiarezza e correttezza degli argomenti sopra riportati, la Corte ritiene solo di aggiungere che:

. la valutazione dell’entità di un mancato guadagno di una parte non può che fondarsi su una previsione in ordine a ciò che sarebbe ragionevolmente potuto accadere, qualora non fosse intervenuto il fatto illecito della controparte, che ha impedito il successivo concretizzarsi dell’attività progettata;

. nel caso in cui si tratti di valutare il ritorno economico, ragionevolmente prevedibile, derivante dall’attuazione di un progetto innovativo, è pertanto indispensabile assumere come dato di partenza, da sottoporre ad esame, proprio la previsione di ricavo formulata dal soggetto nel momento in cui intraprende l’esecuzione del progetto ipotizzato;

. nella fattispecie in esame, come evidenziato dai CTU, Facebook (rifugiandosi nell’inverosimile dichiarazione di conservare solo per 90 giorni, e quindi di non averne più la disponibilità nel momento in cui le sono stati richiesti, i dati inerenti la sua attività, cioè proprio quei dati da cui trae tutti i suoi ricavi aziendali) ha fatto del tutto mancare la sua collaborazione nel fornire dati che avrebbero potuto rivelarsi utili per valutare la correttezza delle previsioni di ritorno economico formulate da Business Competence, ad esempio anche solo comunicando se e in che misura fossero eventualmente aumentati (ovviamente fornendo i dati relativi e non limitandosi ad affermazioni unilateralmente definiteinconfutabili) i suoi utenti e/o i suoi inserzionisti in seguito all’introduzione della funzionalità Nearby, che come accertato, forniva le medesima utilità, che era previsto sarebbero state fornite da Faround;

. ciò che rileva, in ogni caso, è il fatto che, come accaduto nella fattispecie in esame, la previsione di ritorno economico, formulata dal soggetto interessato, sia sottoposta alla valutazione di un soggetto tecnicamente competente e terzo indipendente rispetto alle parti interessate.>>

In  conclusione, arriviamo alla liquidazione del danno nel dispositivo: <<Condanna Facebook Inc., Facebook Ireland Ltd. e Facebook Italy s.r.l. a pagare, a titolo di risarcimento del danno, in solido tra loro, a Business Competence s.r.l. la somma di € 3.831.000, con interessi legali dal 17.9.2019 (data della sentenza impugnata) al saldo>> (oltre il decuplo della liquidazione di primo grato)..

(liquidazione spese per il giduzio di appello non particolarmente alta: euro 29.792 oltre spese generali 15% e accessori di legge).