Sui parametri per la determinazione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, 16/04/2025  n. 10.035, rel. Valentino:

<<L’art.5, comma 6, L.n. 898/1970 prevede, innanzitutto, che il giudice tenga conto: delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, valutando tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del rapporto. Nel disporre l’assegno di divorzio deve considerare la condizione dell’insussistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarli per ragioni obiettive, in capo all’ex coniuge che richieda l’assegno. Con sentenza delle Sez. Unite n.18287/2018 è stato chiarito che all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.

L’assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico-patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare; l’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale.

Il riconoscimento dell’assegno divorzile è collegato all’altrui stato di bisogno, inteso quale mancanza di adeguati redditi propri e in termini di incapacità di procurarseli, in ossequio al principio di autoresponsabilità economica di ciascun coniuge: esso, quindi, deve essere negato in presenza di mezzi adeguati dell’ex coniuge richiedente o delle effettive possibilità di procurarseli.

L’assegno divorzile deve essere valutato, sia nell’an sia nel quantum, alla luce dell’evidenza che il divorzio ha reso ciascun ex coniuge una persona sola auto-responsabile. Dunque, l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive richiede una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti che tenga conto del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

Secondo il principio di autodeterminazione e responsabilità, nella determinazione dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge rilevano la capacità dello stesso di procurarsi mezzi propri di sostentamento e le sue potenzialità professionali e reddituali, che egli stesso è chiamato a valorizzare attraverso una condotta attiva e non passiva limitata ad attendere nuove opportunità lavorative.

Ai fini del riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, assumono rilievo la capacità di quest’ultimo di procurarsi i propri mezzi di sostentamento e le sue potenzialità professionali e reddituali piuttosto che le occasioni concretamente avute dall’avente diritto di ottenere un lavoro. Se la solidarietà post coniugale si fonda sui principi di autodeterminazione e autoresponsabilità, non si potrà che attribuire rilevanza alle potenzialità professionali e reddituali personali, che l’ex coniuge è chiamato a valorizzare con una condotta attiva facendosi carico delle scelte compiute e della propria responsabilità individuale, piuttosto che al contegno, deresponsabilizzante e attendista di chi si limiti ad aspettare opportunità di lavoro riversando sul coniuge più abbiente l’esito della fine della vita matrimoniale.

Alla luce di questi principi la Corte d’Appello ha escluso la impossibilità di autonomo sostentamento ed ha precisato che la breve durata del matrimonio rende del tutto indimostrato che la moglie abbia concorso alla formazione del patrimonio del marito che invece pare averlo acquisito per ragioni familiari (successione dal padre titolare dell’impresa, avvenuta in epoca successiva alla separazione). Ed inoltre precisa: “Se le parti si erano accordate perché la madre seguisse i figli non si ha certezza che tale sarebbe stato l’accordo per gli anni a venire e non piuttosto la ricerca di un lavoro indipendente. Infine, non vi è traccia delle ragioni della separazione. Il fatto quindi che l’ex marito sia molto benestante nella situazione come descritta è assolutamente indifferente non sussistendo nessuno dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile” (stessi principi ribaditi da Cass., n. 14160/2022; Cass., n. 9144/2023; Cass., n. 10614/2023)>>.