Diffamazione a carico di ente commerciale: nella lite risarcitoria ENI c. Travaglio è arrivata la sentenza che rigetta la domanda di ENI

Con sentenza 14.12.2022 n° 18412/2022, RG 65990/2020, rel. Bile Corrado, il Tribunale di Roma rigetta la domanda risarcitoria di ENI vs. Il Fatto Quotidiano e il direttore Travaglio.

Il fatto dedotto consisteva in una lunga serie di articoli assai critici verso l’operato di ENI spt. in Africa, asseritamente diffamanti .

IL Trib. li esamina partitamente ma non ravvisa lesione della reputazione rilevante sotto il profilo aquiliano (art. 2043 cc).

Distingue il diritto di cronca dal diritto di critica, approfondendo il secondo.

Si appoggia alla “vecchia” Cass. 5259 del 1984 e al suo noto c.d decalogo del giornalista.

Ricorda che è ammessa una certa dose di esagerazine e provocazione, come ammesso anche da Corte EDU del 2016, ric. 49132/11..

Nel caso specifico <<dalla lettura emerge che la struttura argomentativa è sempre la stessa. Vengono presentate le vicende avvertendo il lettore che si tratta di questioni ancora oggetto di indagine e sulle quali, allo stato, non si è accertata alcuna responsabilità penale e, al contempo, si esprime un’opinione critica sull’opportunità di una scelta politica>>,.

Rigetta la domanda di sanzione per abuso del processo ex art. 96.3 cpc per assenza di malafede e colpa grave.

Spese di lite assestate ad euro 7.600+15% per spese generali.-

In una delle sue conclusioni ENI chiedeva la condanna di controparte a restituire <<l’ingiusto profitto ottenuto in consguenza dell’illecito>>. Domanda curiosa, perchè la norma esplicita è presente solo nel c.p.i. (ambigua invece nella l. aut.) ,ma non nel c.c.  Qui andrebbe ricostruita con complesso lavoro ermeneutico, a partire dalla pionieristica monografia di  Sacco del 1959 (v. ora l’ampio lavoro di Gatti S., Il problema dell’illecito lucrativo tra norme di settore e diritto privato generale, ESI, 2021)

Nessun cenno al concetto di diffamazione quando applicato ad un ente, per di più commerciale: l’art. 595 cp infatti difficilmente è applicabile a soggetti collettivi.

Affinità merceologica (assente) tra abbigliamento e gioelleria + requisiti per la tutela extramerceologia della rinomanza: il Tribunale UE sul caso Rolex

Trib. UE 18.01.2023, T-726/21, Rolex SA cv. EUIPO-PWT A/S , sull’oggetto.

Di  fronte a segni assai simili, la domanda di Rolex è stata ugualmente rigettata per assenza dell’affinità merceologica.

Questo quanto alla tutela ordinaria.

Quanto a quella straordinaria da rinomanza (tutto da vedere se sia esatto qualificarla <extra ordinem>), è anche essa pure rigettata : per carenza dei requisi posti dallrt. 12.1.e) cpi, anzi polsti dall’art. 8.5 reg. 207/2009.

In sostanza Rolex si è mantenuta nel vago anzichè addurre  circostanze precise sul pregiudizio e/o sull’indebito vantaggio, previsti in dette disposizioni (basta quindi la prova di uno solo dei tre requisiti posti in alternativa -se si può dire così, dato che non sono due).

Punto importante. Stante la notorietà di Rolex, si potrebbe essere sorpresi, ma forse il T. ha visto giusto: non esiste in diritto il danno in re ipsa.

Gli operatori prendano nota.

Abuso di domanza nella distribuzione comemrciale quando l’impresa si avvale di distributori formalmente autonomi e obbligo di valutare le perizie di parte

Due interessanti questioni poste alla Corte di Giustizia dal nostro Consiglio di Stato sono state decise dalla prima con sentenza 19.01.2023, C-680/20.

Si tratta della lite amministrativa AGCM / Unilever circa un abuso nel settore della distribuzione di gelati.

I fatti , storici e procimentali per capire bene la fattispecie:

<< 7    Da tale decisione risulta che la Unilever ha condotto, sul mercato di cui trattasi, una strategia di esclusione idonea ad ostacolare la crescita dei suoi concorrenti. Detta strategia si sarebbe basata principalmente sull’imposizione, da parte dei distributori della Unilever, di clausole di esclusiva ai gestori dei punti vendita, obbligandoli a rifornirsi esclusivamente presso la Unilever per l’intero fabbisogno di gelati in confezioni individuali. Quale corrispettivo, tali operatori beneficiavano di un’ampia gamma di sconti e commissioni, la cui attribuzione era subordinata a condizioni di fatturato o commercializzazione di una determinata gamma di prodotti della Unilever. Tali sconti e tali commissioni, che si applicavano, secondo combinazioni e modalità variabili, alla quasi totalità dei clienti della Unilever, avrebbero mirato a indurre questi ultimi a continuare a rifornirsi esclusivamente presso tale società, dissuadendoli dal risolvere il loro contratto per rifornirsi presso concorrenti della Unilever.

8 In particolare, due aspetti della decisione dell’AGCM del 31 ottobre 2017 sono rilevanti ai fini del presente rinvio pregiudiziale.

9 Da un lato, sebbene i comportamenti abusivi non siano stati materialmente posti in essere dalla Unilever, bensì dai suoi distributori, l’AGCM ha ritenuto che tali comportamenti dovessero essere imputati unicamente alla Unilever in quanto quest’ultima e i suoi distributori avrebbero costituito un’unica entità economica. Infatti, la Unilever interferirebbe in una certa misura nella politica commerciale dei distributori, cosicché questi ultimi non avrebbero agito in modo indipendente quando hanno imposto clausole di esclusiva ai gestori dei punti vendita.

10 Dall’altro lato, l’AGCM ha ritenuto che, tenuto conto delle caratteristiche specifiche del mercato in questione, e in particolare dello scarso spazio disponibile nei punti vendita, nonché del ruolo determinante, nelle scelte dei consumatori, della portata dell’offerta in tali punti vendita, la Unilever, con il suo comportamento, avesse escluso, o quantomeno limitato, la possibilità per gli operatori concorrenti di esercitare una concorrenza fondata sui meriti dei loro prodotti>>.

I pareri (vincolanti) della CG  son condivisibili anche se non particolarmente originali.

Circa la prima questione:

<< 29      Orbene, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 48 delle sue conclusioni, un siffatto obbligo mira a prevenire non solo i pregiudizi alla concorrenza causati direttamente dal comportamento dell’impresa in posizione dominante, ma anche quelli generati da comportamenti la cui attuazione sia stata delegata da tale impresa a soggetti giuridici indipendenti, tenuti ad eseguire le sue istruzioni. Pertanto, qualora il comportamento contestato all’impresa in posizione dominante sia materialmente attuato tramite un intermediario che fa parte di una rete di distribuzione, tale comportamento può essere imputato a detta impresa qualora risulti che esso è stato adottato conformemente alle istruzioni specifiche impartite da quest’ultima, e quindi a titolo di esecuzione di una politica decisa unilateralmente dall’impresa suddetta, cui i distributori interessati erano tenuti a conformarsi.

30 In una ipotesi siffatta, dato che il comportamento contestato all’impresa in posizione dominante è stato deciso unilateralmente, quest’ultima può esserne considerata come l’autrice e quindi come la sola eventuale responsabile ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE. Infatti, in un caso del genere, i distributori e, di conseguenza, la rete di distribuzione che questi ultimi formano con tale impresa devono essere considerati semplicemente uno strumento di ramificazione territoriale della politica commerciale di detta impresa e, a tale titolo, come lo strumento tramite il quale è stata eventualmente attuata la prassi di esclusione di cui trattasi.

31 Ciò vale, in particolare, quando un siffatto comportamento assume la forma di contratti tipo, interamente redatti da un produttore in posizione dominante e contenenti clausole di esclusiva a vantaggio dei suoi prodotti, che i distributori di tale produttore sono tenuti a far firmare ai gestori di punti vendita senza potervi apportare modifiche, salvo espresso accordo di detto produttore. Infatti, in tali circostanze, il produttore non può ragionevolmente ignorare che, alla luce dei vincoli giuridici ed economici che lo uniscono a tali distributori, questi ultimi attuano le sue istruzioni e, in tal modo, la politica adottata da quest’ultimo. Tale produttore deve, pertanto, essere considerato disposto ad assumere i rischi di questo comportamento.

32 In tale ipotesi, l’imputabilità all’impresa in posizione dominante del comportamento attuato dai distributori facenti parte della rete di distribuzione dei suoi prodotti o servizi non è subordinata né alla dimostrazione che i distributori interessati facciano parte anche di tale impresa, ai sensi dell’articolo 102 TFUE, né all’esistenza di un vincolo «gerarchico» risultante da una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo destinati a tali distributori, idonei ad influire sulle decisioni di gestione che questi ultimi adottano riguardo alle loro rispettive attività.

33 Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che i comportamenti adottati da distributori facenti parte della rete di distribuzione dei prodotti o dei servizi di un produttore che gode di una posizione dominante possono essere imputati a quest’ultimo, qualora sia dimostrato che tali comportamenti non sono stati adottati in modo indipendente da detti distributori, ma fanno parte di una politica decisa unilateralmente da tale produttore e attuata tramite tali distributori>>.

Circa la seconda , ricordiamo prima la domanda del nostro C.d.S.:

<<34 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che, in presenza di clausole di esclusiva contenute in contratti di distribuzione, l’autorità garante della concorrenza competente è tenuta, per accertare un abuso di posizione dominante, a dimostrare che tali clausole hanno l’effetto di escludere dal mercato concorrenti efficienti tanto quanto l’impresa in posizione dominante e se, in ogni caso, in presenza di una pluralità di prassi controverse, tale autorità sia tenuta ad esaminare in modo dettagliato le analisi economiche eventualmente prodotte dall’impresa interessata, segnatamente ove siano fondate sul criterio detto del «concorrente altrettanto efficiente» >>.

Ripsota della CG:

<< l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, in presenza di clausole di esclusiva contenute in contratti di distribuzione, un’autorità garante della concorrenza è tenuta, per accertare un abuso di posizione dominante, a dimostrare, alla luce di tutte le circostanze rilevanti e tenuto conto, segnatamente, delle analisi economiche eventualmente prodotte dall’impresa in posizione dominante riguardo all’inidoneità dei comportamenti in questione ad escludere dal mercato i concorrenti efficienti tanto quanto essa stessa, che tali clausole siano capaci di limitare la concorrenza. Il ricorso al criterio del concorrente altrettanto efficiente ha carattere facoltativo. Tuttavia, se i risultati di un siffatto criterio sono prodotti dall’impresa interessata nel corso del procedimento amministrativo, l’autorità garante della concorrenza è tenuta a esaminarne il valore probatorio>>.

Barilla vs. Bauli: contraffazione di brevetto di procedimento e di nuovo uso

Ordinanza cautelare di Trib. Venezia 25.11.2022, RG 4779/2021, rel. Tosi, su un metodo di produzione di brioches e simili, idoneo a conferire maggior sofficità.

<<L’invenzione si propone quindi di permettere la produzione di un prodotto da forno soffice,
conservabile a temperatura ambiente, senza l’ausilio di additivi alimentari, che mantenga quanto più
possibile inalterate le sue caratteristiche di sofficità per un periodo di conservazione a temperatura
ambiente di almeno una settimana, preferibilmente di almeno due mesi, anche senza ricorrere ad un
confezionamento in atmosfera modificata.
Per ottenere questo risultato, l’invenzione (si fa qui riferimento al solo brevetto italiano per la parte
valida) si basa sull’iniettare nel prodotto uscito dal forno di cottura una soluzione idroalcolica, così
da far aumentare il contenuto di umidità del prodotto. Questa è la caratteristica di base, a cui, come
argomentano i CTU, si aggiungono poi altre caratteristiche, presentate inizialmente come opzionali
e poi confluite in diverso modo nelle rivendicazioni indipendenti dei tre brevetti. Appare evidente
che la frazione alcolica ha anche funzione di protezione da muffe e batteri.
IT’062 riguarda nella riv. 1 un procedimento per la produzione, in 15 l’ uso di una definita soluzione
idroalcolica nella produzione del prodotto da forno>>.

La giurisprudenza delle corti di appello dell’EPO (citano G2/88 o G6/88)
stabilisce che <<in generale un uso nuovo di una sostanza nota è in linea di principio brevettabile anche quando appunto l’unica caratteristica nuova è il diverso uso di una sostanza nota, purché tale uso implichi un nuovo effetto tecnico descritto nel brevetto in esame e non prima riconosciuto. In
tal caso la rivendicazione è da considerarsi nuova anche se l’effetto tecnico avrebbe potuto intrinsecamente essere ottenuto quando si fossero seguiti gli insegnamenti già noti.
Al contrario di quanto accade per i brevetti di procedimento, dunque, per quanto riguarda una  rivendicazione d’uso come la rivendicazione 17 (ora 15), l’effetto tecnico da raggiungere deve essere considerato parte dell’ambito di protezione della rivendicazione. È proprio tale effetto tecnico alla base della ragion d’essere di una rivendicazione d’uso. Nel caso di specie l’effetto tecnico è quello della sofficità, la quale è correlata alla umidità, quest’ultima determinata dal brevetto in un valore massimo>>.

Nel merito la descrizione precedente, confermata dal giudice cautelare,  aveva accertato che il metodo e il nuovo uso brevttati corrispondono alla prassi produttiva di Bauli.

Non c’è menzione della disposizione sul nuovo uso (art. 46.4. c.p.i.) nè di quella sul procedimento (art. 67cpi, spt. c.1 sub b)

Il giudice nega l’ordine del ritiro dal commercio.

E’ di interesse l’analiticità della penale.

Condanna alle spese di lite contenuta (€ 3.000), tenuto conto della complessità della materia.

Il Tribunale UE sul giudizio di confondibilità tra marchi (sul caso Uniskin)

Si consideri:

marchio chiesto in registrazionenonchè:

marchio anteriore dell’opponente

per prodotti/servizi pazialmente affini

Ebbene, Trib. UE 08.02.2023, T-787/21, Uniskin Aps c. EUIPO-Unicskin, conferma le decisioni amministrative per cui c’è rischi odi confusione.

<< It  must be borne in mind that a global assessment of the likelihood of confusion implies some interdependence between the factors taken into account and, in particular, between the similarity of the trade marks and that of the goods or services covered. Accordingly, a low degree of similarity between those goods or services may be offset by a high degree of similarity between the marks, and vice versa (judgments of 29 September 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, paragraph 17, and of 14 December 2006, Mast-Jägermeister v OHIM – Licorera Zacapaneca (VENADO with frame and others), T‑81/03, T‑82/03 and T‑103/03, EU:T:2006:397, paragraph 74). The more distinctive the earlier mark, the greater the likelihood of confusion and marks with a highly distinctive character, either per se or because of the reputation they possess on the market, enjoy broader protection than marks with a less distinctive character (judgment of 29 September 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, paragraph 18).

76 In the present case, it must be pointed out that, as has been held in paragraphs 22, 28, 33 and 34 above, the Board of Appeal was right in finding that the goods and services at issue were, in part, identical and, in part, similar. As has been stated in paragraphs 52 and 58 above, the Board of Appeal also found, without making any error of assessment, that the signs at issue were visually similar to an average degree and phonetically similar to a high degree. As regards the conceptual comparison of the signs at issue, as has been held in paragraph 67 above, that comparison is, for part of the relevant public, neutral, whereas, for another part of that public, those signs are conceptually similar to an average degree. In the light of the fact that the distinctiveness of the earlier mark is normal and the relevant public’s level of attention varies from average to high, and in the light of the interdependence between the similarity of the goods and services and the similarity of the marks, it must be held, in the context of a global assessment, that the Board of Appeal was right in finding that there was a likelihood of confusion.

77 In view of all of the foregoing considerations, the single plea must be rejected and, as a result, the action must be dismissed in its entirety>>.

Sottosuolo condominiale presunto comune e potere/dovere dell’amministatore di compiere gli atti conservativi ex art. 1130 n. 4 cc

Sulle due questioni v. Cass . ord. 2.786 del 31.01.2023, rel. Trapuzzano.

sub 1 (potere/dovere dell’amministatore di compiere gli atti conservativi ex art. 1130 n. 4 cc) , tali atti non sono solo quelli urgenti. Punto importante.

<<E tanto perché ricadono nell’ambito degli atti conservativi che l’amministratore può compiere, ai sensi dell’art. 1130, n. 4, c.c., senza la previa delibera autorizzativa dell’assemblea (o la successiva ratifica), eventualmente attraverso la promozione di azioni processuali per la tutela delle parti comuni dell’edificio, anche le iniziative non connotate dal requisito dell’urgenza, purché volte a salvaguardare l’integrità di un bene comune.

Sussiste, infatti, la legitimatio ad causam e ad processum dell’amministratore del condominio, senza bisogno di alcuna autorizzazione, allorquando egli agisca a tutela di beni condominiali, giacché i poteri promanano direttamente dalla legge e precisamente dall’art. 1130, n. 4, c.c., che pone addirittura come dovere proprio del suo ufficio quello di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, potere-dovere da intendersi non limitato agli atti cautelativi ed urgenti, ma esteso a tutti gli atti miranti a mantenere l’esistenza e la pienezza o integrità di detti diritti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5772 del 23/03/2004; Sez. 2, Sentenza n. 6494 del 06/11/1986).

Siffatta conclusione è avvalorata dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte in ordine alla portata degli “atti conservativi” che il chiamato all’eredità può compiere prima di accettare, ai sensi dell’art. 460, comma 2, c.c.: essi si distinguono dalle azioni possessorie che possono essere intraprese ai sensi del comma 1 di tale disposizione e consistono in atti di gestione dei beni indirizzati ad assicurare il mantenimento dello stato di fatto quale esistente.

La natura conservativa dell’atto non e’, dunque, connotata dall’aspetto strumentale inerente all’indifferibilità del suo espletamento, bensì dal vincolo teleologico da cui è avvinto il suo compimento, essenzialmente indirizzato a preservare l’integrità fisica e giuridica nonché la consistenza materiale del bene comune (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6190 del 03/05/2001; Sez. 2, Sentenza n. 13611 del 12/10/2000; Sez. 2, Sentenza n. 6593 del 11/11/1986; Sez. 2, Sentenza n. 3510 del 28/05/1980).

Nella fattispecie, la rimessione in pristino dello stato del sottosuolo, di cui il condomino si è appropriato attraverso le opere di escavazione volte ad ingrandire il bene di sua proprietà esclusiva, costituisce azione propria diretta a far cessare la privazione di un bene comune, sicché il suo esperimento non era condizionato alla esclusiva formulazione di azioni possessorie o d’urgenza. Sono, infatti, atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, sia gli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) sia quelli giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi), necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile, indipendentemente dal momento in cui essi siano avviati rispetto all’epoca di realizzazione delle condotte lesive di beni comuni.

Ne’ la radicale privazione di tale bene può essere assimilata al mutamento della sua destinazione d’uso.

D’altronde, nessuna contraddizione è integrata per effetto della discriminazione tra tutela in forma specifica del bene comune mediante sua restitutio in integrum e azione risarcitoria connessa alla lesione di tale bene. Solo per quest’ultima è preclusa all’amministratore la proposizione, in difetto di mandato rappresentativo dei singoli condomini, delle azioni risarcitorie per i danni subiti dalle unità immobiliari di loro proprietà esclusiva (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3846 del 17/02/2020; Sez. 2, Sentenza n. 217 del 12/01/2015; Sez. 2, Sentenza n. 22656 del 08/11/2010).>>

Sub 2), proprietà del sottosuolo:

<<Al riguardo, l’istante osserva che, nel caso di specie, l’edificio si sviluppava su muri, pilastri e altri manufatti d’appoggio, sicché il suolo avrebbe potuto essere considerato proprietà comune solo per la parte necessaria al suo sostentamento, né la proprietà condominiale avrebbe potuto estendersi sino alla porzione oggetto dello scavo posta ad una quota superiore rispetto al livello delle fondazioni.>>

Censura incomrpesibile. Puntualmente la SC risponde:

<<E tanto perché la zona esistente in profondità, al di sotto dell’area superficiaria che è alla base dell’edificio, in mancanza di un titolo che attribuisca ad alcuno di essi la proprietà esclusiva, rientra per presunzione in quella comune tra i condomini, anche ai sensi del disposto dell’art. 1117 c.c. all’esito della novella di cui alla L. n. 220 del 2012. Nessuno di costoro, pertanto, può, senza il consenso degli altri, procedere all’escavazione del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, in quanto, attraendo la cosa comune nell’orbita della sua disponibilità esclusiva, limiterebbe l’altrui uso e godimento ad essa pertinenti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 33163 del 16/12/2019; Sez. 6-2, Ordinanza n. 29925 del 18/11/2019; Sez. 2, Sentenza n. 6154 del 30/03/2016; Sez. 3, Sentenza n. 15383 del 13/07/2011).

E ciò a prescindere dalla funzione portante in concreto dell’edificio esercitata dal suolo.

Nella fattispecie, è pacifico che il condomino proprietario del piano seminterrato non vanti alcun titolo dominicale sul suolo sottostante il suo immobile, sicché – in base alla predetta presunzione – deve ritenersi che il bene rientri tra quelli condominiali.>>

Il diritto di critica verso le sentenze può concretizzarsi in un giudizio anche molto negativo

Trib. Roma n° 347/2023 del 09.01.2023, RG 62688/2020, g.u. Bile, decide sulla domanda risarcitoria proposta da due giudici penali che in Cassazione nel 2013 confermarono l’appello di condanna di Berlusconi per reati fiscali.

Il Foglio di Ferrara , nell’ambito di una campagna organizzata dai mass media vicini a Berlusconi, pubblicava articoli assai critici dell’operato dei due magistrati.

Il Trib. Roma ora rigetta la loro domanda risarcitoria

Bisognerebbe ragionare sulle specifiche considerazioni di Ferrara per realmente  comprendere, ma non c’è  tempo: mi limito a riportar il proprium logico del Trib.

Distingue nettamente tra diritto di critica e diritto di cronaca, dicendo che la prima può essere anche di aperto dissenso, soprattutto se alta è la posizione dell’homo publicus criticato.

Ricorda poi la posizione dela Corte EDU sulla importnza di stampa libera in un regime democdatico

Infine ritiene che le espressioni di Ferrara costituiscano esercizio del diritto di critica:

<<Tali espressioni, pur caratterizzate da un tono polemico, non possono ritenersi ingiuriose. Esse prendono spunto da un fatto obiettivo, qual è la registrazione di una conversazione e non valicano mai il limite della continenza. Si tratta dell’espressione di un convincimento personale dell’autore basato su un’opinione, altrettanto personale, attinente alla attendibilità di quanto contenuto nelle richiamate registrazioni. Poiché sono le stesse dichiarazioni contenute nella registrazione che delineano una anomalia nella genesi della decisione, è chiaro che, nella non celata prospettiva di chi le ritiene attendibili, l’elaborazione di un pensiero critico e la manifestazione di un dissenso nei confronti di chi ha assunto quella decisione costituisce attività del tutto legittima.
A ciò si aggiunge che l’autore, pur non facendo mistero del proprio pensiero critico auspica una pubblica presa di posizione del Presidente Esposito là dove scrive: «Forse ha qualcosa in merito da dire, o qualche domanda a cui dovrebbe rispondere, il giudice che lo condannò nell’afa marcescente di un giorno d’agosto del 2013 e che è passato a nuova vita professionale di commentatore sulle colonne del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio». Tale passaggio è significativo perché evidenzia una volta di più il tratto critico dell’articolo con il quale l’autore, lo si ripete, ha chiaramente inteso manifestare un’idea personale e non un’oggettiva rappresentazione dei fatti. Tant’è che, sia pure in tono polemico, sollecita una replica>>.

Conciliazione lavorativa impugnata per violenza/minaccia

Fattispecie (forse) inusuale quella decisa da Trib. Napoli -sez. lavoro, n° 6262/2022 del 30.11.2022, RG 14836/2021, giudice Molè.

fatto:

<<In punto di fatto, è opportuno evidenziare che la Napoli Sociale con verbale di assemblea dell’11.4.2016 disponeva lo scioglimento e la liquidazione volontaria della società, e la Giunta del Comune di Napoli in data 14-4-2016 proponeva al Consiglio Comunale la presa d’atto della attivazione della procedura di liquidazione, per cui il Comune disponeva l’affidamento dei servizi di welfare già erogati dalla Napoli Sociale, alla Napoli Servizi.
A seguito dell’avvio del conseguente processo di mobilità del personale, in data 26-10-2016, la Napoli Servizi comunicava al Comune di Napoli ed alle organizzazioni sindacali partecipanti, la sua conclusione attraverso il passaggio dei 514 lavoratori ex Napoli Sociale in liquidazione, alle proprie dipendenze con contratto a tempo indeterminato ed il mantenimento, per tutti i lavoratori, del livello retributivo di provenienza, il tutto attraverso la sottoscrizione degli stessi di un verbale di accordo sindacale presso la DTL di Napoli.
Quindi, in data 3-11-2016 la Napoli Servizi, la Napoli Sociale in liquidazione e la ricorrente sottoscrivevano dinanzi alla DTL un processo verbale di conciliazione a carattere novativo, nell’ambito del quale la Napoli Servizi disponeva l’assunzione della stessa alle proprie dipendenze con contratto di lavoro a tempo indeterminato e inquadramento della dipendente nel III livello del CCNL Multiservizi a tempo pieno (40 ore settimanali), rinunciando al contempo (cfr. capo Uno dei verbale) alla applicazione della normativa di cui al D. Lgs n.23/2015 (cd “Jobs act”) e riconoscendo al lavoratore l’applicazione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori nel testo antecedente al 7-3 2015.
Al capo Due del verbale la lavoratrice, attraverso la sottoscrizione del verbale di conciliazione, dichiarava di rinunciare ai diritti, alle azioni di rivalsa c/o di solidarietà che avrebbe potuto proporre ai sensi delI’art.2112 c.c., nei confronti della Napoli Servizi spa. Nel medesimo capo, dichiarava inoltre di rinunciare, nei confronti della Napoli Servizi, al diritto ed all’azione nei suoi confronti per il riconoscimento di qualsivoglia obbligazione, sia di natura contrattuale che extracontrattuale, connessa alle modalità di costituzione, svolgimento e risoluzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della Napoli sociale in liquidazione volontaria: tra gli emolumenti oggetto di rinuncia le parti operavano al riguardo l’esplicito riferimento all’art.2120 c.c. relativo al TFR ed alla risoluzione del rapporto con la Napoli Sociale spa>>

e popi:

<<Orbene, come affermato dalla Corte d’appello nei suindicati precedenti, sussiste il vizio invalidante il consenso, in quanto la documentazione versata in atti prova la  coazione ad estorcere il consenso della lavoratrice alla sottoscrizione della conciliazione.
Si ritiene fondamentale il contenuto della comunicazione di Napoli Servizi in vista della futura stipula del contratto di assunzione, in cui si legge che la proposta di assunzione è subordinata all’accettazione da parte della lavoratrice di determinate condizioni, tra cui la rinuncia ad azioni dirette e/o di natura solidaristica relative al rapporto intercorso con Napoli Sociale e che l’assunzione stessa e le condizioni ivi indicate sarebbero dovute essere trasposte in un verbale di conciliazione ex art. 411 c.p.c.>>

Non è specificata la disposizione ma dovrebbe trattarsi dell’annullamento per viuolenza.

Non vi osta il fatto cjhe la conciliazione fosse stata stipulata nella sede c.d protetta ex art. 2113 ult. co. cc

Diffamazione via Twitter

Ancora giurisprudenza fiorentina su diffamazione a carico di Matteo Renzi: App. Firenze n° 18/2023 del 04.01.2023, RG 14.199/2020, rel. Zanda.

Non ci son approfondimenti di rileivo, nemmeno circa lo strumento utilizzato (post su Twitter)

Fatto:

<<Tanto premesso si rileva che parte attrice ha depositato il tweet di cui si duole (vd. doc. 1), e in questo tweet si rinviene l’immagine di Del Rio, Renzi , Lotti e Boschi e sopra sta scritto: “intercettazioni Guidi: ho le foto dei mafiosi”>>

Sul mezzo diffusivo usato:

<<Dunque tornando al doc. 1 si tratta di un tweet collegato all’account della convenuta e dunque diretto alla cerchia ristretta dei suoi followers, e tale piattaforma social si caratterizza per un “messaggio lampo” di cd. micro-blogging in cui sono ammessi al massimo 140 caratteri con trasformazione in link dei messaggi che superano queste dimensioni.

La caratteristica di Twitter è dunque il micro blogging che porta nel web il sistema messaggistico SMS, dove un soggetto iscritto con account twitter comunica con altri soggetti che lo seguono o segue altro soggetto e tutti devono essere iscritti alla piattaforma Twitter.

Nella piattaforma Facebook non c’è né questo limite di caratteri né i messaggi per esser visibili devono essere aperti da chi sia iscritto su facebook; i messaggi facebook resi pubblici, infatti, possono esser visibili anche a chi non sia iscritto alla stessa piattaforma.

Dunque, la diffusività di un messaggio pubblicato nelle due piattaforme è molto differente sulle due piattaforme, per le diverse caratteristiche strutturali, essendo maggiore la potenzialità diffusiva dei post pubblicati su facebook.>>

Ricorda la tabnella milanese per la determianzione del risarcimento:

<<Da tali tabelle sono state ricavate le seguenti indicazioni rilevanti, i cui criteri possono valere anche per il cinguettii su Twitter: – notorietà del diffamante, – carica pubblica o ruolo istituzionale o professionale ricoperto dal diffamato, – natura della condotta diffamatoria (se colpisca la sfera personale e/o professionale, se sia violativa della verità e/o anche della continenza e pertinenza, se sia circostanziata o generica, se siano utilizzate espressioni ingiuriose, denigratorie o dequalificanti, uso del turpiloquio, possibile rilievo penale della condotta), – condotte reiterate, campagne stampa, – collocazione dell’articolo e dei titoli, spazio che la notizia diffamatoria occupa all’interno dell’articolo/libro/trasmissione televisiva o radiofonica;
– intensità dell’elemento psicologico in capo all’autore della diffamazione (se vi sia animus diffamandi, se il dolo sia eventuale), – mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione e relativa diffusione, eventualmente anche con edizione on line del giornale (escludendo la automatica equiparazione tra minor tiratura (o diffusività) = minor danno, specie in caso di mezzo di stampa che abbia un ambito di diffusione assai limitato sul territoriale, ma di elevata diffusività proprio in quell’ambito assai ristretto, ove lo stesso costituisca “territorio” di vita e relazione del danneggiato, – risonanza mediatica suscitata dalle notizie diffamatorie imputabile al diffamante (es. falso scoop con la consapevolezza di avvio di campagna stampa diffamatoria, ovvero notizia data ad agenzia tipo Ansa che la diffonde universalmente), – natura ed entità delle conseguenze sull’attività professionale e sulla vita del diffamato, se siano evidenziati profili concreti di danno o meno, – reputazione già compromessa (es. ampio coinvolgimento in procedimento penale), – limitata riconoscibilità del diffamato (es. foto di spalle, mancata indicazione del nome), – ampio lasso temporale tra fatto e domanda giudiziale, – rettifica successiva e/o spazio dato a dichiarazioni correttive del diffamato o rifiuto degli stessi, – pubblicazione della sentenza>>+

Concliusione in euro 20.000,00:
<<Orbene si ritiene equo liquidare all’attore l’importo omnicomprensivo (compreso danno da ritardo) pari ad euro 20.000,00 in quanto si è trattato di episodio unico, inoltre dai documenti prodotti dalle parti emerge che vi erano altri articoli dello stesso contenuto, dove compariva l’immagine anche dell’attore, associato alla questione delle foto Di Del Rio e scandalo Guidi; inoltre non vi è prova del fatto che gli altri articoli traggano origine dal twett pubblicato dalla convenuta essendo verosimile il contrario tenuto conto della limitata efficacia di un twett senza costrutto rispetto ad un articolo di testata giornalistica online (vd. doc. 3); si tiene poi conto che l’attore ha lasciato trascorrere quasi 5 anni dal fatto, e poi si tiene anche conto del fatto che non sono stati forniti al giudicante né elementi utili a conoscere la diffusività lesiva di quello specifico tweet della convenuta, che, esaminato nella parte delle condivisioni e gradimento esprime invero una molto limitata diffusività e scarsa sequela; nemmeno sono stati forniti elementi utili sul danno conseguenza ossia elementi utili a modulare il risarcimento in modo da adattarlo alle conseguenze sofferte dal richiedente sia sul piano personale che professionale come conseguenza diretta del tweet creato dalla convenuta>>