Il ruolo di Facebook nella presenza (conosciuta) di marchi contraffatti sul suo marketplace

Direct liability no, ma contributory si, dice il tribunale del Distr. Nord di New York 7.11.2023, caso 5:22-CV-1305 (MAD/ML), Car-Freshner v. Meta.

Si tratta del marchio del noto alberello deodorante di largo uso negli autoveicoli.

responsabilità diretta, no: <<In Tiffany, the Second Circuit concluded that eBay did not directly infringe on Tiffany’s
trademark where it resold genuine Tiffany goods. Tiffany, 600 F.3d at 103. Tiffany argued that
some of the goods being sold on eBay were counterfeit, which the Second Circuit explained “is
not a basis for a claim of direct trademark infringement against eBay, especially inasmuch as it is
undisputed that eBay promptly removed all listings that Tiffany challenged as counterfeit and
took affirmative steps to identify and remove illegitimate Tiffany goods.” Id. The Second Circuit
continued, “[t]o impose liability because eBay cannot guarantee the genuineness of all of the
purported Tiffany products offered on its website would unduly inhibit the lawful resale of
genuine Tiffany goods.” Id.
Although Plaintiffs allege that Meta did not promptly remove the infringing products from
its websites, there are no allegations that Meta “placed” the infringing marks on any goods. 15
U.S.C. § 1127(1)(A); see also Lops v. YouTube, LLC, No. 3:22-CV-843, 2023 WL 2349597, *3
(D. Conn. Mar. 3, 2023) (footnote omitted) (“[T]he exhibits indicate that the videos were created
or posted by third parties rather than by YouTube. But YouTube cannot be subject to direct
liability for trademark infringement based on videos uploaded by third parties”);
Nike, Inc. v. B&H Customs Servs., Inc., 565 F. Supp. 3d 498, 508 (S.D.N.Y. 2021) (“[T]he
infringer must have some intention to sell, advertise, or distribute the infringing product or service
in order for strict liability to attach. Mere unwitting transportation of another’s goods is not enough . . . “). As such, the Court grants Meta’s motion and dismisses the direct liability claims>>.

ma contributory liability, si, visto che Meta sapeva delle dopcumentate contestazioni dell’attore:

<<Plaintiffs’ allegations are different from those in Business Casual Holdings because Plaintiffs allege that Meta did not remove the infringing post or products from Facebook or Instagram until Plaintiffs filed their original complaint with this Court. See Dkt. No. 13 at ¶¶ 114-
15, 117, 119, 121. Plaintiffs allege that even after they notified Facebook and Instagram of the alleged infringement, both websites advertised and offered the infringing products. See id. at ¶¶ 110. Accepting Plaintiffs’ allegations as true, they have sufficiently stated a contribution claim as they allege that Meta had knowledge of the alleged infringement and instead of removing the posts or products from its websites, it continued to advertise the products. Thus, the Court denies Meta’s motion to dismiss>>.

La sentenza riproduce pure i marchi a confronto (p. 48-49), ravvisandone la sufficiente confondibilità per rigettare l’istanza di dismiss di Meta e per proseguire il processo

Danno emergente, lucro cessante e danno non patrimoniale a società commerciale in caso di violazioni di marchio

Cass. sez. 1 del 8 marzo 2023 n. 6876, rel. Catallozzi, Da Peng srl c. Giorgio Armani spa:

<< – ciò posto, si osserva che il danno risarcibile per atto di concorrenza sleale comprende, in applicazione dei criteri generali di cui agli artt. 1223 e 2056 c.c., sia il danno emergente, sia il lucro cessante;

– il primo può consistere nelle spese vanificate dall’illecito (per esempio, le spese pubblicitarie il cui ritorno è stato compromesso dall’attività illecita del concorrente), nelle spese affrontate per ovviare all’illecito (per esempio, le spese sostenute per la scoperta dell’altrui condotta pregiudizievole e per acquisirne la prova; quelle per informare il pubblico dell’altrui illecito) e in quelle imposte dall’esigenza di ovviare al pregiudizio subito dagli asset aziendali per la perdita di valore e/o, della capacità produttività e di penetrazione nel mercato;

– il secondo si risolve essenzialmente nel mancato guadagno del titolare eziologicamente legato alla concorrenza dell’autore della violazione, in relazione alla compressione dei ricavi dovuta alla diminuzione delle vendite – eventualmente anche di prodotti gemellati – o alla erosione del prezzo di mercato del prodotto;

– tali voci di danno vanno tenute distinte dal danno non patrimoniale, consistente nella lesione alla reputazione di un soggetto – ivi incluso una persona giuridica – derivante dalla diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali l’ente interagisca, allorquando l’atto lesivo che determina la proiezione negativa sulla reputazione dell’ente sia immediatamente percepibile dalla collettività o da terzi (cfr. Cass. 26 gennaio 2018, n. 2039; Cass. 25 luglio 2013, n. 18082; sulla risarcibilità del danno non patrimoniale, cfr. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972);

– la distinzione delle diverse voci risarcitorie si impone non solo per esigenze di una loro corretta qualificazione, ma anche per evitare il rischio di duplicazione delle poste risarcitorie;

– va, infatti, scongiurato il pericolo che la generica allegazione della lesione dell’immagine e del prestigio imprenditoriale dia luogo al riconoscimento di poste risarcitorie distinte, seppur relative al medesimo pregiudizio;

– tale pericolo appare particolarmente concreto in ragione della sottile linea di demarcazione tra danno morale da lesione alla reputazione e danno patrimoniale da discredito, da individuarsi, il primo, nel pregiudizio alla corretta identificazione del soggetto che ne è titolare nella sua comunità di riferimento e, il secondo, nel pregiudizio alla produttività e al posizionamento sul mercato;

– la tutela risarcitoria per atti di concorrenza sleale va accordata anche con riferimento alla realizzazione di atti preparatori rispetto a quelli presi in considerazione dall’art. 2598 c.c., avuto riguardo all’esigenza di prevenzione dell’illecito evidenziata dalla previsione del rimedio inibitorio, qualora sia dimostrata l’esistenza di un danno ad essa eziologicamente collegata;

– l’esecuzione di un’attività prodromica – soprattutto se inequivocabilmente orientata alla realizzazione di condotte concorrenziali sleali – può, dunque, di per sé, assumere rilevanza ai fini risarcitori pur in assenza dell’effettivo compimento dell’atto ritenuto illecito, nei limiti in cui la stessa arrechi pregiudizio al concorrente;

– qualora, poi, come nel caso in esame, il pregiudizio riguardi l’immagine e l’apprezzamento che i consumatori nutrono per i prodotti commercializzati con un determinato segno distintivo, la vittima ha diritto al risarcimento non solo del danno emergente e del danno non patrimoniale, in presenza dei presupposti indicati in precedenza, ma anche del danno da lucro cessante, laddove la condotta illecita abbia determinato una contrazione dei suoi ricavi o, comunque, una incidenza sul relativo importo;

– da ciò consegue che la decisione della Corte di appello, nella parte in cui ha ritenuto compatibile l’esistenza di un danno da lucro cessante con una condotta illecita confusoria realizzata mediante il compimento di soli atti prodromici (e in assenza, dunque, della commercializzazione dei relativi prodotti), non si pone in contrasto con le regole di diritto che presiedono alla liquidazione dei danni da concorrenza sleale; >> .

Un paio di osservazioni:

i) ex art. 20.2 cpi anche la detenzione a fini di successiva commercializzazione rientra nella esclusiva;

ii) il danno non patrimoniale in un ente, contrattualmente creato per fare profitto, rimane da spiegare

Confondibilità tra i marchi “A2” nel settore alimentare

Trib. UE 08 marzo 2023 T-759/21, Nestlè c. EUIPO-The a2 Milk Company Ltd, established in Auckland (New Zealand).

Ecco i marchi a paragone:

marchio Nestlè, chiesto in registrazione

a fronte della seguente anteriorità:

anteriorità dell’opponente

Merceolgicamente assai affini.

La fase amminsitrativa va male a Nestlè, il cuji segno è ritetnuto confondibile con l’anteriotià.

Uguale esito giudiziale.

In sintesi, Nestlè <<alleges, in essence, two errors made by the Board of Appeal in the global assessment. It maintains, first, that the Board of Appeal should have applied the case-law on short signs and followed EUIPO’s practice in that regard. Accordingly, a likelihood of confusion should have been excluded as the visual comparison is, in principle, decisive. In the applicant’s view, those principles were not mentioned at all, even though it had raised that matter in the proceedings before EUIPO. Secondly, the Board of Appeal did not take account of the fact that the visual aspect of the signs at issue plays a particularly important role with regard to the goods at issue. Those goods are sold in self-service stores, where consumers choose the product themselves and must therefore rely primarily on the image of the trade mark applied to the product>>§ 68.

Replica del Trib.:

<<It should be recalled that the Board of Appeal found, in paragraph 47 of the contested decision, that the earlier international registration had an average degree of inherent distinctiveness. In addition, having concluded that the conceptual comparison of the signs at issue was neutral, it took into account, in the context of the examination of the likelihood of confusion, the identity or high degree of similarity of the goods at issue, the low degree of visual similarity and the high degree of phonetic similarity between those signs in order to reach the conclusion that there was a likelihood of confusion, in the present case, for the Bulgarian-, Hungarian- or Latvian-speaking public at large with a level of attention which could vary from average to high.

65 The Board of Appeal added, in paragraph 48 of the contested decision, that even though the visual aspect was likely to play a role in the selection of the goods concerned, it was highly conceivable that, confronted with the international registration at issue, consumers would perceive it as a variation of the earlier international registration, configured in a different way according to the type of goods covered. That would in fact lead them to believe that the identical or highly similar goods originate from the intervener or, as the case may be, from an undertaking economically linked to the intervener.

66 First, it must be found that the applicant is wrong to maintain that the Board of Appeal failed sufficiently to take into account the visual differences between the signs at issue. As stated in paragraph 55 above, the Board of Appeal did indeed note, in the context of its global analysis of the likelihood of confusion, that there was a low degree of visual similarity between those signs. That does not mean, however, that it disregarded the case-law on short signs. Although it is true that, in short signs, small differences may frequently lead to a different overall impression, that is not the case here, since a significant part of the relevant public readily recognises the element common to the signs at issue, which is their dominant element.

67 In the light of those considerations, it is necessary, secondly, to take into account the fact that the signs at issue are phonetically similar to a high degree, if not identical, which is also the case for the goods at issue. Those findings cannot be ignored in the global analysis of the likelihood of confusion, contrary to what the applicant appears to maintain, but also play an important role in accordance with the principle of interdependence as referred to in paragraph 61 above. It should be noted, in that regard, that, even though the goods at issue are sold on a self-service basis and the visual aspect is of some importance, that does not prevent the phonetic similarity between the signs from becoming apparent when the goods are sold orally or mentioned in radio advertisements, or in oral conversations which are likely to give rise to an imperfect recollection of the sign. [è il punto più interessante]

68 Similarly, having regard to the identity conferred by the element common to the signs at issue, it is conceivable, as the Board of Appeal stated, that consumers, confronted with the international registration at issue, will perceive it as a variation of the earlier international registration, configured in a different way according to the type of goods covered, which will lead them to believe that the identical or highly similar goods originate from the intervener or, as the case may be, from an undertaking economically linked to the intervener.

69 It is appropriate in that regard to reject the applicant’s argument that, in order to arrive at that finding, the Board of Appeal was wrong to refer to paragraph 49 of the judgment of 23 October 2002, Oberhauser v OHIM – Petit Liberto (Fifties) (T‑104/01, EU:T:2002:262), given that it applied to customs in the clothing sector and did not concern short signs the stylisation of which would be capable of indicating the commercial origin of a product, but signs consisting of the words ‘fifties’ and ‘miss fifties’, the addition of ‘miss’ being capable of being understood as a clothing line for women.

70 It should be noted, in that regard, that the Board of Appeal merely stated that there was a likelihood of confusion irrespective of the particular importance of the visual aspect, given that, visually, the Bulgarian-, Hungarian- or Latvian-speaking public at large will always perceive the same alphanumeric combination in the signs at issue, albeit stylised differently. Furthermore, contrary to what the applicant appears to state, it is conceivable that consumers in sectors other than the clothing sector, including the food and dietetic supplements sector, may believe that identical or highly similar goods originate from the same undertaking or from economically linked undertakings when faced with signs containing identical verbal or numerical elements, even if those signs are short.[mi pare esatto]

71 Accordingly, it should be concluded that, in the light of the fact that the signs at issue are visually similar to a low degree and phonetically highly similar or even identical, that a conceptual comparison is not possible, that the goods at issue are identical or highly similar and that the level of attention of the Bulgarian-, Hungarian- or Latvian-speaking public at large may vary from average to high, the Board of Appeal was correct to find that there was a likelihood of confusion within the meaning of Article 8(1)(b) of Regulation 2017/1001>>.

Ferrari perde la lite in Cassazione circa la proteggibilità del suo marchio nel caso di riproduzione su modellini

Cass. sez. 1 del 3 novembre 2022 n° 32.408, rel. Fidanzia, Ferrari spa c. Brumm snc [per incidens: ragione sociale “leggermente” descrittiva e per nulla distintiva, come però presupposto dall’art. 2567 cc], conferma la sentenza di appello bolognese, secondo la quale  è lecita la riproduizione del mrchi Ferrari sui modellini di automobile.

Non ci sono ragionamenti giuridici di rilievo, limitandosi la SC a censurare i motivi di ricorso perchè non atti a scalfire l’argomentazione della sentenza di secondo grado.

L’unico spunto è quello del dover dare pedisequa attuazione ai comandi presenti nel precedente europeo della corte di giustizia nell’analoga lite promossa da Opel contro un produttore tedesco di modellini (CG 25.01.2007, C-48/05, Adam Opel aG c. Autec AG).

Riporto solo questo passo:

<<In sostanza, la Corte di Giustizia, nell’escludere che l’uso del segno sui modellini in miniatura di autoveicoli abbia natura descrittiva e sia quindi, come tale, sempre lecito (purché comunque conforme ai principi della correttezza professionale), non ha, d’altra parte, ritenuto che lo stesso uso, effettuato in funzione chiaramente non distintiva (ma ornamentale), sia illecito solo perché non scriminato a norma dell’art. 6 n. 1 lett b) n. 89/104: dovrà essere il giudice di merito a valutare in concreto se l’uso in oggetto sia stato “privo di giusta causa” tale da consentire all’utilizzatore di trarre “indebitamente” vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, in quanto marchio registrato per autoveicoli, ovvero abbia arrecato pregiudizio a tali caratteristiche del marchio.

L’accertamento della sussistenza o meno della contraffazione del marchio che gode di rinomanza non può quindi che avvenire sulla base dei parametri di cui all’art. 5 n. 2 della direttiva, che corrispondono a quelli del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 20, lett. c).

Orbene, la Corte d’Appello di Bologna, facendo corretto uso dei principi di diritto sopra enunciati, con argomentazioni idonee che non sono state minimamente censurate sotto il profilo del vizio di motivazione di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come interpretato dalle S.U. di questa Corte con sentenza n. 8053/2014), ha, in primo luogo, osservato che le fedeli riproduzioni della autovetture Ferrari realizzate dalla Brumm non hanno arrecato alcun pregiudizio neppure potenziale alle funzioni dei marchi Ferrari, essendo, anzi, emersa in giudizio la prova contraria.

In particolare, il giudice di secondo grado, sul rilievo che alcuni modellini Brumm di autovetture Ferrari d’epoca sono addirittura esposti nella stessa galleria Ferrari a (Omissis), e che recensioni di automodelli Ferrari prodotti a Brumm sono rinvenibili in varie riviste di settore, inclusa la “Ferrari Wordl”, ha tratto la coerente conclusione che l’uso del segno Ferrari da parte della Brumm non ha abbia in alcun modo danneggiato il marchio celebre della società ricorrente.

Inoltre, se è pur vero che la Corte d’Appello ha, in modo impreciso, affermato la natura descrittiva dell’uso, da parte della Brumm, del segno Ferrari sui modellini in oggetto – sul punto la motivazione della Corte territoriale deve essere corretta a norma dell’art. 384 c.p.c., u.c. – tuttavia, il giudice d’appello, oltre ad escludere per tale uso l’effetto confusorio sul consumatore medio finale (sul punto, le censure della ricorrente si appalesano chiaramente inammissibili) ha, altresì, escluso che l’indicazione del marchio “Cavallino Rampante” sulle confezioni contenenti i modellini, in quanto apposta accanto al marchio Brumm, non avesse una funzione evocativa del marchio e della qualità del prodotto Ferrari (vedi pagg. 5 e 8 sentenza impugnata)>>.

La distruzione di merci è invocabile anche quando provenienti dal titolare del marchio , qualora non ne avesser autorizzato l’immissione in commercio

condivisibile posizione espressa da corte di giustizia 13.10.2022, C-355/21, Perfumesco c. Procter & Gamble International Operations SA, .

Si tratta di interpretare l’art. 10 dir. 48 del 2004:

<< Sezione 5  Misure adottate a seguito di decisione sul merito
Articolo 10 Misure correttive
1. Salvo il risarcimento dei danni dovuto al titolare del diritto a causa della violazione, e senza indennizzo di alcun tipo, gli Stati membri assicurano che la competente autorità giudiziaria possa ordinare, su richiesta dell’attore, le misure adeguate da adottarsi per le merci riguardo alle quali esse ha accertato che violino un diritto di proprietà intellettuale e, nei casi opportuni, per i materiali e gli strumenti principalmente utilizzati per la realizzazione o la fabbricazione di tali merci. Siffatte misure comprendono:
a) il ritiro dai circuiti commerciali,
b) l’esclusione definitiva dai circuiti commerciali, oppure
c) la distruzione.
>>

Nel caso spefico erano state messe in vendita da Perfumesco dei campioncini di profumo  Hugo Boss, creati però solo come c.d. tester cioè flaconcini di prova (Procter and Gamble unico licenziatario, legittimato ad agire).

Si trattava allora di interpretare il concetto di <violazione di diritto di proprietà intellettuale>

Un prodotto immesso solo come tester non è  immesso anche come vendita e quindi non opera l’esaurimento.  Quindi pare esatto ravvisare violazione (sopratutto se si accetta la tesi -ancora persuasiva- di Sarti  per cui il succo della privativa sta nel potere di determinare il numero di esemplari presenti nel mercato).

Violazione di marchio e copyright circa il celeberrimo marchio di Patagonia da parte di un venditore su Walmart

Si consideri il seguente logo di Patagonia:

(immagine presa dal web: https://www.bergfreunde.it/patagonia-p-6-logo-responsibili-tee-t-shirt/)

e questo:

(immagine presa dal web: https://bluequillangler.com/patagonia-logo/?s=)

Ebbene, Patagonia lamenta che i suoi diritti di marchio e copyright siano violati dal segno grafico presente nelle magliette prodotte da Robin Ruth e distribuite da WalMart: si v. l’immagine a p. 2 della citazione in giudizio di cui appresso e già qui riprodotta:

Il segno è simile quanto all’elemento non denominativo, ma assai diverso rispetto a quello denominativo.

La prof. Alexandra Roberts offre il link all’atto di citaizone in giudizo presso la corte di Los Angeles.

La difesa non ragiona su questa differenza: si limita a dare per scontata l’associazione tra le due imprese:

<< In blatant disregard of Patagonia’s rights in the PATAGONIA
trademarks—and without authorization from Patagonia—Defendants have
promoted, offered for sale, and sold shirts bearing designs and logos that are nearly identical to the P-6 Trout logo and P-6 logo, only replacing Patagonia’s
PATAGONIA word mark with the word “Montana,” which inevitably will imply to
consumers that Patagonia has endorsed or authorized these products
>>.

Il caso non è semplice e bisogna distinguere tra i due marchi di Patagonia.

Ferma la uguaglianza merceologica, i segni differiscono in toto quanto alla componente denominativa , la quale ha un ruolo quantomeno coessenziale a quella a figurativa nel marchio attoreo. I nomi poi son scritti diversamente:  carattere assai peculiare nell’attore, banale nel covnenuto.

Ma può essere che alla fine il consumatore associ il marchio del secondo all’impresa del primo. E visto che basta il rischio di ciò (art. 20.1.b, cod. propr. ind.) , da noi la domanda potrebbe essere accolta .

Conclusione direi quasi certa per il secondo marchio (a forma di pesce), più difficile per il primo (solo montagna, concettualmente altro dal pesce).

Vedremo.

Sulla responsabilità di Amazon per prodotti in violazione di marchio venduti da terzi sul suo marketplace

Sono arrivate la conclusioni 02.06.2021 del bravo avvocato generale Szpunar nella causa C-148/21 e C-184/21, Louboutin c. Amazon.

Il quesito è semplice ma importante: Amazon è responsabile per le contraffazioni di marchio realizzate da terzi con prodotti venduti sul suo market place tramite i servizi accessori di stoccaggio e distribuzione?

L’AG dice di no e la analisi è incentrata sul cocnetto di <uso> posto dalla dir. 2017/1001 art. 9.2.

Si noti che si tratta di responsabilità diretta per violazione di disciplina sui marchi, che è armonizzata a livello euroeo: non di quella indiretta per concorso in illecito civile generale , ancora di competenzxsa nazionale (la distinzione è ricordata dall’AG, § 76 ss):

A parte che le categorie responsabilità diretta/indiretta hanno base teorica precaria , dato che l’art. 2055 non distingue , vediamo i punti salienti del ragionamento.

Il primo è quello per cui l’analisi va fatta dal punto di vista dell’utente medio dei prodotti de quibus, §§ 58-61 e § 72.

Il secondo è che A. è precisa nel distinguiere i segni distintivi propri da quelli usati dai clienti sul marketplace, § 86.

Nemmeno i servizi aggiuntivi e valore aggiunto di stoccaggio e distribuzione possono dire che ci sia un USO del segno altrui da parte di A., §§ 92 e 95

Si può concordare o meno col ragionamento.   L’AG comunque pare svalutare il riferimento nell’art. 9/3 del cit. reg. 2017/1001 allo stoccaggio e alla comunicazione commerciale.       Se in queste fasi della sua attività A. permette l’uso di segni in violazione, come può dirsi che non ne faccia <uso>? Quanto meno come concorso, fattispecie da ritenersi rientrante nell’armonizzazione europea (non potendosi farvi rientrare solo le violazioni monosoggettive)?

Dato il modello di business di A., il problema poi può porsi anche per altre privative armonizzate (diritto di autore, design) .

Può forse porsi anche per altre discipline settoriali come la responsabilità del produittore (però A. è ben attenta a dare tutte le informazioni sul  prodotture per evitare l’applcaizione dell’art. 116 cod. cons.) o la garanzia di conformità ex art. 128 cod. cons. (A. può considerarsi <venditore> quando eroga i citt. servizi aggiuntivi?)

“Luxy” non è confondibile con “Luxury”: quasi un caso di keyword advertising

Il tribunale del Central District of California, 3 ottobre 2021, Case 2:20-cv-00423-RGK-KS, Reflex media c. Luxy decide una domanda di violazione di marchio e concorrenza sleale.

Il marchio azionato era <Luxy> scritto con una certa paricolarità grafica.

Il resistente aveva fatto un’inserzione in Google Search: digitando <luxy> compariva -tra quattro- il suo annuncio a pagamento con titolo <Luxury dating site. For elite relatgionship> (v. riproduzione sotto).

La corte nega che tale titolo violi il diritto sul marchio predetto: <<Plaintiffs’ advertisement does not contain the word “Luxy” or appear to cause any more confusion than the other three advertisements. Even so, Defendant alleges that the title of Plaintiffs’ advertisement — “Luxury Dating Site – For Elite Relationships”—causes confusion because SeekingElite.com and OnLuxy.com offer the same services and because the word “Luxury” is similar to Defendant’s trademark. However, the word “Luxury” and Defendant’s trademark are not alike….the dissimilarity between the marks suggests that Plaintiffs did not intend to deceive the public by incorporating the word “Luxury” into the title of their advertisement.>>

La corte poi nega la genericità di termini  <seeking> <seeking millionaire> etc. per siti di incontri.

(notizia e link alla sentenza , come pure l’immagine di cui sotto, tratti dal blog di Eric Goldman)

https://blog.ericgoldman.org/wp-content/uploads/2021/12/luxy.jpg

violazione di marchio RISE per bibite in lattina: Pepsi perde la lite (per ora)

La corte del southern district di Ney York decide  una domanda dui contraffazione a carico del colosso Pepsi: sentenza 3 novembre 2021, caso 21 Civ 6324 LGS, RISEANDSHINE CORPORATION- RISE BREWING c. Pepsico inc. (link preso da Reuters.com ).

Si v. le foto lattine a confronto e poi il marchio anteriore ingrandito.

La corte ravvis confondibilità-

L’azione è quella di reverse confuision: The reverse confusion theory protects the mark of a [senior] user from being overwhelmed by a [junior] user, typically where the [junior] user is larger and better known and consumers might conclude that the senior user is the infringer., p. 10.

I fattori esaminati sono i soliti dal caso Polaroid:

(1) the strength of the trademark;

(2) the degree of similarity between the plaintiff’s mark and the defendant’s allegedly imitative use;

(3) the proximity of the products and their competitiveness with each other;

(4) the likelihood that the plaintiff will “bridge the gap” by developing a product for sale in the defendant’s market;

(5) evidence of actual consumer confusion;

(6) evidence that the defendant adopted the imitative term in bad faith;

(7) the respective quality of the products;

and (8) the sophistication of the relevant population of consumers.

In conclusione, dice la corte, << given the degree of similarity between Plaintiff’s and Defendant’s marks, the proximity of their areas of commerce, and credible testimony of actual confusion, Plaintiff has met its burden of showing a sufficient likelihood of success on the merits to warrant a preliminary injunction, regardless of whether the relevant standard is a clear or substantial likelihood, a simple likelihood, or serious questions on the merits. See generally Guthrie, 826 F.3d at 46; Virgin Enters. Ltd., 335 F.3d at 142. Plaintiff has shown that the risk of reverse  confusion is probable — i.e., that without an injunction, Plaintiff is at risk of “being overwhelmed by a subsequent user [PepsiCo], where the subsequent user is larger and better known.” LVL XIII Brands, Inc., 209 F. Supp. 3d at 666>>, p. 20

Difficile dar torto alla corte.

 

Risarcimento da mancarto guadagno in caso di violazione di marchio (oltre che danno non patrimoniale per le società commerciali)

Trib. Milano  n. 1989/2021 del 09.03.2021, RG 49780/2016, rel. Barbieri, BTicino spa c. ABS sas e altri, accerta la contraffazione di marchi BTicino e determina il danno così:  << Ai fini della determinazione del lucro cessante subito dalla società attrice si è considerata  la  differenza  dei  flussi  di  vendita  che  il  titolare  della  privativa avrebbe avuto in assenza della contraffazione e quello che ha effettivamente avuto, intendendo il mancato guadagno quale utile netto determinato sottraendo  ai  ricavi  netti  di  vendita  i soli costi di produzione “incrementali” che,  nel  caso  di  specie,  sono  stati  identificati  nei  costi  di  acquisto  della materia  prima,  nei  costi  di  acquisto  dei  semilavorati,  nei  costi  energetici  di produzione  (forza  motrice)  e  nei  costi  dei  materiali  di  consumo  diretti.    Nessun  altro  costo  diretto  è  stato  preso  in  considerazione,  tenuto  conto  che, per  Bticino,  non  sarebbe  stato  necessario  incrementare la propria “capacità produttiva” al fine di produrre le quantità di beni di cui è stata accertata  la contraffazione (cfr. pag. 5 della relazione peritale).

Il margine non realizzato da Bticino è stato determinato confrontando i ricavi medi  di  vendita  che  Bticino  non  ha  realizzato,  con  riferimento  ai  codici prodotto di cui alle fatture di Nuova Quadrimpianti, negli anni 2013, 2014 e 2015  ed  i  costi  industriali  (incrementali)  non  sostenuti  riferiti  ai  medesimi prodotti. Il margine non realizzato da Bticino riferibile ai prodotti venduti da Nuova Quadrimpianti negli anni 2013, 2014 e 2015 somma Euro 210.655,49, a fronte di un numero di vendite di prodotti contrassegnati da codici prodotti Bticino  e  contraffatti  poste  in  essere,  negli  anni  2013,  2014  e  2015  dalla predetta convenuta di 147.389 (cfr. pag. 9 della CTU). Con  riferimento  alle  vendite  di  Gruppo  Elektra,  a  seguito  delle  elaborazioni eseguite  dal  CTU,  sono  state  individuate  le  seguenti  quantità  di  vendite  di prodotti  contraffatti  contrassegnati  con  i  codici  prodotti  Bticino:  696.488 nell’anno 2015 e 200.723 nel 2016.

L’utile netto  non  realizzato  da  Bticino  è  stato  determinato  confrontando  i ricavi medi di vendita che Bticino non ha realizzato, con riferimento ai codici prodotto  di  cui  alle  fatture  di  Gruppo  Elektra,  negli  anni  2015  e  2016  ed  i costi industriali (incrementali) non sostenuti riferiti ai medesimi prodotti. Il  margine  non  realizzato  da  Bticino riferibile  ai  prodotti  venduti da  Gruppo Elektra negli anni 2015 e 2016 somma Euro 1.068.937,74.

Ne consegue che, stante la riconosciuta responsabilità solidale dei convenuti, componenti una “rete commerciale alternativa” di prodotti contraffatti recanti i  marchi  di  titolarità  della  Bticino,  le  stesse  devono  essere  condannate  a corrispondere a parte attrice, a titolo di lucro cessante, la complessiva somma  di  denaro  euro  1.279.593,23,  corrispondenti  all’utile  netto  che  la  Bticino avrebbe  complessivamente ricavato  in  assenza  della complessa condotta contraffattiva.>>

Sul danno non patrimoniale: <<In  favore  di  parte  attrice  deve  poi  essere  liquidato  –  considerato  che  la condotta illecita posta in essere ai suoi danni integra il reato di cui all’art. 473 c.p.  e  tenuto  conto  della  portata  svilente  dei  prezzi  praticati  e,  soprattutto, dell’elevata pericolosità della merce illecitamente commercializzata dai convenuti, tali da ledere l’immagine commerciale del titolare delle privative – anche il danno non patrimoniale, equitativamente liquidato nella misura di un quarto  del  danno  patrimoniale,  dunque  nella  complessiva  somma  di  euro 320.000.>>.

Il collegio sorvola sulla questione del se sia realmente <danno non patriminale>, dato che l’otggetto sociale è la produzine d iutili tramite attività d iimpresa.

Infine non troppo chiaro è l’ultimo  comando , legato alla irrreperibilità di due convenuti: <<Dal momento che, come rilevato, i convenuti diversi da Nuova Quadrimpianti e da Gruppo Elektra si sono posti in condizione di irreperibilità, ovvero hanno adottato condotte di mancato adempimento dell’ordine  giudiziale  di  esibizione  al CTU delle scritture contabili, funzionale a permettere i disposti accertamenti peritali, la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale deve essere incrementata,  per  via  equitativa,  nella  misura  di  euro  200.000,  al  fine  di tenere  conto  dei  minori  flussi  di  vendita  che  il  titolare  ha  prodotto  a  causa delle  condotte  di  contraffazione,  accertate,  poste  in  essere  dai  convenuti  in parola>>.