In sede di accordi di separazione, i coniugi possono modificare le quote di comproprietà dell’immobile, che era in comunione legale

La quota di comproprietà nel regime di comunione legale è inderogabilmente del 50% cadauno (art. 210 cc)

In sede di separazione, però, scioltasi la comunione, può essere modificata (71 % e 29 %, nel caso de quo).

Così Cass. sez. I, ord. 03/02/2025 n. 2.546, rel. Tricomi:

<<Tanto premesso, è decisivo ricordare che questa Corte con la sentenza n. 21761/2021 resa a Sezioni Unite, di recente, ha affermato, richiamando pregressi precedenti di legittimità, che sono da ritenersi pienamente valide, anche con riferimento ai beni che ricadono nella comunione legale, le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno, o ad entrambi i coniugi, la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili nel complessivo riassetto degli interessi economico – patrimoniali, ovvero che ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. In particolare, ha chiarito che “Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume – per vero – forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi. Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verifica, infatti, con effetto “ex nunc”, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell’omologazione degli accordi di separazione consensuale” (Cass. Sez. U. n.21761/2021, par.3.2.2.; Cass. n.4306/1997).

È stato, inoltre, affermato – con riferimento ad una vicenda di proposizione dell’azione revocatoria – che gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti reciproche attribuzioni patrimoniali e concernenti beni mobili o immobili, rispondono, di norma, ad uno specifico spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di separazione consensuale che svela una sua “tipicità” propria. Tale tipicità – intesa in senso lato, con riferimento alla finalità, comune a questi accordi, di regolare i rapporti economici a seguito della crisi di coppia – ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., può colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della gratuità, in ragione dell’eventuale ricorrenza, o meno, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più ampia e complessiva, di tutta quella serie di possibili rapporti aventi significati, anche solo riflessi, patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale (Cass. n. 2740/2019). In tale decisione, la Corte ha ribadito come il verbale in cui le parti avevano espresso le condizioni di separazione personale costituisse a seguito dell’omologa, ed in quanto atto pubblico – titolo per la trascrizione, a norma dell’art. 2657 c.c. (in senso sostanzialmente conforme, cfr. anche Cass.n.10443/2019).

Nel caso in esame, si verte in ipotesi di accordo stipulato tra ex coniugi, al momento della separazione consensuale, al fine di disciplinare i profili relativi alle questioni patrimoniali insorte nella coppia.

Ne discende che, una volta sciolta la comunione legale con la separazione consensuale, rientra nella piena autonomia negoziale delle parti disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali – estranei agli obblighi ex lege riguardanti la prole, in relazione ai quali l’autonomia delle parti contraenti incontra limiti – con l’accordo di separazione omologato; in tale sede le parti possono liberamente disporre dei beni in comunione al fine di regolare i rapporti economici della coppia e possono prevedere una ripartizione del bene immobile in comunione legale per quote non egalitarie nell’ambito delle reciproche attribuzioni patrimoniali, in vista della successiva divisione, senza che ricorra alcuna ipotesi di nullità>>.

Trattasi di affermazione esatta ma ovvia. Ci sarà quindi un trasferimento di quota dall’uno all’altro coniuge (del 21%, nel caso).

Differenza di disciplina tra comunione legale e comunione ordinaria (cui si perviene una volta sciolta la prima)

Cass. sez. I, ord. 3 febbraio 2025 n. 2.546 est. Tricomi:

<<La comunione legale tra coniugi, in quanto finalizzata alla tutela della famiglia piuttosto che della proprietà individuale, si differenzia da quella ordinaria in quanto costituisce una comunione senza quote, nella quale essi sono entrambi solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni che la compongono e rispetto alla quale non e ammessa la partecipazione di estranei, sicché, fintantoché è in essere, permane il diritto del coniuge a non entrare in rapporti di comunione con soggetti ad essa estranei, mentre una volta sciolta per una delle cause di cui all’art. 191 c.c., venendo meno le necessità funzionali originarie, ciascuno degli ex coniugi può cedere ad ogni titolo la propria quota, ossia la corrispondente misura dei suoi diritti verso l’altro, senza che si ponga un problema di radicale invalidità dell’atto di trasferimento.
Una volta sciolta la comunione legale con la separazione consensuale, rientra nella piena autonomia negoziale delle parti disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali – estranei agli obblighi ex lege riguardanti la prole, in relazione ai quali l’autonomia delle parti contraenti incontra limiti – con l’accordo di separazione omologato; in tale sede le parti possono liberamente disporre del beni in comunione al fine di regolare i rapporti economici della coppia e possono prevedere una ripartizione del bene immobile in comunione legale per quote non egalitarie nell’ambito delle reciproche attribuzioni patrimoniali, in vista della successiva divisione, senza che ricorra alcuna ipotesi di nullità>>.

(massima di Valeria Cianciolo in Ondif)

La comunione legale è senza quote, per cui l’esecuzione forzata contro uno solo dei coniugi per debiti personali ha ad oggetto il bene per intero (e non per metà)

Copsì Cass. sez. 3 del 04.01.2023 n. 150:

<< con riguardo alla peculiare fattispecie in cui il bene ricada nella comunione legale tra coniugi, è stato affermato lo specifico principio secondo il quale la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l’espropriazione, per debiti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all’atto della sua vendita od assegnazione e con diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso oppure del valore di questo, in caso di assegnazione (Cass. 14/03/2013, n. 6575).

Sulla base di tale principio, questa Corte non solo ha confermato che l’esecuzione sul bene ricadente nella comunione legale tra coniugi può avere ad oggetto il bene esclusivamente nella sua interezza e non per una inesistente quota della metà, ma ha ulteriormente specificato che, pur non essendo esclusa la legittimazione del coniuge non debitore ad esperire le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, nonché l’opposizione di terzo, tuttavia tali rimedi non possono essere da lui esperiti al fine di escludere dall’espropriazione una quota del bene in natura (Cass. 29/05/2015, n. 11175) ed ha ribadito che l’unico diritto spettategli è quello di percepire, in sede di distribuzione, la metà del ricavato della vendita del bene, al lordo delle spese di procedura (Cass. 31/03/2016, n. 6230).

Se da un lato, infatti, va ritenuto insussistente l’interesse del coniuge debitore a dedurre l’appartenenza del bene alla comunione legale (poiché, di regola, l’esecutato non ha interesse a dolersi dell’appartenenza del bene staggito ad altri od anche solo in parte ad altri), dall’altro lato va pure esclusa la legittimazione del coniuge non debitore a paralizzare o inficiare gli atti di disposizione del bene compiuti durante il processo di espropriazione, e quindi a rivendicare alcunché sulla base della deduzione di una pretesa di natura reale, potendo egli soltanto esercitare il diritto personale ad ottenere la metà (lorda, non potendo porsi a suo carico anche le spese di una liquidazione che già ha luogo contro la sua volontà) del controvalore del bene all’atto della distribuzione.

Questa Corte ha, inoltre, escluso l’applicabilità, alla fattispecie, del meccanismo processuale di cui agli artt. 599-601 c.p.c., attesa la non configurabilità, nel bene oggetto di comunione legale tra coniugi, di una “quota”, come parte ideale del bene staggito sulla quale si puntualizzi la proprietà esclusiva del singolo comunista (Cass. 31/03/2016, n. 6230, cit.).

I detti principi si sono consolidati nella giurisprudenza di legittimità, la quale non solo ha reiteratamente riaffermato il principio – costituente la premessa generale delle implicazioni relative ai diritti spettanti al coniuge non debitore – secondo cui la comunione tra coniugi ha natura di comunione “senza quote” (cfr., ad es., Cass. 05/04/2017, n. 8803); ma ha anche puntualmente riaffermato che la rilevata natura comporta che l’espropriazione, per obbligazioni personali di uno solo dei coniugi, di uno o più beni in comunione abbia ad oggetto la “res” nella sua interezza e non per la metà o per una quota, traendone la conseguenza che, in ipotesi di divisione, è esclusa l’applicabilità sia della disciplina sull’espropriazione dei beni indivisi (artt. 599 e ss. c.p.c.) sia di quella contro il terzo non debitore (Cass. 24/01/2019, n. 2047).

Va, dunque, data continuità all’orientamento secondo il quale, per il debito di uno dei coniugi, correttamente è sottoposto ad esecuzione per l’intero il bene ricadente nella comunione legale con l’altro coniuge, con conseguente esclusione di ogni irritualità o illegittimità degli atti della procedura, fino al trasferimento del bene a terzi, non potendosi riconoscere al coniuge non debitore il diritto di caducare tali atti, né quello di ottenere la separazione di parti o quote del bene staggito o di conseguire dalla procedura esiti diversi dalla vendita per l’intero, salva la corresponsione, in sede di distribuzione, della metà del ricavato lordo della vendita, dovuta in dipendenza dello scioglimento, limitatamente a quel bene, della comunione senza quote>>.