Ferrari perde la lite in Cassazione circa la proteggibilità del suo marchio nel caso di riproduzione su modellini

Cass. sez. 1 del 3 novembre 2022 n° 32.408, rel. Fidanzia, Ferrari spa c. Brumm snc [per incidens: ragione sociale “leggermente” descrittiva e per nulla distintiva, come però presupposto dall’art. 2567 cc], conferma la sentenza di appello bolognese, secondo la quale  è lecita la riproduizione del mrchi Ferrari sui modellini di automobile.

Non ci sono ragionamenti giuridici di rilievo, limitandosi la SC a censurare i motivi di ricorso perchè non atti a scalfire l’argomentazione della sentenza di secondo grado.

L’unico spunto è quello del dover dare pedisequa attuazione ai comandi presenti nel precedente europeo della corte di giustizia nell’analoga lite promossa da Opel contro un produttore tedesco di modellini (CG 25.01.2007, C-48/05, Adam Opel aG c. Autec AG).

Riporto solo questo passo:

<<In sostanza, la Corte di Giustizia, nell’escludere che l’uso del segno sui modellini in miniatura di autoveicoli abbia natura descrittiva e sia quindi, come tale, sempre lecito (purché comunque conforme ai principi della correttezza professionale), non ha, d’altra parte, ritenuto che lo stesso uso, effettuato in funzione chiaramente non distintiva (ma ornamentale), sia illecito solo perché non scriminato a norma dell’art. 6 n. 1 lett b) n. 89/104: dovrà essere il giudice di merito a valutare in concreto se l’uso in oggetto sia stato “privo di giusta causa” tale da consentire all’utilizzatore di trarre “indebitamente” vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, in quanto marchio registrato per autoveicoli, ovvero abbia arrecato pregiudizio a tali caratteristiche del marchio.

L’accertamento della sussistenza o meno della contraffazione del marchio che gode di rinomanza non può quindi che avvenire sulla base dei parametri di cui all’art. 5 n. 2 della direttiva, che corrispondono a quelli del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 20, lett. c).

Orbene, la Corte d’Appello di Bologna, facendo corretto uso dei principi di diritto sopra enunciati, con argomentazioni idonee che non sono state minimamente censurate sotto il profilo del vizio di motivazione di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come interpretato dalle S.U. di questa Corte con sentenza n. 8053/2014), ha, in primo luogo, osservato che le fedeli riproduzioni della autovetture Ferrari realizzate dalla Brumm non hanno arrecato alcun pregiudizio neppure potenziale alle funzioni dei marchi Ferrari, essendo, anzi, emersa in giudizio la prova contraria.

In particolare, il giudice di secondo grado, sul rilievo che alcuni modellini Brumm di autovetture Ferrari d’epoca sono addirittura esposti nella stessa galleria Ferrari a (Omissis), e che recensioni di automodelli Ferrari prodotti a Brumm sono rinvenibili in varie riviste di settore, inclusa la “Ferrari Wordl”, ha tratto la coerente conclusione che l’uso del segno Ferrari da parte della Brumm non ha abbia in alcun modo danneggiato il marchio celebre della società ricorrente.

Inoltre, se è pur vero che la Corte d’Appello ha, in modo impreciso, affermato la natura descrittiva dell’uso, da parte della Brumm, del segno Ferrari sui modellini in oggetto – sul punto la motivazione della Corte territoriale deve essere corretta a norma dell’art. 384 c.p.c., u.c. – tuttavia, il giudice d’appello, oltre ad escludere per tale uso l’effetto confusorio sul consumatore medio finale (sul punto, le censure della ricorrente si appalesano chiaramente inammissibili) ha, altresì, escluso che l’indicazione del marchio “Cavallino Rampante” sulle confezioni contenenti i modellini, in quanto apposta accanto al marchio Brumm, non avesse una funzione evocativa del marchio e della qualità del prodotto Ferrari (vedi pagg. 5 e 8 sentenza impugnata)>>.

Content moderation, hate speech e risoluzione del contratto di social network per inadempimento dell’utente

Trib. Roma.,  sez. dir. della persona e immig. civile, n° 17909/2022 del 5 dicembre 2022, RG 10810/2020, giud. monocr. Albano Silvia, decide nel merito la nota lite tra Casapoound e Facebook (ora Meta Platforms ireland ltd.: poi “FB), già oggetto di decisione cautelare alla fine del 2019.

Non ci sono ragionamenti particolarmente interessanti in diritto, ma un fattualmente importante accertamento di <organizzazione di odio> a carico di Casapound, secondo gli Standard di condotta di FB.

Purtroppo la lunga e fitta sentenza non è divisa in brevi paragrafi, per cui le lettura è poco agevole.

Il § 2 dà conto del quadro normativo e di applicazioni giurisprudenziali, anche estere.

Riporto il § 2.5 Conclusioni :

<<Dal complesso quadro di fonti normative sopra delineato, alcune delle quali aventi valore di fonti sovraordinate (come le norme costituzionali, o quelle sovranazionali in base all’art 117 della Costituzione), emerge con chiarezza che tra i limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, nel bilanciamento con altri diritti fondamentali della persona, assume un particolare rilievo il rispetto della dignità umana ed il divieto di ogni discriminazione, a garanzia dei diritti inviolabili spettanti ad ogni persona.
La libertà di manifestazione del pensiero non include, pertanto, discorsi ostili e discriminatori (vietati a vari livelli dall’ordinamento interno e sovranazionale).
Gli obblighi imposti dal diritto sovranazionale impongono di esercitare un controllo; obbligo imposto agli stati ed anche, entro certi limiti (come si è visto), ai social network come Facebook, che ha sottoscritto l’apposito Codice di condotta.
Nel caso di specie, peraltro, non si tratta di una generalizzata compressione per via giudiziaria della libertà di espressione di singoli individui o gruppi, ma della possibilità di accedere ad uno specifico social network (che è anche un social media, strumento attraverso il quale i produttori di contenuti sono in grado di raggiungere il grande pubblico), gestito da privati, al fine di consentire la diffusione di informazioni concernenti l’attività di una determinata formazione politica.>>

Segue poi l’applicazione al caso de quo (cioè alle clausole contrattuali tra klutente e FB: sono riportate le clausole pertinenti).

Di interesse è che nessuna clausola prevede un obbligo di preavviso per disattivazione pagine o profilo, p. 25. In ogni caso nessun danno è stato provato dalla perdita per tale ragine dei documenti già ivi caricati (p. 40).

Pertanto, alla luce della normativa e della giurisprudenza nazionale e sovranazionale opra illustrata, <<può ritenersi che un’organizzazione che si richiama al fascismo, ne usa i simboli e gli slogan, può essere designata organizzazione d’odio in base alle regole contrattuali di Facebook sopra illustrate, in quanto oggettivamente favorisce la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico>>, § 4.

E poi: <<Nel caso di specie, al contrario, non si tratta di accertare la rilevanza penale della condotta, ma la legittimità della sua diffusione attraverso il social network, in quanto la pubblicazione di simbologia fascista è vietata dalle condizioni contrattuali di Facebook e autorizza, pertanto, la rimozione di post la riproducono.
Si è visto più sopra che le regole più stringenti in ordine alle legittimità dei contenuti divulgabili in rete sono determinati anche dall’effetto moltiplicatore di internet, idoneo ad attribuire un’attitudine lesiva a condotte che altrimenti potrebbero non averne, da qui le iniziative volte a responsabilizzare i gestori dei social network onde vietare la diffusione di simboli o discorsi d’odio in rete anche attraverso le condizioni contrattuali che ogni utente deve sottoscrivere al momento dell’iscrizione.

Facebook non solo poteva risolvere il contratto grazie alle clausole contrattuali accettate al momento della sua conclusione, ma aveva il dovere legale di rimuovere i contenuti, una volta venutone a conoscenza, rischiando altrimenti di incorrere in responsabilità (si veda la sentenza della CGUE sopra citata e la direttiva CE in materia), dovere imposto anche dal codice di condotta sottoscritto con la Commissione Europea>>, p. 31.

Viene esteso il giudizio alla pagina personale dell’ammninistratore di Casapound Italia.

Elenco di fatti, supportanti il giudizio di esattezza della qualificazione come  <organizzazione di odio> decisa da FB,  sta a a pp. 36/7.

Quindi FB legittimamente ha risolto il contratto.

Sono poi riprodotti i principali documenti provanti tale conclusione (con riproduzione grafica e a colori; i link invece non sono più attivi)

Conclusione finale al § 5 , p. 39: a<<l’art. 3.2 delle condizioni contrattuali prevede espressamente che nel caso in cui “l’utente abbia violato chiaramente, seriamente o reiteratamente le proprie condizioni o normative, fra cui in particolare gli Standard della community, Facebook potrebbe sospendere o disabilitare in modo permanente l’accesso dell’utente al suo account.”
E’ stato provato che le parti attrici hanno pubblicato contenuti in violazione delle clausole contrattuali che vietano il supporto ad organizzazioni d’odio (Davide Di Stefano attraverso il proprio profilo anche quale amministratore della pagina di CasaPound Italia), la pubblicazione di hate speech basati sulla razza o etnia (art 13 Standard della Comunità) e simboli che rappresentano/elogiano un’organizzazione che incita all’odio (come tutta la simbologia fascista o l’elogio ai combattenti della X Mas o della Repubblica di Salò- art 2 degli Standard) o che incitano alla violenza (art 1 degli Standard).
I contenuti, che inizialmente erano stati rimossi e poi a fronte della reiterata violazione hanno comportato la disattivazione degli account delle parti attrici sono illeciti da numerosi punti di vista.
Non solo violano le condizioni contrattuali, ma sono illeciti in base a tutto il complesso sistema normativo di cui si è detto all’inizio, con la vasta giurisprudenza nazionale e sovranazionale citata.>>

Conclusione on-line del contratto e clausola di arbitrato

Le piattaforme quasi sempre , quando convenute, eccepiscono la clausola di arbitrato stipulata on line tramite i terms of service TOS, in cui è inserita.

In questo caso il distretto nord della California, S. Josè division, 16 dicembre 2022, Case No. 22-cv-02638-BLF, Houtchens e altri c. Google, affronta il tema del se sia stata o no validamente conclusa la clausola di arbitrato col metodo c.d. clickwrap agreement per l’apertura di un account Fitbit (di proprietà di Google).

Si vedano in sentenza le quattro schermate a seconda del dispositivo (pc, cell. etc): in breve, si deve cliccare per i TOS su un quadratino che ad essi rinvia tramite link, e in essi pure alla  clausola di arbitrato.

Per la corte, l’accordo si è validamente formato:

<<The Court finds that the hyperlinks to Fitbit’s Terms of Service in each of the above screens provided Plaintiffs “reasonably conspicuous notice” of the terms. See Berman v. Freedom Fin. Network, LLC, 30 F.4th 849, 856 (9th Cir. 2022). In the first three screens, the hyperlinks to Fitbit’s Terms of Service are presented in blue text in a sentence that otherwise uses gray text; they are next to the box a user must select to accept the terms; and the screens on which they appear are uncluttered. Court’s have routinely found that such a presentation supplies reasonably conspicuous notice of hyperlinked terms. See, e.g., Adibzadeh, 2021 WL 4440313, at *6 (reasonably conspicuous notice provided “where users must agree to the website’s terms and conditions before they can proceed, and the terms and conditions are offset in a blue text, hyperlinked text”). In the final screen, the hyperlinks are again presented next to the box that a user must select to accept the terms and the screen on which they appear is uncluttered; but instead of using blue font to distinguish the hyperlinks from the surrounding text, the page uses boldunderlined font. The Court finds that this page, too, provides reasonably conspicuous notice of the terms to which a consumer will be bound. Cf. Nguyen, 763 F.3d at 1177 (“The conspicuousness and placement of the ‘Terms of Use’ hyperlink, other notices given to users of the terms of use, and the website’s general design all contribute to whether a reasonably prudent user would have inquiry notice of a browsewrap agreement.”)>>

Marchi geografici: fare molta attenzione!

E’ stata daecisa dal reclamo ammisnitativo dlel’Uifficio euroep la lite sul marhcio dneominativo e figurativo ICELAND, chiesto per diverse classi merceologiche (per lo più attinenti als ettore alimentare).

Il figurativo è questo :

Ne dà notizia Giorgio Luceri su IPKat e gisutamente ricjhiama l’imoprtanza della decisione che si portrà come precednte improtante sulloggetto (oltre al noto caso Chniemsee del …, ampiamente richiamato)

Si tratta della decisione del Grand Board of Appeal 15.12.2022 Iceland foods ltd c. Ministero degli esteri di Islanda, R 1238/2019-G, per il marchio denominativo e della decisione del medesimo organo, pari data, R 1613/2019G, per il marchio figurativo.

La norma di riferimenot è la’rt. 7.1.c) dell’EUTMR.

Si v. della lunga decisione ad es. i §§ 125 ss sulle caratteristiche del paese Islanda.

E poi i §§ 148-149 : <<What is more, consumers in the EU are in fact used to seeing an indication of the
country of origin, production or processing on a variety of products. Such
indications are not only linked to a legal obligation in the European Union to
indicate the country of origin of foodstuffs but are also common in relation to other
goods (stationary, electronic appliances, etc.). For these latter goods, consumers
are used to seeing the indication ‘Made in [country name]’ and their purchase
decision may be dependent or at least influenced by the country indicated
(‘Chiemsee’, cited
supra, para. 9, indent 4, § 98). In particular, in view of the
growing environmental and ecological conscience of the target public, consumers
may for example choose fruit, vegetable and meat products that were grown in
countries which have strict and reliable regulations regarding the use of pesticides,
antibiotics and growth hormones. Regarding electric and electronic apparatus,
consumers may turn to products which are linked to a country enjoying a reputation for good eco-quality, robust and environmentally sustainable goods and services and which offer the possibility of easy-to-avail post-sales assistance with all the guarantees of Single Market consumer protection to be found in the EU or the EEA.
149 Given that Iceland will have a propensity to describe sustainable and eco-friendly goods, such an image can easily influence purchasing decisions of the relevant public. Since the beginning of the millennium, environmental concerns have had an important place on the international agenda and national governments in developed countries have taken extensive measures in response to consumer concerns in this respect. As a result, there has been a growing demand for more eco-friendly, sustainable products. For this reason, eco-friendliness embedded in
the identity of countries at the forefront of the eco movement (such as the Nordic region and Germany) will positively influence the acquisition decision of
consumers.
>>

Conclusion: << 198 … the Grand Board concludes that the mark at issue would
be perceived by the relevant public as an indication that the goods and services so designated originate from Iceland. Consequently, the Grand Board confirms the findings of the Cancellation Division that the mark has been registered contrary to the provisions of Article 7(c) EUTMR.
>>

Seguono interessanti  riferimenti alle opinioni degli esperti ed esame di atlre disposizioni del reg. UE

Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità: impulso dal COREPER

Il comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER) del Consiglio UE  ha invitato in data 30.12.2022 il Consiglio stesso ad approvare un orientamento genrale circa la proposta di direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937  .

E’ noto che la direttiva, se approvata, introdurrà significative novità nel diritto dell’impresa. Si applicherebbe alle società con più di 500 dipendneti + oltre 150 mln € di fatturato mon diale oppure più di 250 dipendenti + oltre 40 mln fatturato mondaile se incertio settori maggiormente a rischio di violazioni (art. 2.2.

La proposta di direttiva, basata sugli articoli 50 e 114 TFUE, stabilisce <<norme sugli obblighi rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi, siano essi effettivi o potenziali, che incombono alle società nell’ambito delle loro attività, delle attività delle loro filiazioni e delle attività nella catena del valore svolte da soggetti con cui la società intrattiene un rapporto d’affari consolidato. Stabilisce inoltre norme sulla responsabilità in caso di violazione di tali obblighi>>, § 2 dell’Introoduizione.

Centrale quindi è il concetto di <catena del valore> , sostituito ora da <catena di attività> (§§ 18-19 Introduzione), definito dall’art. 3.g:

<<i) attività di un partner commerciale a monte di una società inerenti alla produzione di beni o alla prestazione di servizi da parte della società, compresi la progettazione, l’estrazione, la produzione, il trasporto, l’immagazzinamento e la fornitura di materie prime, prodotti o parti di prodotti e lo sviluppo del prodotto o del servizio e
ii) attività di un partner commerciale a valle di una società inerenti alla distribuzione, a trasporto, all’immagazzinamento e allo smaltimento del prodotto, inclusi lo smantellamento, il riciclaggio, il compostaggio o il conferimento in discarica, laddove i partner commerciali svolgano tali attività per la società o a nome della società, a eccezione dello smaltimento del prodotto da parte dei consumatori e della distribuzione, del trasporto, dell’immagazzinamento e dello smaltimento del prodotto soggetto al controllo delle esportazioni a norma del regolamento (UE) 2021/821 del Parlamento europeo e del Consiglio o al controllo delle esportazioni relativo ad armi, munizioni o materiali bellici, dopo che l’esportazione del prodotto è stata autorizzata>

La responsabilità nascente sarà di tipo contrattuale cioè da violazione di obblighi

L’assegnazione divisoria del bene non comodamente divisibile ad uno o più coeredi presuppone la loro richiesta (sull’art. 720 c.c.)

Cass. sez. VI del 15.12.2022, n° 36.736, rel. Tedesco, sul tema insegna che:

– Nell’art. 720 c.c., <<applicabile allo scioglimento di ogni tipo di comunione oltre quella ereditaria, la vendita si pone con evidenza come ultima ratio (Cass. n. 14756/2016; n. 5679/2004), cui si potrà far ricorso solo se non ci sia neanche un condividente richiedente l’assegnazione dell’immobile indivisibile, non importa se titolare di una quota uguale o minore di quella degli altri.

In presenza di più richiedenti, la legge pone una preferenza in favore del titolare della maggior quota, che non esclude che il giudice possa attribuire il bene ad altro coerede, titolare di una quota minore, quando ciò gli sembri più consono all’interesse di condividenti (Cass. n. 6469/1982; n. 4775/1983; n. 7716/1990; n. 8629/1998; n. 22857/2009; n. 7869/2019; n. 24832/2019). In assenza di richieste di attribuzione, formulate dal singolo o da condividenti raggruppati, si apre inevitabilmente la via della vendita, dovendosi escludere che i poteri discrezionali attribuiti al giudice della divisione dall’art. 720 c.c. si estendano fino all’inclusione d’ufficio dell’immobile indivisibile nella porzione di un condividente che non ne abbia fatto esplicita richiesta, pur se titolare della maggior quota (Cass. n. 11769/1992).    Inoltre, si deve categoricamente escludere che la norna consenta l’attribuzione di una porzione unica a più aventi diritto congiuntamente, contro la loro volontà [prcisazione inutile, essendo già inclusa nella frase precedente] . E’ principio acquisito che il c.d. il raggruppamento parziale delle porzioni, vale a dire la divisione in lotti nell’interno dei quali si stabilisca una nuova comunione fra taluni condividenti, in tanto è possibile, in quanto vi sia il consenso degli interessati, cioè di coloro che faranno parte della nuova comunione (Cass. n. 20250/2016; n. 5222/1978; n. 489/1966).>>

– <<Deve piuttosto rimarcarsi come sia possibile che le soluzioni previste per il caso di indivisibilità si rendano necessarie non solo per uno ma per più beni della massa o al limite per tutti gli immobili oggetto di comunione, che saranno o venduti o compresi, allorché sarà predisposto il progetto, nelle porzioni dei richiedenti, se ci sono.>>

– principio di diritto, allora: ell’ambito della normativa di cui all’art. 720 c.c., l’espressa e specifica istanza dei condividente interessato assurge ad imprescindibile presupposto dell’attribuzione, dovendosi escludere che i poteri discrezionali attribuiti al giudice della divisione dalla citata norma si estendano fino all’inclusione d’ufficio dell’immobile indivisibile nella porzione di un condividente che non ne abbia fatto esplicita richiesta, pur se titolare della maggior quota; analogamente, accertata la non comoda divisibilità di uno o più immobili ereditari, l’inclusione di essi nelle porzioni di più coeredi non può avere luogo se costoro non ne abbiano richiesta congiuntamente l’attribuzione, essendo in linea di principio vietato il c.d. raggruppamento parziale delle porzioni, cioè la divisione in lotti nell’interno dei quali si stabilisca comunione fra gruppi di condividenti, allorché non vi sia il consenso di costoro”.

Tra l’altro, i ricorrenti << a fronte della valutazione di non comoda divisibilità dei beni relitti, non avevano avanzato alcuna richiesta di attribuzione. Essi avevano solo manifestato una generica volontà di aderire alle proposte conciliative dell’attore, ma sempre condizionatamente al fatto che a loro carico non fosse posto alcun conguaglio>>.

Per il danno da perdita del rapporto parentale, bisogna provarne l’effettività e la consistenza

Sul punto Cass., sez. VI, n° 36.297 del 13.12.2022, rel.  Scrima:

<<La Corte territoriale ha espressamente richiamato l’orientamento di questa Corte in tema di danno da perdita del rapporto parentale (Cass. 21230/16 e 7743/20), secondo cui è onere dei congiunti provare l’effettività e la consistenza della relazione parentale rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ha, altresì, richiamato il principio giurisprudenziale secondo cui il giudice può discostarsi dalla-misura minima prevista dalle Tabelle di Milano purché dia conto nella motivazione della specifica situazione che giustifica la decurtazione (Cass. n. 29495/19).

Dei richiamati principi la Corte di merito ha fatto corretta applicazione e, in particolare, contrariamente a quanto dedotto dal C., ha correttamente motivato il lamentato discostamento dai valori tabellari con riferimento alla situazione specifica.

Nel ritenere non provata l’effettività del rapporto parentale, con riguardo alla relazione padre figlia, la Corte territoriale ha in primis valutato la travagliata storia familiare di C.L. e, stante l’assenza di una stabile convivenza – per quanto qui rileva – con entrambi i suoi genitori, ha ancorato tale valutazione a quanto complessivamente risultante agli atti. Tale disamina è stata effettuata disgiuntamente e con ampiezza di argomentazioni in relazione ai rapporti con ognuno dei genitori, risultando così evidente la diversa consistenza di tali rapporti; non può, pertanto, essere condivisa l’argomentazione del ricorrente, il quale ha rilevato come il rapporto parentale di C.L. con la madre sia stato considerato effettivo ed abbia condotto ad un risarcimento determinato sulla base dei valori tabellari, nonostante il “trascorso di vita del tutto simile al padre”.

La Corte di appello ha concluso per la non effettività del rapporto parentale con il padre, non limitando il suo convincimento alle dichiarazioni tenute da C.L. innanzi al Tribunale per i Minorenni in data 27 settembre 2011, bensì considerando anche che, per stessa ammissione del padre, il rapporto con la figlia constava in contatti telefonici e manifestava la sua fragilità nella non partecipazione del C. agli incontri organizzati dai Servizi Sociali e nel fatto che non si fosse mai posto il problema del mantenimento della figlia.

Peraltro, va evidenziato che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto.

Stante la chiarezza e la logicità della motivazione in merito al discostamento tra il danno liquidato in favore di C.L., per la perdita della relazione parentale con la figlia C.L., e quanto astrattamente previsto dalle Tabelle di Milano, non può considerarsi violata la disciplina della liquidazione del danno in via equitativa né risultano sussistenti gli ulteriori vizi dedotti sicché il primo motivo di ricorso è infondato.>>

Danno biologico terminale e danno catastrofale da tenere ben distinti

Precisaizoni da Cass. sez. lavoro n° 36.841 del 15.12.2022, rel. Michelini, sul trattamento di danno generato da evento morte, sopraggiunto dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo (§ 15):

<<con la pronuncia n. 12041/2020 ora citata, cui il Collegio intende dare continuità, si è chiarito che:

a) in caso di malattia professionale o infortunio sul lavoro con esito mortale, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofale), sicché, mentre nel primo caso la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, nel secondo la natura peculiare del pregiudizio comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro, che tenga conto della “enormità” del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte (cfr. Cass. n. 23183/2014, n. 15491/2014);

b) si tratta di danni che vanno tenuti distinti e liquidati con criteri diversi;

c) per il danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso) la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea e deve essere effettuata in relazione alla menomazione dell’integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso; tale danno, qualificabile come danno “biologico terminale”, dà luogo ad una pretesa risarcitoria, trasmissibile “iure hereditatis” da commisurare soltanto all’inabilità temporanea, adeguando tuttavia la liquidazione alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte;

d) invece il danno catastrofale – che integra un danno non patrimoniale di natura del tutto peculiare consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita – comporta la necessità di una liquidazione che si affidi a un criterio equitativo denominato “puro” – ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso – che sappia tener conto della sofferenza interiore psichica di massimo livello, correlata alla consapevolezza dell’approssimarsi della fine della vita, la quale deve essere misurata secondo criteri di proporzionalità e di equità adeguati alla sua particolare rilevanza ed entità, e all’enormità del pregiudizio sofferto a livello psichico in quella determinata circostanza (vedi, tra le altre, Cass. n. 23183/2014);

e) ai fini della sussistenza del danno catastrofale, la durata di tale consapevolezza non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità, ma per la sua quantificazione secondo i suindicati criteri di proporzionalità e di equità (in termini: Cass. n. 16592/2019; v. pure Cass. n. 23153/2019, n. 21837/2019);

f) per ottenere uniformità di trattamento a livello nazionale, per questa ultima voce di danno si reputa comunemente necessario fare riferimento al criterio di liquidazione adottato dal Tribunale di Milano, per l’ampia diffusione sul territorio, appunto, nazionale e per il riconoscimento attribuito dalla giurisprudenza di legittimità, alla stregua, in linea generale e in applicazione dell’art. 3 Cost., del parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico a norma degli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono (cfr. Cass. n. 12408/2011, n. 27562/2017; v. anche Cass. n. 9950/2017);>>

Ecco allora l’rrrore della corte di appello:

<<nel caso di specie, invece, la Corte d’Appello di Genova ha ricondotto a nozione unitaria il pregiudizio del dante causa, quale danno biologico terminale ricomprendente sia il danno da lucida agonia o morale catastrofale, che quello biologico ordinario;

18. la sentenza impugnata risulta, quindi, in contrasto con i principi di diritto su enunciati, perché non tiene conto del criterio di liquidazione individuato da questa Corte di legittimità nelle tabelle che stimano l’inabilità temporanea assoluta con opportuni “fattori di personalizzazione”, quale parametro di conformità della valutazione equitativa del danno alle disposizioni degli artt. 1226 e 2056 c.c., e perché non considera la duplice componente fenomenologica del danno sottoposto al presente giudizio, avuto riguardo sia agli effetti che la lesione del diritto della salute ha comportato nella dimensione dinamico-relazionale del soggetto danneggiato, sia alle conseguenze subite dallo stesso nella sua sfera interiore, sub specie di sofferenza di paura, di angoscia, di disperazione, anche in considerazione del prevedibile esito letale;>>

L’abuso di personalità giuridica può far cadere la responsabilità limitata del socio ma non lo schermo societario

Rimane ferma la SC nel limitare gli effetti dell’abuso di personalità giuridica alla trasformazione della responsabilità da limitata a illmitata per i debiti sociali: senza potere invece arrivare a far cadere la distinzione soggettiva e quindi a permettere il pignoramento dei beni sociali da parte del creditore particolare del socio.

Così Cass. 20.181 del 22 giugno 2022, rel. Scotti , sez. 1, che riprende testualmente un passo di Cass. n° 804 del 25.01.2000:

«il dato che in una società per azioni un socio ……. sia titolare della maggioranza del capitale della società cui esso partecipa, non giustifica la conclusione che egli sia titolare dell’intera società. Il c.d. “socio sovrano”, cui è inapplicabile l’art. 2362 c.c. a meno che non si dimostri la natura fittizia o fraudolenta delle partecipazioni di minoranza (cfr. Cass., 29 novembre 1983, n:7152), quando si serva della struttura sociale come schermo (così trasformandosi in “socio tiranno”) al fine di gestire i propri affari con responsabilità patrimoniale limitata, può incorrere nel fenomeno definito dell’abuso di personalità giuridica, ravvisabile allorché alla forma societaria corrisponda una gestione in tutto e per tutto individuale. Si è sostenuto che il singolo debba rispondere in tal caso illimitatamente anche con il proprio patrimonio e sono altresì ipotizzabili forme di responsabilità civile e Penale, avuto riguardo al ruolo svolto dal socio di maggioranza. Ma la società di capitali resta con tutti i suoi connotati, anche e soprattutto a tutela delle partecipazioni di minoranza non fittizie o fraudolente.»

La SC precisa che in causa non era stata chiesta la simulazione nè del trasferimento dell’immobile (che la Banca mirava ad apprendere) alla società, nè della costituzione della società medesima.

Ipotesi quest’ultima comunque vietata dall’art. 2332 cc (§ 4.3): <<E difatti questa Corte ha affermato che la simulazione assoluta dell’atto costitutivo di una società di capitali, iscritta nel registro delle imprese, non è configurabile in ragione della natura stessa del contratto sociale, che non è solo regolatore degli interessi dei soci, ma si atteggia, al contempo, come norma programmatica dell’agire sociale, destinata ad interferire con gli Corte di Cassazione – copia non ufficiale7 di 12 interessi dei terzi, donde l’irrilevanza, dopo l’iscrizione della società nel registro delle imprese e la nascita del nuovo soggetto giuridico, della reale volontà dei contraenti manifestata nella fase negoziale; tale fondamento, espressione del valore organizzativo dell’ente, è sotteso all’art. 2332 c.c., imponendosi dunque una lettura restrittiva dei casi di nullità della società da essi previsti, in nessuno dei quali è, quindi, riconducibile la simulazione (Sez. 1, n. 20888 del 5.8.2019, Rv. 655290 – 01; Sez. 6 – 5, n. 29700 del 14.11.2019, Rv. 656118 – 01; Sez. 1, n. 22560 del 4.11.2015, Rv. 637675 – 01; Sez. 1, n. 30020 del 29.12.2011, Rv. 620961 – 01)>>

Chiarito perchè non può essere accertata la simulazione del contratto sociale (art. 2332 cc) , non è però chiarito per qual motivo non si possa far cadere lo schermo per abuso di personalità verso il creditore  agente.

La risposta forse riposa sempre sulla ratio sottesa all’art. cit. 2332 cc: tutela degli interessi dei terzi in contatto con la società. La caduta dello schermo societario non è altro dal disconoscimento dell’effetto giuridico prodotto  (distinzione sogettiva) , per cui è pur sempre nullità (nè potrebbe prodursi incidenter tantum e cioè solo per alcuni -creditore agente- e non per gli altri): il che porta all’applicazione diretta (nemmeno serve l’analogia) della disposizione citata.

Il discorso potrebbe tuttavia apparire di dubbia esattezza: anche disconoscere la responsabilità limitata è disconoscere un tipico effetto della disciplina societaria. Perchè quest’ultimo si, mentre  ma la intestazione dei beni no? la diversità di trattamento andrebbe meglio  giustificata. Superato lo scoglio della protezione del socio di minoranza (ad es. perchè anche egli coinvolto nell’abuso; si dovrà certo concordare sul concetto di <coinvolgimento>), l’abuso potrebbe allora portare al disconoscimento dell’effetto e cioè alla caduta dello schermo societario.

Tuttava anche nel ns caso ricorrono le esigenze di chiarezza e certezza dei rapporti giuridici (tutela del traffico giuridico)  proprie della nullità ex art. 2332. Si pensi al caos che genererebbe nei creditori dell’ente l’improvisa vanificazione dello stesso e quindi il dover agire contro i soci personalmente, magari centinaia di soci (solidalmente, tenuti, magari…), con aggravio burocatico spesso spaventoso (anche se magari con maggior soddisfazione recuperatoria …)

Qualche parola sul punto sarebbe stato preferibile che la Sc la introducesse.

Resposting di fotografie e aggiunta di commento asseritamente ingiurioso è coperto da safe harbour ex § 230 CDA?

Dice di si l’appello calforniano 1st appellate district – division one, 15 dicembre 2022, A165836, A165841, A.H e altri c. Labana.

A seguito della morte di George Floyd e del reperimento della foto su internet di alcuni alunni (della stessa scuola del figlio) col volto dipinto di nero (con significato razzialmnente derisorio), una mamma di colore organizza con altra mamma una marcia di protesta.

Crea allo scopo un “evento Facebook” che include la foto medesima (senza nomi; ma erano stati da altri identificati). Vi aggiunge il commento “This is a protest to [sic] the outrageous behavior that current and former students from SFHS did–A George Floyd [I]nstagram account making fun of his death, the fact that he could not breath [sic] and kids participating in black face and thinking that this is all a joke.

Does the SFHS administration think this is a joke? Please join us at the entrance of the school off of Miramonte St. and make sure this administration knows that this type of behavior will NOT be tolerated.

Please remember to practice social distancing, wear a mask and bring a sign if you would like! Feel free to add people to this list”.

Gli alunni rappresentati nella foto agiscono per difamazione anche verso questa mamma .

Il giudice di primo e secondo grado però confermano che opera il § 230 CDA come safe harbour (come internet service user, direi , non provider) dato che era stato accertato che la mamma no era autrice della foto stessa, trattandosi solo di reposting (condivisione).

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)