Nel caso di illecito tra minorenni (cessione di droga con decesso del compratore) e concorso di colpa del deceduto, la responsabilità vicaria dei genitori ex art. 2048 cc opera solo per quelli del cedente, non del compratore decedeuto

Così insegna Cass. 06.10.2025 n. 26798, rel. Travaglino:

<<4.2. È stata conseguentemente operata una riduzione del risarcimento riconosciuto ai genitori della vittima iure proprio, ex art. 1227 c.c., in conseguenza del contributo causale riconducibile alla condotta del figlio rispetto al danno autoprodotto, ma non anche l’ulteriore riduzione ascrivibile alla loro responsabilità vicaria, ossia al presunto difetto di vigilanza o di educazione del figlio disciplinato dall’art. 2048 c.c. (…)

5.3. La Corte di Appello, pertanto, ha fatto corretta applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte, a mente del quale, se il minore ha concorso a cagionare il danno a se stesso, il risarcimento dovuto ai suoi genitori si riduce in funzione del suo contributo causale alla verificazione dell’evento, senza bisogno di indagare quale sia stato il loro ruolo nella vicenda, volta che la sola, possibile riduzione risarcitoria è l’effetto del concorso di colpa del minore, mentre non si può ammettere una riduzione ulteriore dovuta alla colpa presunta di omessa vigilanza ed educazione del figlio. (Cass. 2704/ 2005; Cass. 22514/ 2014; Cass. 23426/ 2014 ed altre, più recenti pronunce su cui amplius, infra). (…)

5.8. In altri termini, una volta stabilito che il concorso della condotta concorrente della vittima minorenne che non commetta un autonomo illecito deve essere preso in considerazione, ex art. 1227 I comma c.c., ai fini della proporzionale riduzione del risarcimento dei danni reclamati iure proprio dai genitori, l’ulteriore accertamento avente ad oggetto la sussistenza della loro colpa concorrente ex art. 2048 c.c. al fine di far derivare la (ulteriore) riduzione del danno risarcibile diviene irrilevante, dato che l’eventuale culpa in educando ovvero in vigilando verrebbe a coprire, per altro verso, quel medesimo ambito di irrisarcibilità già derivante dall’applicazione dell’art. 1227 cod. civ. (in termini, sia pur con varietà argomentativa, Cass. 2483/2018; Cass. 3557/2020). (…)

5.10. La decisione dei giudici di merito è (condivisibilmente) fondata, di converso, su di una lettura dell’art. 2048 c.c. che istituisce i genitori responsabili del fatto (del minore) solo qualora esso sia illecito. Nella specie, il danno che il minore aveva causato a sé stesso è di colore giuridicamente “neutro” rispetto alla sua condotta, volta che, assumendo droga, egli non compie alcun atto illecito né verso se stesso né verso i genitori – con la conseguenza che questi ultimi non possono essere chiamati a subire quel danno oltre il limite del concorso del figlio deceduto ex art. 1227 c.c., posto che essi rispondono della condotta del minore solo quando essa sia autonomamente illecita, vuoi che il danno conseguente riguardi terzi, vuoi che riguardi lo stesso danneggiato>>.

Concorso di cause (attuale e situazione sanitaria preesistente) nel danno alla persona

Cass. sez. III, 26/06/2025 n. 17.179, rel. Fanticini:

<<- con le censure – che possono esaminate congiuntamente perché tra loro intimamente connesse – il ricorrente formula fondate critiche alla motivazione addotta del giudice d’appello, che per escludere il nesso causale tra un tamponamento (evento di lieve entità) e l’infarto miocardico occorso al Gu.Ma.:

– ha fondato il proprio decisum su un generico id quod plerumque accidit (secondo cui da sinistri di minima entità non possono derivare danni fisici gravi) che prescinde dalle risultanze peritali e non ha considerato che, ai fini risarcitori, la condotta lesiva può costituire anche solo una concausa dell’evento verificatosi;

– stando alla conclusione a cui è approdato, ha relegato l’infarto a evento eccezionale e, cioè, a un’ipotesi talmente improbabile da potersi ragionevolmente escludere la sua derivazione causale dall’incidente stradale, ma la motivazione sul punto non è perspicua – sia perché si basa su un postulato apodittico (è vero che da un sinistro lieve non derivano, solitamente, danni gravi, ma si tratta di una presunzione e non di un dato inconfutabile) e si risolve in una petizione di principio (“appare sicuramente un evento eccezionale che, in base ad una valutazione ex ante e secondo l’id quod plerumque accidit, non consegue, secondo il principio della regolarità causale, a sinistri del tipo di quello descritto”), sia perché non è esplicitata alcuna analisi sul grado di probabilità – ed è in parte contraddittoria – dato che la stessa Corte palermitana asserisce che il tamponamento, con conseguente ricovero, “può avere agito come concausa della complicazione della placca ateromatosa” – e, proprio per la sua lacunosità, inidonea a giustificare lo scostamento dalle contrarie conclusioni dei consulenti tecnici d’ufficio;

– ha enunciato i preesistenti fattori di rischio del ricorrente, ma – pur dando atto della possibile incidenza del sinistro in concomitanza coi medesimi (“Nel caso di specie, lo stimolo emotivo correlato al sinistro può avere contribuito alla complicazione della placca, in aggiunta all’azione infiammatoria scatenata dalla iperglicemia indotta dalla terapia steroidea in un preesistente ambiente protrombotico connesso al diabete, obesità e ipertensione”) – ha repentinamente e apoditticamente attribuito interamente a questi l’infarto: al contrario, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo recepito il principio noto come “thin skull rule”, secondo cui il danneggiante è responsabile per tutte le conseguenze del proprio comportamento, anche se aggravate da condizioni preesistenti del danneggiato (tra le altre, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 28990 del 11 novembre 2019, ha ribadito che “In tema di responsabilità civile, l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della particolare condizione del soggetto danneggiato (cd. thin skull rule)”; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15991 del 21 luglio 2011, ha statuito che “Il concorso di una causa naturale non esclude la responsabilità del danneggiante, se la sua condotta ha avuto un’efficacia causale rilevante nella produzione dell’evento, secondo il criterio del “più probabile che non””);

– in definitiva, nella sentenza impugnata è mancato un compiuto accertamento del nesso causale secondo la nota regola del “più probabile che non” riferita allo specifico caso esaminato;

1) Concorso tra attività pericolosa ex art. 2050 cc e condotta del danneggiato nonchè 2) grado di consapevolezza di questi della pericolosità del fumo attivo. Tobacco litigation all’italiana

Cass. sez. III, 23/05/2025 n. 13.844 rel. Gorgoni:

sul primo punto:;

<< 16) La corte territoriale, in sostanza, proprio in ragione della qualificazione come pericolosa dell’attività di produzione e commercio del tabacco non avrebbe dovuto limitarsi a ritenere la scelta del consumatore una causa prossima di rilievo, in quanto la condotta del danneggiato non solo va valutata diversamente a seconda della pericolosità dell’attività, ma anche perché la disciplina delle attività pericolose richiede una prova liberatoria specifica e particolarmente rigorosa, che non coincide propriamente con la prova del caso fortuito (comprendente il fatto colposo della vittima), essendo innegabile che nella pratica “la differenza con il limite del fortuito si attenui sensibilmente” (Cass. 13/5/2003, n. 7298).>>

Sul secondo punto, più interessante:

<<17) Anche l’argomentazione posta dalla corte di merito a fondamento della ravvisata consapevolezza della vittima dei danni cagionati dal fumo risulta invero non essere stata assunta all’esito di un accertamento specifico della effettiva consapevolezza da parte della vittima della cancerogenicità del fumo.

Accertamento viceversa indispensabile per ritenere quest’ultima in colpa, atteso che dalla medesima si sarebbe potuto esigere una diversa condotta (non fumare, fumare meno, non aspirare il fumo, adottare altre cautele), solo ove, informata del rischio specifico cui risultava esposta in ragione del consumo di sigarette, si fosse ciononostante ad esso consapevolmente e volontariamente indotta.

18) La tesi dei ricorrenti, fatta propria anche dal giudice di primo grado, era infatti che nel 1965, quando aveva iniziato a fumare, non avesse consapevolezza della correlazione tra il fumo di sigarette e il cancro, laddove il giudice di merito si è limitato ad affermare che la nocività del fumo era un fatto socialmente notorio negli anni settanta.

La questione controversa però non è se vi fosse una generica consapevolezza sociale e personale dell’odierna vittima in ordine alla nocività del fumo bensì se quest’ultima fosse specificamente stata informata e consapevole che il fumo è cancerogeno.     [è il passaggio decisivo]

19) Anche senza considerare che solo nel 1975 (con la L. n. 584/1975) è stato introdotto in Italia il divieto di fumare in determinati locali e sui mezzi di trasporto pubblico, e che tale divieto è stato esteso solo molto più tardi (dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 dicembre 1995) a determinati locali della pubblica amministrazione o dei gestori di servizi pubblici; e che il divieto di pubblicizzare direttamente o indirettamente qualsiasi prodotto da fumo risale alla L. n. 52/1983, mentre il divieto di pubblicità televisiva -anche indiretta- delle sigarette è stato posto dal D.M. n. 425/1991, va sottolineato che la prima concreta misura di dissuasione diretta, frutto della certezza raggiunta dalla comunità scientifica che il fumo sia alla base di numerose forme di cancro e di un numero indefinito di altre gravi patologie, è stata introdotta dalla L. n. 428/1990, successivamente estesa e divenuta più rigorosa con il D.Lgs. n. 184/2003, cui hanno fanno seguito misure di intervento più incisive e concrete nella lotta al tabagismo.

19) A tale stregua, essendo la nocività del fumo un fatto socialmente noto a partire dagli anni settanta, tutt’altro che socialmente nota era invero all’epoca cui risalgono i fatti di causa la correlazione specifica tra fumo e cancro (e altre gravi patologie).

20) Va certamente escluso che nel 1965, allorquando la vittima ha iniziato a fumare, fosse socialmente nota la correlazione tra fumo e cancro, e che la medesima fosse informata e conscia del rischio specifico di contrare il cancro e si sia ciononostante indotta a fumare fino a 20 sigarette al giorno, in virtù di consapevole scelta edonistica.

L’asimmetria informativa in Italia è stata -come detto- colmata normativamente solo con l’emanazione della L. n. 428 del 1990, persistendo peraltro in capo all’esercente un’attività come nella specie pericolosa, al fine di andare esente da responsabilità, l’obbligo di dimostrare di aver adottato ogni misura atta ad evitare il danno (es., l’adozione di filtri volti a contenere lo sprigionamento delle sostanze cancerogene provocate dalla combustione; la produzione di sigarette con una più contenuta percentuale di catrame e di altre sostanze cancerogene; l’informazione sui rischi del fumo).

Va al riguardo osservato che invero già anteriormente all’emanazione della richiamata legge vi fosse invero tenuta alla stregua della diligenza qualificata e della buona fede o correttezza (v. Cass. 28/4/2022, n. 13342; Cass. 6/5/2020, n. 8494; Cass., 29/5/2018, n. 13362; Cass. 20/8/2015, n. 16990) cui avrebbe dovuto improntare la propria condotta nei rapporti della vita comune di relazione (v. Cass. 2/4/2021, n. 9200; Cass. 15/2/2007, n. 3462).

Solamente a fronte della conoscenza o effettiva conoscibilità dei rischi specifici connaturati alla pratica del fumo può infatti configurarsi un concorso di colpa del consumatore fumatore.

21) Costituisce ius receptum che l’esercente l’attività pericolosa è tenuto ad adottare, in relazione al contesto di riferimento, misure precauzionali anche al di là da quelle strettamente imposte dalla legge (Cass. 21/05/2019, n. 13579), anche e soprattutto sul piano dell’informazione, al fine di evitare il rischio d’impresa derivante dall’immissione sul mercato di un prodotto ontologicamente dannoso senza specifiche informazioni in ordine al tipo di danni alla salute (conducenti come nella specie addirittura alla morte) cui il consumatore risulta esposto, e il relativo consumo inconsapevole da parte del fumatore.

Consumo inconsapevole dei rischi specifici cui rimane esposto in ragione dell’immissione in commercio delle sigarette invero deponente per l’esclusione che la condotta del consumatore possa considerarsi improntata ad effettiva libertà di determinazione al riguardo e come tale possa pertanto assurgere a causa prossima di rilievo nella determinazione dell’evento dannoso nei termini dalla corte di merito erroneamente ravvisati nell’impugnata sentenza.>>

Per chi è interssato al tema ci sono diversi siti sulla tobaccio litigation: ad es. qui.

Assegnazione delle responsabilità tra medici nel caso di regresso ex art. 2055 c. 3 c.c.

Cass. sez. III, ord. 14/12/2024 n. 32.556, rel. Vincenti:

fatto:

<<Come già evidenziato (cfr. Par. 4.1.2, che precede), la Corte territoriale, dopo aver attribuito alla ASPT – in difetto di condotta inescusabilmente grave dei medici dei quali si è avvalsa per rendere la prestazione sanitaria – la responsabilità per il danno cagionato alla paziente nella misura del 50% (in coerenza con l’orientamento di questa Corte: tra le altre, Cass. n. 28987/2019, Cass. n. 29001/2021 e Cass. n. 28642/2024), ha ripartito la restante quota del 50% nei rapporti interni tra i tre medici (Sa.Sa., Ca.An. e Cr.Ro.) – stante la richiesta di graduazione delle colpe proveniente non solo dal Ca.An. (il cui gravame è stato dichiarato inammissibile), ma anche dal Sa.Sa. (come evidenziato al Par. 4.1.3., che precede) – “in misura egualitaria ed in pari grado” e ciò “in difetto di prova di una diversa efficacia causale delle singole condotte”.

diritto:

<<Varrà al riguardo osservare che, qualora il danno da fatto illecito sia imputabile a più persone, il giudice può fare ricorso alla presunzione di uguaglianza delle colpe di cui all’ultimo comma dell’art. 2055 c.c. solo in presenza di una situazione di dubbio oggettivo e reale, configurabile quando non sia possibile valutare neppure approssimativamente la misura delle singole responsabilità e, quindi, difettino indicazioni specifiche che siano in grado di orientare verso il riconoscimento del maggiore apporto causale di una o più condotte colpose (tra le altre, Cass. n. 6400/1990; Cass. n. 23581/2010; Cass. n. 31066/2019; Cass. n. 14378/ 2023).

La doglianza di parte ricorrente coglie nel segno là dove si duole, nella sostanza, dell’assoluto difetto di motivazione circa gli elementi che avrebbero convinto il giudice di appello a ritenere la misura paritaria delle colpe dei tre medici, senza tenere conto, dunque, delle indicazioni emergenti dalle risultanze agli atti (in particolare, la espletata CTU medico-legale e la cartella clinica) e ciò proprio in rapporto a quanto lo stesso giudice ha avuto modo di rilevare (anche richiamando l’accertamento definitivo scaturente dalla sentenza del Tribunale quanto alla posizione del Sa.Sa. e del Ca.An.) e argomentare, ai fini dell’affermazione della responsabilità, in ordine all’apporto di ciascun sanitario rispetto al danno patito dalla paziente, ossia alla “condotta colposa dei sanitari dell’Ospedale di S nel corso del parto e dei successivi interventi di riparazione della lacerazione perineale prodottasi a seguito del parto stesso (p. 4 della sentenza di appello) e, dunque, rispetto ad una sequenza di comportamenti in tempi e contesti diversi e secondo ruoli distinti.

Inibitoria contro Cloudfare per coviolazione del diritto di autore

Interessante ordinanza cautelare (contumaciale) di Trib. Roma Sez. spec. in materia di imprese, Ord., 03/06/2024, n. 1569, Rg 14261/2024, RTI (gruppo Mediaset) v. Cloudfare, pubblicata in Altalex da Maurizio De Giorgi , ove link al testo.

Spunti principali:

1) la analitica descrizione del lato tecnico, in particolare del ruolo di Cloudfare, essenzialmente volto a dare l’anonimato ai suoi clienti ma non solo (piattaforma usata anche da Twitter in Brasile nella sua recente lite col governo )

2) l’esame delle questioni di giurisdizione e competenza;

3)  il rapporto tra concorso ex art. 2055 cc (affermato) ed esimente ex art. 14, 15, 16 d gls 70/2003 (non affrontata ma -direi- implicitamente negata):

<<Ciò posto, a prescindere dalla qualificazione della resistente come hosting provider e, quindi, dalla questione della responsabilità degli internet service providers anche alla luce della recente giurisprudenza comunitaria, peraltro posta in maniera implicita, l’attività da essa svolta così come  prospettata dalla ricorrente appare potersi configurare come un’attività di concorso nella realizzazione degli illeciti compiuti da terzi inquadrabile nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 2055 c.c..
In particolare, sussiste, prima facie, nella cognizione tipica della presente fase cautelare, la prova che attraverso i nomi a dominio “G.” in tutte le variate declinazioni sono stati posti a disposizione del pubblico i programmi su cui la R.T.s.p.a. detiene i diritti di sfruttamento economico per l’Italia, senza autorizzazione e, pertanto, in violazione del diritto d’autore della ricorrente.
Dall’analisi espletata dalla S. srl, su incarico della ricorrente, è emerso che il sito noto con il nome di G. ha variato decine di estensioni del nome a dominio e che si serve dei servizi di C..

E’ emerso, altresì, che il sito offre un catalogo indicizzato di prodotti audiovisivi e li rende accessibili e fruibili mediante la pubblicazione di collegamenti ipertestuali (link) a risorse terze (cd. file hosting o cyberlocker) per il download o per lo streaming e che l’aggiornamento dei contenuti viene svolto dalla sola amministrazione del sito mentre l’utente finale può fruire dei contenuti la cui ricerca viene agevolata  dalle funzioni del sito stesso.
E’ emerso che C. agisce, quindi, come un intermediario tra il visitatore del sito e il server di origine, migliorando le prestazioni, aumentando la sicurezza e fornendo una serie di servizi aggiuntivi per ottimizzare l’esperienza dell’utente e proteggere il sito dai rischi online. Tutti i domini sfruttati da G. hanno in comune l’uso di tali servizi, ciò è riscontrabile anche dalla consultazione dei registri pubblici ottenute dalle interrogazioni D. di tutti i nomi dominio oggi riferiti a G., il N. risulta essere il comune servizio di Registrar usato per l’acquisto dei nomi di dominio e C. risulta essere l’ intermediario dei servizi internet sfruttato da tutti i domini>>

Motivazione poco lineare: la non invocabilità dell’esimente (questione logicamente antecedente l’invocabilità dell’art. 2055cc) andava argomentata, non ritenuta irrilevante (“a prescidnere”).

Corresponsabilità (contributory infringement) nella violazione del copyright a carico dell’internet provider

L’appello del 5 Distretto 09.10.2024, No. 23-50162, UMG Recordings, Capitol Records ed altre majorts della musica c. Grande Communications Network, decide un caso di corrsponsabilità di tipo P2P, confermando la condanna di prim grado (nell’an, non nel quantum),

Nel caso specifico la correpopnsabilità non era contestabile, dato che l’ISP era stato notiziato della violazione e nulla ha fatto.

Ma cìè staa battaglia comunque su due dei quattro requisiti di legge (<< Plaintiffs had to show (1) that Plaintiffs own or have exclusive control over valid copyrights and (2) that those copyrights were directly infringed by Grande’s subscribers. See BWP Media USA, 852 F.3d at 439. To further prove that Grande was secondarily liable for its subscribers’ conduct, Plaintiffs had to demonstrate (3) that Grande had knowledge of its subscribers’ infringing activity and (4) that Grande induced, caused, or materially contributed to that activity>>): precisamente sul 2 e sul 4. Nessuna invece sul n. 3, implicitamente ammmettendosi la willful blindness.

Qui contano spt. le tattiche di forensics: (1) ad es col software Audible Magic: Plaintiffs’ trade association, the Recording Industry Association of America, Inc.
(“RIAA”), used an industry-standard software program called Audible
Magic—which forensically analyzes the contents of digital audio files to
determine if those files match the contents of files in a database that contains
authorized authentic copies of Plaintiffs’ sound recordings—to verify that
Rightscorp in fact downloaded each work at issue,.

(2) Oppure col soggetto terzo incaricato da esse di indagini, Rightscorp: .

“To crack down on copyright infringement, third-party companies
have developed technologies to infiltrate BitTorrent and identify infringing
users by their IP addresses. One such company is Rightscorp, Inc.
(“Rightscorp”). Rightscorp’s proprietary technology:
• Interacts with BitTorrent users and obtains their agree-
ment to distribute unauthorized copies of copyrighted
works
• Records the relevant available details of that agreement,
such as the user’s IP address and what the infringed
content is
• Cross-references the user’s IP address against publicly
available databases to identify which ISP is affiliated
with that IP address
• Generates and sends infringement notices to the rele-
vant ISPs so that they can identify their infringing sub-
scribers and take appropriate action; and
• Frequently reconnects with the identified infringing IP
addresses and downloads copies of the copyrighted
works at issue directly from those users
In other words, Rightscorp identifies infringing conduct on
BitTorrent by engaging with BitTorrent users, documents that conduct, and
uses the information available to it to notify ISPs of its findings so that the
ISP can take appropriate action”.

Sintesi finale:

<< The evidence at trial demonstrated that Grande provided its
subscribers with the tools necessary to infringe (i.e., high-speed internet
access) and that Grande’s subscribers used those tools to infringe Plaintiffs’
copyrights.14 See BMG, 881 F.3d at 306-08. Based on the consistency of the
trial evidence, the district court determined that there was “no question that
[Grande] intentionally continued to provide Internet service” to its
infringing subscribers.
Grande’s affirmative choice to continue providing its services to
known infringing subscribers—rather than taking simple measures to
prevent infringement—distinguishes this case from Cobbler Nevada, LLC v.
Gonzales, 901 F.3d 1142 (9th Cir. 2018), on which Grande relies. There, the
Ninth Circuit considered a claim alleging that a subscriber of internet
services who received infringement notices failed to “secure, police and protect” his account from third parties who used his internet access to
infringe. Cobbler, 901 F.3d at 1145-46. The direct infringers were never
identified. See id. at 1145 n.1. Because the pleading premised liability
exclusively on the subscriber’s failure to take action against unknown third-
party infringers, it was insufficient to state a claim. See id. at 1147-49. Here,
Plaintiffs proved at trial that Grande knew (or was willfully blind to) the
identities of its infringing subscribers based on Rightscorp’s notices, which
informed Grande of specific IP addresses of subscribers engaging in
infringing conduct. But Grande made the choice to continue providing
services to them anyway, rather than taking simple measures to prevent
infringement. Additionally, Cobbler addressed only inducement liability
under Grokster; it did not opine on the evidence required for establishing
material contribution. See id. The court in Cobbler rejected the plaintiff’s
invitation to create “an affirmative duty for private internet subscribers to
actively monitor their internet service for infringement,” id. at 1149; it did
not absolve ISPs like Grande that continue providing services to known
infringing subscribers.
The evidence at trial demonstrated that Grande had a simple measure
available to it to prevent further damages to copyrighted works (i.e.,
terminating repeat infringing subscribers), but that Grande never took it. On
appeal, Grande and its amici make a policy argument—that terminating
internet services is not a simple measure, but instead a “draconian
overreaction” that is a “drastic and overbroad remedy”—but a reasonable
jury could, and did, find that Grande had basic measures, including
termination, available to it. See Amazon.com, 508 F.3d at 1172. And because
Grande does not dispute any of the evidence on which Plaintiffs relied to
prove material contribution, there is no basis to conclude a reasonable jury
lacked sufficient evidence to reach that conclusion.

In sum, because (1) intentionally providing material contribution to
infringement is a valid basis for contributory liability; (2) an ISP’s continued
provision of internet services to known infringing subscribers, without taking
simple measures to prevent infringement, constitutes material contribution;
and (3) the evidence at trial was sufficient to show that Grande engaged in
precisely that conduct, there is no basis to reverse the jury’s verdict that
Grande is liable for contributory infringement >>.

Interessante infine è la riduzine del quantum, dovendosi determinare il danno statutory non per singolo brano ma per albums., Ma ciò dipende da specifica norma del 17 US Code § 504 (“for the purposes of this subsection, all the parts of a compilation or derivative work constitute one work”).

 

(Notizia e link dal blog di Eric Goldman)

Non banali precisazioni su come condurre il giudizio controfattuale circa un intervento chirurgico troppo rischioso

Cass. Sez. III, Ord. 27/09/2024, n. 25.825, rel. Cricenti:

Sull’errore del secondo giudice:

<<In particolare, è fondato il terzo motivo, che denuncia un errore nel ragionamento controfattuale di accertamento del nesso di causalità, il quale errore è altresì dipeso dal difetto di valutazione denunciato negli altri due motivi.

In sostanza, la Corte di merito ha escluso la rilevanza causale della scelta di procedere all’intervento chirurgico e lo ha fatto con un ragionamento controfattuale del tutto errato, in quanto ha ritenuto che, ove fosse stato evitato l’intervento chirurgico, e ove si fosse optato per un intervento non invasivo o conservativo, quest’ultimo non avrebbe comunque sortito i suoi effetti così come era già accaduto in passato.

Intanto, questo ragionamento controfattuale è chiaramente viziato, come denunciato con il secondo motivo, da omesso esame di fatti rilevanti e decisivi, vale a dire della circostanza che, non solo e non tanto il CTU aveva ritenuto non necessario l’intervento chirurgico e preferibile un intervento di tipo conservativo, ma altresì della circostanza che un medico precedentemente intervenuto, ossia l’ortopedico D.D., aveva anch’egli sconsigliato l’intervento chirurgico e ritenuto invece più opportuno un intervento non invasivo.

Inoltre, il ragionamento effettuato dai giudici d’appello, secondo cui l’intervento chirurgico era maggiormente indicato in quanto quello conservativo non aveva prodotto in passato gli effetti sperati, è anch’esso viziato da omesso esame di un fatto rilevante, omissione da cui deriva contraddittorietà di giudizio, in quanto non si è tenuto conto del fatto che anche l’intervento chirurgico, che pure in precedenza era stato effettuato, non aveva prodotto, al pari di quello conservativo, gli effetti sperati.

Ma soprattutto, l’errore di ragionamento controfattuale sta nel fatto che l’efficacia causale dell’antecedente, ossia la scelta del tipo di intervento da effettuare, se chirurgico o meno, non andava valutata rispetto all’evento guarigione, ma rispetto all’evento concretamente verificatosi di danno permanente subìto dal paziente>>.

Per poi precisare:

<< In altri termini, il giudizio controfattuale andava effettuato chiedendosi se l’intervento conservativo, in luogo di quello chirurgico, avrebbe evitato o meno i danni permanenti al paziente, piuttosto che chiedersi se l’intervento conservativo avrebbe sortito effetti benefici per l’interessato guarendolo dalla patologia.

Nell’accertamento del nesso causale, infatti, la condotta alternativa lecita va messa in relazione all’evento concretamente verificatosi, e di cui si duole il danneggiato, e non già rispetto ad un evento diverso: se il danno di cui ci si lamenta è costituito dalla paralisi permanente, l’indagine causale va effettuata ponendo in relazione questo danno con la condotta alternativa lecita, ossia chiedendosi se tale danno era evitabile sostituendo la condotta posta in essere con una condotta alternativa. Invece, i giudici di appello, come si è detto prima, hanno effettuato l’indagine controfattuale considerando quale evento non già il danno subìto, ma l’inefficacia terapeutica del trattamento, e dunque un evento diverso, di cui il ricorrente non si duole. Non v’è dubbio che non guarire dalla lombosciatalgia è evento diverso dal subire la paralisi: ed occorreva chiedersi se, evitare l’intervento, avrebbe evitato la paralisi. L’evento che, per il ricorrente, ha costituito danno è, per l’appunto, la paralisi, non la mancata guarigione dalla lombosciatalgia, e dunque la questione causale è conseguente: stabilire se la condotta alternativa lecita avrebbe evitato quell’evento, non altro (la mancata guarigione dalla lombosciatalgia).

In altri termini, il ragionamento controfattuale, come svolto dai giudici di appello, può esprimersi nel modo seguente: “il trattamento conservativo non era necessariamente da preferire in quanto già in passato si era dimostrato inefficace”, quando invece l’assunto del ricorrente era: “il trattamento conservativo era da preferire in quanto avrebbe evitato i danni permanenti, poco importando la sua efficacia curativa”.

Il giudizio controfattuale consiste nella verifica della fondatezza di questa seconda proposizione linguistica, non della prima.

Come è evidente, l’efficacia causale della condotta alternativa lecita, ossia del trattamento conservativo, che era richiesto di accertare, non era quella di comportare la guarigione ma quella ben diversa di evitare il danno permanente.

Detto in termini semplici: il consiglio dato dagli altri medici di non fare l’intervento chirurgico, bensì trattamenti meno invasivi, non necessariamente era giustificato dalla maggiore efficienza di questi ultimi, ma ben poteva essere giustificato dalla minore rischiosità di essi, che è cosa ben diversa anche sul piano della individuazione dell’evento rispetto a cui effettuare il giudizio controfattuale.

E dunque la corte di merito avrebbe dovuto valutare se la condotta alternativa lecita (trattamento meno invasivo) era da pretendersi a prescindere dalla sua efficacia sulla patologia in corso, ma per via del fatto che garantiva, a differenza di quella di fatto tenuta, di evitare il rischio: se cioè vi sia stata colpa nella scelta dell’intervento chirurgico alla luce di tale previsione.

Né può dirsi che si tratta di un giudizio di fatto, qui non censurabile, in quanto è in gioco il criterio con cui si accerta il fatto, ossia il criterio con cui si accerta se l’evento sia riconducibile ad un antecedente colposo>>.

 

Ancora sulla responsabilità degli internet provider per le violazioni copyright dei loro utenti (con un cenno a Twitter v. Taamneh della Corte Suprema USA, 2023)

Approfondita sentenza (segnalata e linkata da Eric Goldman, che va sempre ringraziato) US BANKRUPTCY COURT-SOUTHERN DISTRICT OF NEW YORK, In re: FRONTIER COMMUNICATIONS CORPORATION, et al., Reorganized Debtors, Case No. 20-22476 (MG), del 27 marzo 2024.

Si v. spt. :

-sub III.A, p. 13 ss, “Secondary Liability for Copyright Infringement Is a Well-Established Doctrine”;

– sub III.B “Purpose and Effect of DMCA § 512”, 24 ss.

– sub III.D “Twitter Did Not Silently Rewrite Well-Established Jurisprudence on Secondary Liability for Copyright Infringement” p. 31 ss sul rapporto tra la disciplina delle violazioni copyright e la importante sentenza della Corte Suprema Twitter, Inc. v. Taamneh, 598 U.S. 471 (2023).

Di quest’ultima riporto due passaggi dal Syllabus iniziale:

– la causa petendi degli attori contro Twitter (e Facebook e Google):

<< Plaintiffs allege that defendants aided and abetted ISIS in the
following ways: First, they provided social-media platforms, which are
generally available to the internet-using public; ISIS was able to up-
load content to those platforms and connect with third parties on them.
Second, defendants’ recommendation algorithms matched ISIS-re-
lated content to users most likely to be interested in that content. And,
third, defendants knew that ISIS was uploading this content but took
insufficient steps to ensure that its content was removed. Plaintiffs do
not allege that ISIS or Masharipov used defendants’ platforms to plan
or coordinate the Reina attack. Nor do plaintiffs allege that defend-
ants gave ISIS any special treatment or words of encouragement. Nor
is there reason to think that defendants carefully screened any content
before allowing users to upload it onto their platforms>>

– La risposta della SCOTUS:

<<None of plaintiffs’ allegations suggest that defendants culpably “associate[d themselves] with” the Reina attack, “participate[d] in it as
something that [they] wishe[d] to bring about,” or sought “by [their]
action to make it succeed.” Nye & Nissen, 336 U. S., at 619 (internal
quotation marks omitted). Defendants’ mere creation of their media
platforms is no more culpable than the creation of email, cell phones,
or the internet generally. And defendants’ recommendation algorithms are merely part of the infrastructure through which all the content on their platforms is filtered. Moreover, the algorithms have been presented as agnostic as to the nature of the content. At bottom, the allegations here rest less on affirmative misconduct and more on passive nonfeasance. To impose aiding-and-abetting liability for passive nonfeasance, plaintiffs must make a strong showing of assistance and scienter.     Plaintiffs fail to do so.
First, the relationship between defendants and the Reina attack is
highly attenuated. Plaintiffs make no allegations that defendants’ relationship with ISIS was significantly different from their arm’s
length, passive, and largely indifferent relationship with most users.
And their relationship with the Reina attack is even further removed,
given the lack of allegations connecting the Reina attack with ISIS’ use
of these platforms. Second, plaintiffs provide no reason to think that
defendants were consciously trying to help or otherwise participate in
the Reina attack, and they point to no actions that would normally
support an aiding-and-abetting claim.
Plaintiffs’ complaint rests heavily on defendants’ failure to act; yet
plaintiffs identify no duty that would require defendants or other communication-providing services to terminate customers after discovering that the customers were using the service for illicit ends. Even if
such a duty existed in this case, it would not transform defendants’
distant inaction into knowing and substantial assistance that could
establish aiding and abetting the Reina attack. And the expansive
scope of plaintiffs’ claims would necessarily hold defendants liable as
having aided and abetted each and every ISIS terrorist act committed
anywhere in the world. The allegations plaintiffs make here are not
the type of pervasive, systemic, and culpable assistance to a series of
terrorist activities that could be described as aiding and abetting each
terrorist act by ISIS.
In this case, the failure to allege that the platforms here do more
than transmit information by billions of people—most of whom use the
platforms for interactions that once took place via mail, on the phone,
or in public areas—is insufficient to state a claim that defendants
knowingly gave substantial assistance and thereby aided and abetted
ISIS’ acts. A contrary conclusion would effectively hold any sort of
communications provider liable for any sort of wrongdoing merely for
knowing that the wrongdoers were using its services and failing to stop
them. That would run roughshod over the typical limits on tort liability and unmoor aiding and abetting from culpability>>.

La norma asseritamente violata dalle piattaforme era il 18 U.S. Code § 2333 (d) (2), secondo cui : <<2) Liability.— In an action under subsection (a) for an injury arising from an act of international terrorism committed, planned, or authorized by an organization that had been designated as a foreign terrorist organization under section 219 of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1189), as of the date on which such act of international terrorism was committed, planned, or authorized, liability may be asserted as to any person who aids and abets, by knowingly providing substantial assistance, or who conspires with the person who committed such an act of international terrorism>>.

Access provider responsabile per le violazioni di copyright dei suoi utenti: non vicariously bensì contributory

Così l’analitica e interessante Sony, Arista, Warner Bros ed altri v. Cox Communications , 4° circuito d’ appello, n. 21.-1168, 20.02.2024 , promossa dalle major dell’industria culturale contro un access provider:

<<A defendant may be held vicariously liable for a third party’s copyright infringement if the defendant “[1] profits directly from the infringement and [2] has a right and ability to supervise the direct infringer.”>>

– I –

Vicarious liability:

<<As these cases illustrate, the crux of the financial benefit inquiry is whether a causal relationship exists between the infringing activity and a financial benefit to the defendant.
If copyright infringement draws customers to the defendant’s service or incentivizes them to pay more for their service, that financial benefit may be profit from infringement. See, e.g., EMI Christian Music Grp., Inc. v. MP3tunes, LLC, 844 F.3d 79, 99 (2d Cir. 2016).
But in every case, the financial benefit to the defendant must flow directly from the third party’s acts of infringement to establish vicarious liability. See Grokster, 545 U.S. at 930 & n.9; Nelson-Salabes, 284 F.3d at 513.
To prove vicarious liability, therefore, Sony had to show that Cox profited from its
subscribers’ infringing download and distribution of Plaintiffs’ copyrighted songs. It did not.
The district court thought it was enough that Cox repeatedly declined to terminate infringing subscribers’ internet service in order to continue collecting their monthly fees.
Evidence showed that, when deciding whether to terminate a subscriber for repeat infringement, Cox considered the subscriber’s monthly payments. See, e.g., J.A. 1499 (“This customer will likely fail again, but let’s give him one more chan[c]e. [H]e pays 317.63 a month.”). To the district court, this demonstrated the requisite connection between the customers’ continued infringement and Cox’s financial gain.
We disagree. The continued payment of monthly fees for internet service, even by repeat infringers, was not a financial benefit flowing directly from the copyright infringement itself. As Cox points out, subscribers paid a flat monthly fee for their internet access no matter what they did online. Indeed, Cox would receive the same monthly fees even if all of its subscribers stopped infringing. Cox’s financial interest in retaining subscriptions to its internet service did not give it a financial interest in its subscribers’ myriad online activities, whether acts of copyright infringement or any other unlawful acts.
An internet service provider would necessariily lose money if it canceled subscriptions, but that demonstrates only that the service provider profits directly from the sale of internet access. Vicarious liability, on the other hand, demands proof that the defendant profits directly from the acts of infringement for which it is being held accountable>>

– II –

<<We turn next to contributory infringement. Under this theory, “‘one who, with
knowledge of the infringing activity, induces, causes or materially contributes to the infringing conduct of another’ is liable for the infringement, too.”>>

<<The evidence at trial, viewed in the light most favorable to Sony, showed more than mere failure to prevent infringement. The jury saw evidence that Cox knew of specific instances of repeat copyright infringement occurring on its network, that Cox traced those instances to specific users, and that Cox chose to continue providing monthly internet access to those users despite believing the online infringement would continue because it wanted to avoid losing revenue. Sony presented extensive evidence about Cox’s increasingly liberal policies and procedures for responding to reported infringement on its
network, which Sony characterized as ensuring that infringement would recur. And the jury reasonably could have interpreted internal Cox emails and chats as displaying contempt for laws intended to curb online infringement. To be sure, Cox’s antiinfringement efforts and its claimed success at deterring repeat infringement are also in the record. But we do not weigh the evidence at this juncture. The evidence was sufficient to support a finding that Cox materially contributed to copyright infringement occurring on its network and that its conduct was culpable. Therefore we may not disturb the jury’s verdict finding Cox liable for contributory copyright infringement>>

(notizia e link dal blogi di Eric Goldman)

Efficacia probatoria delle linee guida e riparto interno della responsabilità sanitaria tra casa di cura e medico

Cass. sez. III ord. 11/12/2023 n. 34.516, rel. Porreca:

1) <<quanto alla mancata adozione della tecnica a quel tempo non ancora recepita dalle linee guida, questa sì opzione in tesi imperita, deve ricordarsi che questa Corte ha ripetutamente escluso sia una rilevanza normativa delle linee in parola, sebbene siano un parametro di accertamento della colpa medica (Cass., 29/04/2022, n. 13510), sia, soprattutto, una generale rilevanza “parascriminante” delle stesse che non assurgono “al rango di fonti di regole cautelari codificate, non essendo né tassative né vincolanti, e comunque non potendo prevalere sulla libertà del medico, sempre tenuto a scegliere la miglior soluzione per il paziente. Di tal che, pur rappresentando un utile parametro nell’accertamento dei profili di colpa medica, esse non eliminano la discrezionalità giudiziale, libero essendo il giudice di valutare se le circostanze del caso concreto esigano una condotta diversa da quella prescritta (Cass. pen. 16237/2013; 39165/2013). Non senza osservare, ancora, come il giudice delle leggi, con la sentenza n. 295 del 2013, abbia chiaramente specificato che la limitazione di responsabilità ex art. 3, comma 1 della cd. Legge Balduzzi (nel perimetro indicato) trovi il suo invalicabile limite nell’addebito di imperizia – giacché le linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole di perizia – e non anche quando l’esercente la professione sanitaria si sia reso responsabile di una condotta negligente e/o imprudente” (Cass., 09/05/2017, n. 11208, pag. 11);  [esatto ma anche ovvio]

<<non a caso la L. n. 24 del 2017, sia pure successiva ai fatti al pari della cd. legge Balduzzi come osserva il Pubblico Ministero, all’art. 5 fa anch’essa salva la specificità del caso concreto;

la Corte territoriale ha accertato, ancora in fatto, che, nello specifico caso, la nuova tecnica era di gran lunga più opportuna, per la sua capacità, già documentata, di ridurre in altissima misura il marcato rischio di complicanza poi infatti intervenuta, aggiungendo che si trattava di tecnica già conosciuta dalla comunità scientifica di settore, sebbene da pochi anni, e tale da aver “vicariato” quella tradizionale (pagg. 18-19);

parte ricorrente sostiene che si trattava di tecnica invece ancora sperimentale ed affatto conclusivamente validata, ma lo fa richiamando studi oggetto di allegazione che non dimostra come e quando processualmente svolta davanti ai giudici di merito, dunque nuova e non scrutinabile nella presente sede di legittimità a critica vincolata, oltre che perimetrata dall’inibizione di censura, anche sostanziale seppure non formalmente evocata, per omesso esame, stante la doppia conforme di merito di rigetto (art. 348-ter c.p.c., comma 5, applicabile “ratione temporis” e, peraltro, al contempo reintrodotto dal D.Lgs. n. 149 del 2022, come previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 4; né avrebbe potuto dirsi dimostrata, da parte ricorrente, la diversità delle ragioni di fatto poste a base delle due decisioni di merito: cfr. Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., 28/02/2023, n. 5947);

il Collegio di merito ha così implicitamente quanto univocamente configurato, sul punto, un’ipotesi di colpa grave rispetto allo specifico caso;>>

2° ) <<e’ stato progressivamente chiarito il principio per cui nel rapporto interno tra la struttura sanitaria e il medico di cui quella si sia avvalsa, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo dev’essere di regola ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo dell’art. 1298 c.c., comma 2, e art. 2055 c.c., comma 3, in quanto la struttura accetta il rischio connaturato all’utilizzazione di terzi per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale, a meno che dimostri un’eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile, e oggettivamente improbabile, devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell’obbligazione (Cass., 11/11/2019, n. 28987);

per ritenere superato l’assetto interno così ricostruito, non basta, pertanto, ritenere che l’inadempimento fosse ascrivibile alla condotta del medico, ma occorre considerare il composito e duplice titolo in ragione del quale la struttura risponde solidalmente del proprio operato, sicché sarà onere del “solvens”:

a) dimostrare – per escludere del tutto una quota di rivalsa – non soltanto la colpa esclusiva del medico rispetto allo specifico evento di danno, ma la derivazione causale di quell’evento dannoso da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, in un’ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilità sul piano dei rapporti interni;

b) dimostrare – per superare la presunzione di parità delle quote, ferma l’impossibilità di comprimere del tutto quella della struttura, eccettuata l’ipotesi sub a) – che alla descritta colpa del medico si affianchi l’evidenza di un difetto di correlate trascuratezze nell’adempimento del contratto di spedalità da parte della struttura, comprensive di controlli atti a evitare rischi dei propri incaricati, da valutare in fatto, da parte del giudice di merito, in un’ottica di duttile apprezzamento della fattispecie concreta (Cass., 20/10/2021, n. 29001);>>

[già più interessante]