La prelazione d’acquisto a favore del conduttore commerciale non spetta se la vendita riguarda solo una quota ideale anzichè l’intero

Sensata conferma dell’orientamento di gran lunga domaninate da parte di Cass. sez. III del 24/07/2023  n. 22.063, rel. Dell’Utri:

<<osserva il Collegio come secondo l’orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo, al conduttore non spettano il diritto di prelazione ed il conseguente diritto di riscatto dell’immobile, secondo la disciplina della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 38 e 39, qualora il locatore intenda alienare, ad un terzo ovvero al comproprietario dell’immobile locato, la quota del bene oggetto del rapporto di locazione (Sez. U, Sentenza n. 13886 del 14/06/2007, Rv. 597371 – 01; conf. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17992 del 28/08/2020, Rv. 659011 – 02 e Sez. 3, Sentenza n. 13838 del 09/06/2010, Rv. 613309 – 01);

nel giustificare sul piano argomentativo la soluzione adottata, le Sezioni unite della Corte evidenziano in primo luogo la necessità di te-ner conto di come nella materia delle prelazioni – in particolare in quelle assistite dal carattere di realità assicurato dal diritto di riscatto – il relativo diritto si sovrapponga all’autonomia contrattuale “e la limitazione del potere dispositivo del proprietario trova giustificazione nella funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), sicché il sacrificio imposto in funzione dell’interesse superindividuale conferisce alla norma che lo prevede l’inevitabile carattere della eccezionalità, con la conseguenza della inapplicabilità della disciplina oltre i casi tipici regolati, tra i quali non è stata inserita l’ipotesi specifica della alienazione della quota. Inserimento questo che sarebbe stato, invece, certamente indispensabile, quando si consideri anche che, nel sistema complessivo della L. n. 392 del 1978, la previsione dei commi 5, 6 e 7 dell’art. 38 della c.d. prelazione congiunta (nella quale, in caso di pluralità di conduttori, il diritto può essere esercitato o unitamente da tutti i conduttori ovvero, nella rinuncia da parte di taluni di essi, ad opera degli altri o dell’unico conduttore che voglia avvalersene e che diventa sempre proprietario dell’intero immobile e non della sola quota corrispondente alla misura già in suo godimento) è particolarmente significativa dell’intenzione del legislatore di evitare il formarsi di una comunione tra locatore e conduttore per la evidente difficoltà che potrebbe derivarne nella gestione della cosa comune, oggetto di interessi potenzialmente contrastanti. Soccorre, poi, il principio – evincibile con carattere di generalità dalla pacifica posizione di dottrina e giurisprudenza sull’inapplicabilità della prelazione alla c.d. vendita in blocco e dal rilievo, condiviso in dottrina, che la sussistenza dei presupposti del retratto successorio ex art. 732 c.c. esclude la stessa ipotizzabilità della prelazione urbana e non pone il problema di un conflitto tra diversi diritti di prelazione – che vi deve essere identità tra l’immobile alienato e l’immobile oggetto della locazione, identità che manca nell’alienazione della quota astratta del bene. E’ utile aggiungere che la pretesa “graduale” attuazione dello scopo della norma, realizzabile con l’acquisto della proprietà completa dell’immobile da parte del conduttore in momenti successivi con l’acquisizione progressiva della proprietà di tutte le altre quote, non solo, secondo quanto già ha indicato la sentenza di questa Corte n. 18648 del 2003, è del tutto eventuale (presupponendo essa sia che alla vendita della prima quota seguano poi effettivamente le vendite delle altre quote, sia che per queste il conduttore si avvalga del diritto di preferenza, cui ben potrebbe rinunciare), ma richiederebbe che a dette vendite successive il proprietario-locatore si determini nella perdurante vigenza della locazione in corso, giacché altrimenti, per le alienazioni compiute dopo la cessazione della locazione, al soggetto già conduttore il diritto di prelazione più non spetta. Inoltre, all’argomento per il quale la cogente disciplina, che limita il suo potere dispositivo dell’immobile, potrebbe essere elusa dal proprietario-locatore con la predisposizione di successive alienazioni di quote, correttamente è stato opposto che, in tal caso, l’ordinamento offre, alternativamente, i rimedi dell’esercizio del diritto di riscatto, questo sul presupposto della dissimulata vendita dell’intero, e del risarcimento dei danni. Infine, devesi osservare che il mancato riconoscimento della prelazione del conduttore nell’acquisto della quota non significa limitazione della tutela privilegiata che la legge riconosce alle locazioni ad uso imprenditoriale, poiché il diritto del conduttore alla stabilità del rapporto continua ad essere garantito dal diritto alla indennità per l’avviamento commerciale, al cui pagamento la parte locatrice continua ad essere tenuta e dal quale, invece, è esonerata quando il conduttore, mediante l’acquisto in prelazione dell’intero immobile, viene a confondere in sé le due qualità di locatore e di conduttore”;

a tale orientamento della giurisprudenza di legittimità – destinato ad essere adattato al caso di specie che, pur quando non esattamente corrispondente alla vicenda concreta illo tempore condotta all’esame delle Sezioni unite, a quest’ultima appare in ogni caso assimilabile sul piano dei principi di diritto e delle rationes decidendi ad esse comuni – il Collegio intende integralmente richiamarsi, condividendone l’impianto argomentativo, gli spunti interpretativi e le soluzioni privilegiate (a cui, nel loro complesso, si rinvia), al fine di assicurarne continuità;

in particolare, tale continuità (al contrario di quanto sostenuto dalla società ricorrente) si giustifica nonostante la particolarità della situazione venutasi a creare attraverso la stipulazione, da parte dei comproprietari, di tre distinti contratti di locazione pro quota indivisa: va considerato, infatti, come, nella situazione in esame, ognuno dei comproprietari abbia riconosciuto, per le due restanti quote, un’attività di gestione indiretta del godimento da parte degli altri comproprietari (per il tramite della locazione della relativa quota), con il conseguente sostanziale (benché indiretto) ingresso nel rapporto locativo pro quota dei medesimi (considerando al riguardo gli insegnamenti di cui a Sez. U, Sentenza n. 11135 del 04/07/2012, Rv. 623019 – 01) e la derivata assimilabilità del risultato finale del collegamento negoziale a quello che si sarebbe realizzato attraverso la stipulazione di un unico contratto di locazione dell’intero bene (e tanto, a tacere della circostanza per cui, a livello gestionale, la stipulazione dei tre distinti contratti in esame ha comportato, per la conduttrice, la realizzazione della stessa forma di godimento sull’intero immobile che si sarebbe determinata attraverso la stipulazione di un unico contratto esteso all’intero bene);

da tanto il riscontro del carattere meramente apparente della distonia della fattispecie in esame rispetto a quella sottoposta al giudizio delle Sezioni unite in precedenza richiamato, con la conseguente applicabilità, anche in questa sede, dei principi di diritto ivi sanciti;

in forza di tali premesse, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;>>

I gravi motivi per il recesso del conduttore da locazione commerciale ex art. 27 c. 8 L. 392/1978

Cass. sez. III, 17.07.2023 n. 20.503, rel.  Condello.

<<Trattandosi di recesso ‹‹titolato››, e in ciò distinguendosi dal recesso ad nutum, la comunicazione del conduttore non può, tuttavia, prescindere dalla specificazione dei motivi, con la conseguenza che tale requisito inerisce al perfezionamento della stessa dichiarazione di recesso e, al contempo, risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei relativi motivi sul fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo (Cass., sez. 3, 17/01/2012, n. 549; Cass. 26/11/2002, n. 16676; Cass. 29/03/2006, n. 7241; Cass., 24/04/2008, n. 10677), dovendo conseguentemente escludersi che il conduttore possa esplicitare successivamente le ragioni della determinazione assunta (Cass., sez. 3, 30/06/2015, n. 13368). In tal senso si è espressa anche la sentenza di questa Corte n. 24266/2020, richiamata dalla ricorrente nella memoria illustrativa a supporto della doglianza.
Le ragioni che consentono al locatario di liberarsi del vincolo contrattuale devono, inoltre, essere determinate da avvenimenti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la sua prosecuzione. Inoltre, con riferimento
all’andamento dell’attività aziendale, può integrare grave motivo, legittimante il recesso del conduttore, non solo un andamento della congiuntura economica sfavorevole all’attività di impresa, come è di intuitiva evidenza (Cass., sez. 3, 24/09/2019, n. 23639; Cass., sez.  3, 09/05/2023, n. 12461), ma anche uno favorevole – purché sopravvenuto e oggettivamente imprevedibile (al momento della stipula del contratto) – che lo obblighi ad ampliare la struttura aziendale in misura tale da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo (cfr. Cass., sez. 3, 10/12/1996, n. 10980; Cass., sez. 3, 20/02/2004, n. 3418; Cass., sez. 3, 21/04/2010, n. 9443).
Nel caso di sopravvenuto andamento favorevole della congiuntura aziendale, i fatti, per essere tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del contratto, devono innanzitutto presentare una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine all’opportunità ed alla mera vantaggiosità di continuare a occupare l’immobile locato, poiché, in tal caso, si ipotizzerebbe la sussistenza di un recesso ad nutum, contrario all’interpretazione letterale, oltre che allo spirito della suddetta norma (cfr. Cass., sez. 3, 28/02/2008, n. 5293; Cass., sez. 3, 08/03/2007, n. 5328).
In tal caso, pertanto, la gravosità della persistenza del rapporto locativo deve essere valutata oggettivamente ed in concreto utilizzando come parametri comparativi, da una parte, la dimensione e le caratteristiche del bene locato e del nuovo locale e, dall’altra, le sopravvenute nuove esigenze di produzione e di commercio dell’azienda. Ne consegue che il giudice del merito non può limitarsi a prendere in considerazione il fatto che vi sia stato un aumento del fatturato aziendale o un aumento del personale lavorante, indici di per sé soli, utili ma non sufficienti al fine propostosi, ma deve altresì verificare, sulla base delle prove raccolte – il cui onere spetta al conduttore recedente secondo i principi generali in materia di ripartizione dell’onere probatorio – se nello specifico ed in concreto le caratteristiche dell’immobile oggetto di locazione siano divenute inadeguate alla accresciuta dimensione dell’azienda così da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la prosecuzione del rapporto locativo (Cass., sez. 3, 26/06/2012, n. 10624; Cass., sez. 3, 29/04/2015, n. 8706)>>

Caveat conductor: è onere del conduttore verificare l’idoneità dell’immobile a soddisfare le proprie esigenze imprenditoriali

Cass. sez. III del 22/05/2023, n. 14.067, rel. Moscarini, su una locazione commerciale:

<<il motivo va disatteso, in quanto l’impugnata sentenza è conforme al consolidato orientamento di legittimità e la censura non offre elementi per confermare o mutare il suddetto orientamento: “Nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uso non abitativo, grava sul conduttore l’onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell’attività che egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative; ne consegue che, ove il conduttore non riesca ad ottenere tali autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento a carico del locatore, e ciò anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche proprie del bene locato. La destinazione particolare dell’immobile, tale da richiedere che lo stesso sia dotato di precise caratteristiche e che attenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile in relazione all’uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l’attestazione del riconoscimento dell’idoneità dell’immobile da parte del conduttore” (Cass., 3, n. 14731 del 7/6/2018; Cass. n. 1735 del 25/01/2011);>>.

Interessante ed esatta precisazione, poi, circa l’applicaizone dell’art. 1578 cc al caso di cessione di contratto seguente la cessione di azienda:

<<inoltre, questa Corte ha pure avuto già modo di affermare il principio che va qui ribadito secondo cui, in caso di subentro nel contratto di locazione di immobile adibito ad uso non locativo, conseguente ex L. n. 392 del 1978, art. 36 alla cessione d’azienda – come nel caso all’esame -, al cessionario non è consentito l’esercizio dell’azione di risoluzione ovvero di riduzione del canone, previsti dall’art. 1578 c.c. per l’ipotesi che la cosa locata, al momento della consegna, presenti vizi non noti o non facilmente riconoscibili (pur a voler, a tutto concedere e per mera ipotesi, ritenere tali quelli denunciati nel presente giudizio, in quanto per quelli noti o facilmente riconoscibili resta esclusa ogni garanzia del locatore) che ne diminuiscano in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito per il conduttore, difettando in detta ipotesi il presupposto primo per l’applicabilità dell’art. 1578 c.c., e cioè la consegna della cosa dal locatore al conduttore (Cass. n. 10298 del 7/05/2007), sicché quanto lamentato non risulta decisivo;>>.

Però logicamente a monte, secondo quanto detto sopra, pare addirittura mancare il vizio.

Locazione commerciale, deposito cauzionale e mancato guadagno da non reperimento di nuovo conduttore

Cass. sez. 6 del 05.01.2023 n. 194, rel. Guizzi, per la quale la cauzione di una locaizone commerciale copre qualunque danno prodoto da qualunque violazione contrattuale: quindi anche il lucro cessante per non reperimento di nuovo conduttore dopo la risoluzione da inadempimento per mancato pagamento canoni.

Principi di diritto:

<<  – “il locatore può sottrarsi all’obbligo di restituzione del deposito cauzionale, a condizione che proponga domanda giudiziale per l’attribuzione dello stesso, in tutto o in parte, a copertura di specifici danni subiti, di qualsiasi natura, e non solo di quelli subiti dalla “res locata”, ovvero di importi rimasti impagati”;ù

– “in caso di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, spetta al locatore non inadempiente il diritto di pretendere quanto avrebbe potuto conseguire se le obbligazioni fossero state adempiute, detratto l’utile ricavato o che, con l’uso della norma diligenza, avrebbe potuto ricavare dall’immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione prematura ed il termine convenzionale del rapporto inadempiuto” >>

Sui gravi motivi perchè il conduttore possa recedere dalla locazione commerciale

Sentenza di legittimità di dubbia esattezza sull’oggetto.

Secondo la’rt. 27 u.c. legge equo canone (392 del 78) il conduittore può smepre recedere con rpeeavviso di sei mesi se ricorrono “gravi motivi”.

Ebbene, secondo Cass. sez.III del 9 settembre 2022 n. 26.618, rel.Condello, la comuncaizone del motivo “per cessata attività” non integra trale requisito, dovendosi anche sopecificare uil motivo di tale cessazione.

6.6. Orbene la decisione impugnata incorre in un errore di sussunzione, giacché, nel caso in esame, la ragione di recesso indicata nella comunicazione era assolutamente inidonea a integrare a livello di indicazione come motivo del negozio di recesso una circostanza integrante “grave motivo”, giacché il dire che si vuole recedere per cessazione dell’attività nei locali (questo significa il “per cessazione dell’attività in essi”) sottende una motivazione che, non esternando la ragione giustificativa della cessazione, ne impedisce la riconduzione ad una ragione apprezzabile come idonea a determinare l’interruzione dell’impegno al rispetto del sinallagma.

Peraltro, la Corte d’appello adducendo che “cessazione dell’attività in essi” significasse, in contrasto con il tenore del recesso, cessazione dell’attività imprenditoriale e, collocandosi al di fuori del percorso segnato dai principi sopra indicati, non ha considerato che la ragione di recesso indicata dalla conduttrice costituisce una mera dichiarazione di volontà di cessare l’attività commerciale in quei locali, riconducibile ad una libera scelta della conduttrice e non ad un fatto estraneo alla sua volontà, come tale non idonea ad integrare i “gravi motivi” di cui all’art. 27, u.c., citato, posto che, in difetto di specificazione dei motivi sottesi alla volontà di non proseguire l’attività, essa non può che essere ricondotta ad una soggettiva valutazione imprenditoriale non conseguente a fattori obiettivi.

Neppure rileva, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di appello, che l’odierna ricorrente nella corrispondenza intercorsa con la conduttrice non abbia mosso contestazioni “in fatto” in ordine alla fondatezza del motivo indicato nella comunicazione di recesso, atteso che alla genericità del motivo addotto dalla conduttrice a giustificazione del recesso anticipato non può corrispondere l’onere, della parte locatrice, di una contestazione tempestiva e specifica dello stesso, e ciò anche in chiave di tendenziale contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti del contratto, in una prospettiva di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici e di certezza delle situazioni giuridiche.”

Direi invece che la cessazione dell’attività è un fatto imprenditrioalmente così significativo che al proprietario può bastare: conoscerne i motivi è un di più e potrebbe anche ledere la privacy del conduttore.

Immissioni dannose provenienti da cosa oggetto di locazione commerciale: chi risponde? Proprietario, inquilino o comodatario subtitolare ?

Nel caso di immissioni provenienti da attività commerciale esercitata dall’inquiluino (anzi, nel caso ex comodato subconcesso dall’inquilino) che cagionino danno a terzi (ad un condomino), chi risponde? Proprietario dei muri (srl Il Timone), conduttore (srl La Bitta) o il comodatario (srl Sapore di Mare, gestore del ristorante) subtitolato da quest’ultimo?

Questa il tema indagato da Cass. 10.12.2020 n .28.197 rel. Carrato.

Il passo più interssante è quello relativo alla responsabilità del proprietario, spesso fonte di incertezze nella pratica.

La SC enuncia il seguente principio:

<< Osserva, però, il collegio che sul piano generale è, invece, da ritenersi che in tema di danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c., è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, rapporto che postula l’effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa con il conseguente potere-dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore. Pertanto, con riferimento alla locazione di immobile, che comporta il trasferimento della disponibilità della cosa locata e delle sue pertinenze, pur configurandosi ordinariamente l’obbligo di custodia del bene locato in capo al conduttore, dal quale deriva altresì la responsabilità a suo carico – salva quella solidale con altri soggetti ai quali la custodia faccia capo in quanto aventi pari titolo o titoli diversi che importino la coesistenza di poteri di gestione e di ingerenza sul bene – ai sensi del suddetto art. 2051 c.c., per i danni arrecati a terzi dalle parti ed accessori del bene locato, tuttavia rimane in capo al proprietario la responsabilità per i danni arrecati dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, delle quali conserva la disponibilità giuridica e, quindi, la custodia (cfr. Cass. n. 16231/2005 e Cass. n. 21788/2015).

Era, quindi, necessario che la Corte di appello valorizzasse l’aspetto della collocazione della canna fumaria (dalla quale provenivano le esalazioni) nella struttura muraria dell’immobile di proprietà della s.r.l. Il Timone, verificando, sul piano giuridico, se la stessa avesse assolto al suo obbligo specifico di procedere alla relativa manutenzione onde evitare – accertando la sussistenza del relativo nesso causale – la possibile propagazione delle illecite immissioni.

L’omissione delle altre possibili condotte omissive a carico della citata società (da ricondursi alla indispensabile osservanza di un obbligo di diligente vigilanza sull’attività della società conduttrice), in concreto eventualmente concorrenti nella determinazione dell’evento dannoso, risulta obliterata dalla Corte territoriale, ai fini della possibile affermazione della (solidale) responsabilità per violazione degli artt. 844,2043 o 2051 c.c. (e art. 2055) e, per tale ragione, la censura coglie nel segno.

Occorre, quindi, nel caso di specie, che il giudice di rinvio – uniformandosi al principio di diritto prima enunciato con riguardo alle condizioni per la configurabilità della responsabilità concorrente del proprietario dell’immobile locato – proceda anche agli specificati ulteriori accertamenti per verificare la sussistenza o meno delle condizioni per escludere ogni responsabilità (anche concorrente), con particolare riferimento ai presupposti di applicabilità dell’art. 2043 o dell’art. 2051 c.c., della società s.r.l. Il Timone, quale proprietaria dei locali, della struttura muraria e della canna fumaria.>>