Marchio “Emoji” usato solo a fini descrittivi della propria attività

Eric Goldman dà notizia di NORTHERN DISTRICT Court OF ILLINOIS
EASTERN DIVISION 29 settembre 2023, No. 22-cv-2378, Emoji company v. vari soggetti .

La convenuta aveva usato il marchio denominativo (la parola) “Emoji” nel descrivere i propri prdotti, dato che vendeva stickers che ricordavano la forma di emojis.

Si tratta di fair use secondo il diritto dei marchi usa  (da noi art. 21 c.1 c.p.i., xa vedere se lettere b) o c)), dice la corte.

Là è l’argt. 15 US Core § 1115.b. (4): << That the use of the name, term, or device charged to be an infringement is a use, otherwise than as a mark, of the party’s individual name in his own business, or of the individual name of anyone in privity with such party, or of a term or device which is descriptive of and used fairly and in good faith only to describe the goods or services of such party, or their geographic origin;>> (la Corte non menziona la fattispecie sub (4), ma altre paiono non adatte)

Interessante è anche la questione della volgarizzazione del segno.

La corte dice che, impregiudicato se lo sia per digital icons, non lo è per altri prodottio come gli stickers fisici sub iudice: <<But those facts do not strip Emoji Company of trademark protection for the term “emoji”
on classes of products other than digital icons, such as, as relevant here, stickers. That’s because
“emoji” is not a generic term for stickers or emoji-themed stickers. See McCarthy, supra at 12:1
(stating that when a name is generic, “the name of the product answers the question ‘What are
you?’”); see also H.D. Michigan, Inc., 496 F.3d at 760 (“A company’s name may be generic as to
one of its products, but not generic as to its other products, even those related to the first
product. Two Second Circuit decisions illustrate this principle. In one, the court . . . held that the
word ‘safari’ is generic as applied to a type of khaki hat and jacket, but not generic as applied to
boots, shoes, shirts, ice chests, and tobacco. See Abercrombie & Fitch Co. v. Hunting World Inc.,
537 F.2d 4, 11-12 (2d Cir. 1976). In another, the court held that the word ‘self-realization’ is a
generic name for a yoga organization (people performing yoga attempt to attain self-realization),
but descriptive as applied to yoga books and classes. See Self–Realization Fellowship Church v.
Ananda Church of Self–Realization, 59 F.3d 902, 909-10 (9th Cir. 1995).”). Thus, Winlyn has not
shown that Emoji Company has a less-than-likely shot at success on the merits on the basis that its
mark is generic and therefore unprotectable>>.

Questa la pubblicità della covnenuta (su Amazon; immagine rpesa dal blog di Eric Goldman):

Ferrari perde la lite in Cassazione circa la proteggibilità del suo marchio nel caso di riproduzione su modellini

Cass. sez. 1 del 3 novembre 2022 n° 32.408, rel. Fidanzia, Ferrari spa c. Brumm snc [per incidens: ragione sociale “leggermente” descrittiva e per nulla distintiva, come però presupposto dall’art. 2567 cc], conferma la sentenza di appello bolognese, secondo la quale  è lecita la riproduizione del mrchi Ferrari sui modellini di automobile.

Non ci sono ragionamenti giuridici di rilievo, limitandosi la SC a censurare i motivi di ricorso perchè non atti a scalfire l’argomentazione della sentenza di secondo grado.

L’unico spunto è quello del dover dare pedisequa attuazione ai comandi presenti nel precedente europeo della corte di giustizia nell’analoga lite promossa da Opel contro un produttore tedesco di modellini (CG 25.01.2007, C-48/05, Adam Opel aG c. Autec AG).

Riporto solo questo passo:

<<In sostanza, la Corte di Giustizia, nell’escludere che l’uso del segno sui modellini in miniatura di autoveicoli abbia natura descrittiva e sia quindi, come tale, sempre lecito (purché comunque conforme ai principi della correttezza professionale), non ha, d’altra parte, ritenuto che lo stesso uso, effettuato in funzione chiaramente non distintiva (ma ornamentale), sia illecito solo perché non scriminato a norma dell’art. 6 n. 1 lett b) n. 89/104: dovrà essere il giudice di merito a valutare in concreto se l’uso in oggetto sia stato “privo di giusta causa” tale da consentire all’utilizzatore di trarre “indebitamente” vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, in quanto marchio registrato per autoveicoli, ovvero abbia arrecato pregiudizio a tali caratteristiche del marchio.

L’accertamento della sussistenza o meno della contraffazione del marchio che gode di rinomanza non può quindi che avvenire sulla base dei parametri di cui all’art. 5 n. 2 della direttiva, che corrispondono a quelli del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 20, lett. c).

Orbene, la Corte d’Appello di Bologna, facendo corretto uso dei principi di diritto sopra enunciati, con argomentazioni idonee che non sono state minimamente censurate sotto il profilo del vizio di motivazione di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come interpretato dalle S.U. di questa Corte con sentenza n. 8053/2014), ha, in primo luogo, osservato che le fedeli riproduzioni della autovetture Ferrari realizzate dalla Brumm non hanno arrecato alcun pregiudizio neppure potenziale alle funzioni dei marchi Ferrari, essendo, anzi, emersa in giudizio la prova contraria.

In particolare, il giudice di secondo grado, sul rilievo che alcuni modellini Brumm di autovetture Ferrari d’epoca sono addirittura esposti nella stessa galleria Ferrari a (Omissis), e che recensioni di automodelli Ferrari prodotti a Brumm sono rinvenibili in varie riviste di settore, inclusa la “Ferrari Wordl”, ha tratto la coerente conclusione che l’uso del segno Ferrari da parte della Brumm non ha abbia in alcun modo danneggiato il marchio celebre della società ricorrente.

Inoltre, se è pur vero che la Corte d’Appello ha, in modo impreciso, affermato la natura descrittiva dell’uso, da parte della Brumm, del segno Ferrari sui modellini in oggetto – sul punto la motivazione della Corte territoriale deve essere corretta a norma dell’art. 384 c.p.c., u.c. – tuttavia, il giudice d’appello, oltre ad escludere per tale uso l’effetto confusorio sul consumatore medio finale (sul punto, le censure della ricorrente si appalesano chiaramente inammissibili) ha, altresì, escluso che l’indicazione del marchio “Cavallino Rampante” sulle confezioni contenenti i modellini, in quanto apposta accanto al marchio Brumm, non avesse una funzione evocativa del marchio e della qualità del prodotto Ferrari (vedi pagg. 5 e 8 sentenza impugnata)>>.

“Trump too small”: incostituzionale il rifiuto di registrazione di marchio denominativo evocante l’ex presidente Trump

La domanda di registrazione del marchio denominativo <TRUMP TOO SMALL> per magliette era stata respinta dall’USPTO, perchè non c’era il consenso del titolare del nome e perchè indicava falsamente un’associazione con lui.

La frase si riferisce al noto scambio di battute “fisico-dimensionali” tra Trump e Marc Rubio, di qualche anno fa.

L’impugnazione fondata sulla violazione del diritto di parola venne respinta dal Board amministrativo.

Ma la corte di appello federale 24.02.2022, n° 2020-2205, in re: Steve Elster, rifroma: il rifiuto di registrazione è incostituzionale perchè contrastante appunto col diritto di parola del Primo Emendamento.

Irrilevanti sono sia l’eccezione di privacy (assente per un personagigo pubblico, sub IV, p. 11),  che di right of publicity , non essendoci nè uno sfruttamento della notorietà di Trump (qui è però difficile veder quale legittimazione abbia il Governo) nè un’induzione del pubblico a pensare che egli abbia dato il suo endorsement al prodotto (su cui avrebbe legittimazione il Governo: sub V, p. 12/4).

Del resto la domanda di marchio e il suo uso costituiscono private speech, p. 5, che può invocare il 1° Emend., anche se per uso commerciale, p. 9.

In conclusione il rifuto di registrazione è annullato.

Mi pare in realtà trattarsi di uso parodistico o meglio satirico.

In UE è discusso se possa invocarsi l’uso parodistico di un marchio altrui, magari rinomato.

In prima battuta potrebbe rispondersi positivamente sulla base di un diritto di parola o di critica (da un lato l’art. 21 cpi e .art. 14 dir. UE 2015/2436 sono muti sul punto ; dall’altro il diritto di manifestazione del pensiero,  se ravvisato nel caso specifico, non sarebbe inibito dalla mancanza di espressa sua previsione).

A ben riflettere, però,  la cosa non è semplice, potendo l’operazione nascondere uno sfruttamento abusivo della notorietà altrui.